Con la Bibbia Dio comunica a noi il suo pensiero e il suo proposito, ma è con la preghiera che noi possiamo comunicare con lui. Quando Dio tocca i nostri cuori, sorge immediata l’esigenza della preghiera. Quando Anania fu mandato da Saulo di Tarso dopo che il risuscitato Yeshùa lo aveva sconvolto apparendogli sulla via per Damasco, Yeshùa disse ad Anania come riconoscere Saulo: “Àlzati, va’ nella strada chiamata Diritta, e cerca in casa di Giuda uno di Tarso chiamato Saulo; poiché ecco, egli è in preghiera”. – At 9:11.

   Trattando della preghiera, possiamo stabilire quali siano le condizioni imprescindibili che la Bibbia richiede da noi per poter pregare correttamente.

   La preghiera va risolta a Dio nel nome di Yeshùa. Fu Yeshùa stesso a dichiarare: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14:6) e: “Qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà” (Gv 16:23). Il Sl 65:2 inneggia a Dio come “Uditore di preghiera” (TNM). La preghiera va risolva sempre e soltanto a Dio: “In ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti”. – Flp 4:6.

   La preghiera deve essere in accordo con la volontà di Dio. “Se domandiamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce” (1Gv 5:14). Per conoscere la volontà di Dio dobbiamo leggere, studiare e meditare la Sacra Scrittura, perché “ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Tm 3:16,17). “Non agite con leggerezza, ma cercate di ben capire quale sia la volontà del Signore” (Ef 5:17). A volte potremmo desiderare tanto qualcosa che ci sembra essere per il nostro bene, tuttavia dobbiamo saper accettare che Dio ne sa più di noi. In ciò abbiamo l’esempio perfetto di Yeshùa che, nel momento più buio della sua vita, pregando Dio intensamente, concluse la sua accorata preghiera dicendo: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta”. – Lc 22:42.

    La preghiera richiede integrità. “Gli occhi del Signore sono sui giusti e i suoi orecchi sono attenti al loro grido” (Sl 34:15; cfr. 1Pt 3:12). Occorre essere consapevoli che l’Uditore di preghiere conosce i nostri pensieri, anche quelli più nascosti, e le motivazioni delle nostre preghiere. “Io so, o mio Dio, che tu scruti il cuore” (1Cron 29:17). “Egli non rifiuterà di far del bene a quelli che camminano rettamente”. – Sl 84:11.

   Tuttavia, è scritto anche: “Se tieni conto delle colpe, Signore, chi potrà resistere?” (Sl 130:3). Se per pregare dovessimo attendere di essere senza colpe e perfettamente giusti, non potremmo mai pregare, perché “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Rm 3:23). Il punto è che se stiamo continuando a praticare il peccato, non serve a nulla pregare. Occorre prima pentirsi e cambiar vita. “Mio Dio, io sono confuso; e mi vergogno, mio Dio, di alzare a te la mia faccia, perché le nostre iniquità si sono moltiplicate fin sopra la nostra testa, e la nostra colpa è così grande che giunge al cielo”. – Esd 9:6.

   La preghiera richiede la nostra partecipazione intelligente e consapevole. “Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza” (1Cor 14:15). L’intelligenza è dono di Dio (Dn 1:17). La nostra intelligenza non deve esserci di ostacolo, ma aiutarci a ragionare sulla sapienza di Dio che è nascosta all’intelligenza naturale (Mt 11:25). L’intelligenza mantenuta nell’umiltà deve aiutarci a discernere le cose di Dio. Paolo disse: “Io parlo come a persone intelligenti; giudicate voi su quel che dico” (1Cor 10:15). Per la preghiera sono richiesti sia lo spirito sia l’intelligenza.

Sentimento e ragione nella preghiera

   Abbiamo appena visto che Paolo dice: “Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza” (1Cor 14:15). L’essere umano non si esaurisce nel pensare e nel fare. L’essere umano sente anche il bisogno di esprimersi nel canto, nella poesia, nella danza, nell’arte. E nella preghiera. La persona che prega non lo fa  però solo con il sentimento. La preghiera non è una pratica magica cui partecipiamo emotivamente. La persona che prega lo fa con la sua intelligenza, oltre che con la partecipazione del suo spirito, delle sue emozioni. Pregando, si ricorre alla riflessione e al discernimento, oltre a manifestare le emozioni. Nelle preghiere bibliche per eccellenza, quelle dei Salmi, il salmista prega sia manifestando i sentimenti (gioia, fiducia, esultanza, paura, collera), mentre piange o gioisce, sia pensando e riflettendo. La stessa parola ebraica che troviamo nella Bibbia e che traduciamo “preghiera” – תְּפִלָּה (tefilàh) – ha a che fare con il mediare e il giudicare, e quindi ha a che fare con il pensiero. Quando Paolo, in Col 3:16, incita a istruirci ed esortarci gli uni gli altri “con ogni sapienza”, non dice di cantare “di cuore” a Dio, come traduce NR, ma dice ἐν ταῖς καρδίαις (en tàis kardìais), “nei cuori”. E non si faccia l’errore di leggere all’occidentale, pensando al cuore come sede dei sentimenti; nell’antropologia biblica il cuore è la sede dell’intelligenza, dei pensieri. Leggendo i Salmi possiamo vedere che essi sono molto spesso la testimonianza di persone che pregano pensando e ripensando la loro vita davanti a Dio, nell’intento di discernere la volontà di Dio per ubbidirgli.

“La mia voce sale a Dio e io grido …

Nel giorno della mia afflizione ho cercato il Signore …

Medito

Ripenso ai giorni antichi,

agli anni da lungo tempo trascorsi.

Durante la notte mi ricordo dei miei canti;

medito,

e il mio spirito si pone delle domande

Io rievocherò i prodigi del Signore;

sì, ricorderò le tue meraviglie antiche,

mediterò su tutte le opere tue e ripenserò alle tue gesta.

Sl 77, passim.

 

   Pregare non significa perciò estraniarsi dalla ragione quasi si entrasse in una sorta di magico misticismo fatto solo di emozioni. Per conoscere la volontà di Dio, la sua parola contenuta nella Sacra Scrittura, occorre applicarsi e riflettere. Facendolo in preghiera, occorre stabilire una relazione, un confronto, tra gli eventi, e tra la parola di Dio e la nostra interiorità. Ciò ci obbliga a pensare per discernere. Ci sono di certo momenti rari e particolari in cui siamo talmente confusi che riusciamo solo a dire: Signore, aiutami! Ma occorre poi dedicarsi alla preghiera con più calma, riflettendo davanti a Dio. D’altra parte, sarebbe solamente ingenua una preghiera ridotta all’unica dimensione cerebrale. Non siamo di fronte a un dirigente d’azienda cui facciamo rapporto, come non siamo di fronte a un idolo cui manifestiamo smodatamente un entusiasmo religioso. “Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza”. – 1Cor 14:15.

Gli atti connessi alla preghiera

   Dal momento che preghiamo Dio, egli ha il diritto di attendersi qualcosa da noi. Cosa potremmo dare a Dio, se non le nostre azioni, i nostri atti conformi alle preghiere che gli rivolgiamo? “Tutto viene da te; e noi ti abbiamo dato quello che dalla tua mano abbiamo ricevuto”. – 1Cron 29:14.

    L’atto di ringraziamento. Paolo ci esorta in Flp 4:6: “In ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti” (cfr. Col 2:7). Ringraziando Dio gli mostriamo la nostra riconoscenza. “Ti renderò espressioni di ringraziamento” (Sl 56:12, TNM). Dio stesso dice: “Chi mi offre come sacrificio il ringraziamento, mi glorifica” (Sl 50:23). “In ogni cosa rendete grazie, perché questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi”. – 1Ts 5:18.

   L’atto di lode. È lodando Dio che gli diamo gloria. È Dio l’oggetto della nostra lode: “Tu sei l’argomento della mia lode” (Sl 22:25), “A te va sempre la mia lode” (Sl 71:6). La preghiera dovrebbe iniziare sempre con la lode, “perché il Signore è grande e degno di sovrana lode” (Sl 96:4; cfr. 2Sam 22:4). Anche in ciò Yeshùa è d’esempio: “Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra …” (Lc 10:21). La lode può essere espressa nel canto. I Salmi, che sono la raccolta della preghiera ebraica, erano musicati e venivano cantati. La musica raggiunge vette cui le parole non arrivano. È dove le parole non sanno più parlare che inizia la musica. Paolo esortava: “Cantate tra voi salmi, inni e canti spirituali. Cantate, inneggiate al Signore con tutto il cuore”. – Ef 5:19, PdS; cfr. Col 3:16.

“Celebrate il Signore al suono della cetra,
lodatelo sull’arpa a dieci corde.
Cantate per lui un canto nuovo,
acclamatelo con la musica più bella!”. – Sl 33:2,3, PdS.

   L’atto d’esaltazione. Esaltare Dio è qualcosa in più che lodarlo: è elevarlo in gloria. “Io canterò al Signore, perché è sommamente glorioso … Questi è il mio Dio, io lo glorificherò … io lo esalterò” (Es 15:1,2). “Io ti esalto, o Signore”. – Sl 30:1.

   L’atto di adorazione. L’adorazione è l’atto per eccellenza nel nostro culto a Dio. La lode possiamo rivolgerla anche a esseri umani (cfr. 1Cor 11:2), ma l’adorazione va resa unicamente a Dio. “Adoralo adunque, perciocchè egli è il tuo Signore” (Sl 45:11, Did). È quindi molto appropriato – sebbene nella preghiera vada bene qualsiasi posizione – pregare inginocchiati, prostrandosi a Dio.

Come pregare

   Si deve pregare mentalmente oppure ad alta voce? In ginocchio o in altre posizioni? La Scrittura non stabilisce delle regole. Ciascuno si può regolare secondo le proprie circostanze. Dio non ha bisogno di udire sonoramente le nostre parole: “Colui che ha fatto l’orecchio forse non ode?” (Sl 94:9), “Non ho ancora aperto bocca e già sai quel che voglio dire” (Sl 139:4, PdS). Se le circostanze lo permettono, si può pregare ad alta voce; ciò aiuta soprattutto a non distarsi, eliminando dalla nostra mente i pensieri estranei. C’è però chi preferisce raccogliersi nella propria interiorità parlando nella propria mente. Così, anche riguardo alla posizione del corpo, ciascuno può seguire le sue abitudini e le sue propensioni. A letto potremmo sentire il desiderio di pregare, e nulla vieta che lo facciamo da coricati. Si può pregare anche camminando, se siamo colti dal desiderio di farlo. Ci sono però momenti (quelli più regolari della preghiera quotidiana) in cui sarebbe opportuno inginocchiarsi. Ciò ci aiuta a umiliarci di fronte a Dio. La parola stessa “adorare” significa prostrarsi. Luca narra, includendosi, che quando Paolo dovette ripartire, “dopo esserci inginocchiati sulla spiaggia, pregammo e ci dicemmo addio” (At 21:5). Dovremmo sempre essere consci di Colui davanti al quale stiamo e del profondo rispetto che ci è richiesto. “Mostriamo gratitudine, mediante la quale serviamo Dio in modo accettevole, con riverenza e timore” (Eb 12:28, ND), adoperandoci al compimento della nostra salvezza “con timore e tremore”. – Flp 2:12.

    Pur essendo vero che possiamo pregare nelle circostanze più svariate e quindi nelle posizioni più diverse, purché non sconvenienti, va detto che la Scrittura menziona due posizioni precise.

   In ginocchio è la posizione più frequente che troviamo nella Bibbia. È scritto che “nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra” (Flp 2:10). Questa posizione indica la nostra totale dipendenza da Dio, la nostra inferiorità e la nostra sottomissione. Lo stesso grande re Salomone, di fronte a tutti i suoi sudditi, “si mise in ginocchio in presenza di tutta l’assemblea d’Israele, stese le mani verso il cielo” e pregò Dio (2Cron 6:13). Paolo così si esprime: “Piego le ginocchia davanti al Padre” (Ef 3:14). Il nostro massimo esempio, Yeshùa, nella notte prima di morire “si gettò con la faccia a terra, pregando”. – Mt 26:39.

   In piedi è un’altra posizione menzionata nella Bibbia per la preghiera. Anche questa posizione è conforme all’uso antico che esprimeva rispetto. Giobbe rammenta, riferendosi a quando era rispettato: “I vecchi si alzavano e rimanevano in piedi” (Gb 29:8). Viceversa, il giudeo Mardocheo “non si alzava” di fronte al perfido Aman, non riconoscendogli alcun rispetto dovuto (Est 5:9). È una bella scena quella in cui viene aperto il libro della Legge, quando “Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo … e, appena aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi” (Nee 8:5). Gli stessi leviti, la classe sacerdotale, si alzarono e “dissero: ‘Alzatevi e benedite il Signore vostro Dio, di eternità in eternità!’”. – Nee 9:4.

   Altri atteggiamenti da assumere in preghiera sono menzionati in 2Cron 7:3: “Tutti i figli d’Israele … si chinarono con la faccia a terra, si prostrarono sul pavimento, e lodarono il Signore”; in Nee 8:6: “Tutto il popolo rispose: ‘Amen, amen’, alzando le mani; e s’inchinarono, e si prostrarono con la faccia a terra davanti al Signore”; in Nm 16:22: “Si prostrarono con la faccia a terra e dissero: ‘O Dio …’”; in Esd 9:5,6: “Caddi in ginocchio e, stendendo le mani verso il Signore, mio Dio, dissi: ‘Mio Dio …’”; in Sl 28:2: “Ascolta la voce delle mie suppliche quando grido a te, quando alzo le mani verso la tua santa dimora”; in 1Tm 2:8, in cui Paolo dice: “Io voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando mani pure”, mettendo l’accento sulla purezza. – Cfr. 1Pt 3:4.

Dove pregare

   Paolo scrive a Timoteo: “Io voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando mani pure” (1Tm 2:8). Il nostro bisogno di Dio ci spinge a pregarlo in qualsiasi luogo possiamo trovarci secondo le circostanze. È meraviglioso sapere che per quanto possiamo essere impediti e perfino imprigionati, nessuno può ingabbiare la nostra mente; i nostri pensieri fatti preghiera viaggiano a una velocità infinitamente superiore a quella della luce; tale velocità è perfino molto secondaria, perché Dio conosce la nostra preghiera già prima che la formuliamo. “Il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate”. – Mt 6:8.

   “Mentre era nel pesce Giona pregò il Signore, Dio suo” (Gna 2:2, PdS). Davide pregò da dentro una caverna (Sl 57 e 142). Paolo e Sila pregarono dentro una prigione (At 16:25). Nella nostra vita quotidiana, però, dovremmo cercare per le nostre preghiere regolari un luogo tranquillo in cui poterci isolare senza distrazioni. Daniele, per pregare, entrava in camera sua (Dn 6:10). Pietro, essendo in viaggio, per trovare un posto appartato “salì sulla terrazza, verso l’ora sesta, per pregare” (At 10:9). Yeshùa, non disponendo di un ambiente suo, “si ritirava nei luoghi deserti e pregava” (Lc 5:16). È Yeshùa stesso a insegnarci: “Tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa” (Mt 6:6). Pregare regolarmente in solitudine in luogo tranquillo dovrebbe far parte della nostra vita di tutti i giorni.