Il progresso della scienza al tempo del rinascimento (secoli 15° e 16°) palesò una cosmologia ben diversa da quella biblica (questo soggetto è trattato nella categoria Bibbia e scienza, in questa stessa sezione) e le ricerche archeologiche misero in luce una serie di documenti antichi che, togliendo la Bibbia dall’isolamento precedente, evidenziava l’ambiente culturale e storico nella quale essa sorse, mostrandone non solo le affinità, ma anche le notevoli diversità. Di fronte a tali scoperte venne a crearsi una discrepanza non indifferente tra credenti e non credenti, perché entrambi esageravano la competenza dei loro studi.

  

La Bibbia sopra tutto

   Di fronte a tali difficoltà un gruppo di credenti, mossi da uno spirito apologetico erroneo, cercarono di utilizzare la Bibbia per valutare le scoperte scientifiche del loro tempo e correggerle dovunque sembravano – secondo il loro punto di vista – deviare dall’insegnamento biblico. Da tale mentalità provenne la condanna di Galileo ad opera di Urbano VIII, esaminata specificamente nella categoria Bibbia e scienza.

 

Scienza e storia contro la Bibbia

   D’altro canto molti scienziati ed esperti in lingue orientali antiche, esagerando l’importanza delle loro scoperte, pretesero di impugnare l’ispirazione biblica ergendosi contro i presunti errori da essi riscontrati nella Sacra Scrittura. Con la pretesa di ritrovarvi gli antichi miti dell’oriente pagano, ridussero i testi sacri a semplici pagine letterarie del passato prive di un particolare carisma spirituale. L’ispirazione biblica per loro venne relegata ad una credenza diffusa in tutte le religioni e che perciò doveva essere demitizzata dal mondo scientifico attuale incapace di tollerare l’intromissione di Dio nella sfera delle leggi naturali. Gli errori biblici, così ritenuti da loro, sfatavano per sempre che tali scritti siano opera di Dio, a meno di voler attribuire degli sbagli allo stesso Dio, che in tal modo cesserebbe di essere Dio (dicono sempre costoro).

  

Tentativi di accomodamento

   Un altro gruppo di credenti, ancorati all’ispirazione biblica, ma nel medesimo tempo entusiasti delle scoperte scientifiche e storiche, si sforzò invece di concordare tra loro questi diversi rami dello scibile umano. Sorsero così opere apologetiche che vollero trovare nella Bibbia il preannuncio delle scoperte successive e rinvenirvi così delle prove a favore dell’ispirazione biblica. Come poteva un libro così antico presagire le scoperte attuatesi soltanto vari millenni dopo? Ci deve essere stato – dicevano – il dito di Dio nel vergare tali scritti. Tuttavia, con le continue revisioni scientifiche ed archeologiche si dovevano rivedere le interpretazioni bibliche e ciò che prima era presentato come profonda intuizione divina risultava poi, secondo i critici, un errore. Per cui un’apologetica di tale stampo – non ancora del tutto scomparsa – ha finito con lo screditare la Bibbia più di quanto non la esaltasse. Un esempio di ciò è l’atteggiamento verso la teoria dell’evoluzione. I cattolici, nel tentativo di conciliare la “scienza” (in verità, la fantascienza, nel caso dell’evoluzionismo) con la Genesi, hanno asserito che Dio è sempre il creatore, ma che egli si sarebbe servito dell’evoluzione per creare. In realtà, c’è troppa fretta di prendere per oro colato le più stravaganti ipotesi che vengono avanzate ciclicamente da cosiddetti eruditi.

 

Primi tentativi di chiarificazione di fronte alle difficoltà bibliche

   Di fronte alle difficoltà precedenti, alcuni studiosi (specialmente cattolici) incominciarono a studiare più profondamente il concetto e l’estensione dell’ispirazione per vedere se di fatto si potessero spiegare in tal modo certe difficoltà suscitate dalle recenti scoperte scientifiche e archeologiche.

  1. Gli “obiter dicta” (“detti incidentali”) non sono ispirati. È l’ipotesi che usualmente si fa risalire al cardinale Newman, anche se il suo pensiero al riguardo non è tanto chiaro (Newman, What is Obligation for a Catholic to Blieve Concerning Inspiration of the Canonical Scriptures?, London, 1884, pag. 14; On the Inspiration of Scriptures a cura di J. Derek Holmes e Robert Murray, Chapman, London, 1967; le citazioni sono tratte da quest’ultimo volume che raccoglie tutti i saggi del Newman). “Noi riteniamo che la Bibbia in tutte le questioni di fede e di morale, sia da cima a fondo divinamente ispirata” (Ibidem pag 106 e sgg.). “La Scrittura è ispirata non solo nella fede e nella morale, ma in tutte le sue parti che portano alla fede [corsivo presente nel testo], comprese le questioni di fatto” (Ibidem, pag 110). Anche se il Newman dice che la Sacra Scrittura è “ispirata in tutta la sua dimensione . . . in qualunque momento, in qualunque luogo”, egli afferma che ciò lo è soltanto per preservarci la divina rivelazione (Ibidem, pag. 150). Ora, gli obiter dicta (“detti incidentali”) secondo lui non hanno rapporto con questa rivelazione; infatti, sarebbero “una frase o una sentenza che, dato il loro carattere circostanziale, non è vincolante per la fede” (Ibidem, pag. 1413). Tali sarebbero, ad esempio, i seguenti passi che, secondo lui, nulla avrebbero a che fare con l’ispirazione: “Venendo, portami il mantello che ho lasciato a Troade in casa di Carpo” (2Tim 4:13); Vorrei che gli uomini che cercano di sovvertirvi si facessero pure evirare” (Gal 5:12, TNM; alcuni “cristiani” ritenevano questo versetto indegno della maestà divina, già al tempo di Girolamo, in Philemonem Praef. PL 26,598). Allo stesso modo vengono viste certe citazioni imprecise, ma si dimentica che non appartengono alla Bibbia. Come il cane che, secondo la Volgata, andò incontro a Tobia scodinzolando la coda: “Tunc praecucurrit canis qui simul fuerat in via et quasi nuntius adveniens blandimento suae caudae gaudebat [quasi fosse un messaggero di annunci futuri, era contento di blandire la sua coda]” (Tobia 11:9, Vg); il brano appartiene ad un libro apocrifo. La stessa cosa vale per la citazione da Giuditta in cui Nabucodonosor è detto re di Ninive. Casomai, questo dovrebbe far riflettere sulla inaffidabilità degli apocrifi. Tali episodi (quelli tratti dai libri canonici) non apparterrebbero alla rivelazione e non avrebbero alcun rapporto con la nostra salvezza. Tuttavia, una simile ipotesi non risolve affatto il problema che coinvolge più parti della Sacra Scrittura, ben più estese dei semplici obiter dicta. Occorre quindi ricercare un’altra soluzione.
  2. Sarebbero ispirate solo le parti dottrinali, comprese quelle storiche che hanno un riferimento necessario con punti dottrinali; così si pensava nel 17° secolo (H. Holden, Divinae fidei analysis I c. V lect. 1, Paris, 1652; cfr. pure A. Rohling, Die Ispiration der Bibel und ihre Bedentung für die freie Forsehung, Munster, 1872). L’affermazione precedente, però, manca di qualsiasi base biblica. Paolo scrivendo a Timoteo afferma che “Tutta la Scrittura [pàsa grafè, “ogni singola parte”] è ispirata” (2Tim 3:15). Non si può quindi di proprio arbitrio distinguere tra brani ispirati e non ispirati.
  3. Altri autori, come il Lenormant, distinguono tra ispirazione estesa a tutta la Bibbia e inerranza o mancanza di errore, che si limita alle sole parti dottrinali ed etiche della Sacra Scrittura. L’inerranza biblica sarebbe simile all’infallibilità che la Chiesa Cattolica si arroga e che si estende solo ai dati teologici e morali. Il papa può errare nel campo filosofico e scientifico, ma non sbaglierebbe quando espone le sue conclusioni nel campo della fede e della morale per renderle obbligatorie a tutta la chiesa (ex cathedra). Dio, pur ispirando tutta la Scrittura, l’avrebbe preservata da errori solo quando essa insegnava qualcosa riguardante la fede e la morale (così anche J. Didiot, Logique susnaturelle subjective, Lille, 1891, pag. 103; per lui il guardiano – cioè la Chiesa Cattolica – non può essere inferiore al tesoro da custodire). Di conseguenza il Lenormant ammette addirittura nella Bibbia gli stessi miti assiri privi di qualsiasi fondamento storico ma purificati dal politeismo e posti al servizio di una vita morale eccelsa (Lenormant, Les origines de l’histoire d’aprés les Bible et traditions des peuples orientaux, Paris, 1880, VIII. Qualcosa di simile ammetteva il card. Newman in On the Inspiration of Scripure in The Ninetwenth Century, 1884, pagg. 185-199; in “Le Corrispondant” 24 maggio 1884, pagg. 682-694). Quest’argomento è ripreso nei nostri studi riguardanti la Bibbia e la scienza sia la Bibbia e la storia. Ogni problema al riguardo si risolve meglio se si esamina in che cosa consista veramente l’ispirazione e come Dio e l’uomo abbiano collaborato assieme nella presentazione del messaggio divino.

Essenza dell’ispirazione

   Due interpretazioni ora si contrastano il campo, delle quali una riduce l’ispirazione a pura esperienza del genio religioso umano senza alcun intervento divino (modernisti) e l’altra che la ricollega a un influsso positivo divino (credenti).

Presso i modernisti

   Per costoro l’ispirazione è una manifestazione del genio religioso ebraico. La Bibbia sarebbe frutto delle personali esperienze dello scrittore sacro. “C’è Dio in noi; egli ci agita e noi ci infiammiamo. Questo furore è una particella della mente divina. Mi è sommamente lecito vedere il volto degli dèi, sia perché sono poeta, sia perché canto cose sacre” (Ovidio, Fasti 6,5-8; egli parla di sé come poeta: “Est Deus in nobis, agitante calescimus illo”). “L’ispirazione religiosa – scrive A. Sabatier – non differisce psicologicamente dall’ispirazione poetica. Essa offre indubbiamente il medesimo mistero, ma non implica il miracolo. Non si produce come una mozione apportata violentemente dal di fuori nella vita psichica dell’individuo, ma come una forza feconda che agisce dall’interno, in armonia con tutte le forze e le leggi dello spirito umano” (A. Sabatier, Esquisse d’une philosophie de la Réligion, Paris, 8a edizione, pag. 97 e segg., pag. 158 e segg.). Anche per Loisy “Dio è autore della Bibbia come egli è l’architetto di S. Pietro di Roma o di Notre Dame di Parigi. Immaginarsi che Dio abbia scritto un libro è commettere il più infantile degli antropomorfismi”. – Loisy, Simples réflexions, Paris, 1908, pag. 42.

   Appunto perciò – secondo i modernisti – frutto di pura esperienza umana, la Scrittura rifletterebbe la mentalità, la cultura, la morale del passato; vera per il suo tempo, non lo sarebbe più oggi che abbiamo attuato un progresso culturale, filosofico e sociale. La verità e l’errore sarebbero nozioni relative; ciò che è errore oggi, non lo sarebbe stato in passato a motivo delle conoscenze limitate di quel tempo. La Bibbia quindi sarebbe vera e non vera, secondo il tempo in cui si pone per valutarla. – Loisy, L’Histoire du dogme de l’inspiration in “L’enseignement biblique” marzo/aprile 1892; La critique biblique, Ibidem nov./dic. 1892; La question biblique et l’Ispiration des Ecritures, Ibidem nov./dic. 1893; Simples réflectiones sur le décret Lamentabili et l’Encyclique Pascendi, Ceffonds, 1908; Mémoires, Paris, 1930-1931.

   Tuttavia, in questo caso è l’uomo che si ispira e cerca di salire a Dio, anziché essere Dio che si rivolge all’uomo per illuminarlo ed aiutarlo. Si tratta quindi di religione, non di verità biblica. Simile è pure la concezione espressa dal Luzzi per il quale “gli scrittori sacri sono da considerarsi come ispirati non perché essi soli abbiano avuto il monopolio dello Spirito, ma perché fra tutti i credenti . . . furono i più atti ad intuire, ad esprimere, a tramandare il pensiero e i disegni di Dio. L’ispirazione biblica, quindi, non è un’ispirazione unica, è una specie intensificata, ma nient’altro che una specie dell’ispirazione generale” (G. Luzzi, La religione cristiana secondo la sua fonte originaria, Roma, 1939, pag. 28). In questo caso l’ispirazione s’identificherebbe con la pietà religiosa e non sarebbe un dono divino dato alla comunità dei fedeli nel suo complesso.

Ripensamenti da parte dei credenti

   Dopo alcuni tentativi mal riusciti riducenti l’ispirazione all’approvazione successiva di uno scritto puramente umano da parte dello spirito santo, Leonardo Lessio (Leys, gesuita, morto nel 1623) sosteneva che “un libro qualsiasi, come forse è quello dei Maccabei, scritto da un’attività solo umana, senza assistenza dello Spirito Santo, diviene sacro se in seguito lo Spirito Santo testifica che non vi è in esso alcun errore”. “La credibilità di un libro non dipende dall’autore, ma dall’autorità della Chiesa. Ciò che essa accoglie deve essere necessariamente sacro e certo qualunque ne sia il suo autore” (Theses Theologicae, Napoli, 1742 t. II, pag. 1098). Biasimato da Roma, si difese dicendo che la sua era una semplice ipotesi, non una realtà (Responsio ad censuram, in Schneeman, Controversiarum de divinae gratiae liberique arbitrii concordia, initia et progressus. Appendix, pagg. 465-491, Fribourg, 1881, pagg. 388,467,471). Anche il Bonfrère, discepolo del precedente, ammetteva un triplice grado d’ispirazione: antecedente (rivelazione), concomitante (assistenza dello spirito santo), susseguente (quando un libro umano è dichiarato infallibile dallo spirito santo). (Praeloquia in totam S. Scripturam, premessa al Pentateuco, 1631, in Migne, Scripturae Cursus completus I, pagg. 104-115). Dichiarato infallibile anche dalla chiesa, secondo Daniel Haneberg, benedettino, morto nel 1876. I libri storici della Bibbia sarebbero divenuti sacri e ispirati quando la Chiesa li accolse nel canone (cfr. Versuch einer Geschich der biblischen Offenbarung, Regensburg, 1850, pag. 714, traduzione francese, Paris, 1856, vol. II pag. 469) oppure alla semplice assistenza dello spirito santo (cfr. Chrisman, Regula catholicae fidei, 1972, n. 49-51, Migne, Theologiae cursus completus VI, col. 877-1070, indice decreto del 20.1.1869. I. Jahn, Einleitung in die göttlichen Offenbarung Schriften des Alten Bundes, Wien, 1792; Introductio in divinos Libros V.T., Wien, 1803; Enchiridion Hermeneuticae generalis, Ibidem 1822, indici 1822 – “Questa assistenza divina che li preserva da ogni errore, si chiama ispirazione”). I credenti hanno cercato di fare un’analisi più profonda del fenomeno ispirativo.

   Due sono i punti di partenza per lo studio dell’ispirazione: (1) l’analisi del concetto di Autore e (2) quello d’ispirazione. Nel campo cattolico predomina il primo metodo, in quello protestante il secondo. Nel primo caso Dio agisce direttamente sul libro da lui voluto, nel secondo l’azione divina ha per oggetto la persona del profeta, più che il libro in se stesso.

  1. Dio autore della Bibbia. Gli autori di questa corrente, dopo aver discusso ciò che si esige perché un uomo sia autore di un libro, attribuiscono a Dio uno speciale intervento in ogni singola parte dell’attività umana che prepara lo scritto (è il procedimento classico, presentato dal card. Franzelin animatore del Concilio Vaticano I: “Deum habent auctorem” (Const. Dogm Dei Filius cap. e, de Revelatione); fu seguito da teologi di fama come C. Mazzella, I Pvan Kastern, S. Schiffini, C. Pesch, L. Billot, F Pignataro, E. Dorsch, H. Lusseau, A. Romeo). Perché un uomo sia autore di un libro deve prima raccogliere le idee, volerle scrivere e infine metterle per iscritto sia personalmente, sia tramite uno scrivano o segretario. Di conseguenza, perché Dio si possa dire autore di uno scritto, bisogna che dapprima agisca sullo scrittore umano in modo da illuminarlo nel raccogliere le idee, magari aiutandolo con la rivelazione per quello che egli da solo non sarebbe riuscito a raccogliere. Deve suscitare in lui la volontà di scrivere e infine aiutarlo a stendere il volume. Talvolta, ma di rado, Dio stesso impone all’uomo di scrivere:
  • “Ora vieni e traccia queste cose in loro presenza sopra una tavola, e scrivile in un libro, perché rimangano per i giorni futuri, per sempre”. – Is 30:8.
  • “Il Signore mi disse: «Prendi una tavoletta grande e scrivici sopra in caratteri leggibili»”. – Is 8:1.
  • “Così parla il Signore, Dio d’Israele: «Scrivi in un libro tutte le parole che ti ho dette»”. – Ger 30:2.
  • “Scrivi la visione, incidila su tavole”. – Ab 2:2.

   Di solito, però, Dio muove dall’interno l’uomo, rispettandone la libertà. Come questo s’avveri è un mistero che “s’enfonce dans la nuit divine [che affonda nella notte divina]” (Sertillanges, S. Thomas I, 267). “Bisogna tenere fortemente i due estremi della catena [libertà umana e mozione divina]” – scrive il Bossuet – “benché non se ne veda il modo di concatenarli tra loro”. – Bossuet, Traité du libre arbitre IV.

   Siccome anche l’uomo nella stesura materiale di un libro può servirsi di uno scrivano, anche Dio, oltre allo scrittore ispirato, può utilizzare anche uno o più redattori perché scrivano il libro sotto la sua vigilanza. Geremia usò lo scrivano Baruc per redigere le sue profezie: “Consegnai l’atto di acquisto a Baruc, figlio di Neria, figlio di Maseia, in presenza di Canameel mio cugino, in presenza dei testimoni che avevano sottoscritto l’atto d’acquisto, e in presenza di tutti i Giudei che sedevano nel cortile della prigione”, “Prenditi un rotolo da scrivere e scrivici tutte le parole che ti ho dette”, “Poi Geremia diede quest’ordine a Baruc: […]«Va’ tu e leggi dal libro che hai scritto a mia dettatura, le parole del Signore»”, “Geremia prese un altro rotolo e lo diede a Baruc, figlio di Neria, segretario, il quale vi scrisse, a dettatura di Geremia”. – Ger 32:12;36:2,5,6,32.

   Paolo si servì di Terzio: “Io, Terzio, che ho scritto la lettera” (Rm 16:22). Pietro si servì di Silvano: “Per mezzo di Silvano, che considero vostro fedele fratello, vi ho scritto brevemente”. – 1Pt 5:12.

   Le idee precedenti, dominanti in campo cattolico, sono state difese dall’enciclica Provvidentissimus Deus di Leone XIII (dell’anno 1897): “Dio, con potenza soprannaturale così eccitò [gli agiografi] e così li assistette nello scrivere, affinché rettamente concepissero nella mente quelle cose, che egli comandava fossero scritte, perché le volessero scrivere fedelmente e le esprimessero giustamente con infallibile verità; altrimenti egli non sarebbe più autore di tutta quanta la Sacra Scrittura”. – EB 125 Muñoz Iglesias, pagg. 235-236; questa dottrina fu ripresa e sviluppata da Benedetto XV, Spiritus Paraclitus (1920) EB 448, Muñoz Iglesias, pagg. 409-410 e da Pio XII Divino Afflante Spiritu (1943) ASS 35 (1943) pag. 314, Muñoz Iglesias pagg. 518-560.

2. Dio ispiratore del profeta. L’altro modo di procedere nell’analisi dell’ispirazione biblica consiste nell’indagare come Dio abbia influito sulle persone più che sul libro in se stesso. Sarà ciò che cercheremo di sviluppare meglio nelle nostre considerazioni, dopo una panoramica a volo d’uccello su alcuni recenti tentativi cattolici per presentare sotto nuova luce il carisma dell’ispirazione.

   Recenti tentativi cattolici. Seguendo un’intuizione di C. Charlier (Typologie ou Evolution. Problème d’exégese spirituelle, in Espirt et vie 1, 1949, pagg. 589,590; La lecture Chrétienne de la Bible, Maredsous, 1950), gli studi cattolici più recenti mettono in rilievo gli aspetti comunitari dell’ispirazione (cfr. K. Rahner, Mc Kenzie). Essi subirono l’influsso della scuola sociologica francese del Durkheim e seguita pure dal Dibelius e dal Bultmann, che attribuiscono un’enorme importanza alla massa creatrice della comunità.

  • Rahner: Ispirazione della Chiesa. Con Yeshùa è avvenuta l’ultima e definitiva rivelazione di Dio, che sarà superata solo dalla sua visione a faccia a faccia, in cielo. La “rivelazione” si conclude quindi con la morte dell’ultimo apostolo. La chiesa delle origini (cfr. Urkirche) è quindi fonte e norma perfetta per la chiesa posteriore di tutti i tempi e di tutte le nazioni. Per adempiere tale sua funzione la chiesa ha posto in iscritto la coscienza che essa aveva della propria fede. Siccome Dio vuole che la chiesa delle origini sia norma per i posteri, ne viene che vuole pure la Scrittura, della quale è autore divino e ispiratore, perché si conservi la coscienza che tale chiesa aveva della propria fede. – Cfr. K. Rahner, Ueber die Schriftinspiration, Herder, 1958, vers. italiana: L’ispirazione nella Sacra Scrittura, Queriniana, Brescia; lo stesso si può leggere in L’ispirazione della Scrittura, in Discussione sulla Bibbia, AA. VV., Giornale di teologia I, Ibidem, pagg. 19-31.

   Se questa tesi mette bene in valore la potenza della profezia della chiesa, ha il torto di esaltare troppo la chiesa in astratto, mentre la Scrittura è frutto di persone, di apostoli che di tale chiesa sono il fondamento. Qui il fondamento della chiesa (apostoli) passa in seconda linea per esaltare eccessivamente ciò che è sostenuto dalla chiesa. È indubbio l’influsso cattolico odierno che connette in modo indissolubile tradizione e Sacra Scrittura.

  • Mc Kenzie: “Ispirazione sociale”. Spesso, particolarmente nelle Scritture Ebraiche – afferma giustamente questo studioso – noi ignoriamo gli autori degli scritti sacri e il contributo dei singoli alla loro stesura. Noi conosciamo bene il contributo di Paolo per la lettera ai galati, ai romani, e alle due epistole ai corinzi; conosciamo pure il contributo di Luca, anche se esso fu alquanto diverso da quello paolino per gli scritti precedenti. La posizione dei Vangeli è ancora diversa. È ben difficile stabilire per essi quanto proviene dai loro autori e quanto deriva dalla comunità. Gli scritti delle Scritture Ebraiche esigono una quantità di autori ancora maggiore. Come spiegare in tal caso il carisma ispirativo? Con il carattere sociale dell’ispirazione, dice il Mc Kenzie; ispirato sarebbe il popolo di Dio. Gli scrittori sarebbero i portavoce della credenza del popolo divino. La Bibbia sarebbe “un racconto delle azioni salvifiche di Dio, una professione di fede da parte di Israele e della chiesa primitiva”. Qui ritorna il concetto precedente dell’importanza della chiesa. Che gli scrittori mettano in iscritto ciò che il popolo di Dio credeva, è in parte vero. Ma Giobbe e l’Ecclesiaste (Qohèlet) si possono dire portavoce della comunità o piuttosto stimolatori di essa? Gli apostoli erano sotto la chiesa o costruttori di essa? È troppo evidente l’apporto bultmaniano, quasi che la chiesa, anziché i singoli, sia stata creatrice della fede. – Mc Kenzie, Myths and Realities: Studies in Biblical Theologie; Bruce, Some Problems in the Field of Inspiration, in Catholic Biblical Quaterly 20, 1958, pagg. 1-8; The Social Character of Inspiration, Ibidem 24, 1962, pagg. 115-124.

   La massa segue sempre gli stimoli di qualcuno, e in questo caso l’influsso degli apostoli, dei profeti e dei testimoni oculari.

  • La Scrittura va presa nel suo insieme. Per N. Lohfink seguito pure da J. Coppens (N. Lohfink, Über die Irrtumslosigkeit und die Einheit der Schrift in Stimmen der Zeit 174, pagg. 161-181), la Bibbia, pur essendosi formata attraverso un lungo processo storico, va ritenuta un tutto unitario le cui parti sono complementari e si integrano a vicenda. Si trova in essa una divergenza e una evoluzione concettuale, vi si incontrano pure delle imprecisioni. Ciascuna parte assume un valore di relatività e va integrata con il resto. Anche se vi è qualche errore o qualche imprecisione in un punto, esso è compensato e corretto da un altro. L’ispirazione divina si distribuisce in ogni fase della formazione della Bibbia, dalle fonti alla redazione, dalla composizione di un libro più antico a quello più recente, ricollegando ogni parte al tutto. Non si può ridurre l’ispirazione ad approvazione susseguente, perché si tratta di un fenomeno continuo e prolungato, di cui tutti gli scritti hanno successivamente beneficato. L’inerranza si ha non negli enunciati presi isolatamente, ma nella loro totalità, in funzione della rilettura finale e definitiva che si ha nel “Nuovo Testamento”. Queste ipotesi si distinguono da quella del Sabatier espressa più sopra, secondo la quale nella Bibbia, anziché un intervento divino, si troverebbe l’espressione della pietà collettiva di Israele o della chiesa. Sono pure differenti – nonostante l’influsso indubbio – dal concetto bultmaniano che la comunità sia creatrice apportandovi pure i suoi miti, tratti dal mondo contemporaneo.

   Questi punti di vista che abbiamo esaminato hanno qualcosa di indubbiamente buono qua e là e presentano aspetti e sfaccettature diverse dell’ispirazione che, tuttavia, vanno integrate con un intervento divino più interiore, come vedremo negli studi seguenti.