In quello che per noi oggi è il cap. 4 di Eb, l’omileta giudeo autore dello scritto aveva concluso la sua esortazione a rimanere fermamente fedeli con queste parole: “Avendo dunque un grande sommo sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, stiamo fermi nella fede che professiamo. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovare grazia ed essere soccorsi al momento opportuno”. – Eb 4:14-16.

   Ora l’agiografo allarga la sua considerazione sul sacerdozio spirituale di Yeshùa. Vuole ora spiegare in modo più profondo ciò che aveva già esposto riguardo a Yeshùa:

  • “Vediamo colui che è stato fatto di poco inferiore agli angeli, cioè Gesù, coronato di gloria e di onore a motivo della morte che ha sofferto”. – Eb 2:9.
  • “Egli doveva diventare simile ai suoi fratelli in ogni cosa, per essere un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose che riguardano Dio, per compiere l’espiazione dei peccati del popolo”. – Eb 2:17.

   Quando l’autore aveva detto “avendo dunque un grande sommo sacerdote” (Eb 4:14), non stava concludendo un ragionamento fatto prima né stava traendo i risultati di quanto detto. La congiunzione οὖν (ùn), che significa “perciò / di conseguenza / siccome queste cose sono così”, ha anche il senso di “allora”; si tratta di un quindi o pertanto colloquiale che riprende il discorso generale. L’omileta, infatti, aveva iniziato la sua predica (Eb 1) parlando dell’alta posizione che Dio ha dato a Yeshùa. Ora, in Eb 4:14,  aveva ripreso il discorso per dire: “Accostiamoci dunque con piena fiducia”. – Eb 4:16.

   Iniziando quello che per noi è oggi il cap. 5 di Eb, lo scrittore intende parlare più adeguatamente di Yeshùa quale sommo sacerdote. Prima di analizzare ciò che è detto in Eb circa Yeshùa sommo sacerdote, è il caso di chiarire bene, ovvero biblicamente, l’identità di Yeshùa.


La vera identità di Yeshùa

 

Purtroppo la dottrina pagana della trinità infiltratasi nella chiesa ormai apostata del quarto secolo e impostasi nel cattolicesimo e di conseguenza nel protestantesimo, ha influenzato e influenza perfino le traduzioni bibliche, la maggior parte delle quali sono trinitarie. Così, in Eb 1:1,2 leggiamo nella trinitaria NR: “Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio”, assegnando l’articolo determinativo a “figlio”, di modo che sia ben identificabile con la presunta seconda persona della presunta trinità. Ovviamente, così anche la cattolica e trinitaria CEI. In verità, il testo biblico ha solo “figlio”, senza articolo: “Ha parlato a noi per mezzo di un Figlio”. Nella Bibbia, l’espressione “figlio di Dio” designa gli angeli, il re d’Israele, Israele, i giudici ebrei; anche i credenti sono definiti figli di Dio, a maggior ragione quindi Yeshùa, che sebbene sia un figlio di Dio, lo è in modo tutto speciale.

   In Eb 1:2 è detto poi che Dio ha “costituito erede di tutte le cose” Yeshùa. Il che mostra che egli è ben diverso da chi lo ha costituito ovvero da Dio e mostra anche che tutte le cose gli sono donate da Dio per sua decisione, non per un diritto connaturato che avrebbe se fosse la presunta prima creatura di Dio (cfr. Testimoni di Geova); va poi da sé che se fosse Dio non avrebbe alcun senso dire che Dio lo ha costituito erede.

   In Eb 1:3 è detto che Yeshùa “è splendore della sua gloria e impronta della sua essenza”; per essere più precisi, il testo greco dice “riflesso della gloria” e “impronta della sostanza”. Gloria e sostanza sono riferite a Dio. Riguardo alla gloria divina Paolo parla di “gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo” (2Cor 4:6); riguardo all’“impronta della sostanza”, l’impronta non è la sostanza. Ma è solo attraverso l’impronta divina che possiamo conoscere Dio che è ineffabile e trascendente, e la sua impronta è Yeshùa, tanto che egli poté dire: “Chi ha visto me, ha visto il Padre”. – Gv 14:9.

   Sempre in Eb 3:1 è detto anche che Yeshùa, “dopo aver fatto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi”. Il che mostra che prima di compiere la purificazione non aveva quella posizione e, nel contempo, mostra anche che poi è “alla destra della Maestà”, non al posto della Maestà, né tantomeno può essere la Maestà.

   In Eb 1:4 è detto che Yeshùa “è diventato di tanto superiore agli angeli”, segno che prima non lo era; è detto anche che “il nome che ha ereditato è più eccellente del loro”, segno che la sua grande autorità prima non l’aveva.

   Nello stabilire la corretta identità di Yeshùa, bisogna però evitare il rischio di abbassarlo troppo per distinguerlo dal Dio Altissimo Uno e Unico. Occorre evitare in tutti i modi di passare da un estremo all’altro. Per avere l’intendimento corretto circa Yeshùa possiamo basarci sulla sua biografia sintetica che ci è presentata dall’apostolo Paolo:

“Egli fu reso manifesto nella carne, fu dichiarato giusto nello spirito, apparve agli angeli, fu predicato fra le nazioni, fu creduto nel mondo, fu ricevuto in gloria”. – 1Tm 3:16, TNM.

   Qui non sintetizzati tutti i passaggi della vita di Yeshùa:

  1. Venne al mondo come essere umano.
  2. Fu dichiarato giusto.
  3. Apparve poi agli angeli.
  4. È stato predicato.
  5. È stato innalzato alla gloria.

   Prima di nascere non esisteva, detto con il pensiero occidentale; era preesistente presso Dio, detto con il pensiero ebraico della Bibbia, che i semplici intendono letteralmente non sapendo che anche la Toràh e il Tempio sono detti preesistenti presso Dio. Yeshùa è però una persona tutta speciale, perché generato dalla santa energia di Dio (spirito santo) senza intervento umano; così fu anche per Adamo. È per questo che nella Bibbia Yeshùa appare come secondo Adamo. In più, la parola sapiente di Dio era continuamene in Yeshùa, così che tutto ciò che diceva era parola di Dio. Come perfetto uomo subì tentazioni e prove, ma fu fedele a Dio fino alla morte. È per questa sua fedeltà che fu risuscitato da Dio, innalzato alla gloria e che ora siede alla destra della Maestà nei cieli. “Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi; ma quando dice che ogni cosa gli è sottoposta, è chiaro che colui che gli ha sottoposto ogni cosa, ne è eccettuato”, poi verrà poi il tempo in cui “quando ogni cosa gli sarà stata sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa”. – 1Cor 15:27,28.

   Yeshùa, dopo Dio, è l’essere più potente dell’intero universo. Egli è secondo solo a Dio. Tutto ciò per volontà di Dio stesso, “poiché al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza”. – Col 1:19.


   “Avendo dunque un grande sommo sacerdote …” (Eb 4:14). L’agiografo passa ora a trattare della superiorità di Yeshùa rispetto ai sommi sacerdoti ebrei.

Eb 5:1 “Infatti ogni sommo sacerdote, preso tra gli uomini, è costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati; 2 così può avere compassione verso gli ignoranti e gli erranti, perché anch’egli è soggetto a debolezza; 3 ed è a motivo di questa che egli è obbligato a offrire dei sacrifici per i peccati, tanto per se stesso quanto per il popolo. 4 Nessuno si prende da sé quell’onore; ma lo prende quando sia chiamato da Dio, come nel caso di Aaronne. 5 Così anche Cristo non si prese da sé la gloria di essere fatto sommo sacerdote”.

   Per prima cosa lo scrittore ispirato spiega le caratteristiche sacerdotali, poi le applica a Yeshùa. Egli ne fa però una applicazione cultuale prendendo in considerazione la figura di Yeshùa al cospetto di Dio. Nella realtà, Yeshùa non era stato sommo sacerdote. Neppure poteva essere sacerdote, perché i sacerdoti dovevano appartenere alla famiglia aaronnica della tribù di Levi, mentre Yeshùa era della famiglia davidica della tribù di Giuda. È quindi di Yeshùa risuscitato e glorificato che si parla. Anche se qui Eb ancora non parla della Festa del Giorno delle Espiazioni (cfr. la lezione n. 472 – Il Giorno delle Espiazioni della Facoltà Biblica), se ne parlerà – come vedremo – più avanti, al cap. 9.

   Ai vv. 1 e 2 il sommo sacerdote (che è “preso tra gli uomini”) è sullo stesso piano degli “ignoranti” e degli “erranti”, “perché anch’egli è soggetto a debolezza”. Qui si ha un primo accenno al Giorno delle Espiazioni, perché era il 10 di tishrì che il sommo sacerdote faceva un’offerta anche per i propri peccati (Lv 16:6,11; cfr. Eb 5:3). Una prima superiorità di Yeshùa sta proprio in questo, “poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato”. – Eb 4:15.

   Al v. 4 è specificato che nessuno può arrogarsi la carica di sommo sacerdote. Deve essere Dio stesso a darla (cfr. Es 28). Diversamente, c’è il giudizio di Dio con pena di morte, come nel caso di Core. – Cfr. Nm 16.

Eb 5:5 Così anche Cristo non si prese da sé la gloria di essere fatto sommo sacerdote, ma la ebbe da colui che gli disse: «Tu sei mio Figlio; oggi ti ho generato». 6 Altrove egli dice anche: «Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec».

   Οὕτως καὶ (ùtos kài), “così anche” (v. 5): con queste due parole l’omileta mette a confronto il sommo sacerdote Aaronne con Yeshùa. Come Aaronne ricevette l’incarico da Dio (Lv 8:7-9; Es 28), così anche il Cristo. E, a proposito di Cristo, anche Aaronne lo era, come attestato da Lv 4:5 in cui il sommo sacerdote è detto “l’unto”, ebraico הַמָּשִׁיחַ (ha mashìyakh), greco ὁ χριστὸς (o christòs), “il messia”, “il cristo”.  – Cfr. Sl 133:2.

   Al v. 5 il testo biblico originale dice γενηθῆναι ἀρχιερέα (ghenethènai archierèa), “essere diventato sommo sacerdote”. Quando lo diventò? Nello stesso versetto si ha la risposta: ciò accadde per volontà di Dio quando gli disse: “Tu sei mio Figlio; oggi ti ho generato”. Queste parole furono pronunciate al re d’Israele e si riferiscono alla sua intronizzazione . – Cfr. Sl 2:6,7.

   Al v. 6 viene citato Sl 110:4: “Il Signore ha giurato e non si pentirà: «Tu sei Sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedec»”. Questo salmo è introdotto con questa dichiarazione del re Davide: “Il Signore ha detto al mio Signore: «Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi»” (Sl 110:1). Nel Sl 2 è evidenziato l’incarico, mente nel Sl 110 è evidenziata la perpetuità dell’incarico. Le due citazioni insieme mostrato come l’incarico affidato a Yeshùa sia unico e non ripetibile. In altre parole, poggiando su Yeshùa, Dio punta a un sommo sacerdozio ben più grande di quello di Aaronne.

Eb 5:7 Nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà. 8 Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì; 9 e, reso perfetto, divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna, 10 essendo da Dio proclamato sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec. 11 Su questo argomento avremmo molte cose da dire, ma è difficile spiegarle a voi perché siete diventati lenti a comprendere. 12 Infatti, dopo tanto tempo dovreste già essere maestri; invece avete di nuovo bisogno che vi siano insegnati i primi elementi degli oracoli di Dio; siete giunti al punto che avete bisogno di latte e non di cibo solido. 13 Ora, chiunque usa il latte non ha esperienza della parola di giustizia, perché è bambino; 14 ma il cibo solido è per gli adulti; per quelli, cioè, che per via dell’uso hanno le facoltà esercitate a discernere il bene e il male.

   Quando esattamente Yeshùa espletò le funzioni di sommo sacerdote? Quando “soffrì” (v. 8) e per la sua ubbidienza (Ibidem) fu “reso perfetto” (v. 9) divenendo “per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna, essendo da Dio proclamato sommo sacerdote”. – Vv. 9,10.

   In 5:7 si fa riferimento alla vita terrena di Yeshùa, cui non fu risparmiato alcunché. Già in Eb 2:14 era stato detto che Yeshùa, avendo con i credenti “in comune sangue e carne, egli pure vi ha similmente partecipato”. Anche Yeshùa fu “soggetto a debolezza” (Eb 5:2) e ed ebbe paura di morire (Eb 5:7; cfr. Mt 26:39; Sl 116:8). Come il salmista che invocò Dio durante tutta la sua vita (Sl 116:1,2), anche Yeshùa “nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte” (Eb 5:7). La dolorosa passione di Yeshùa è descritta nei Vangeli, come in Lc 22:41,42: “Egli si staccò da loro circa un tiro di sasso e postosi in ginocchio pregava, dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta»”.

 

“Ci sono tre tipi di preghiera, ciascuno più potente del precedente … la preghiera in silenzio, il grido ad alta voce, ma le lacrime sono meglio di tutto”. – Syn. Zohar 2,19b/20a.

 

   Sempre in 5:7 è detto che Yeshùa supplicò Dio con grida e lacrime per essere “salvarlo dalla morte” e che “fu esaudito per la sua pietà”. Qui occorre fare attenzione a non fraintendere. Yeshùa sapeva di dover morire e lo accettò. Il fatto stesso che, nonostante sia stato effettivamente ucciso, venga detto che “fu esaudito”, esclude che egli chiedesse a Dio di non dover affrontare la morte. Dobbiamo quindi intendere che la sua supplica a Dio fu di “salvarlo dalla morte” e non di esserne preservato. Yeshùa fu effettivamente salvato dalla morte perché Dio lo risuscitò. Anche la frase “fu esaudito per la sua pietà” va precisata. TNM preferisce tradurre “per il suo santo timore”. Il testo biblico dice che Dio lo ascoltò ἀπὸ τῆς εὐλαβείας (apò tès eulabèias), “a motivo della cautela”. Il vocabolo εὐλάβεια (eulàbeia) lo troviamo anche in 12:28, in cui ha il senso di “riverenza” (“santo timore” per TNM); si tratta di cautela dovuta a riverenza verso Dio, a timore devoto. Fu per questa sua certezza di essere salvato dalla morte che Dio lo esaudì. Detto con le parole di Sl 116:15, “è preziosa agli occhi del Signore la morte dei suoi fedeli”.

   Yeshùa “imparò l’ubbidienza” (5:8). Nel momento più angoscioso della sua vita, di fronte alla stessa morte, Yeshùa dimostrò tutta la ubbidienza a Dio fino alla fine. L’abile omileta usa qui un gioco di parole molto suggestivo, esprimendosi in una dolce melodia che lascia un’eco che affascina facendoci gustare la meravigliosa ubbidienza di Yeshùa:

ἔμαθεν … ἔπαθεν

èmathen … èpathen

imparò … soffrì

   Sebbene prescelto da Dio come Figlio, era pur sempre uomo, non ancora reso sommo sacerdote e non ancora glorificato: “Imparò l’ubbidienza”. Di conseguenza, “reso perfetto, divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna”. – 5:9.

   L’espressione di 5:10 “sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec” è tratta da Sl 110:4, salmo che è messianico. L’autore stesso di Eb precisa che al riguardo ci sono “molte cose da dire, ma è difficile spiegarle” (5:11). Segue un rimprovero alquanto aspro per l’immaturità spirituale della comunità (5:11-14). In armonia con i metodi dell’antica arte oratoria, egli scuote in tal modo l’uditorio. Lo prepara così a quanto dirà nel cap. 6.