Il cap. 6 di Eb si è chiuso affermando che Yeshùa “è entrato per noi quale precursore” nel Santissimo del Tempio celeste, “essendo diventato sommo sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec”. Ora l’autore sacro spiega, al cap. 7, che Yeshùa è l’antìtipo di Melchisedec.

Eb 7:1 Questo Melchisedec, re di Salem, era sacerdote del Dio altissimo. Egli andò incontro ad Abraamo, mentre questi ritornava dopo aver sconfitto dei re, e lo benedisse. 2 E Abraamo diede a lui la decima [δεκάτην (dekàten), “un decimo”] di ogni cosa. Egli è anzitutto, traducendo il suo nome, Re di giustizia; e poi anche re di Salem, vale a dire Re di pace. 3 È senza padre, senza madre, senza genealogia, senza inizio di giorni né fin di vita, simile quindi al Figlio di Dio. Questo Melchisedec rimane sacerdote in eterno.

   L’agiografo riprende il Sl 110: “Il Signore ha giurato e non si pentirà: «Tu sei Sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedec»” (v. 4). Ora vuole dimostrare il mistero di Yeshùa e del suo incarico. Fa questo caricando di significato il passo salmico che afferma solo che il messia sarebbe stato sacerdote alla maniera di Melchisedec. Vediamo intanto nella Bibbia la vicenda ricordata da Eb: “Com’egli [Abramo] se ne tornava, dopo aver sconfitto Chedorlaomer e i re che erano con lui … Melchisedec, re di Salem, fece portare del pane e del vino. Egli era sacerdote del Dio altissimo. Egli benedisse Abramo, dicendo: «Benedetto sia Abramo dal Dio altissimo, padrone dei cieli e della terra! Benedetto sia il Dio altissimo, che t’ha dato in mano i tuoi nemici!» E Abramo gli diede la decima [מַעֲשֵׂר (maashèr), “un decimo”; cfr. Ez 45:11] di ogni cosa”. – Gn 14:17-20.

 

Melchisedec

מַלְכִּי־צֶדֶק

Malchiy-tzèdeq

“re” (מֶלֶךְ, mèlech) – “giustizia” (צֶדֶק, tzèdeq)

Μελχισεδέκ

Melchisedèk

“re” βασιλεὺς (balilèus) “di giustizia” δικαιοσύνης (dikaiosýne)

Re di Salem

מֶלֶךְ שָׁלֵם

mèlech shalèm

L’antica Salem era il nucleo della successiva città di Gerusalemme. Il nome “Salem” fu poi incorporato in quello di Gerusalemme (יְרוּשָׁלִַם, Yerushalàim), che a volte è chiamata anche “Salem”. – Cfr. Sl 76:2.

βασιλεὺς Σαλήμ

basilèus Salèm

 

   Melchisedec è il primo sacerdote menzionato nella Bibbia; egli svolgeva il suo incarico sacerdotale quasi duemila anni prima di Yeshùa. La Toràh non era ancora stata data e non esisteva neppure il popolo d’Israele. Il doppio incarico di re-sacerdote non sarebbe stato poi possibile nella nazione ebraica. La sua nomina sacerdotale era evidentemente divina, perché “nessuno si prende da sé quell’onore; ma lo prende quando sia chiamato da Dio”. – Eb 5:4.

   In Eb viene data un’interpretazione di questo personaggio in una maniera che a noi moderni occidentali pare strana. Giacché di lui la Scrittura tace ogni particolare relativo alla sua nascita, alla sua morte e alla sua genealogia, lo scrittore di Eb ne prende lo spunto per dire che egli è “senza inizio di giorni né fin di vita, simile quindi al Figlio di Dio”. – V. 3.


L’interpretazione di Melchisedec come un tipo di Yeshùa, suo antìtipo

 

Spesso la Bibbia deduce segni e insegnamenti profondi non dal fatto storico in sé ma dal modo con cui esso è presentato dalla Bibbia (anche se non vi corrisponde sempre una realtà storica).

   In Eb 7:3 l’autore ispirato trova un segno che non è reale, ma lo utilizza per come è presentato dalla Scrittura.

   Questo Melchisedec fu un personaggio reale, storico. Era “re di Salem, sacerdote”. “Egli andò incontro ad Abraamo”. Accettò da lui un decimo del suo bottino. Questa è storia vera. Ma cosa dice la Bibbia di lui oltre a fornire questi dati storici? Di chi era figlio? Da dove veniva? Non è detto. L’autore di Eb prende spunto – essendo ispirato, non dimentichiamolo – da quest’assenza di dati per trovarvi un segno del nuovo sacerdozio di Yeshùa. Ma proprio perché Melchisedec fu un personaggio storico, egli aveva avuto senza il minimo dubbio sia un padre sia una madre; una genealogia sua doveva pure averla. Ma poiché la Bibbia tace questi particolari, l’autore di Eb vi vede un segno, tanto che può dichiarare che era “senza padre, senza madre, senza genealogia”. Non solo, ma si spinge molto più in là! Arriva a dire che era “senza inizio di giorni né fin di vita”. Questo, certamente non è vero storicamente. Se così fosse, Melchisedec sarebbe ancora vivente tra noi oggi. Occorre conoscere bene la mentalità ebraica della Bibbia per capire bene la Scrittura. L’argomentazione fatta qui in Eb è molto profonda. A una mente occidentale sfugge. Qualcuno prende anche degli abbagli mostruosi: c’è chi è arrivato a dire che Melchisedec non era altro che Yeshùa apparso ad Abraamo. Ecco a che punto arriva la ristretta mente occidentale che ragiona con una logica piccola. Eb dice: “Simile quindi al Figlio di Dio”. Ma c’è altro su cui andare a fondo. Yeshùa una madre l’aveva, eccome. E anche un padre (Dio). La sua genealogia è scritta nella Bibbia. Non solo. Yeshùa nacque e morì. E allora? Dove è questa somiglianza con Melchisedec? Occorre capire il ragionamento semita che c’è dietro. Di cosa si discute lì in Eb? Qual è il contesto? Lo scopo del ragionamento è dichiarato in Eb7:11, dopo che tutta l’argomentazione su Melchisedec è terminata: “Se dunque la perfezione fosse stata possibile per mezzo del sacerdozio levitico . . .”.

   Anche se è difficile, cerchiamo di spiegarlo in parole povere. Yeshùa non aveva un padre, una madre e una genealogia aaronnica. Non era un levita. Non avrebbe mai potuto essere quindi un sacerdote. “È noto infatti che il nostro Signore è nato dalla tribù di Giuda, per la quale Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio” (Eb 7:14). Eppure “Cristo venne come sommo sacerdote” (Eb 9:11, TNM). Com’è possibile? In Yeshùa si adempie la promessa di Dio “perché gli è resa questa testimonianza: ‘Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec’” (Eb 7:17). Ecco dunque che – al di là del fatto storico che sia Melchisedec che Yeshùa ebbero padre, madre, genealogia, nacquero e morirono – l’autore ispirato di Eb coglie nel semplice fatto che la Bibbia tace certi dati su Melchisedec un segno del nuovo sacerdozio eterno di Yeshùa. Nella vita celeste Yeshùa non nasce, non muore. Il suo sacerdozio è eterno, senza inizio e fine di giorni. Come Melchisedec. E tutto per un segno che di storico non ha proprio nulla.


   Le interpretazioni di Eb non si limitano alla figura di Melchisedec. L’agiografo fa un’applicazione anche del decimo del bottino che Abramo diede al re di Salem, per ricavarne altri profondi insegnamenti.

Eb 7:4 Pertanto considerate quanto sia grande costui al quale Abraamo, il patriarca, diede la decima del bottino! 5 Ora, tra i figli di Levi, quelli che ricevono il sacerdozio hanno per legge l’ordine di prelevare le decime dal popolo, cioè dai loro fratelli, benché questi siano discendenti di Abraamo. 6 Melchisedec, invece, che non è della loro stirpe, prese la decima da Abraamo e benedisse colui che aveva le promesse! 7 Ora, senza contraddizione, è l’inferiore che è benedetto dal superiore. 8 Inoltre, qui, quelli che riscuotono le decime sono uomini mortali; là invece le riscuote uno di cui si attesta che vive. 9 In un certo senso, nella persona d’Abraamo, Levi stesso, che riceve le decime, ha pagato la decima; 10 perché egli era ancora nei lombi di suo padre, quando Melchisedec incontrò Abraamo.

   La decima vera e propria fu stabilita da Dio dando a Israele la sua santa Toràh. La decima consisteva di un decimo del prodotto della terra, degli alberi da frutto, della mandria e del gregge (dei nuovi nati, evidentemente). Essa veniva portata al santuario e data ai leviti, i quali non avevano possedimenti nel paese e si dedicavano al servizio del santuario (Lv 27:30-32; Nm 18:21,24). I leviti stessi offrivano poi un decimo di quello che avevano ricevuto per il mantenimento del sacerdozio aaronnico (Nm 18:25-29). Ciò entrò in vigore diversi secoli dopo Abraamo, per cui il capostipite del popolo ebraico (che allora non esisteva ancora), non pagò a Melchisedec una decima ma offrì un decimo del suo bottino di guerra. La stessa cosa vale per Giacobbe, pronipote di Abraamo (Gn 28:20-22). Questi due casi sono gli unici prima della Toràh, e non si trattò di decime. Lo scrittore di Eb, ne prende però spunto per agganciare l’offerta di un decimo fatta da Abramo a Melchisedec per parlare della decima. Eb fa questo ragionamento: Levi, da cui sorse la tribù sacerdotale dei leviti, non era ovviamente ancora nato al tempo di Abraamo, ma egli era per così dire “nei lombi” del suo antenato Abraamo; ora, siccome Levi “in un certo senso era già presente nel suo antenato Abramo, quando Melchìsedek gli andò incontro” (Eb 7:10, TILC), il nostro omileta ne trae che Levi stesso pagò la decima. Tutto ciò per affermare la superiorità di Melchisedec/Yeshùa.

   Possiamo così riassume il procedimento ermeneutico seguito da Eb:

  • Richiamo a un caso singolare, particolare o insolito, narrato nella Bibbia;
  • Ricerca di un significato più profondo;
  • Sottolineatura del caso paradossale in cui si ha l’applicazione del significato più profondo;
  • Trasposizione dal minore (caso biblico singolare) al maggiore (applicazione del significato più profondo);
  • Conclusione.

   In tal modo l’omileta arriva ad affermare la superiorità di Yeshùa su Levi, ponendo una domanda retorica ad effetto: “Se dunque la perfezione fosse stata possibile per mezzo del sacerdozio levitico (perché su quello è basata la legge data al popolo), che bisogno c’era ancora che sorgesse un altro sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec e non scelto secondo l’ordine di Aaronne?”. – 7:11.

   Anche se è chiaro che finora il nostro predicatore stava parlando di Yeshùa, è solo ai vv. 13 e 14 che identifica esplicitamente Melchisedec con Yeshùa:

Eb 7:13 “Queste parole sono dette a proposito di uno che appartiene a un’altra tribù, della quale nessuno fu mai assegnato al servizio dell’altare; 14 è noto infatti che il nostro Signore è nato dalla tribù di Giuda, per la quale Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio. 15 E la cosa è ancor più evidente quando sorge, a somiglianza di Melchisedec, un altro sacerdote 16 che diventa tale non per disposizione di una legge dalle prescrizioni carnali, ma in virtù della potenza di una vita indistruttibile; 17 perché gli è resa questa testimonianza: «Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec».

   Richiamando i dati storici relativi al giudeo Yeshùa, viene mostrato che non è per questi che il rabbi di Nazaret è stato reso sommo sacerdote da Dio. Ciò che a prima vista appare illogico (ovvero Yeshùa, che non era levita, fatto sommo sacerdote) acquista un senso in considerazione del fatto che neppure Melchisedec era levita.

   Al v. 14, il testo non dice che Yeshùa “è nato dalla tribù di Giuda”, come tradotto da NR, ma dice che ἀνατέταλκεν (anatètalken), “è sorto”. Per i conoscitori della Scrittura, quali dovevano essere gli ascoltatori dell’omelia, questo sorgere ha un senso preciso perché richiama i dati biblici in previsione del messia: “Ecco, io faccio venire il mio servo, il Germoglio”, “Ecco un uomo, che si chiama il Germoglio, germoglierà nel suo luogo” (Zc 3:8;6:12); “Farò sorgere a Davide un germoglio giusto” (Ger 23:5); “Sorgerà il sole della giustizia”. – Mal 4:2, ND.

   Nel primo secolo c’era chi attendeva due messia, come gli esseni di Qumran: uno regale giudeo e uno sacerdotale levitico-aaronnico (cfr. 1QS 9,9,10; 1QSa 28a). Yeshùa raggruppa in sé la regalità davidica e la funzione sacerdotale levitica.

   Va da sé che, mutato il sacerdozio, cambia anche la legge relativa. Era già stato detto al v. 12: “Cambiato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un cambiamento di legge”. Ora, sulla stessa linea, ai vv. 18 e 19 è detto: “Così, qui vi è l’abrogazione del comandamento precedente a motivo della sua debolezza e inutilità (infatti la legge non ha portato nulla alla perfezione); ma vi è altresì l’introduzione di una migliore speranza, mediante la quale ci accostiamo a Dio”. Qui non si sta parlando dei santi Comandamenti di Dio ma della legge rituale relativa al sacerdozio e ai sacrifici. Ciò è ben chiaro da 7:11: “Se dunque la perfezione fosse stata possibile per mezzo del sacerdozio levitico (perché su quello è basata la legge data al popolo), che bisogno c’era ancora che sorgesse un altro sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec e non scelto secondo l’ordine di Aaronne?”. Sbaglia quindi chi fa di tutta l’erba un fascio e approfitta di una mal comprensione per vedervi abolita la santa Legge di Dio.

   L’espressione ‘accostarsi a Dio’ (v. 19) è tipica per indicare il servizio sacerdotale con lui i sacerdoti e, tramite loro, il popolo si accostavano all’altare di Dio. Abolito il sacerdozio levitico, c’è una migliore via d’accesso a Dio: è Yeshùa, che disse: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14:6). Grazie a Yeshùa “abbiamo anche avuto, per la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio” (Rm 5:2). Detto con le parole stesse di Eb: “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia”. – 4:16.

Eb 7:22 Ne consegue che Gesù è divenuto garante di un patto migliore del primo. 23 Inoltre, quelli sono stati fatti sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare; 24 egli invece, poiché rimane in eterno, ha un sacerdozio che non si trasmette. 25 Perciò egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro. 26 Infatti a noi era necessario un sommo sacerdote come quello, santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli; 27 il quale non ha ogni giorno bisogno di offrire sacrifici, come gli altri sommi sacerdoti, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo; poiché egli ha fatto questo una volta per sempre quando ha offerto se stesso. 28 La legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento fatto dopo la legge costituisce il Figlio, che è stato reso perfetto in eterno.

   La conclusione trionfale cui giunge il cap. 7 di Eb non ha bisogno di commento. Non possiamo che gustarla commossi, rileggendola in una bella traduzione:

“Gesù è diventato garante un’alleanza migliore. C’è anche un’altra differenza: gli altri sacerdoti sono stati numerosi, perché morivano e non potevano durare a lungo; Gesù invece vive per sempre, e il suo sacerdozio non finisce mai. Perciò egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio. Infatti egli è sempre vivo per pregare Dio a loro favore. Gesù è proprio il sommo sacerdote di cui avevamo bisogno: è santo, senza peccato, senza difetto, diverso dai peccatori, elevato al di sopra dei cieli. Egli non è come gli altri sommi sacerdoti: non ha bisogno di offrire ogni giorno sacrifici, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: perché egli ha offerto il sacrificio una volta per tutte, quando ha offerto se stesso. La legge di Mosè stabilisce come sommi sacerdoti uomini segnati dalla debolezza; invece la parola del giuramento di Dio, pronunziato dopo la Legge, stabilisce come sommo sacerdote il Figlio, che è perfetto in eterno”. – TILC.