“Chi guarda attentamente nella legge perfetta, cioè nella legge della libertà*, e in essa persevera, non sarà un ascoltatore smemorato ma uno che la mette in pratica;

egli sarà felice nel suo operare”. – Gc 1:25.

“Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo la legge di libertà*”.

Gc 2:12.

* νόμος ἐλευθερίας (nòmos eleutherìas), “legge di libertà”.

 

   Può essere la Legge, che è di per sé qualcosa di vincolante, riferita alla libertà? Parrebbe una contraddizione in termini. Se però rammentiamo che la parola Toràh, tradotta “legge”, significa nell’originale “insegnamento”, e se teniamo presente che si tratta dell’Insegnamento di Dio, possiamo apprezzare in tutto che si tratta in verità dell’”Insegnamento di libertà”.

   La formula “legge della libertà”, Giacomo la usa dopo aver raccomandato di essere non semplicemente uditori della parola di Dio ma di metterla in pratica.

“Non ingannate voi stessi: non accontentatevi di ascoltare la parola di Dio; mettetela anche in pratica! Chi ascolta la parola ma non la mette in pratica è simile a uno che si guarda allo specchio, vede la sua faccia così com’è, ma poi se ne va e subito dimentica com’era. C’è invece chi esamina attentamente e osserva con fedeltà la legge perfetta di Dio, la quale ci porta alla libertà. Costui non si accontenta di ascoltare la parola di Dio per poi dimenticarla, ma la mette in pratica: per questo egli sarà beato in tutto quel che fa”. – Gc 1:22-25, PdS.

   Giacomo non solo definisce la Legge di Dio come “della libertà”, ma vi aggiunge l’aggettivo “perfetta”. Con ciò Giacomo conferma il pensiero giudaico e biblico della perfezione della Legge di Dio. La formula “legge della libertà” con tutta probabilità va fatta risalire agli insegnamenti diretti di Yeshùa, che parlò spesso di libertà (Lc 4:18; Gv 8:32,36). Non va, infatti, dimenticato che Giacomo era figlio di Giuseppe e di Miryàm, quindi fratello carnale di Yeshùa (Mr 6:3; Gal 1:19); Giuda, un altro fratello carnale di Yeshùa (Mr 6:3), all’inizio del suo scritto si definisce “fratello di Giacomo” (Gda 1:1). Giuseppe Flavio parla di lui: “Giacomo, il fratello di Gesù detto Cristo” (Antichità giudaiche, XX, 200). Una tradizione lo chiama “Giacomo il Giusto”, alludendo al suo modo di vivere conforme alla Legge. La definizione “legge della libertà” può essere fatta quindi risalire direttamente a Yeshùa, ai suoi insegnamenti intesi come regola di vita la cui osservanza libera dall’ubbidienza legalistica alla Legge.

   La Legge di Dio è detta da Giacomo non solo “della libertà”, non solo “perfetta”, ma anche “regale”: “Certo, se adempite la legge regale . . . fate bene” (Gc 2:8). L’aggettivo “regale” indica l’eccellenza della Legge di Dio. Il compito del credente è quello d’osservare con ubbidienza la Legge, il cui legislatore e giudice è Dio stesso. Il fatto che Dio “ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall’eternità” (2Tm 1:9) non esonera i credenti a compiere le opere in ubbidienza alla Legge di Dio. Cambia però la prospettiva: con le opere non si ottiene la nostra giustificazione, che è per grazia di Dio, ma con le opere si risponde alla grazia con fede ubbidiente.

   Dandoci la sua Legge scritta nella Bibbia, Dio ci ha dato non solo l’indicazione della sua volontà ma anche un tesoro prezioso e una sorgente inesauribile di benedizioni. Amando la Legge di Dio, si comprende la gioia che provava il salmista:

“Se la tua legge non fosse la mia gioia,
sarei già morto nell’angoscia.
Mai dimenticherò i tuoi decreti:
con loro tu mi tieni in vita.
A te io appartengo, salvami:
ubbidisco ai tuoi decreti.
I malvagi sono in agguato per rovinarmi,
ma io sto attento ai tuoi ordini.
Non ho visto perfezione senza un limite,
ma i tuoi comandamenti
sono sempre perfetti.

Quanto amo la tua legge!
La medito tutto il giorno!
Ho sempre presenti i tuoi comandamenti,
mi rendono più saggio dei miei nemici”. – Sl 119:92-98, PdS.

  In Eb 10:9 le parole del salmista sono messe in bocca a Yeshùa: “Ho detto: ‘Ecco, io vengo: Nel libro è scritta per me la tua volontà’. Sono contento di compiere il tuo volere, la tua legge è nel mio cuore”. – Sl 40:8,9, PdS.

   Giacomo dice che “chi guarda attentamente nella legge perfetta, cioè nella legge della libertà, e in essa persevera”, “sarà felice nel suo operare”. – Gc 1:25.

 

 

Ascoltatori smemorati

   Tutti i cosiddetti cristiani dovrebbero possedere una Bibbia. Molti di loro la leggono quotidianamente, e ci sono gruppi religiosi che la citano di continuo. Chissà se costoro sono compresi nel numero di quelli dichiarati da Giacomo ‘felici nel loro operare’. Ciò dipende ovviamente dall’uso che fanno della Bibbia. Sono ascoltatori smemorati che appartengono alla categoria dell’“ascoltatore della parola e non esecutore” o del tipo “che la mette in pratica ”? Chi si riempie soltanto la bocca di citazioni bibliche e adatta la parola di Dio ai dettami della propria religione, potrebbe essere “simile a un uomo che guarda la sua faccia naturale in uno specchio; e quando si è guardato se ne va, e subito dimentica com’era”: potrebbe così vedere nella Bibbia come ci è richiesta l’ubbidienza alla Legge di Dio, ma poi dimenticarsene subito affidandosi alla sua religione che non parla di “legge della libertà” ma di libertà dalla Legge. C’è perfino chi altera la Bibbia, cambiandone il senso, come fa TNM che in Gc 2:12 trasforma la “legge della libertà” in “legge di un popolo libero”, dando l’alternativa (nella nota in calce) di “legge che appartiene alla libertà”. Si vuole forse alludere a un’inesistente nuova legge riservata a chi, liberandosi della Legge di Dio, si ritenga libero? Queste manipolazioni possono forse ingannare gli sprovveduti che si affidano in buona fede a una traduzione. La Bibbia però – quella vera dei testi originali – dice:

οὕτως λαλεῖτε καὶ οὕτως ποιεῖτε ὡς διὰ νόμου ἐλευθερίας μέλλοντες κρίνεσθαι

ùtos lalèite kài ùtos poièite os dià nomù eleutherìas mèllontas krìnesthai

così parlate e così fate come per mezzo di legge di libertà essenti in procinto d’essere giudicati

   La Scrittura ispirata ci assicura che “chi guarda attentamente nella legge perfetta, cioè nella legge della libertà, e in essa persevera, non sarà un ascoltatore smemorato ma uno che la mette in pratica”. – Gc 1:22-25.

   La parola scritta di Dio continua a essere uno specchio infallibile che ci indica ciò che siamo: ci rivela fedelmente ogni minima imperfezione, tutto ciò che è spiacevole e dà fastidio a Dio. Certo, “il peccato non è imputato quando non c’è legge” (Rm 5:13): se una religione ci dice che la santa Legge di Dio non è più valida, è facile far perdere allo specchio biblico tutta la sua funzione che ci costringe a confrontarci con la volontà di Dio. Così è più facile divenire ascoltatori smemorati. Il rischio è allora che la parola di Dio, letta o ascoltata, non penetri nel nostro cuore e nella nostra coscienza. Seguendo i dettami umani di una religione che sostiene la libertà dalla Legge anziché “la legge della libertà”, si può anche vivere in modo pio. Ma si tratta al massimo di una buona etica, non di fede biblica vissuta. Ci sono tantissime persone che vivono così, e magari non sono neppure credenti. Dove sta allora la differenza? Nel fatto di riunirsi e di pregare insieme? Forse in un’attività di predicazione? Oppure nel rimanere fedelmente associati a una religione?

“Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli”. – Mt 5:20.

   Superere la giustizia di scribi e farisei? Addirittura? Sì, proprio così.

   Giacomo usa due espressioni che sono molto serie: “Se ne va” e “subito dimentica” (Gc 1:24). Andarsene, voltare le spalle, e dimenticare, far finta di niente, essere indifferenti. Così, dopo aver ascoltato la parola di Dio, si va via e la si dimentica, invece di ubbidire.

 

 

La Legge perfetta

   Giacomo definisce la Legge di Dio νόμον τέλειον (nòmon tèleion), “legge perfetta”. L’aggettivo τέλειος (tèleios), “perfetto”, indica nella Bibbia ciò che è portato a compimento, finito, cui non manca niente per la completezza. Eppure, in Eb 7:19 è detto che “la legge non ha portato nulla alla perfezione”. Ora, quest’ultima realtà non intacca minimamente la perfezione della Legge, perché “la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono” (Rm 7:12), ma indica solo l’impossibilità dell’essere umano di essere portato alla perfezione per la sua incapacità di osservare la Legge. Paolo spiega: “Sappiamo infatti che la legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato. Poiché, ciò che faccio, io non lo capisco: infatti non faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio. Ora, se faccio quello che non voglio, ammetto che la legge è buona” (Rm 7:14-16). Il conseguimento della perfezione poteva avvenire soltanto per la grazia di Dio.

   L’insieme degli insegnamenti dati ai credenti è definita “legge perfetta” perché richiede l’ubbidienza alla Legge di Dio con fede ed è espressione della natura e del carattere di Dio perfettamente rivelati in Yeshùa. Inoltre, la Legge perfetta si rivolge a quelli che sono già resi perfetti o completi: “Se sapete che egli è giusto, sappiate che anche tutti quelli che praticano la giustizia sono nati da lui” (1Gv 2:29). “Ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha fatto; mandando il proprio Figlio in carne simile a carne di peccato e, a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne, affinché il comandamento della legge fosse adempiuto in noi, che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito”. – Rm 8:3,4.

 

 

La vera libertà

   La morte di Yeshùa ha dunque posto fine al nostro stato carnale e ci ha reso partecipi della natura divina, di modo che la nuova vita vissuta in conformità con la nostra nuova natura (la natura divina) rappresenta la vera libertà. La volontà dell’essere umano nuovo è in perfetta armonia con la volontà di Dio. Generati dalla parola della verità, i credenti possiedono una nuova natura i cui desideri e inclinazioni sono in accordo con la Legge di Dio. Questa è la vera libertà: poter ubbidire a Dio, essere imitatori di Dio come i suoi figli diletti, sottomettersi a lui con gioia per ubbidirgli. – Rm 8:18-25.

   “Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi” (Gal 5:1). “Voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un’occasione per vivere secondo la carne”. – Gal 5:13.

   La Legge di Dio è considerata dall’uomo carnale come qualcosa di negativo: egli crede che seguire la propria volontà personale sia sinonimo di libertà. Se c’è la Legge, molti pensano, non c’è libertà. Per il credente, la libertà è invece la conseguenza della sua liberazione dalla condanna del peccato. La propria volontà carnale è tenuta nella morte, dove l’ha posta Yeshùa, e siamo liberi d’obbedire alla Legge di Dio, “la legge perfetta”, “la legge della libertà”. – Gc 1:25.