Molti cosiddetti cristiani le cercano davvero tutte per sostenere che la Legge di Dio sia stata abolita. Per sostenere la loro idea sbagliata e antiscritturale scelgono spesso il passo di Col 2:14:

“Egli ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l’ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce”.

   Questo passo biblico viene esaminato nello studio intitolato “Cancellato il documento”: quale?, in questa stessa categoria di studi. Qui vogliamo aggiungere altre osservazioni.

   Nell’argomentazione fallace dei cosiddetti cristiani che si riempiono la bocca con la parola “grazia” e sgombrano dalla mente la parola “Legge”, questo versetto diventa per loro un perno importante, perché ravvisano nel “documento” “i cui comandamenti ci condannavano” la Toràh. Costoro dicono che Yeshùa avrebbe abolito la Legge inchiodandola sulla croce.

   Nello studio “Cancellato il documento”: quale? dimostriamo biblicamente che Paolo si riferisce ai precetti e alle consuetudini seguite dai colossesi prima della loro conversione: in Col 2:14 Paolo dice ai colossesi che quando il Messia è morto ha cancellato le ordinanze pagane cui loro si attenevano.

   Quando si cerca di comprendere la Scrittura, la prima cosa da fare è esaminare il contesto. Ai vv. 11-13 Paolo spiega ciò che Yeshùa ha fatto per noi e come coloro che hanno creduto in lui siano diventati spiritualmente circoncisi:

“In lui [Yeshùa] siete anche stati circoncisi di una circoncisione non fatta da mano d’uomo, ma della circoncisione di Cristo, che consiste nello spogliamento del corpo della carne: siete stati con lui sepolti nel battesimo, nel quale siete anche stati risuscitati con lui mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti. Voi, che eravate morti nei peccati e nella incirconcisione della vostra carne, voi, dico, Dio ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i nostri peccati”.

   Qui vediamo che l’argomento in discussione è il mezzo della giustificazione. Paolo sta dicendo che, quando si pentirono e furono battezzati, la vecchia persona peccaminosa è stata sepolta nella tomba dell’acqua battesimale; i peccati sono stati così completamente perdonati attraverso la fede nel sacrificio di Yeshùa; riemersi dall’acqua del battesimo, erano persone nuove, vivificate con Yeshùa e ritenute giuste davanti a Dio. Paolo si riferisce a tutto questo processo come a “una circoncisione non fatta da mani d’uomo”, cioè una circoncisione spirituale.

   La prima parte del versetto 14 prosegue la frase iniziata alla fine del versetto 13. Paolo continua a spiegare come la nostra giustificazione è stata compiuta. Così va letta l’intera frase: “Voi, che eravate morti nei peccati e nella incirconcisione della vostra carne, voi, dico, Dio ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i nostri peccati; egli ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano”. In questa traduzione viene messo un punto e virgola (;) tra la fine del v. 13 e l’inizio del 14. Certo non  si tratta di un punto, che chiuderebbe il v. 13 facendolo terminare, tuttavia spezza il discorso e dà origine a due frasi. Ricordiamo che nel testo greco manca qualsiasi segno d’interpunzione. TNM sceglie, ad esempio, una punteggiatura diversa: “Egli ci perdonò benignamente tutti i nostri falli e cancellò il documento scritto a mano contro di noi”. Qui non viene messo un punto e virgola (;) alla fine del v. 13, ma viene inserita la congiunzione e, che segna l’inizio del v. 14. Per essere onesti, questa congiunzione (e) manca nel testo biblico. Nel testo greco, infatti, si ha:

13

καὶ ὑμᾶς νεκροὺς ὄντας τοῖς παραπτώμασιν

kài ümàs nekrùs òntas tòis paraptòmasin

e voi morti essenti per i peccati

καὶ τῇ ἀκροβυστίᾳ τῆς σαρκὸς ὑμῶν συνεζωοποίησεν ὑμᾶς σὺν αὐτῷ

kài te akrobustìa tes sarkòs ümòn sünezoopòiesen ümàs sün autò

e per l’incirconcisione della carne vostra convivificò voi con lui

χαρισάμενος ἡμῖν πάντα τὰ παραπτώματα

charisàmenos emìn pànta ta paraptòmata

condonando a noi i peccati

14

ἐξαλείψας τὸ κατ’ ἡμῶν χειρόγραφον τοῖς δόγμασιν

ecsalèipsas to kat’emòn cheirògrafon tòis dògmasin

avendo cancellato la contro noi obbligazione scritta a mano per decreti

ὃ ἦν ὑπεναντίον ἡμῖν καὶ αὐτὸ ἦρκεν ἐκ τοῦ μέσου προσηλώσας αὐτὸ τῷ σταυρῷ

o en üpenantìon emìn kài autò èrken ek tu mèsu proselòsas autò to staurò

che era contraria a noi e essa tolse da il mezzo avendo inchiodato essa alla croce

   Siccome TNM tende a tradurre letteralmente, la useremo come base per evidenziare come la traduzione crei separazioni e connessioni che il testo biblico non ha. Vediamo:

13 Inoltre, benché foste morti nei vostri falli e nello stato incirconciso della vostra carne, [Dio] vi rese viventi insieme a lui. Egli ci perdonò benignamente tutti i nostri falli 14 e cancellò il documento scritto a mano contro di noi, che consisteva in decreti. – TNM.

   Vediamo subito che la frase “benché foste morti nei vostri falli e nello stato incirconciso della vostra carne, [Dio] vi rese viventi insieme a lui” viene fatta terminare con un punto (.) finale. Così non è nel testo biblico, infatti, le parole seguenti “condonando a noi i peccati” (testo greco) non possono stare da sole: dipendono dalla frase iniziata prima ovvero “convivificò noi con lui” (testo greco); TNM, modificando, crea una nuova frase con un verbo reggente (trasformando arbitrariamente il participio in perfetto): “Egli ci perdonò”, mentre il greco dice: “Convivificò voi con lui condonandoci tutti peccati”. L’intendo specioso pare quello di separare il perdono dei peccati dall’effetto della rinascita battesimale per legarlo alla cancellazione del “documento scritto a mano”. Questa manovra appare ancora più chiara notando l’inserimento della congiunzione e che manca nel greco. La nuova frase, creata a bella posta e fatta sussistere a sé stante da TNM, suona: “Egli ci perdonò benignamente tutti i nostri falli e cancellò il documento scritto a mano contro di noi, che consisteva in decreti”. Paolo invece dice: “Voi che eravate morti per i peccati e per l’incirconcisione della vostra carne, voi rese vivi insieme con lui condonandoci i peccati avendo cancellato l’obbligazione scritta a mano per decreti contro di noi”. Se il rimaneggiamento di TNM vuole ottenere l’effetto di far dire al testo che i peccati furono perdonati cancellando la Legge, l’effetto ottenuto è quello di un non senso e contemporaneamente di un assurdo. Non senso perché non è abrogando la legge che si condona la sanzione; se, ad esempio, si volesse condonare un assassinio, non si farebbe ciò eliminando dal codice penale gli articoli che condannano l’assassinio. L’assurdo poi sarebbe quello di non avere più Legge e quindi che non ci sarebbero più peccati: “Dove non c’è legge, non c’è neppure trasgressione”. – Rm 4:15.

   Piuttosto, va considerato il significato della parola χειρόγραφον (cheirògrafon). Questo vocabolo indica “una scrittura, quello che qualcuno ha scritto con la sua mano”, una nota scritta a mano o scrittura in cui si riconosce che del denaro è stato depositato presso qualcuno oppure prestato da qualcuno ad un altro, da restituire al tempo stabilito” (Vocabolario del Nuovo Testamento). Il cheirògrafon non ha alcunché a che fare con la Toràh; si tratta di una nota di debito, un documento legale, un’obbligazione. Tale obbligazione è τοῖς δόγμασιν (tòis dògmasin), “per decreti”. Si fa riferimento a decreti, leggi, ordinanze umane, perché la parola greca δόγμα (dògma) ha nella Bibbia sempre la valenza di decreti umani. In questo contesto si tratta di  un corpo di credenze o pratiche che erano diventate le linee guida che regolavano il comportamento di una persona o il suo stile di vita.

   Ciò che Paolo sta dicendo è che, con la sua morte, Yeshùa ha cancellato la nota di colpa o di debito che avevamo contratto con i nostri peccati, peccati dovuti al nostro modo passato di vivere. Prima della conversione la nostra vita era governata da norme e valori di questo mondo; il male in tutto il mondo ha le sue leggi, “norme” stabilite dalla società in cui si vive. Ora che siamo pentiti e abbiamo accettato Yeshùa, abbiamo intrapreso un nuovo modo di vivere secondo i valori di Dio espressi nella sua Legge, non secondo le norme della società alienata da Dio. Di conseguenza, Dio ha cancellato il debito che avevamo contratto in conseguenza dei nostri peccati.

   Un altro modo di accertare che cosa sia l’“obbligazione scritta a mano per decreti” è di notare che ciò riafferma la frase immediatamente precedente, nel parallelismo:

Col 2:13,14

Primo parallelo

“Condonandoci i peccati

Secondo parallelo

avendo cancellato la contro di noi obbligazione scritta a mano per decreti”

   Queste due frasi sono parallele e non sono a sé stanti (si noti in ambedue la presenza del participio): dipendono tutt’e due dalla frase principale “convivificò voi con lui”, la cui premessa era “essendo voi morti per i peccati e per l’incirconcisione della vostra carne”. Se ancora non si è compreso, diamo la sequenza logica presentata da Paolo:

  1. “Essendo voi morti per i peccati e per l’incirconcisione della vostra carne
  2. [Dio] vi rese vivente con lui [Yeshùa]

a)       condonandoci i peccati

b)       avendo cancellato la contro di noi obbligazione scritta a mano per decreti che ci era contraria

  1. e la tolse di mezzo avendola inchiodata alla croce”.

   Così Paolo non poteva riferirsi alla Legge di Dio, ma piuttosto alla “nota di debito” delle nostre trasgressioni dovute alle leggi del peccato.

   Si noti anche l’ultima frase del versetto 14: “La tolse di mezzo avendo essa inchiodata alla croce”. In questa frase, la parola “essa” traduce il pronome singolare neutro αὐτὸ (autò) che rinvia alla parola singolare neutra χειρόγραφον (cheirògrafon), “obbligazione scritta a mano”. Non può quindi riferirsi ai “decreti” (δόγμασιν, dògmasin), che è plurale, e che viene erroneamente tradotto “comandamenti” da NR. Ciò che quindi è stato inchiodato alla croce di Yeshùa è quel documento scritto a mano che conteneva l’elenco dei debiti, i peccati.

   Cosa interessante, dal punto di vista storico solo due cose venivano inchiodate al palo su cui la sentenza di morte veniva eseguita: 1) Il condannato, e 2) L’iscrizione del suo nome con l’indicazione del reato per cui era stato condannato. Così avvenne anche nel caso di Yeshùa: 1) “Lo crocifissero” (Gv 19:18); 2) “Al di sopra del capo gli posero scritto il motivo della condanna: Questo è Gesù, il re dei Giudei”. – Mt 27:37.

   La Bibbia è meravigliosa, con tutte le sue figure tipiche e antitipiche. Paolo usa la stessa immagine per i credenti, i discepoli di Yeshùa. Essi pure muoiono: “Se siamo morti con Cristo, crediamo pure che vivremo con lui” (Rm 6:8); questa morte alla vita peccaminosa precedente e la rinascita è simboleggiata dal battesimo. Come nel caso di Yeshùa, anche per i discepoli viene apposta sulla croce la scritta con il reato di condanna: Paolo la chiama “obbligazione scritta a mano”, proprio come a mano fu fatta l’iscrizione sulla croce: “Pilato fece pure un’iscrizione e la pose sulla croce” (Gv 19:19). Nel nostro caso quella scritta conteneva l’elenco di tutti i nostri peccati, un debito che non avremmo mai potuto pagare ma che Yeshùa pagò per noi.

   La scritta fatta da Pilato conteneva il reato secondo i “decreti” legali dei romani: Yeshùa era stato accusato di farsi re al posto di Cesare. Poco prima di morire, quando Dio abbandonò Yeshùa a se stesso (Mt 27:46), i nostri peccati furono simbolicamente inchiodati alla croce nel suo corpo: “Egli ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce” (1Pt 2:24). Nel momento della crocifissione Yeshùa divenne peccato per noi: “Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2Cor 5:21). Per questo Dio distolse da lui lo sguardo in quel terribile momento in cui il suo corpo portava in sé tutti i peccati dell’umanità. La nostra “nota di debito” che avevamo nei confronti di Dio a causa dei nostri peccati fu tolta di mezzo, inchiodata alla croce.

   È davvero molto triste che anziché apprezzare il grande sacrificio di Yeshùa e la grandiosità della misericordiosa giustizia di Dio, ci siano coloro che in modo blasfemo asseriscano che la meravigliosa Legge di Dio sia stata abrogata inchiodandola alla croce.

   No, non fu la Legge a essere inchiodata alla croce. La santa Legge di Dio non è contro di noi, non ci è contraria, ma è per noi una grande benedizione.

I precetti del Signore sono giusti,

rallegrano il cuore;

il comandamento del Signore è limpido, illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro, sussiste per sempre;

i giudizi del Signore sono verità,

tutti quanti sono giusti,

sono più desiderabili dell’oro, anzi, più di molto oro finissimo;

sono più dolci del miele, anzi, di quello che stilla dai favi.

Anche il tuo servo è da essi ammaestrato;

v’è gran ricompensa a osservarli”. – Sl 19:8-11.

   Paolo scrive molto chiaramente in Rm 7:12: “La legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono”. Ora vediamo che, ben lungi dal ritenere cancella la Legge di Dio, Col 2:14 spiega una profonda verità: la dottrina della giustificazione. Paolo descrive il modo misericordioso in cui Dio ha sistemato i nostri debiti attraverso la nostra fede nel sacrificio di Yeshùa. Il nostro salvatore ha pagato col suo corpo il grande debito che avevamo nei confronti di Dio a causa delle nostre trasgressioni. Ora i nostri peccati sono stati ‘tolti mi mezzo’ e ‘inchiodati alla croce’. Risorti dalla tomba d’acqua battesimale, ora abbiamo la promessa della vita eterna se viviamo in modo nuovo, se viviamo una vita di giustizia conforme alla Legge di Dio, ubbidendo.