La profonda considerazione che Paolo aveva per la Bibbia ebraica ovvero le Scritture Ebraiche, è evidente già di per sé dalla frequenza con cui ne cita diversi passi, a volte direttamente, a volte indirettamente ricavandone illustrazioni istruttive. Non possiamo comprendere questo suo continuo richiamarsi alle Scritture Ebraiche senza ammettere l’atteggiamento positivo che egli aveva verso di esse. È sua, questa convinta dichiarazione:

“Tutto ciò che fu scritto nel passato, fu scritto per nostra istruzione, affinché mediante la pazienza e la consolazione che ci provengono dalle Scritture, conserviamo la speranza”. – Rm 15:4.

   Si noti che Paolo dice che le Scritture Ebraiche, tutta la Bibbia che si aveva fino a quel momento, “tutto ciò che fu scritto nel passato”, era stato scritto sotto ispirazione di Dio con uno scopo ben preciso: “Fu scritto per nostra istruzione”. Deve riempirci di commossa gratitudine il pensiero che Dio ispirò le Scritture Ebraiche avendo in mente proprio noi. Non possiamo permetterci di sprezzare le Scritture Ebraiche; già il fatto di aver adottato per esse il titolo sbagliato di “Vecchio Testamento” la dice lunga sull’idea che i “cristiani” hanno di esse.

   Paolo, del tutto lontano dal pensiero della cristianità, insegnava che la Legge ha un’applicazione nel “nuovo patto”. Egli comprendeva benissimo la profezia di Ger 31:31-33 riportata da Eb 8:10: “’Questo è il patto che farò con la casa d’Israele dopo quei giorni’, dice il Signore: ‘Io metterò le mie leggi nelle loro menti, le scriverò sui loro cuori’”. Il “nuovo patto” non comporta l’abolizione della Legge di Dio (che è eterna – Sl 119:152), ma la sua conferma: “Io [Dio] metterò le mie leggi nelle loro menti, le scriverò sui loro cuori”. In 2Cor 3:6 Paolo scrive: “Egli ci ha anche resi idonei a essere ministri di un nuovo patto, non di lettera, ma di Spirito; perché la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica”. Quest’affermazione viene letta spesso secondo il credo religioso che nega la Legge. TNM arriva a suggerire questa idea sottilmente, traducendo: “Un nuovo patto, non di un codice scritto, ma di spirito; poiché il codice scritto condanna”, volendo alludere con “codice scritto” alla Legge per far intendere che sarebbe cosa vecchia, sorpassata. Ma Paolo non dice così. Ciò che non viene compreso è che qui si tratta del come, non del cosa. Paolo dice οὐ γράμματος ἀλλὰ πνεύματος (u gràmmatos allà pnèumatos): “Non di lettera ma di spirito”. La parola greca γράμμα (gràmma), di cui γράμματος (gràmmatos) è genitivo singolare, indica principalmente un carattere inciso (cfr. Vocabolario Greco-Italiano di L. Rocci). Il “patto” che Dio aveva fatto con Israele consisteva nella Legge di Dio incisa su “tavole di pietra, scritte con il dito di Dio” (Es 31:18). Il “nuovo patto” consiste nella stessa identica Legge di Dio ‘scritta sui cuori’, ‘messa nelle menti’, quindi “di spirito”. La differenza tra la scrittura incisa e quella di spirito, Paolo la spiega poco prima parlando d’altro: “Voi siete una lettera di Cristo, scritta mediante il nostro servizio, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente; non su tavole di pietra, ma su tavole che sono cuori di carne” (2Cor 3:3). In che senso “la lettera uccide”? “Il comandamento che avrebbe dovuto darmi vita, risultò che mi condannava a morte. Perché il peccato, còlta l’occasione per mezzo del comandamento, mi trasse in inganno e, per mezzo di esso, mi uccise. Così la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono. Ciò che è buono, diventò dunque per me morte? No di certo! È invece il peccato che mi è diventato morte, perché si rivelasse come peccato, causandomi la morte mediante ciò che è buono; affinché, per mezzo del comandamento, il peccato diventasse estremamente peccante” (Rm 7:10-13). In pratica, anche se non possiamo essere giustificati per le nostre opere in osservanza della Legge, tali opere sono ancora necessarie: non per la nostra salvezza (che ci viene solo per la grazia di Dio tramite Yeshùa), ma per la nostra santificazione, perché lo spirito santo di Dio è il mezzo attraverso il quale la Legge di Dio è scritta nei nostri cuori.

“Beati quelli che sono integri nelle loro vie,

che camminano secondo la legge del Signore.

Beati quelli che osservano i suoi insegnamenti”. – Sl 119:1,2.

   Come si può essere “integri” (“irreprensibili”, TNM; תְמִימֵי, tmymè, “retti”, nel testo ebraico)?  La frase successiva, in parallelo alla prima fornisce la risposta: camminando secondo la Legge di Dio; è tipico dell’ebraico ripete un concetto con una frase diversa, in due paralleli. Qui “quelli che sono retti” sono coloro che “camminano secondo la Legge del Signore”.

   Se si è compreso che “tutto ciò che fu scritto nel passato fu scritto per nostra istruzione” (Rm 15:4), si dovrebbe comprendere anche che la dichiarazione del salmista è rivolta a noi pure. Camminare secondo la Legge di Dio significa percorrere il nostro cammino seguendo le indicazioni che la Toràh, l’Insegnamento di Dio, ci dà.

    La nostra spiritualità interiore è data dalla combinazione di lettura, studio, meditazione, preghiera, formazione e autodisciplina. La nostra mente è organizzata in conscio e preconscio, oltre che nel subconscio su cui poco possiamo agire. Il conscio ci serve per attuare azioni consapevoli. Quando – usando il nostro conscio – prendiamo buone abitudini, studiando regolarmente la Scrittura e meditandola, l’insegnamento di Dio penetra in noi; ciò che apprendiamo diventa così patrimonio del preconscio. Guidando un’automobile – tanto per fare un esempio illustrativo – non abbiamo bisogno di pensare coscientemente a cambiare marcia o a usare i pedali, e non ci serve neppure il libretto d’istruzioni della casa che ha prodotto la vettura: ci pensa il nostro preconscio, perché la capacità di fare tutte quelle manovre è stata ben acquisita e le eseguiamo quasi in automatico, essendo quelle cose – per così dire – scritte nella nostra mente; e non le dimenticheremo mai. Lo stesso vale per la Legge di Dio, con la differenza che lo spirito divino ci aiuta a tenerle scritte nella mente e sul cuore.

   Se però non pratichiamo mai la Legge di Dio, ritenendola antiquata, essa non diverrà mai parte di noi.

“Quanto amo la tua legge!

La medito tutto il giorno!

Ho sempre presenti i tuoi comandamenti,

mi rendono più saggio dei miei nemici.

So molto di più dei miei maestri,

perché medito i tuoi precetti.

Sono più avveduto degli anziani,

perché osservo i tuoi decreti.

Rifiuto di seguire il sentiero del male,

perché voglio ubbidire alla tua parola.

Non mi allontano dalle tue decisioni,

perché tu mi hai istruito.

Quanto gustose sono le tue parole:

le sento più dolci del miele.

I tuoi decreti mi hanno reso sapiente;

perciò odio la strada del male”. – Sl 119:97-104, PdS.