Nel precedente studio (L’Ultimo Gran Giorno) si è visto che l’Ultimo Gran Giorno, celebrato il 22 di tishrì, prefigura il giorno del giudizio del “grande trono bianco”. Questo giudizio finale riguarda sia i sopravvissuti che vivranno nel Millennio sia tutta l’umanità risuscitata durante il Millennio. Questi eventi futuri sono descritti con linguaggio apocalittico in Ap 20:7-15.

   C’è un passo dell’Apocalisse che pone dei problemi interpretativi, ed è questo: “Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi” (Ap 20:5). Questi “altri morti” sono quelli che non parteciparono alla prima resurrezione, riservata alla chiesa di Yeshùa (1Ts 4:16) ovvero a quelli che “tornarono in vita e regnarono con Cristo per mille anni . . . Questa è la prima risurrezione” . – Ap 20:4,5.

   Ora, sembrerebbe che “gli altri morti” siano risuscitati alla fine del Millennio. Se così fosse, si creerebbero dei gravi quesiti. Primo fra tutti, perché mai sarebbero resuscitati solo alla fine dei mille anni, quando subito dopo, “quando i mille anni saranno trascorsi, satana sarà sciolto dalla sua prigione e uscirà per sedurre le nazioni” (Ap 20:7,8)? Sarebbero notevolmente svantaggiati rispetto a chi è vissuto nel Millennio senza l’influsso satanico e sotto il Regno di Dio. Inoltre, subito dopo che il maligno è distrutto, è sostituito il “grande trono bianco” (Ap 20:11) e quei “morti furono giudicati” (Ap 20:12). Insomma, risusciterebbero solo per affrontare l’attacco satanico finale e il successivo giudizio. Il che non apparirebbe né logico né misericordioso.

   Occorre quindi analizzare attentamente il testo biblico per non trarre conclusioni affrettate e sbagliate.

Le due risurrezioni

   Ciò che rende necessaria la risurrezione è la morte. La morte non fa parte del piano d’amore di Dio. La prima coppia umana non doveva morire ma vivere nella felicità. Fu Dio stesso a menzionare la morte quale castigo per la disubbidienza (Gn 2:15-17). “Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato”. – Rm 5:12.

   “Il Signore fa morire e fa vivere, fa scendere e risalire dal regno dei morti” (1Sam 2:6, PdS). Se Dio, nel suo amore, non avesse provveduto il modo di riscattare gli esseri umani, la vita non avrebbe senso e non rimarrebbe che abbandonarsi senza speranza alla inevitabile conclusione della filosofia epicurea che l’apostolo Paolo rammenta: “Se i morti non risuscitano, ‘mangiamo e beviamo, perché domani morremo’” (1Cor 15:32). Il filosofo greco Epicuro (3°-4° secolo a. E. V.) sosteneva che gli dèi non si occupano dell’umanità. In un epitaffio sepolcrale epicureo si legge: “Io non ero, io ero, io non sono, io non me ne curo”; e, in un altro epitaffio: “Mangia, bevi, gioca, tanto finirai qui”. “ Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è lei, e quando c’è lei non ci siamo più noi”. – Epicuro, Lettera sulla felicità.

   Gli esseri umani sono fatti per la vita. Anche per il credente, una vita a termine non ha senso. “Anche i credenti in Cristo, che sono morti, sono perduti. Ma se abbiamo sperato in Cristo solamente per questa vita, noi siamo i più infelici di tutti gli uomini”. – 1Cor 15:18,19, PdS.

   La risurrezione è alla base della speranza che abbiamo di essere liberati dal non senso della vita: “Il creato è stato condannato a non aver senso, non perché l’abbia voluto, ma a causa di chi ve lo ha trascinato. Vi è però una speranza: anch’esso sarà liberato dal potere della corruzione per partecipare alla libertà e alla gloria dei figli di Dio”. – Rm 8:20,21, PdS.

   I credenti, i fedeli, tendono alla risurrezione. La Bibbia parla di alcune risurrezioni miracolose avvenute nella storia di’Israele. Vi accenna l’autore della Lettera agli ebrei in Eb 11:35: “Ci furono donne che riebbero per risurrezione i loro morti”. Tuttavia, come per Lazzaro risuscitato da Yeshùa (Gv 11:43,44), quelle persone morirono di nuovo. Parlando dei martirizzati, Eb 11:35 dice che “altri furono torturati perché non accettarono la loro liberazione, per ottenere una risurrezione migliore”. Questa risurrezione è “migliore” poiché non è temporanea e con essa non si deve poi morire di nuovo. Ecco perché Yeshùa è chiamato “il primogenito dai morti” (Col 1:18). Altri prima di lui erano stati risuscitati, ma poi morirono come tutti. Yeshùa fu il primo a ottenere questa resurrezione “migliore”, dopo la quale non si muore più.

   La prima delle primizie della risurrezione. Nella festività biblica dei Pani Azzimi, doveva avvenire l’offerta dei covoni: “Porterete al sacerdote un fascio di spighe, come primizia della vostra raccolta” (Lv 23:10). Questo evento consisteva nell’agitazione dei covoni costituiti da fasci di spighe d’orzo, che era il primo raccolto dell’anno ovvero la prima delle primizie della terra. Yeshùa è la primizia, il “il primogenito dai morti”. – Col 1:18.   

   La prima risurrezione. Nella successiva festa di Pentecoste, chiamata anche “festa della Mietitura” (Es 23:16), si dovevano offrire altre primizie. Era “il giorno delle primizie” (Nm 28:26). La chiesa di Yeshùa, formata dagli eletti, sono queste primizie. Degli eletti, Paolo dice: “Se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua” (Rm 6:5). Paolo spiega: “Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti. Infatti, poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati; ma ciascuno al suo turno: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta” (1Cor 15:20-23). Questa risurrezione avviene “alla sua venuta”, quando Yeshùa tornerà sulla terra con il suo corpo glorioso, quando “la tromba squillerà, e i morti risusciteranno incorruttibili” (1Cor 15:52). Questa è la prima risurrezione. “Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la morte seconda, ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui quei mille anni”. – Ap 20:6.

   La seconda risurrezione. Il fatto stesso che la risurrezione degli eletti che compongono la chiesa di Yeshùa sia detta “prima risurrezione” (Ap 20:6), indica che deve essercene una seconda. Degli eletti è anche detto che “regneranno con lui [Yeshùa] quei mille anni” (Ap 20:6); devono quindi esserci persone viventi nel Millennio su cui regnare.

   Ci deve essere “una risurrezione dei giusti e degli ingiusti” (At 24:15). Dei “giusti” fanno certamente parte gli eletti (Rm 8:28-30). La Bibbia mette però fra i “giusti” anche i fedeli dell’antichità, come Abraamo (Gn 15:6; Gc 2:21) e altri (Eb 11). Gli “ingiusti” sono tutti gli altri che, in tutta la storia umana, sono morti senza aver praticato la giustizia di Dio. Moltissime di queste persone non ne hanno avuto neppure la possibilità perché non vennero mai a conoscenza della Legge di Dio. Non spetta a noi fare valutazioni. Dio legge nel loro cuore e sa le loro circostanze. Inoltre, Dio, che è amore (1Gv 4:16), desidera “che tutti gli uomini siano salvati”. – 1Tm 2:4.

   Quando avviene questa più vasta e generalizzata risurrezione? Ciò ci riporta al problema iniziale posto da Ap 20:5: “Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi”. Avendo in mente il quadro che è stato tracciato, possiamo ora esaminare attentamente la questione.

Nel passo di Ap 20:5, la frase “gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi” è presente nel manoscritto Alessandrino (A) e nella Vulgata latina; manca però nel Codice Sinaitico (א) e nella Pescitta Siriaca (Syp). Tutti questi manoscritti sono del 5° secolo.

   Va detto anche che il greco di Giovanni non è particolarmente bello, contiene ripetizioni e presenta passaggi bruschi che possono apparire contrastanti. Va ricordato che gli apostoli non avevano la missione di scrivere ma quella di evangelizzare; non erano scrittori professionisti che si mettevano a tavolino per scrivere un libro né intendevano creare un’opera d’arte.

   La frase di Ap 20:5, oggetto della nostra analisi, fa parte di uno dei bruschi passaggi tipici di Giovanni. Nel contesto che parla degli eletti coeredi di Yeshùa (Rm 8:17), Giovanni inserisce un’osservazione che riguarda quelli che vivranno sulla terra.

   Alcuni traduttori fanno del loro meglio per tentare di rendere più comprensibile il passo di Ap 20:5. Una lettura frettolosa potrebbe perfino far cadere nell’errore. Si veda NR: “Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi. Questa è la prima risurrezione”; sembrerebbe che la “prima risurrezione” sia quella degli “altri morti”, cosa che non è perché 1Cor 15:23 e 1Ts 4:16 dicono diversamente. Meglio TNM che mette la frase tra parentesi: “(Il resto dei morti non venne alla vita finché i mille anni non furono finiti). Questa è la prima risurrezione”. La frase “questa è la prima risurrezione”, infatti, si riferisce a quanto appena detto al precedente v. 4. La Bibbia Concordata traduce “quella è la prima risurrezione”, per riferirsi proprio al v. 4.

   Il testo originale greco della frase è questo:

οἱ λοιποὶ τῶν νεκρῶν οὐκ ἔζησαν ἄχρι τελεσθῇ τὰ χίλια ἔτη

òi loipòi ton nekròn uk èzesan àrchi telesthè ta chìlia ete

i restanti dei morti non vissero finché furono compiuti i mille anni

   Il verbo ζάω (zào), di cui ἔζησαν (èzesan) è indicativo aoristo attivo alla terza persona plurale, significa non solo vivere e respirare ma anche avere una vita piena e vera, degna del nome. In Mt 9:18 uno dei capi della sinagoga chiede l’intervento di Yeshùa per la figlia appena morta, mostrandosi certo che così lei “vivrà”. Per dimostrare la resurrezione dei morti, Yeshùa cita Es 3:6: “Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: ‘Io sono il Dio d’Abraamo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe’? Egli non è il Dio dei morti, ma dei vivi” (Mt 22:31,32). Paolo, parlando di Yeshùa risuscitato, dice che “non muore più” e che “il suo vivere è un vivere a Dio” (Rm 6:9,10); qui si ha il pieno concetto di vita vera. Yeshùa “vive per la potenza di Dio” (2Cor 13:4). Paolo, come credente, si definisce “vivente riguardo a Dio” (Gal 2:19, TNM). La vedova che “che si abbandona ai piaceri, benché viva, è morta”. – 1Tm 5:6.

   Dal raffronto dei passi precedenti, si nota che la vera vita va oltre il semplice vivere e respirare. La vedova libertina è viva, tanto che si gode la vita a modo suo, ma Paolo la definisce morta. Quando Yeshùa dice di lasciare che “che i morti seppelliscano i loro morti” (Mt 8:22), definisce i vivi come morti perché la loro vita non vale nulla non essendo in armonia con Dio. I fedeli patriarchi, benché morti da secoli, sono vivi presso Dio che li risusciterà.

   Ora, in che senso “gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi” (Ap 20:5)? Tornano in vita perché respirano di nuovo oppure perché hanno una vita vera come i credenti che sono ‘viventi riguardo a Dio’ (Gal 2:19, TNM)?

   Vediamo com’è usato il verbo in questione – ζάω (zào) – nell’Apocalisse. Esso compare sette volte. In 1:18 Yeshùa si definisce “il vivente” e dice: “Sono vivo per i secoli dei secoli”; questa è vera vita. In 3:1 alla chiesa di Sardi è detto che ha fama di vivere ma è morta; qui si ha una vita che non è vera vita. In 4:9 è detto che le quattro “creature viventi rendono gloria, onore e grazie a colui che siede sul trono”; di certo hanno vera vita perché sono ammesse al trono divino. In 7:2 è menzionato il “Dio vivente”, l’autore stesso della vita e della vita vera.

   In 13:14 si parla della bestia satanica “era tornata in vita”; qui la forma del verbo assomiglia moltissimo a quella in questione: ἔζησεν (èzesen), indicativo aoristo attivo alla terza persona singolare (in Ap 20:5 è al plurale). Questa bestia selvaggia, benché “tornata in vita” (èzesen), fa poi una brutta fine perché è gettata viva nello stagno ardente (19:20). Vediamo quindi che il verbo ἔζησεν (èzesen) può anche indicare un rivivere temporaneo per poi essere annientati nella morte. In 20:4 si parla degli eletti che “tornarono in vita e regnarono con Cristo per mille anni”; è indubbio che qui si tratta di vita vera, perché gli eletti regnano con Yeshùa. Qui il verbo è ἔζησαν (èzesan), lo stesso identico usato per “gli altri morti” che “non tornarono in vita [ἔζησαν (èzesan)] prima che i mille anni fossero trascorsi” (Ap 20:5). Che senso gli va dato?

   Come si è visto, quel verbo, in quella stessa forma (indicativo aoristo attivo) può significare:

  • Tornare alla vita temporaneamente per essere poi distrutti. – Ap 13:14.
  • Tornare in vita per rimanere in vita e ottenere così una vita vera. – Ap 20:4.

   Il verbo in sé ci svela quindi solo la possibilità di due significati opposti. È solo dal contesto che possiamo perciò capire se “gli altri morti” che “non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi”, riprendono la vita per essere giudicati e morire poi definitivamente oppure per ottenere una vita piena e vera. Esaminiamo quindi le due ipotesi.

  1. “Tornarono in vita” temporaneamente? Ciò comporterebbe che questi morti, risuscitati solo alla fine del Millennio, sarebbero svantaggiati perché esclusi dal milleniale Regno di Dio; situazione notevolmente aggravata perché “quando i mille anni saranno trascorsi, Satana sarà sciolto dalla sua prigione e uscirà per sedurre” (Ap 20:7,8). Inoltre, siccome sono poi giudicati da Dio (Ap 20:12), c’è da domandarsi che senso avrebbe farli risuscitare per metterli in grave difficoltà e poi giudicarli per condannarli. Ciò è contrario all’amore e alla misericordia di Dio. Infine, si porrebbe un altro problema: su chi mai dovrebbero regnare gli eletti che “regnarono con Cristo per mille anni” se tali morti fossero risuscitati solo alla fine del Millennio?
  2.    “Tornarono in vita” nel senso pieno. Ciò comporterebbe che sono risuscitati durante il Millennio, che vivono sotto il Regno di Dio, che sono istruiti nelle vie di Dio e che possono poi affrontare la prova finale. Alla fine del Millennio, superata la prova, possono davvero tornare in vita nel senso pieno.

     Quest’ultima spiegazione risolve tutti i problemi ed è conforme al piano misericordioso di Dio. È conforme anche alle parole di Yeshùa in Gv 5:25-29:

“L’ora viene, anzi è già venuta, che i morti udranno la voce del Figlio di Dio; e quelli che l’avranno udita, vivranno . . . Non vi meravigliate di questo; perché l’ora viene in cui tutti quelli che sono nelle tombe udranno la sua voce e ne verranno fuori; quelli che hanno operato bene, in risurrezione di vita; quelli che hanno operato male, in risurrezione di giudizio”.

   Si presti qui attenzione al verbo “udire”, non facendo l’errore di leggerlo letteralmente, all’occidentale. Anche in italiano, del resto, quando diciamo a qualcuno: “Ascoltami”, non intendiamo semplicemente inviarlo ad ascoltare il suono della nostra voce ma indentiamo dire: “Dammi retta”. Così, il verbo greco ἀκούω (akùo) può significare sia ascoltare con l’udito sia prestare orecchio a un insegnamento. Quest’ultimo significato è presente anche più avanti, nello stesso Vangelo giovanneo, in 6:60: “Questo parlare è duro; chi può ascoltarlo?”, in cui il senso è che quell’insegnamento non poteva essere accolto. Così anche in Gv 8:43: “Non potete dare ascolto alla mia parola” (cfr. 8:47;10:3,27), non perché fossero sordi ma perché non volevano accettare quanto detto. Noi diremmo che non c’è peggior sordo di chi non vuole udire. Che questo sia il senso si deduce chiaramente anche dai tempi dei verbi usati in Gv 5:25: i morti, tutti, “udranno”, ma solo quelli che “l’avranno udita” vivranno. Detto in italiano: tutti i morti udranno/sentiranno la voce di Yeshùa ma solo quelli che avranno prestato ascolto vivranno ovvero “gli aventi ascoltato” (οἱ ἀκούσαντες, òi akùsantes).

   Tutti i morti devono risorgere e tutti “udranno” (ἀκούσουσιν, akùsusin – v. 28) la voce di Yeshùa che li istruisce. Ciò non può che avvenire nel Millennio sotto il Regno di Dio. Poi, alla fine, per “gli aventi agito” (οἱ ποιήσαντες, òi poièsantes – v. 29) bene, sarà “risurrezione di vita”, per “gli aventi praticato” (πράξαντες, pràcsantes – v. 29) male, sarà “risurrezione di giudizio [κρίσεως (krìseos); “sentenza di condanna”]”. Tutto ciò accade dopo che hanno udito la voce, non prima. Anche qui i tempi verbali danno la sequenza. I morti saranno giudicati non per quello che fecero in vita ma per ciò che faranno dopo aver udito l’insegnamento di Yeshùa.

   La risurrezione riporta in vita. Si tratta però di una vita condizionata. Se si agirà male, sarà resurrezione di condanna. Se si ubbidirà a Dio, sarà davvero risurrezione alla vita piena, vera e duratura. È a quest’ultimo buon esito finale che si riferisce Ap 20:5: “Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi”.