Partiamo da questa immagine:

“Lo sheòl ha dilatato la sua nèfesh

e ha spalancato la gola senza misura”.

Is 5:14, traduzione letterale dall’ebraico.

   Nel classico parallelismo ebraico, qui presente, nèfesh viene ad avere valore sinonimo di “gola”. Infatti è detto che si dilata. Ciò significa che qui nèfesh assume il significato di “gola” o “bocca”. È per questo che Ab 2:5 può riferirsi all’uomo avido definendolo come “colui che ha reso la sua nèfesh spaziosa proprio come lo Sceol, e che è come la morte e non si può saziare” (TNM, con sostituzione di nefesh – presente nel testo ebraico – ad “anima”). Qui nèfesh indica l’organo della nutrizione con cui l’uomo si sazia.

   La liturgia del ringraziamento del Sl 107 recita al v. 9: “Egli ha ristorato la nèfesh assetata e ha colmato di beni la nèfesh affamata”. Qui si parla di nèfesh assetata e affamata. Di certo non si tratta si sete e di fame spirituali: “Essi vagavano nel deserto per vie desolate . . . Soffrivano la fame e la sete” (vv. 4,5). Non si tratta dunque di “anima”, ma di nèfesh come “gola” o “bocca” che ha fame e sete. Dice Ec 6:7: “Tutta la fatica dell’uomo è per la sua bocca, però la sua nèfesh non viene riempita”. La “bocca” o “gola” fa pensare all’organo che ha sempre bisogno di nuovo cibo. E viene presa come figura del bisogno di novità che gli esseri umani hanno sempre. Tanto che il saggio dice al v. 9: “Vedere con gli occhi vale più del lasciare vagare la nèfesh”, dove si allude all’avidità mai domata della gola presa come immagine di quello che gli occidentali chiamerebbero poeticamente “golosità” ma intellettualmente “necessità egoistica di chi si sente nel bisogno”. Per dirla con Giacomo: “Voi bramate e non avete” (Gc 4:2). Is 29:8 parla di “un affamato” che “sogna ed ecco che mangia, poi si sveglia e la sua nèfesh è vuota”.

   È precisamente nella sua nèfesh che la persona sente che non può vivere con le sue sole risorse:

“Il Signore non permette che la nèfesh del giusto soffra la fame,

ma respinge insoddisfatta l’avidità degli empi”. – Pr 10:3.

   Anche questo passo indica chiaramente che nèfesh è qui sinonimo di “gola” e, contemporaneamente, indica che il termine allude allo stato di bisogno umano. La nèfesh saziata del giusto sta in antitesi al ventre vuoto del malvagio: “Il giusto mangia fino a saziare la nèfesh sua, ma il ventre dei malvagi sarà vuoto”. – Pr 13:25, TNM, con sostituzione di “nèfesh” ad “anima”.

   Si noti Pr 28:25: “Chi ha l’anima arrogante suscita contesa, ma chi confida in Geova [Yhvh nella Bibbia] sarà reso grasso” (TNM). Ciò che viene reso con “anima arrogante” è nella Bibbia רְחַב־נֶפֶשׁ (rekhàv-nèfesh): e che di altro si tratta se non della gola spalancata? Questo sta ad indicare l’uomo che vuole con eccessiva avidità soddisfare ad ogni costo il suo bisogno (cfr. Ab 2:5 già commentato). Con il suo linguaggio sempre concreto, l’ebraico biblico usa una parte del corpo umano – qui, la gola – per indicare una funzione che assume significato anche morale, e che TNM rende, mischiando il letterale nèfesh (reso “anima”) con l’occidentale “arrogante”.

   Che nèfesh stia ad indicare l’uomo bisognoso è provato anche dal fatto che la parola indica la “gola” che viene ristorata da Dio.

“Quelli verranno e canteranno di gioia sulle alture di Sion,

affluiranno verso i beni del Signore:

al frumento, al vino, all’olio,

al frutto delle greggi e degli armenti;

essi saranno come un giardino annaffiato,

non continueranno più a languire”. – Ger 31:12.

   Al v. 25 è detto: “Poiché io ristorerò la nèfesh stanca, sazierò ogni nèfesh languente”.

   Sete, acqua e nèfesh sono nella Bibbia collegati spesso tra loro: “Una buona notizia da un paese lontano è come acqua fresca per una nèfesh stanca e assetata” (Pr 25:25). Qui nèfesh assume il valore di “gola”. Si confrontino:

“La mia nèfesh è assetata di Dio”. – Sl 42:2. “E ora siamo inariditi; non c’è più nulla!”. – Nm 11:6.

   In quanto organo che sente la fame e la sete, nèfesh è anche l’organo della percezione dei sapori: “La nèfesh sazia calpesterà il miele di favo, ma alla nèfesh affamata ogni cosa amara è dolce” (Pr 27:7, TNM, con sostituzione di nèfesh ad “anima”). Ovviamente la nèfesh affamata, che percepisce come dolci anche le vivande amare, cioè la “bocca”, è considerata complessivamente come organo del gusto insieme alla lingua e al palato. È ovvio che non è la bocca che disprezza il miele e lo calpesta, ma l’uomo, il cui comportamento è dettato dalla sazietà della bocca.

   La nèfesh non percepisce solo il gusto piacevole, ma anche quello sgradevole. Israele si lamenta: “Non c’è pane e non c’è acqua, e la nostra nèfesh ha preso ad aborrire il pane spregevole” (Nm 21:5b, TNM, con sostituzione di nèfesh ad “anima”).

   La nèfesh non è considerata solo come organo della nutrizione, ma anche come organo del respiro: la zebra o asina o cammella (secondo le traduzioni) di Ger 2:24, “abituata al deserto, alla brama della nèfesh” “fiuta il vento” (TNM, con sostituzione di nèfesh ad “anima”). Così, ad esempio, rantola la madre impotente di Ger 15:9: “La donna che [ne] partoriva sette è deperita; la sua nèfesh ha ansimato” (TNM, con sostituzione di èefesh ad “anima”). In Gn 35:18 mentre Rachele muore “la sua nèfesh se ne usciva” (TNM, con sostituzione di nèfesh ad “anima”; da qui in avanti, in questo studio, citando TNM non sarà più apposta la nota precedente: al suo posto comparirà TNM*). Si tratta del respiro che esce, appunto, dalla bocca, come se fosse la bocca stessa ad andarsene. Allo stesso modo la nèfesh, il respiro della bocca, torna nel figlio della vedova di Sarepta: “Mio Dio, ti prego, fa che la nèfesh di questo fanciullo torni in lui”. – 1Re 17:21, TNM*.

   La “bocca” o “gola”, pertanto, in quest’anatomia ancora primitiva sta ad indicare sia il condotto della respirazione che quello della nutrizione.

   Se “le acque” “circondarono fino alla nèfesh” c’è il pericolo di affogare (Gna 2:5, TNM*). “Allora le medesime acque ci avrebbero travolti, il torrente stesso sarebbe passato sulla nostra nèfesh”. – Sl 124:4, TNM*; cfr. Is 8:8;30:28: “Inonderà e passerà sopra. Giungerà fino al collo”, “Come un torrente che straripa, giungendo fino al collo”, TNM.

   Solo se si considera la nèfesh come organo del respiro diventano comprensibili i tre passi biblici in cui la radice √nfsh (√נפש) viene usata con valore verbale:

“Alla fine il re e tutto il popolo che era con lui arrivarono stanchi. Là dunque si ristorarono”. – 2Sam 16:14, TNM.

יִּנָּפֵשׁ (ynapèsh)

“tirarono il fiato”

“Per sei giorni devi fare il tuo lavoro; ma il settimo giorno devi desistere, perché il tuo toro e il tuo asino si riposino e il figlio della tua schiava e il residente forestiero si ristorino”. – Es 23:12, TNM.

יִנָּפֵשׁ (ynapèsh)

“tirino il fiato”

“In sei giorni Geova fece i cieli e la terra e il settimo giorno si riposò e si ristorava”. – Es 31:17, TNM.

יִּנָּפַשׁ (ynapàsh)

“tirò il fiato”

   Anche in accadico (la vera sorgente delle lingue, anziché il mitologico e mai esistito indoeuropeo) la forma napashu  significa soffiare, sbuffare, respirare liberamente (cfr. W. Von Soden, Ahw, pag. 736, e Nephesh, pag. 119). Sempre in accadico, napishtu indica in primo luogo la gola, poi la vita e infine un essere vivente (Ahw, Ibidem pag. 738). In ugaritico npsh (le stesse identiche consonanti dell’ebraico nèfesh, essendo la p/f la stessa lettera, פ, di cui cambia solo la pronuncia) indica la gola, l’appetito, il desiderio. L’arabo nafsun può ugualmente indicare il fiato, l’appetito, la vita e la persona. La semantica della parola ebraica nèfesh mostra molti paralleli con le lingue semitiche affini.