Nota:

In questo studio, citando TNM sarà sostituita alla parola italiana quella originale ebraica; ciò sarà indicato così: TNM*.


 

Abbiamo visto che la nèfesh come collo e gola fa riferimento al bisogno dell’uomo: mangiare, bere, respirare, scampare dal pericolo. La parola nèfesh è quindi strettamente connessa anche a nozioni vitali come desiderare, bramare, aspirare, domandare, chiedere.

   Questo ultimo è inequivocabilmente il caso di tutti quei passi biblici in cui la nèfesh umana viene situata al di fuori della persona stessa.

   Si prenda Sl 35:25:

“Oh non dicano nel loro cuore: ‘Aha, la nostra nèfesh!’.

Non dicano: ‘Lo abbiamo inghiottito’”. – TNM*.

   Qui il salmista immagina le parole dei suoi persecutori che già dicono: “Ah! La nostra nèfesh!”. Della nèfesh di chi si parla? Di quella del salmista. I suoi persecutori possono rallegrarsi e dire: “La nostra nèfesh! Lo abbiamo divorato!”. Qui il salmista è rappresentato come nèfesh dei suoi nemici. E non possiamo davvero pensare in termini di “collo” o di “gola” dei suoi nemici. Possiamo pensare qui al salmista-nèfesh solo come oggetto del desiderio, della bramosia dei suoi persecutori: un oggetto del loro godimento. Ottima la traduzione di NR: “Che non dicano in cuor loro: ‘Ah, ecco il nostro desiderio!’. Che non dicano: ‘Lo abbiamo divorato’”. TNM ricorre alla nota in calce: “Cioè, ‘Quello che le nostre anime volevano!’”, ma sbaglia bersaglio, perché non si tratta delle “anime” dei persecutori ma della nèfesh (l’ebraico ha il singolare) del salmista che essi volevano.

   Quando Pr 13:2b dice che “la medesima nèfesh di quelli che agiscono slealmente è violenza” (TNM*), sta indicando con nèfesh la bramosia o il desiderio dei prevaricatori. È questo desiderio-nèfesh che è violenza. Qui la nota in calce di TNM sembra avvicinarsi di più: “Ma la medesima anima (desiderio dell’anima) di” (il grassetto è loro), ma dimostra di non comprendere del tutto il punto se parla del “desiderio dell’anima di”. Se abbiamo inteso bene, la frase della nota è intercambiabile con quella del testo, per cui avremmo: “Ma il medesimo desiderio dell’anima di quelli che agiscono slealmente è violenza”. Se è così, l’espressione ebraica non è stata compresa. Il passo dice: “Il desiderio-nèfesh dei perfidi è violenza”. Si veda come questo intendimento errato porta alla confusione in Pr 23:2 in TNM*: “Ti devi mettere un coltello alla gola se sei proprietario [di un desiderio] della nèfesh”. È ovvio che qui la nèfesh è quella di chi farebbe meglio a mettersi un coltello alla gola piuttosto che essere dominato interamente dall’istinto della fame. Secondo la dottrina dei traduttori, la nèfesh “si riferisce all’intera persona” (Cosa accade quando si muore? pag. 19, § 6). Avremmo quindi un ‘proprietario [di un desiderio] della persona stessa’. Sembra un gioco di parole. Ma se il “proprietario” è ‘la persona stessa’, il passo direbbe che si tratta di un ‘proprietario [di un desiderio] del proprietario’. Ne viene fuori una tautologia che non ha senso. Meglio affidarci al testo biblico: “Ti devi mettere un coltello alla gola se possiedi un desiderio-nèfesh”. Ancora una volta nèfesh assume il valore di “desiderio”. È, infatti, uno di quei casi in cui nèfesh appare al di fuori della persona. In questi casi nèfesh designa non un desiderio dell’anima, ma il desiderio stesso, l’istinto umano del desiderare.

   L’oscura frase di TNM* che rende Os 4:8 dice:

“Continuano a divorare il peccato del mio popolo, e al loro errore continuano a innalzare la loro nèfesh”.

   Qui si dice: “Si nutrono avidamente dei peccati del mio popolo, sollevano la loro nèfesh-gola verso la sua colpa”. L’immagine è quella di persone fameliche che allungano avidamente il collo per divorare il cibo. La parola nèfesh assume qui il valore di “bocca” unito a quello di “bramosia”.

   In tal modo l’organo viene collegato alle sue specifiche emozioni, facendo riferimento al corrispondente comportamento della persona intera. Un occidentale direbbe, in modo astratto, che una persona provando certe emozioni agisce in un certo modo. La praticità dell’ebreo dei tempi biblici fa invece questo ragionamento: Il desiderio nasce in gola, quindi la gola è sede del desiderio, e siccome l’uomo è nèfesh, il suo bramare è gola-nèfesh. Qualcosa di simile l’occidentale lo esprime dicendo: “Mi fa gola”.

   Di Sichem e di Dina è detto in Gn 34:2,3:

“Sichem figlio di Emor l’ivveo, un capo principale del paese, la vedeva, e quindi la prese e giacque con lei e la violentò. E la sua nèfesh si stringeva a Dina figlia di Giacobbe, e si innamorò della giovane e parlava alla giovane in maniera persuasiva”. – TNM*.

   Per essere più letterali ci riferiamo al testo ebraico: “Aderì nèfesh di lui a Dina” (תִּדְבַּק נַפְשֹׁו בְּדִינָה, tidbàq nafshò bedinàh). Non si deve qui pensare all’aderire fisico del corpo durante il rapporto sessuale. Se ci si limita a fare l’equazione nèfesh = persona potrebbe sembrare così. Ma si noti che il rapporto fisico era già stato detto per ben tre volte con le parole: “La prese, giacque con lei e la violentò”. Solo dopo il rapporto fisico è detto che la “nèfesh di lui aderì a Dina”. Il significato vero della frase lo si può anche desumere dalle parole che, nella frase, seguono come logica conseguenza: “E si innamorò della giovane”. Quindi, ‘l’aderire della nèfesh’ mette in risalto l’avido desiderio di un’unione duratura. Tanto è vero che poi chiederà di sposarla.

   Anche l’amore paterno e l’amore per un amico è un sentimento che si compie con la nèfesh: “Appena andrò da mio padre, tuo schiavo, senza [avere] con noi il ragazzo, essendo la nèfesh di quello legata alla nèfesh di questo […]” (Gn 44:30, TNM*), “La medesima nèfesh di Gionatan si legava alla nèfesh di Davide”. – 1Sam 18:1, TNM*; “medesima” è solo un’aggiunta superflua di TNM, che ama aggiungere spesso questo aggettivo inutile.

   La nèfesh-desiderio è generalmente il desiderio non sazio che spinge all’azione. Per questo in Pr 16:26 si può dire: “La nèfesh di chi lavora duramente ha lavorato duramente per lui, perché la sua bocca ha fatto duramente pressione su di lui” (TNM*). Ancora una volta non si tratta semplicemente della persona o del corpo della persona, altrimenti dovremmo ammettere una strana tautologia senza senso in cui il corpo di una persona lavorerebbe per quella stessa persona. Invece, essendo qui la nèfesh vista come qualcosa di esterno alla persona, siamo nel classico caso in cui si tratta di nèfesh-desiderio. Questo “bramare” della persona è chiamato nèfesh e la “bocca” lo suscita. Si tratta della gola (fame) in azione.

   In Dt 23:24 troviamo questa fame all’opera. Dobbiamo citare da TNM* perché è più letterale, ma dovremo poi fare delle osservazioni sulla traduzione. Il passo recita in italiano: “Nel caso che tu entri nella vigna del tuo prossimo, devi mangiare solo abbastanza uva per saziare la tua nèfesh, ma non ne devi mettere in un tuo recipiente”. Intanto non si tratta di occasione fortuita, per cui l’espressione usata dalla traduzione (“nel caso che”) è fuori luogo. Qui si tratta di una persona affamata, non di qualcuno che passeggia e per caso capita in una vigna: l’ebraico inizia la frase con כִּי (ki): “Quando”. Poi non si tratta di saziare la nèfesh come se fosse ‘se stesso’ (nota in calce di TNM); l’ebraico ha כְּנַפְשְׁךָ (kenafshècha): “Secondo la tua nèfesh), ovvero secondo il bisogno-nèfesh (nel testo ebraico è al v. 25). Con la sazietà è fissato il confine della nèfesh in quanto desiderio/bisogno soddisfatto.

   La nèfesh in quanto tale rappresenta il desiderio che non conosce vincoli. Se qualcuno voleva dividersi da una donna fatta prigioniera in guerra, poteva mandarla via “a gradimento della sua propria nèfesh”, ovvero secondo il desiderio di lei, affidandosi alla volontà della donna (Dt 21:14, TNM*), così come venivano liberati gli schiavi “col consenso della loro nèfesh”. – Ger 34:16, TNM*.

   Ancora più frequente è l’uso di nèfesh per indicare la persona nel suo ardente desiderio. Così, Sl 42:2, usando l’immagine di chi muore di sete, dice: “La mia nèfesh in realtà ha sete di Dio” (TNM*). E così, in 1Sam 1:15 troviamo la sterile Anna che sfoga la sua nèfesh (il suo ardente desiderio insoddisfatto) davanti a Dio e dice: “Verso la mia nèfesh”. – TNM*.

   L’ammonimento di Dt 6:5 di amare Dio con tutta la propria nèfesh sta quindi ad indicare che la persona dovrebbe coinvolgere tutta la sua vitalità e tutta la sua ardente aspirazione nell’amore del Dio unico di Israele. Si veda Flp 1:27: “State fermi in un solo spirito, combattendo a fianco a fianco con una sola anima” (TNM), in cui “una sola anima” significa in una comune aspirazione, in parallelo a “in un solo spirito”, e non “come un sol uomo”. – Nota in calce di TNM.