Per le parti esterne del corpo vale, come per gli organi interni, che la singola parte del corpo viene vista insieme alla sua attività e alle sue capacità.
1. – Membra.
Si notino questi due passi:
“Afferrò la sua concubina e la tagliò secondo le ossa in dodici pezzi”. – Gdc 19:29. |
“Le ossa che hai schiacciato gioiscano”. – Sl 51:8. |
(TNM)
Al lettore non appare, nella traduzione, nessuna differenza in quanto alle ossa: in tutti e due i passi si parla di “ossa”. Nella traduzione. Ma l’ebraico ha nel primo caso עצמים (atzimìm), nel secondo עצמות (atzamòt). Il primo è un plurale maschile, il secondo un plurale femminile. Una differenza deve quindi esserci. La differenza sta nel fatto che il plurale di “osso” (עצם, ètzem) viene reso con il femminile atzamòt. Il plurale maschile atzimìm indica le “membra”. Nel passo sopra citato di Gdc il corpo della concubina viene tagliato “secondo le membra”, il che ha un senso: se ne vogliono trarre 12 pezzi per inviarne uno a ciascuna delle dodici tribù d’Israele (a chi un piede, a chi una mano, e così via); non ha invece senso la divisione “secondo le ossa”. – TNM.
a) La parola ebraica רגל (règhel) sta per “gamba” o “piede”. Quando Abraamo invita i suoi ospiti dice loro: “Lasciate che si porti un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e riposatevi sotto quest’albero” (Gn 18:4). Ma quando Is 52:7 dice che “sono belli, sui monti, i piedi del messaggero di buone notizie”, non intende certo la bellezza dell’aspetto dei piedi. Si tratta di linguaggio concreto ebraico. Noi diremmo: ‘Quanto è bello il passo di chi porta buone notizie!”. Si tratta del suo rallegrante avvicinarsi che suscita emozione, emozione che non si coglie nel tiepido “sono piacevoli sui monti i piedi” scelto da TNM. Così, quando in Gn 30:30 Giacobbe dice a Labano che, durante il tempo in cui lo ha servito, le proprietà degli aramei si sono enormemente accresciute e che Dio lo ha benedetto לְרַגְלִי (leraghlì), ciò non significa ‘a misura del mio piede’, ma “secondo i miei passi” ovvero secondo le azioni da lui intraprese; “dovunque io ho messo il piede” (NR), se vogliamo stare più su un letterale che sia comprensibile anche all’occidentale; TNM sembra non aver compreso l’ebraico e traduce: “da che venni io”.
b) Il braccio in quanto membro corporeo viene detto זרוע (zeroà), ad esempio quando si parla del braccialetto come ornamento: “[Presi] il braccialetto che aveva al braccio” (2Sam 1:10). Tuttavia, cosa è l’“uomo di braccio” (אִישׁ זְרֹועַ, ish zeroà) di Gb 22:8? È l’uomo che è ‘tutto braccio’ o ‘solo braccio’: un violento. Un violento che ha “mandato via le vedove a mani vuote” (v. 9, TNM) È un po’ di più dell’“uomo di forza” di TNM. Giosuè, lui era uomo di forza (Gs 1:6), ma non era violento. Così, nel linguaggio sempre concreto degli ebrei, si può anche parlare del braccio di un intero popolo. Di Moab si dice che “il suo braccio è spezzato” (Ger 48:25), ovvero la sua forza in combattimento (v. 14). Dobbiamo avere in mente ciò che vedeva l’ebreo: il braccio porta la spada. Assur “presta il suo braccio ai figli di Lot” (Sl 83:8): fornisce loro aiuti militari.
c) Il membro di gran lunga più ricorrente è “mano”, יד (yàd). Il membro del corpo che afferra e prende, in quanto tale, è menzionato nella legge del taglione (Es 21:24; Dt 25:11,12). Quando uno porge ad un altro la mano, il gesto è segno di sincero sentimento e di una volontà di reciproco aiuto: “Ieu partì di là e trovò Ionadab, figlio di Recab, che gli veniva incontro; lo salutò, e gli disse: ‘Il tuo cuore è leale verso il mio, come il mio verso il tuo?’. Ionadab rispose: ‘Lo è’. ‘Se è così’, disse Ieu, ‘dammi la mano’. Ionadab gli diede la mano” (2Re 10:15). “Giacomo, Cefa e Giovanni, che sono reputati colonne, diedero a me [Paolo] e a Barnaba la mano [greco: “[le] destre”] in segno di comunione” (Gal 2:9). In Gb 2:6 Dio dice all’avversario (satàn) di Giobbe: “È nella tua mano!” (TNM), intendendo con questo: “Egli è in tuo potere” (NR). A volte l’immagine di “mano” come membro del corpo si ritira quasi del tutto dietro il significato di forza che assume. Così, in Pr 18:21 è giusto tradurre (per renderlo comprensibile al lettore occidentale): “Morte e vita sono in potere della lingua”; l’ebraico “sono nella mano della lingua” sarebbe incomprensibile per l’occidentale. In Gdc 7:2 la frase, invece, può ancora essere compresa dall’occidentale nella sua forma letterale: “La mia mano mi ha salvato”. Ma una versione letterale diventa impossibile quando degli abitanti di Ai di fronte all’incendio della loro città viene detto che “non vi erano per loro due mani [yadàyim, al duale] per fuggire” (Gs 8:20); occorre tradurre: “Non c’era la capacità di fuggire” (TNM) o, meglio ancora, “non vi fu per loro alcuna possibilità di fuggire” (NR); diversamente, l’occidentale non comprenderebbe. “Alzare la mano” può diventare un termine per indicare un’insurrezione rivoluzionaria: “Anche lui [Geroboamo] alzava la mano contro il re” (1Re 11:26, TNM). L’espressione, con “mani” al duale, può anche indicare il pregare: “Io voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando mani pure” (1Tm 2:8); gli ebrei pregavano alzando le mani al cielo (Sl 141:2). La mano destra e la sinistra vengono distinte, ad esempio nella descrizione dell’abbraccio degli amanti: “La sua sinistra sia sotto il mio capo, la sua destra mi abbracci!” (Cant 2:6). Tuttavia, destra e sinistra esprimono anche l’opposizione tra forza e debolezza (Gn 48:14), tra sapienza e stoltezza. – Ec 10:2.
d) La parola אצבע (ezbà) significa “dito”, sia quello della mano che quello del piede. Il gigante Gat “aveva sei dita in ciascuna mano e in ciascun piede, in tutto ventiquattro dita” (2Sam 21:20). Per dare indicazioni riservate, i “segni con le dita” sono più adatti di quelli fatti con l’intera mano (Pr 6:13). Si noti la descrizione degli idoli fatta in Is 2:8: “Il suo paese è pieno d’idoli: si prostra davanti all’opera delle sue mani, davanti a ciò che le sue dita hanno fatto” (cfr. 17:8). Le mani indicano la fattura umana degli idoli deificati, le dita indicano il lavoro artistico. Forse anche l’esaltazione del cielo come opera fatta dalle “dita” di Dio si riferisce all’arte con cui il Creatore ha cesellato il cielo tempestandolo di stelle, così che offre uno stupefacente spettacolo: “Considero i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai disposte”. – Sl 8:3.
e) La “testa” (ראש, rosh) permette il conteggio delle singole persone in un gruppo riunito: “Un omer a testa” (Es 16:16). L’ebraico ha “a cranio”, לַגֻּלְגֹּלֶת (lagulgòlet); non è necessario ricorrere ad un giro di parole con l’espressione “un omer per ciascun individuo” di TNM: “a testa” è letterale e comprensibile. Dato che con la testa viene messa in pericolo la vita del singolo, Achis può nominare Davide guardia del corpo, dicendo: “Guardia della mia testa” (1Sam 28:2, TNM). Chinare la testa è un segno di umiliazione (Lam 2:10), rialzarla significa la fine dell’umiliazione (Sl 3:3). La testa può diventare immagine di tutto ciò che è alto; quando il Gn 8:5 si dice che “apparvero le vette dei monti”, l’ebraico ha “le teste dei monti”. La testa, similmente, può indicare anche ciò che è dominante: “Il Signore sarà alla loro testa”. – Mic 2:13.
2. – Grandezza.
Se si vuol descrivere la figura umana nella sua intera grandezza, lo si considera “dalla pianta del piede fino alla testa” (Is 1:6) o, ancor più precisamente, “fino alla sua cima” (עַד קָדְקֳדֶךָ, ad qadqodècha), espressione che le traduzioni aggiustano per renderla comprensibile a chi non conosce l’ebraico: “[fino] alla sommità del capo” (Dt 28:35, TNM), aggiungendo “del capo”. L’israelita sembra non essere stato, in generale, particolarmente alto. Ritrovamenti di ossa in una fossa comune a Geser fanno concludere che l’altezza media era per gli uomini di 1,77 m e per le donne di 1,60 m (L. Köhler, Mensh 10). Così non solo Davide ha davanti a sé un gigante nel campione dei filistei “alto sei cubiti e un palmo” (1Sam 17:4; circa 2,70 m), ma gli israeliti stessi si reputavano più piccoli degli altri popoli. Am 2:9 riferisce che gli antichi abitanti di Canaan erano tanto alti che la loro “statura era come l’altezza dei cedri”. Gli israeliti, in Dt 1:28, riferendosi a loro dicono: “Quella gente è più grande e più alta di noi”. La differenza di altezza tra ebrei e cananei diventa la lagna principale degli esploratori in Nm 13:32,33: “Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese che divora i suoi abitanti; tutta la gente che vi abbiamo vista, è gente di alta statura; e vi abbiamo visto i giganti, figli di Anac, della razza dei giganti. Di fronte a loro ci pareva di essere cavallette; e tali sembravamo a loro”.
Tuttavia, Dio non guarda alla grandezza o all’altezza fisica della figura umana e non vuole neppure che ci si lasci determinare da ciò nel giudizio sugli altri: “Non badare al suo aspetto né alla sua statura . . . infatti il Signore non bada a ciò che colpisce lo sguardo dell’uomo: l’uomo guarda all’apparenza, ma il Signore guarda al cuore [= al modo di pensare]” (1Sam 16:7). Dio ha il potere di abbassare colui che sovrasta e di alzare il piccolo. – 1Sam 16:7,8; Ez 21:31; Sl 75:8.
3. – Bellezza.
Quando una persona è bella? L’interesse per questo quesito cresce durante il tempo del re Salomone. L’aggettivo יפה (yafèh), “bello”, che la Bibbia ebraica adopera 28 volte per indicare il bell’aspetto umano, appare ben 12 volte solo nelle grandi opere letterarie del tempo salomonico. Nel Cantico vi appare 11 volte. Occorre poi aggiungere l’uso non raro di tov (טוב), “buono”, con il significato di “bello”. In Gn 6:2, per fare un esempio, si dice che “le figlie degli uomini erano belle”, e qui l’ebraico ha “buone” (טֹבֹת, tovòt). L’attenzione per la bellezza è nella Bibbia cosa antichissima. Le più amate madri di Israele, ci viene detto, erano belle. A Sara il marito dice: “Tu sei una donna di bell’aspetto” (Gn 12:11); anche “gli Egiziani osservarono che la donna era molto bella” (v. 14). Rebecca, dice Gn 24:16, “era molto bella d’aspetto”. “Rachele era avvenente e di bell’aspetto” (Gn 29:17). La bellezza è anzitutto una questione di aspetto (come si legge nei passi appena citati) e di figura. La figura è importante soprattutto per la bellezza maschile: “Giuseppe era avvenente e di bell’aspetto” Gn 39:6); “[Davide] era biondo, aveva dei begli occhi e un bell’aspetto” (1Sam 16:12; cfr. 16:18;17:42). Davide appare come un ideale di perfezione: “Un uomo forte, valoroso, un guerriero, parla bene, è di bell’aspetto e il Signore è con lui” (1Sam 16:18). Senza quest’ultima cosa (“il Signore è con lui”) l’essere umano appare incompleto. In quanto al fatto che Davide fosse biondo, questo aggiungeva un fascino incredibile: ancora oggi le israeliane vanno in brodo di giuggiole di fronte al un uomo biondo, rarissimo nello Stato di Israele. Di Absalom è detto: “Dalla pianta del piede fino alla sommità del capo non c’era in lui nessun difetto”. – 2Sam 14:25.
Sugli elementi che tracciano i criteri per definire la bellezza, siamo ben istruiti dal Cantico dei Cantici. Quando la ragazza descrive il suo amato in Cant 5:10-16, il suo sguardo innamorato lo scorre dalla testa ai fianchi:
“Il mio amore è bello e forte,
lo si riconosce tra mille.
Il suo volto è come l’oro più puro,
i suoi capelli sono folti e ricciuti,
neri come il corvo.
I suoi occhi sono colombe
accanto a un ruscello.
Le sue pupille galleggiano sul latte,
come colombe su uno specchio d’acqua.
Le sue guance sono aiuole
di piante profumate e di spezie.
Le sue labbra sono gigli,
bagnate di olio di mirra.
Le sue mani sono anelli d’oro
cariche di pietre preziose.
Il suo petto è una piastra d’avorio
coperta di zaffiri.
Le sue gambe sono colonne di marzo bianco
poggiate su basi d’oro puro.
Egli ha l’aspetto delle montagne del Libano,
è magnifico come gli alberi di cedro.
La sua bocca è dolcissima;
tutto, in lui,
risveglia il mio desiderio.
Ecco,
così è il mio amore, il mio amico,
ragazze di Gerusalemme!”. – PdS.
Un’impressione di colori, grandezza, forza e dolcezza incornicia l’immagine dell’amato. Si notino i colori: i capelli d’un nero corvino, il bianco-latte degli occhi, l’oro del colorito del volto abbronzato, l’avorio del corpo. E si notino le forme: i riccioli dei capelli, le labbra a calice di giglio, i cilindri delle braccia, le colonne delle gambe. Non mancano i profumi: le guance hanno il respiro di vita delle aiuole profumate di spezie, la bocca sa di giglio e di mirra. La bellezza non viene confrontata solo con quella della flora e della fauna, ma anche con quella dei paesaggi; ruscelli, stagni, il Libano; anche con quella delle opere artistiche della gioielleria e dell’architettura: anelli, pietre preziose, oro, zaffiri, avorio, marmo.
Più numerosi sono i canti d’amore dedicati alle donne. In Cant 7:2-6 leggiamo come lo sguardo incantato dell’ammiratore sale dai piedi ai capelli:
“Come sono belli i tuoi piedi nei sandali, principessa.
Le curve dei tuoi fianchi
sono davvero un’opera d’arte.
Lì c’è una coppa rotonda;
che non manchi mai
di vino profumato!
Il tuo ventre è come un mucchio di grano
circondato da gigli.
I tuoi seni sono come due cerbiatti
o due gemelli di una gazzella.
Il tuo collo assomiglia alla Torre d’avorio.
I tuoi occhi sembrano i laghetti del Chesbon,
vicino alla porte di Bat-Rabbim.
Il tuo naso è come la Torre del Libano,
che sorveglia la città di Damasco.
La tua testa si erge fiera
come il monte Carmelo.
I tuoi capelli hanno riflessi color porpora;
un re è stato preso dalle tue trecce!”. – PdS.
Accanto alle similitudini viventi della natura, predominano come norma di rappresentazioni i capolavori dell’arte figurativa. Quando il collo e il naso vengono descritti come una torre, il pensiero non va all’aspetto ma all’atteggiamento di orgogliosa inavvicinabilità (che forse vuole sottintendere la verginità della ragazza).
Tuttavia, la bellezza è – al più – la penultima cosa. La bellezza non solo può essere pericolosa (Gn 12:11,12), ma può anche essere ingannevole. Pr 11:22 insegna a guardare più a fondo: “Una donna bella, ma senza giudizio, è un anello d’oro nel grifo di un porco”. E Pr 31:30 richiama a ciò che è più duraturo: “La grazia è ingannevole e la bellezza è cosa vana; ma la donna che teme il Signore è quella che sarà lodata”.
Is 53:2,3 del servo di Dio – che ha portato “le nostre malattie” (v. 4) e che “è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità” (v. 5) – dice:
“Non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi,
né aspetto tale da piacerci.
Disprezzato e abbandonato dagli uomini,
uomo di dolore, familiare con la sofferenza,
pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia,
era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna”.
La bellezza è molto relativa. “Babilonia, lo splendore dei regni, la superba bellezza dei Caldei”, ebbene, “sarà come Sodoma e Gomorra quando Dio le distrusse” (Is 13:19; cfr. Ap 14:8;18:2,21). Satana era “di una bellezza perfetta” (Ez 28:12); di certo lo è ancora, sapendo travestirsi “da angelo di luce”. – 2Cor 11:14.