Dio ha un luogo?

   È semplicemente ovvio che Dio non abbia un luogo nell’universo fisico, sia nei cieli fisici sia sulla terra. “La sua dignità è al di sopra della terra e del cielo”. – Sl 148:13, TNM.

   Allora ha forse un luogo nei cieli spirituali? Questo è ciò che pensa il direttivo d’oltreoceano dei Testimoni di Geova, che afferma “I ‘cieli’ rappresentano Dio stesso e la sua posizione sovrana. Il suo trono è nei cieli, cioè nel reame spirituale su cui pure domina. (Sl 103:19-21; 2Cr 20:6; Mt 23:22; At 7:49) Dalla sua suprema o eccelsa posizione Geova in effetti ‘guarda’ i sottostanti cieli fisici e la terra” (Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 1, pag. 485).  A parte il solito errore di leggere la Bibbia letteralmente, si sposta l’insostenibilità del “luogo” di Dio dalla dimensione fisica a quella spirituale, ma l’insostenibilità rimane. Il reame spirituale viene qui infatti trattato come quello fisico, essendo da quel luogo spirituale che – secondo il direttivo americano – Dio “’guarda’  i sottostanti cieli fisici e la terra” (Ibidem). “Sottostanti”? La scienza ha superato da un pezzo l’idea di un sopra e di un sotto riferito al cielo. Immaginare un cielo spirituale in alto, da cui Dio guarderebbe “i sottostanti cieli fisici e la terra” significa replicare l’errore spostandolo nella dimensione spirituale.

   Il fatto è che Dio non è una cosa che occupa spazio. Dio non è neppure una cosa spirituale che occupa sazio spirituale. Se così fosse, Dio sarebbe collocabile dentro la sua stessa creazione, il che è un assurdo che sa di blasfemia.

   Dio allora non ha un “luogo” suo? La Bibbia contiene al riguardo una verità meravigliosa e sorprendente, su cui sarebbe il caso di meditare. Ma le verità bibliche non si colgono se la traduzione le nasconde. Nessuno si soffermerebbe più di tanto per analizzare un versetto tradotto così:

“A suo tempo [Giacobbe] giunse in un luogo e si accinse a passarvi la notte”. – Gn 28:11, TNM.

   Occorre riferirsi al testo ebraico per cogliere il punto:

וַיִּפְגַּע בַּמָּקֹום

vayfgà bamaqòm

e giunse nel luogo

   Che differenza fa? Intanto si dice non che giunse “in un luogo”, il che significherebbe in un luogo qualsiasi. Si dice che giunse “nel luogo”. Si tratta di un luogo particolare. E quale? Il contesto ci fa sapere che “Giacobbe continuò il suo cammino da Beer-Seba e andava ad Haran” (v. 10, TNM). Fu in quel tratto di strada che “giunse nel luogo”. Non era Haran (la meta del suo viaggio), perché era solo una tappa, giacché “si accinse a passarvi la notte perché il sole era tramontato” (v. 11, TNM). Per il lettore distratto è facile immaginare che potesse trattarsi solo di “un luogo” (TNM), un luogo qualsiasi lungo il cammino per passarvi la notte. E questa era l’intenzione di Giacobbe. Solo che quello non era un luogo qualsiasi: era il luogo. Che avesse qualcosa di speciale si comprende subito dopo. Giacobbe si mette e dormire e sogna che “sulla terra era poggiata una scala e la sua cima giungeva fino ai cieli; ed ecco, su di essa salivano e scendevano gli angeli di Dio” (v. 12, TNM). “Luogo” in ebraico si dice מָּקֹום (maqòm). E nella Scrittura Dio non ha un maqòm, un “luogo”, ma presso Dio c’è un maqòm. A Mosè che sta per contemplare la gloria dell’Onnipotente dopo che è passata, Dio stesso trova un luogo presso di lui: “Ecco un luogo [מָּקֹום (maqòm)] presso di me”. – Es 33:21, TNM.

   Dio non ha un luogo, ma casomai è il luogo. È il luogo del mondo: “In lui viviamo, ci moviamo, e siamo” (At 17:28). Dio non ha un indirizzo geografico, sia pure spirituale. Dio appare negli eventi, negli atti del tempo, nella storia. Dio è “Colui che è”. È presente eppure nascosto. “Se lo cerchi, egli si lascerà trovare da te; ma se lo abbandoni, egli ti respingerà”. – 2Cron 28:9, TNM.

   Non possiamo partire dalla conoscenza di Dio come se egli fosse da qualche parte. La conoscenza fondamentale che dobbiamo avere di Dio è quella di essere con Dio, la certezza di essere suoi contemporanei. La presenza di Dio non è un luogo nello spazio, sia pure uno spazio spirituale. La presenza di Dio è la continuità che ci fa esistere.

   Lo spazio è occupato da qualcuno e non può essere condivisibile. Lo spazio che una persona fisica occupa può essere soltanto suo: non può dividerlo con nessuno, lo occupa lui, può starci solo il suo corpo. I corpi spirituali occupano un loro spazio nello spazio spirituale. Dio non può essere ridotto a un corpo, seppure spirituale. I corpi spirituali, come quelli fisici, sono creazioni. Dio è il Creatore, non una creatura. Il tempo, però, quello sì, può essere condiviso: appartiene a tutti.

   La dimensione, il luogo di Dio, è il tempo. Il tempo sempiterno che non scorre, in cui non ci sono passato, presente e futuro, ma tutto è sempre presente. È la grandezza di Dio. Il tempo o è tutto o non è niente: non può essere diviso (se non nella nostra mente). È nella dimensione del tempo che incontriamo Dio, non nello spazio.

   Dove possiamo trovare una somiglianza con Dio? Non certo nello spazio: è una sua creazione. La somiglianza con Dio possiamo trovarla nel tempo, nel tempo eterno e immutabile di Dio. È lì che dimora Dio.

   Il nostro tempo è un tempo relativo, è temporalità, è il tempo che s’infrange nello spazio e – sotto mentire spoglie – si fa temporalità. Il tempo è la presenza di Dio nel mondo. La nostra temporalità è fatta di momenti che sono un lampo, un continuo segnale d’inizio. La creazione si rinnova, accade di continuo: “Tutti quanti continuano ad aspettare te”, “Se mandi il tuo spirito, sono creati”. – Sl 104:27,30, TNM.

Chrònos e kairòs

   Tra le parole che nelle Scritture Greche alludono al tempo ce ne sono due di particolare importanza. Si tratta di chrònos e di kairòs.

     Chrònos – χρόνος. La prima volta che compare questa parola è in Mt 2:7: “Erode, chiamati in segreto gli astrologi, si informò accuratamente da loro circa il tempo [χρόνον (chrònon)] della comparsa della stella” (TNM). La parola qui tradotta “tempo” è nel greco χρόνος (chrònos), da cui deriva “cronologia”, “cronometro” e così via. Questa parola indica il “tempo” come noi lo conosciamo, quello con un prima e un dopo, quello misurabile. Come abbiamo già esaminato sopra, si tratta del tempo relativo, il nostro, quello che più appropriatamente dovremmo chiamare temporalità.

   Questo tempo relativo, tempo terrestre e quindi umano, è misurabile: “Dopo molto tempo [πολὺν χρόνον (polǘn chrònon)] il signore di quegli schiavi venne e fece i conti con loro” (Mt 25:19, TNM). Se ne può individuare una porzione che ha un inizio e una fine: “Mentre [greco: ὅσον χρόνον (òson chrònon), “per quanto tempo”] lo sposo è con loro gli amici dello sposo non possono digiunare” (Mr 2:19, TNM). Tale periodo di tempo può aver avuto un inizio e perdurare ancora: “Da quanto tempo [χρόνος (chrònos)] gli accade questo?” (Mr 9:21,TNM). E può terminare: “Si compì il tempo [χρόνος (chrònos)] in cui Elisabetta doveva partorire” (Lc 1:57, TNM). Questo tempo (sempre quello che noi possiamo misurare) è diviso in istanti: “Gli mostrò in un istante di tempo [χρόνος (chrònos)] tutti i regni della terra abitata” (Lc 4:5, TNM). Il nostro presente è il nostro tempo: “Signore, ristabilirai in questo tempo [χρόνος (chrònos)] il regno d’Israele?” (At 1:6, TNM). Può essere futuro: “Si avvicinava il tempo [χρόνος (chrònos)]” (At 7:17, TNM). Lo possiamo dividere in anni: “Or quando si compiva il tempo [χρόνος (chrònos)] del suo quarantesimo anno” (At 7:23, TNM). Può avere un culmine molto importante: “Quando arrivò il pieno limite del tempo [χρόνος (chrònos)], Dio mandò il suo Figlio” (Gal 4:4, TNM). Può venire a mancare: “Non vi sarà più tempo [χρόνος (chrònos)]” (Ap 10:6), che TNM traduce – chissà perché – “Non vi sarà più indugio”.

   Da tutti questi passi appare molto chiaro che il chrònos è il tempo relativo alla terra, quello che noi conosciamo. Il significato di chrònos non differisce quindi dal significato che noi diamo alla parola “tempo” nell’uso quotidiano, come quando diciamo: poco tempo, per lungo tempo, non aver tempo, attendere il tempo giusto, e così via.

   Kairòsκαιρός. Questa parola appare per la prima volta in Mt 8:29: “Che abbiamo a che fare con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui a tormentarci prima del tempo fissato [καιροῦ (kairù)]?” (TNM). Come si vede, questa parola (kairòs – καιρός) viene tradotta anch’essa (come chrònos) con “tempo”, anche se qui TNM aggiunge “fissato”. Cosa significa καιρός (kairòs)?

   Il Vocabolario del Nuovo Testamento dà questa definizione:

καιρός (kairos)

di affinità incerta

TDNT – 3: 455,389

Numero Strong: 2540

sostantivo maschile

1) misura dovuta

2) una misura di tempo, un periodo di tempo più grande o più piccolo, così:

2a) un tempo fisso e definito, il tempo quando le cose sono portate ad una crisi, l’epoca decisiva che si aspettava

2b) il tempo opportuno o convenevole

2c) il tempo giusto

2d) un periodo limitato di tempo

2e) quello che il tempo porta, lo stato dei tempi, le cose ed eventi del tempo

   Le definizioni sono una gran cosa, ma per capire bene tutto il significato di kairòs è bene dedurlo soprattutto dal contesto biblico. Questo ci rivelerà delle sottigliezze non indifferenti.

   In Mt 13:30 leggiamo: “Al tempo della mietitura dirò ai mietitori: Prima raccogliete le zizzanie e legatele in fasci per bruciarle, quindi andate a radunare il grano nel mio deposito” (TNM). Il “tempo della mietitura” è il periodo in cui si miete; è un periodo di tempo in cui accade qualcosa: si miete. In questo senso (“periodo in cui”) non è molto diverso dal “tempo della comparsa della stella” di Mt 2:7 (TNM). Si tratta di due periodi: in uno si miete, nell’altro compare una stella. Ma allora perché il primo, quello della mietitura, è chiamato da Matteo kairòs mentre quello della comparsa della stella è chiamato, sempre da Matteo, chrònos?

τὸν χρόνον τοῦ φαινομένου ἀστέρος

ton chrònon tu fainomènu astèros

il tempo della apparente stella

Mt 2:7

ἐν καιρῷ τοῦ θερισμοῦ

en kairò tu therismù

in tempo della mietitura

Mt 13:30

   L’unica spiegazione possiamo trovarla nel tipo di periodo. Quello in cui compare la sella ha a che fare con il tempo chrònos (il nostro tempo, quello relativo, la temporalità). Quello della mietitura è il tempo di Dio, il tempo kairòs.

   “Quando venne la stagione dei frutti, inviò i suoi schiavi dai coltivatori per prendere i suoi frutti” (Mt 21:34, TNM; cfr Mr 12:2 e Lc 20:10). In quest’allegoria è Dio che manda i profeti. Siamo nel tempo di Dio. “La stagione dei frutti” è nel greco ὁ καιρὸς τῶν καρπῶν (o kairòs ton karpòn), “il kairòs [“tempo”] dei frutti”. Come conseguenza dell’uccisione dei profeti, Dio affida la sua vigna ad altri: “Poiché sono malvagi, li distruggerà miseramente e affitterà la vigna ad altri coltivatori, che gliene renderanno i frutti al tempo debito” (v. 41, TNM); i frutti saranno consegnati al Padrone di casa nel tempo di Dio, nel kairòs.

   “Non potete interpretare i segni dei tempi [καιρὸς (kairòs)]” (Mt 16:3, TNM; compare in CDWItVg; אBSyc,sArm omettono). Di nuovo si tratta del tempo di Dio. “Come mai non sapete esaminare questo tempo [καιρὸς (kairòs)] particolare?”. – Lc 12:56, TNM.

   “Chi è realmente lo schiavo fedele e discreto che il suo signore ha costituito sopra i propri domestici per dar loro il cibo a suo tempo [καιρὸς (kairòs)]?” (Mt 12:45, TNM; cfr. Lc 12:42). Il cibo spirituale viene dato non nel tempo chrònos (in certe ore o in certi giorni o in certi periodi dell’anno), ma nel tempo che ha a che fare con Dio, il tempo kairòs.

   “Il mio tempo fissato [καιρὸς (kairòs)] è vicino” (Mt 26:18, TNM). È il tempo kairòs stabilito da Dio per la morte di Yeshùa.

   “Il tempo fissato è compiuto e il regno di Dio si è avvicinato” (Mr 1:15, TNM). “Non sapete quando è il tempo fissato” (Mr 13:33, TNM). “Riceva ora, in questo periodo di tempo, cento volte tanto” (Mr 10:39, TNM; cfr. Lc 18:30). “Non hai compreso il tempo in cui sei stata ispezionata” (Lc 19:44, TNM). Si tratta sempre di tempo kairòs (καιρὸς), il tempo che ha a che fare con Dio.

   L’angelo dice a Zaccaria: “Non hai creduto alle mie parole, che si adempiranno nel loro tempo fissato [καιρὸς (kairòs)]” (Lc 1:20, TNM). È il tempo kairòs che farà irruzione nella temporalità chrònos quando sarà il momento.

   Il tempo kairòs indica un tempo particolare. Questa parola è usata anche per indicare il tempo di Dio, è la parola della “pienezza del tempo”. Kairòs è – per così dire – il fuso orario di Dio. Trasmette nozioni di svincolo, di fluidità, circa gli scopi di Dio che intersecano, modificano o cambiano il tempo terrestre e cronologico (chrònos). È il tempo di Dio che diventa – in certi momenti stabiliti da lui – contemporaneo a quello dell’uomo. “Esso [il kairòs] rappresenta l’arena delle decisioni dell’uomo nella sua strada verso un destino eterno”. – C. Henry, Il dizionario evangelico della Teologia, pag. 1096.

   Kairòs fornisce un concetto ben più emozionante che non il semplice chrònos. Kairòs si riferisce a periodi appositamente selezionati dalla determinazione di Dio. Il tempo kairòs può operare nel tempo profano dell’uomo che è il chrònos, ma principalmente è il punto focale o culmine dei propositi ultimi di Dio.

   Quando Yeshùa fu sulla terra, quello fu un preciso momento kairòs, un momento di adempimento, un preciso tempo in cui far avverare le promesse:

“Il tempo [kairòs] è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo”. – Mr 1:15.

   “Tutte le promesse di Dio hanno il loro ‘sì’ in lui; perciò pure per mezzo di lui noi pronunciamo l’Amen alla gloria di Dio”. – 1Cor 1:20.

   Dio intervenne nel tempo umano:

“La fede degli eletti di Dio e la conoscenza della verità che è conforme alla pietà, nella speranza della vita eterna promessa prima di tutti i secoli [chrònos] da Dio, che non può mentire. Egli ha rivelato nei tempi [kairòs] stabiliti la sua parola”. – Tit 1:1-3.

   Prima ancora che con la creazione iniziasse il tempo chrònos, quello che noi misuriamo e dividiamo in millenni e secoli e anni, Dio aveva già promesso la vita eterna ai suoi eletti. E ciò lo rivelò nel tempo kairòs, nel suo tempo che intersecò in quel momento il nostro tempo chrònos.

   Nel suo tempo sovrano (kairòs) Dio entra nel tempo chrònos secondo la sua perfetta volontà.

   La nostra vita con Dio è emozionante. Noi non siamo predeterminati. Dio ci concede il tempo chrònos per agire: il futuro per noi è aperto e noi siamo aperti a esso. Abbiamo il libero arbitrio. Scegliamo noi la nostra strada. Ma tutto ciò non impedisce a Dio di avere il quadro della situazione sempre presente. E quando diciamo “presente” riferito a Dio dobbiamo intendere che il nostro tempo chrònos (fatto di passato, presente e futuro) è per lui solo presente, come già avvenuto.

“Mille anni sono ai tuoi occhi come ieri quando è passato”. – Sl 90:4, TNM.

   Tutto ciò è qualcosa che ci lascia stupefatti, ma fa parte della incommensurabile grandezza di Dio. Noi ci muoviamo nel nostro tempo chrònos in cui i giochi sono aperti e in cui possiamo scegliere come comportarci. La scelta è sempre e solo nostra, libera, aperta. Eppure Dio sa tutto prima che accada, perché Dio non vive nel nostro tempo chrònos. Per lui c’è l’eterno presente, il suo presente che tutto include.

   Il kairòs dovrebbe trasmetterci attesa: attesa speranzosa o attesa agitata, secondo come ci rapportiamo a Dio. Perché il kairòs è il tempo dei momenti di decisione. “Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori” (Eb 3:7,8). “Finché si può dire: «Oggi»”. – V. 13.

“Dio stabilisce di nuovo un giorno – oggi – dicendo per mezzo di Davide, dopo tanto tempo, come si è detto prima: ‘Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori!’”. – Eb 4:7.

    Nella Seconda Guerra Mondiale ci fu il martedì 6 giugno 1944, chiamato D-Day. “D-day” era il nome in codice adottato per indicare il giorno dello sbarco in Normandia; si tratta di una ripetizione: “D” sta infatti per “day” (= giorno), come dire: il giorno-Giorno, un giorno del tutto speciale. Era un giorno stabilito, una data sul calendario del tempo chrònos. Eppure non fu solo una data: comunicava urgenza e importanza, un punto di non ritorno.

   Cosa mai deve essere il momento kairòs stabilito nel calendario di Dio?

   Tutte le previsioni fatte dai falsi profeti moderni per indicare la fine sono fallite miseramente e falliscono penosamente. Sono state annunciate, poi spostate e mai si sono avverate (si pensi alle date 1879, 1914, 1917 e 1975 indicate dagli Studenti Biblici prima e dai Testimoni di Geova dopo). Falliscono sempre, perché questi falsi profeti si basano sul tempo chrònos e usano il calendario umano, spesso facendo addirittura l’errore di calcolare gli anni menzionati nella Bibbia come se fossero anni solari di 365 giorni. È da presuntuosi cercare di vincolare il Dio supremo alle date stabilite umanamente. Basta uno sguardo alle tavole cronologiche dei vari gruppi religiosi per rendersi conto di come esse differiscano molto le une dalle altre: ciò denota l’enorme difficoltà di venire a capo della vera cronologia biblica. Sembrerebbe quasi che i dati cronologici della Bibbia siano fatti per non venirne facilmente a capo.

“Quanto a quel giorno e a quell’ora nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma il Padre solo”. – Mt 24:36.

   Il giorno e l’ora della fine li conosce solo Dio. Eppure, c’è chi pretende di sapere quello che neppure gli angeli e Yeshùa sanno. Costoro, ragionando all’americana, speculano perfino sul fatto che si parla solo di giorno e ora, per cui presuntuosamente credono di poter individuare l’anno. E hanno creduto di farlo, salvo essere – ogni volta – clamorosamente smentiti dalla storia.

   Noi viviamo in due fusi orari: quello temporale della temporalità chrònos e quello eterno del tempo kairòs di Dio.