Nel 587 a. E. V., con la caduta di Gerusalemme, finiva anche il Regno di Giuda. Come gli ebrei del Regno di Israele, anche gli ebrei del Regno di Giuda dovevano ora prendere la via penosa e dura dell’esilio. I primi erano stati deportati in Assiria. I giudei furono deportati in Babilonia.

   Gli abitanti del Regno di Giuda, quando avvenne la loro deportazione, furono condotti in Babilonia e si stabilirono nella stessa capitale e nei dintorni sulle rive del fiume Eufrate. I giudei furono più fortunati degli israeliti. Infatti, godettero di molti privilegi: libera amministrazione dei loro beni, una loro magistratura che amministrava la giustizia, possibilità di darsi al commercio e di acquistare proprietà. Alcuni giudei ebbero anche dignità e alte funzioni presso la corte babilonese. Ma, spiritualmente, incombevano pericoli per l’integrità e la purezza: lo splendore dei templi idolatri, le feste solenni e le grandiose cerimonie pagane, l’arte e le ricchezze, ogni cosa era messa a favore del culto idolatrico. I babilonesi, poi, avevano interesse a propagare la loro religione e ad affievolire quelle degli altri popoli: la loro, infatti, aveva un carattere eminentemente nazionale. I giudei furono allettati da tutto ciò. Era facile piegarli all’idolatria con la sua licenziosità di costumi.

   Eppure – quasi incredibile a dirsi – il popolo giudaico si teneva lontano dall’idolatria. Il ricordo del Tempio, i giorni splendidi delle Festività di Dio, la gloria di Sion e di Yerushalàym (Gerusalemme), i canti dei profeti, la speranza che Dio li avrebbe nuovamente liberati … tutto li rafforzava e li faceva rimanere fedeli al culto dei padri. Con la mente e i sentimenti alla Città santa, i poveri esiliati giudei sospiravano per Yerushalàym e cantavano:

 

“Lungo i fiumi, laggiù in Babilonia,

sedevamo e piangevamo

al ricordo di Sion . . .

Laggiù, dopo averci deportato,

ci incitavano a cantare;

esigevano canti di gioia

i nostri oppressori . . .

Ma come cantare i canti del Signore

in terra straniera?

Se dimentico te, Gerusalemme,

si paralizzi la mia mano;

la mia lingua si incolli al palato

se non sei il mio continuo pensiero,

il colmo della mia gioia, Gerusalemme”.

Sl 137, passim, PdS.

 

   Il libro biblico di Lamentazioni raccoglie in forma poetica il lamento degli scampati alla catastrofe che colpì Gerusalemme nel 587 a. E. V.. Si tratta di uno dei libri poeticamente più belli della Scrittura. I sopravvissuti hanno davanti ai loro occhi la distruzione e la devastazione di Yerushalàym, l’amata Gerusalemme. Lamentazioni è il titolo italiano che è stato dato a questo libro, ma in ebraico è Echàh (אֵיכָה): “Come!”. È la prima parola del libro ed esprime tutto lo stupore per la distruzione della Città di Dio.

“È stata proprio abbandonata da tutti . . .

Ora è come una vedova.

Era signora e dominava . . .

Passa le notti a piangere . .

Le strade di Sion sono in lutto

Perché nessuno va più alle feste,

le sue piazze sono deserte . . .

le sue ragazze sono tristi . . .

È il Signore che la fa soffrire

Per i suoi molti peccati che ha commesso . . .

La bella Sion

Perde tutto il suo splendore . . .

‘Signore, – essa prega –

guarda e considera come sono disprezzata’ . . .”.

Lam 1, passin, PdS.

 

   Dio però vegliava sul suo popolo: da esso doveva venire il Messia. In quest’opera di conservazione fu prezioso il lavoro di profeti come Geremia, Ezechiele, Daniele e altri minori. Tutti quei profeti tennero alto il concetto dell’unicità di Dio, della sua superiorità, della nullità degli idoli. Tutte le parole profetiche allietavano e consolavano con la speranza. Contro il culto idolatrico predicavano i profeti.

Daniele alla corte di Nabucodonosor, di Baldassarre, di Dario e di Ciro

   Daniele era un giudeo di stirpe nobile deportato (Dn 1:3-6) e chiamato dal re babilonese Nabucodonosor a corte. Daniele e tre suoi compagni ebrei furono scelti per ricevere la speciale istruzione babilonese sulla scrittura e sulla lingua caldea: venivano preparati a svolgere incarichi governativi. Furono dati loro dei nomi babilonesi: Daniele divenne Baltassar (dal nome del dio di Nabucodonosor, Dn 1:7;4:8). La Legge di Dio aveva anche precise prescrizioni alimentari (Lv 11:4,13:17:12), per cui i quattro ebrei non vollero trasgredirla e rifiutarono i prelibati cibi babilonesi; preferirono così attenersi a una dieta vegetariana (Dn 1:8-16). Alla fine il re stesso notò che non c’era “nessuno che fosse pari a Daniele” e ai suoi tre compagni in fatto di sapienza, e pertanto “furono ammessi al servizio del re”. – Dn 1:19.

   Ciò che accrebbe ulteriormente la stima del re Nabucodonosor per Daniele fu l’interpretazione di un sogno che aveva fatto e che nessuno dei suoi maghi e sapienti in tutto l’impero aveva saputo spiegare (Dn 2:1-13). Daniele si presentò a corte con i suoi tre amici e – dopo aver pregato Dio (Dn 2:17,18) – disse: “Ecco dunque quali erano il tuo sogno e le visioni della tua mente quando eri a letto”. – 2:28.

   Nel sogno il re aveva visto una grande statua, d’uno splendore straordinario e con un aspetto terribile. Aveva la testa d’oro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi di ferro misto ad argilla. Poi una pietra ne aveva colpito i piedi di ferro e d’argilla, cosicché la statua si era frantumata tutta e il vento ne aveva portato via i detriti, mentre la pietra aveva riempito tutta la terra. – Dn 2:31-35.

   Daniele interpretò il sogno. La testa d’oro era lui, Nabucodonosor. Dopo di lui ci sarebbe stato un regno inferiore, d’argento; poi un terzo regno, di bronzo; poi un quarto regno, forte come il ferro, ma in parte fragile come l’argilla. Sarebbe infine sorto un regno che avrebbe spezzato e annientato tutti quei regni e che sarebbe durato per sempre. – Dn 2:37-45.

   Questa interpretazione piacque a Nabucodonosor, tanto che “abbassando la sua faccia fino a terra, si inchinò davanti a Daniele e ordinò che gli fossero portati offerte e profumi” (2:46). Il re riconobbe anche: “Il vostro Dio è il Dio degli dèi, il Signore dei re e il rivelatore dei segreti” (v. 47). Daniele fu costituito su “tutta la provincia di Babilonia” e fatto “capo supremo di tutti i saggi di Babilonia” (v. 48). Anche gli altri tre ebrei furono innalzati a cariche. – V. 49.

   Molti furono allora invidiosi della fortuna capitata a questi quattro stranieri, Daniele e i suoi tre amici. Fu trovato quindi il modo per renderli odiosi al sovrano. Al re fu innalzata una statua enorme (Dn 3:1) e nel giorno dell’inaugurazione (3:3) fu dato ordine che “al suono del corno, del flauto, della cetra, della lira, del saltèrio, della zampogna e di ogni specie di strumenti” tutti si inchinassero e adorassero (3:5). Possiamo immaginare la scena: tutto il popolo babilonese in ginocchio come un sol uomo (3:7). Ma tre erano rimasti in piedi: i tre amici giudei di Daniele. Ecco il momento atteso: “Alcuni Caldei si fecero avanti e accusarono i Giudei” (3:8). E misero il re in condizione di condannarli: “Tu hai decretato, o re, che chiunque . . . deve inchinarsi per adorare la statua d’oro.  . . . Ora ci sono dei Giudei . . .”  (3:10-12). “Nabucodonosor, irritato e furioso” (3:13) infine “ordinò che si arroventasse la fornace sette volte più del solito; poi ordinò agli uomini più vigorosi del suo esercito di legare Sadrac, Mesac e Abed-Nego (i tre giudei chiamati con i nuovi nomi babilonesi), e di gettarli nella fornace ardente”. – Dn 3:19,20.

   Dio salvò i tre giovani e devoti giudei (3:25). Il risultato fu un decreto reale: “Chiunque, a qualsiasi popolo, nazione o lingua appartenga, dirà male del Dio di Sadrac, Mesac e Abed-Nego, sia fatto a pezzi e la sua casa ridotta in un letamaio; perché non c’è nessun altro dio che possa salvare in questo modo”. – Dn 3:29.

   Fu poi sul trono, dopo Nabucodonosor, Baldassarre, uomo di grande empietà. In un grande convito dato per i grandi dell’impero (5:1), volle fare il gradasso oltre misura. “Mentre stava assaporando il vino, Baldassar ordinò che portassero i vasi d’oro e d’argento che Nabucodonosor, suo padre, aveva preso dal tempio di Gerusalemme, perché il re, i suoi grandi, le sue mogli e le sue concubine se ne servissero per bere” (5:2). Era il massimo della profanazione. Mentre il re si dava all’orgia con i suoi degni compari (5:3,4), “apparvero le dita di una mano d’uomo, che si misero a scrivere, di fronte al candeliere, sull’intonaco della parete del palazzo reale. Il re vide quel pezzo di mano che scriveva”. – Dn 5:5.

   “Il re cambiò colore” (5:6), “divenne pallido” (PdS). “Le ginocchia cominciarono a tramargli” (5:6, PdS). La scritta, incomprensibile, lo terrorizzava.

   Baldassarre “si mise a gridare e ordinò di convocare i saggi di Babilonia: maghi, incantatori e astrologi” (5:7, PdS). “Si fecero avanti tutti i saggi al servizio del re ma nessuno di loro fu capace di leggere quella scrittura e di darne al re la spiegazione” (5:8, PdS). “Baldassarre rimase atterrito e impallidì ancora di più” (v. 9, PdS). L’idea di far chiamare Daniele venne alla regina madre. – Dn 5:10-12.

   Arrivato Daniele, lesse a scritta e la riferì al re: “Ecco quel che c’è scritto” (5:25, PdS).

 

מְנֵא מְנֵא תְּקֵל וּפַרְסִין

mené mené teqèl ufarsìn

 

   Letteralmente, la scritta (in aramaico) significa: “Una mina, una mina, un siclo e mezzi sicli” (Judah Slotki, Soncino Books of the Bible, a cura di A. Cohen, Londra, 1951). La mina e il siclo erano monete; farsìn è il plurale di perès, “mezzo siclo”; la u prima di farsìn è la congiunzione “e”.

   “Questa è la spiegazione: menè significa ‘contato’; Dio ha fatto i conti sul tuo regno e vi mette fine; tèqel significa ‘pesato’: tu sei stato pesato sulla bilancia ma sei stato trovato insufficiente; perès significa ‘diviso’: il tuo regno è stato diviso per essere dato ai Medi e ai Persiani”. – Dn 5:26-28, PdS.

   Daniele non usò il plurale farsìn (פַרְסִין), ma il singolare perès (פְּרֵס). Daniele usa altre due parole aramaiche scritte con le stesse tre consonanti ma vocalizzate diversamente. “Perès, il tuo regno è stato diviso [פְּרִיסַת (perisàt)] e dato ai medi “e ai persiani” [וּפָרָס (ufaràs)]”. Si tratta di un doppio gioco di parole sul termine perès e sul verbo “dividere”.

   “In quella stessa notte Baldassar, re dei Caldei, fu ucciso e Dario il Medo ricevette il regno” (5:30,31). “Parve bene a Dario di affidare l’amministrazione del suo regno a centoventi satrapi distribuiti in tutte le provincie del regno. Sopra di loro nominò tre capi, uno dei quali era Daniele”. – Dn 6:1,2.

   In pratica, Daniele era il nuovo viceré del regno (6:3). L’invidia dei cortigiani maturò presto e non fu appagata finché non fosse caduto in disgrazia presso il re. “Allora i capi e i satrapi cercarono di trovare un’occasione per accusare Daniele” (6:4). Fu ideato un decreto su misura, “un decreto” che “imponga un severo divieto: chiunque, per un periodo di trenta giorni, rivolgerà una richiesta a qualsiasi dio o uomo tranne” il re, “sia gettato nella fossa dei leoni” (5:7). “Il re Dario quindi firmò il decreto e il divieto”. – Dn 6:9.

   Daniele però continuò a rendere culto al Dio di Israele, e senza farne mistero ad alcuno: “Quando Daniele seppe che il decreto era firmato, andò a casa sua; e, tenendo le finestre della sua camera superiore aperte verso Gerusalemme, tre volte al giorno si metteva in ginocchio, pregava e ringraziava il suo Dio come era solito fare anche prima” (6:10). La conseguenza era scontata: “Il re ordinò che Daniele fosse preso e gettato nella fossa dei leoni” (6:16). La prodigiosa liberazione di Daniele (6:22) non fece altro che aumentare la stima del re per lui. – Vv. 23,24.

   A Dario il Medo successe poi Ciro. Il nuovo sovrano ebbe caro Daniele e l’onorò con la propria familiarità. “Daniele prosperò durante il regno di Dario e durante il regno di Ciro, il Persiano”. – Dn 6:28.

   Per la ricostruzione storica diamo le seguenti date:

Prima

dell’E. V.

E v e n t o

605/4

Nabucodonosor, sovrano della Babilonia

587

Distruzione di Gerusalemme

562

Morte di Nabucodonosor. La potenza babilonese declina rapidamente.

Il figlio di Nabucodonosor, Amel-Marduk, diviene re della Babilonia. È l’Elvilmerodac che rilasciò dalla prigione Ioiaqin re di Giuda. – 2Re 25:27-30.

560

Sale sul trono babilonese il fratellastro di Amel-Marduk (Elvilmerodac), Nergal-shar-usur, il Neriglissar che compare come ufficiale babilonese in Ger 39:3,16.

556

Muore Nergal-shar-usur (Neriglissar). Sale sul trono di Babilonia suo figlio minore Labashi-Marduk. Quest’ultimo è deposto ben presto da Nabu-naid (Nabonedo) che s’impossessa del trono babilonese. Nabonedo trasferisce poi la sua residenza all’oasi di Teima nel deserto arabico per 10 anni; lascia sul trono babilonese suo figlio Bel-shar-usur (Baldassarre).

550

La Babilonia traballa. La sua più pericolosa rivale era la Media, di cui ora era re Astiage (585-550). Nell’impero medo scoppia una rivolta capeggiata da Ciro, re vassallo nella Persia meridionale. Entro il 550 Ciro detronizza Astiage e conquista la Media.

dopo

il 550

Nabonedo teme Ciro e stringe un’alleanza con Amasi, faraone d’Egitto, e Creso, re di Lidia. Non gli serve a nulla.

547/6

Ciro marcia contro la Lidia e la incorpora nel suo regno. L’alleanza difensiva della Babilonia con l’Egitto va in pezzi. Ciro però si dedica a campagne di conquista nell’odierno Afghanistan; la Babilonia respira.

 

L’impero di Ciro è ora gigantesco, il più vasto mai esistito fino ad allora. Può prendere la Babilonia quando vuole. I giudei fremono: attendono la liberazione. Che parte poteva svolgere il Dio di un piccolo popolo ormai sradicato nel mondo attuale fatto di grandi imperi con i loro dèi? Occorreva riaffermare la fede: è il tempo del grande profeta di cui non si conosce il nome e che è convenzionalmente chiamato Deuteroisaia. – Is 40-55.

539

Ottobre. La Babilonia viene presa senza combattere. Nabonedo fugge e poi è fatto prigioniero. Ciro il Persiano entra trionfalmente in Babilonia. I soldati persiani hanno l’ordine di non urtare la suscettibilità religiosa dei vinti.

538

Tutta l’Asia occidentale fino alla frontiera egiziana è sotto Ciro.

 

Ciro emana un decreto ordinando la restaurazione della comunità ebraica e il culto in Palestina. – Esd 1:2-4;6:3-5; cfr. 4:8-6,18;6:2.

   Come abbiamo visto, Daniele fu alla corte di Nabucodonosor. Questo re babilonese è ben attestato dalle fonti storiche. Dopo di lui, Daniele fu alla corte di Baldassarre, a quella di Dario il Medo e infine a quella di Ciro. Come collocare nella storia Baldassarre e Dario?

   Baldassarre. Secondo Dn 5 Baldassarre regnava in Babilonia quando la città fu conquistata nel 539 a. E. V.. Il problema era che il nome di Baldassarre figurava solo nella Bibbia. Gli storici antichi invece indicavano Nabonedo quale ultimo re babilonese.  Ormai si dovrebbe aver però imparato il detto che la Bibbia ha sempre ragione. Infatti, nel 1854 vennero rinvenuti dei piccoli cilindri di argilla fra le rovine dell’antica città caldea di Ur, nell’attuale Iraq. Tali documenti in cuneiforme presentavano anche una preghiera del re Nabonedo per Bel-sar-ussur, indicato come suo figlio maggiore. Questo Bel-shar-ussur era proprio Baldassarre, e persino i critici dovettero convenirne. Qui c’è una lezione: il monarca mancante mancava solo agli storici moderni, ma non mancava davvero; semplicemente non era stato ancora trovato da quegli storici.

   Rimaneva, comunque, un problema: il sovrano regnante quando cadde la Babilonia era Nabonedo. Come spiegare la presenza di Baldassarre? A ciò si aggiungeva un altro problema: Daniele, rivolgendosi a Bel-shar-ussur (Baldassarre), dice: “O re, il Dio altissimo aveva dato regno, grandezza, gloria e maestà a tuo padre Nabucodonosor” (Dn 5:18), “Tu, Baldassar, suo figlio” (5:22). Ora, noi sappiamo con certezza che Baldassarre era figlio di Nabu-naid (Nabonedo) e non di Nabucodonosor. Altre tavolette in cuneiforme hanno chiuso la prima questione, dato che queste riferiscono che Nabonedo si assentava dalla Babilonia per anni. Nabonedo, infatti, trasferì la sua residenza all’oasi di Teima nel deserto arabico per 10 anni, lasciando sul trono babilonese suo figlio Bel-shar-usur (Baldassarre). Le tavolette comprovano che in quei periodi Nabonedo affidava il regno di Babilonia al figlio maggiore Baldassarre. Un documento cuneiforme, chiamato Storia in versi di Nabonedo, dice: “Egli [Nabonedo] affidò l’‘accampamento’ al [figlio] maggiore, il primogenito, le truppe ovunque nel paese sottopose al suo [comando]. Lasciò andare [tutto], a lui affidò il regno”. “Il re [stava] a Tema [mentre] il principe, gli ufficiali e il suo esercito [stavano] in Akkad [Babilonia]” (A. K. Grayson, Assyrian and Babylonian Chronicles, 1975, pag. 108). Baldassarre era quindi suo correggente. E ciò significa che in quei periodi Baldassarre era in effetti re, correggente del padre. Nabonedo non c’era quando Babilonia cadde. Ma c’era Baldassarre, giustamente definito re. Le antiche testimonianze autorizzano a pensare che in quei giorni anche un governatore poteva avere l’appellativo di re. Lo dimostra la statua di un antico governante rinvenuta negli anni ’70 dello scorso secolo nella Siria settentrionale: si tratta della statua di un governante di Gozan che reca iscrizioni in assiro e in aramaico. L’iscrizione assira lo definisce governatore di Gozan, mentre quella in aramaico lo definisce re. Non era dunque senza precedenti che Baldassarre fosse chiamato principe ereditario nelle iscrizioni ufficiali babilonesi e re nel testo di Daniele, scritto in aramaico. Altre testimonianze di testi cuneiformi confermano che Baldassarre esercitava funzioni regali. Una tavoletta, datata al 12° anno di Nabonedo, ci presenta un giuramento fatto nel nome di Nabonedo, il re, e di Baldassarre, il figlio del re: è ovvio che Baldassarre era equiparato al padre (cfr. George A. Barton, Archaeology and the Bible, 1949, pag. 483). Inoltre, si noti che Baldassarre offrì a Daniele di diventare “il terzo nel governo del regno” (Dn 5:16) qualora fosse riuscito a interpretare l’enigmatica scritta apparsa sul muro. In effetti, Daniele fu poi “fu proclamato terzo nel governo del regno” (Dn 5:29). Si noti bene: “terzo”. Nabonedo era il primo, Baldassarre il secondo e Daniele il terzo governante. “L’esistenza di un governo dualistico durante la maggior parte del regno neobabilonese è un fatto stabilito. Nabonedo esercitava l’autorità suprema dalla sua corte a Tema in Arabia, mentre Baldassarre agiva da reggente in patria avendo la Babilonia come centro d’influenza”. – The Yale Oriental SeriesResearches, vol. XV, 1929.

   Che dire della seconda questione? Baldassarre figlio di Nabucodonosor? Errore storico della Bibbia? Ma no. Errore di chi non conosce il modo di esprimersi della Scrittura. Non ci sono dubbi che le iscrizioni cuneiformi su diversi cilindri di argilla scoperti nell’Iraq meridionale nel 19° secolo identifichino Baldassarre come figlio maggiore di Nabonedo, re di Babilonia. In che senso allora Baldassarre è presentato nella Bibbia come “figlio” di Nabucodonosor? Nabonedo, a quanto pare, sposò la figlia di Nabucodonosor (cfr. R. P. Dougherty, Nabonidus and Belshazzar, 1929). Baldassarre, perciò, sarebbe stato nipote di Nabucodonosor. Ma in ebraico e in aramaico non esistono parole per “nonno” o “nipote”. “Figlio di” può significare “nipote di” come anche “discendente di”. In Mt 1:1 si legge: “Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abraamo”. Vero è che Matteo è scritto in greco, ma – ricordiamolo – gli scrittori ebrei delle Scritture Greche scrivevano in greco ma pensavano in ebraico. Va detto che non tutti gli studiosi sono convinti del fatto che Nabucodonosor fosse il nonno di Baldassarre. Ciò, però, non cambia le cose. Può darsi che Nabucodonosor fosse semplicemente il predecessore di Baldassarre sul trono e suo “padre” in tal senso. Si noti Gn 28:13: “Io sono il Signore, il Dio d’Abraamo tuo padre e il Dio d’Isacco”; queste parole sono rivolte a Giacobbe, di cui Abraamo era nonno e non “padre”. Si veda anche il caso di Omri, re del Regno settentrionale delle dieci tribù di Israele; di lui nulla si sa in merito ai suoi antenati (neppure il nome di suo padre né quello della sua tribù), ma sull’obelisco nero di Salmaneser III, Ieu – che era nientemeno che il quarto successore di Omri – è chiamato “figlio di Omri” (Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, pag. 281). È ovvio che “figlio di” significa “successore di”. A parte questo, va rammentato – come abbiamo già visto – che l’atterrito Baldassarre, disperato per la terrificante scritta sul muro, offre il terzo posto nel regno a chi sappia decifrarne le parole (Dn 5:7). Questa offerta sottintende che il primo e il secondo posto erano già occupati: da Nabonedo e da suo figlio Baldassarre. La Bibbia, dunque, non ostacola la parentela padre-figlio tra Nabonedo e Baldassarre.

   Dario il Medo. All’età di 62 anni circa, Dario il Medo succedette nel regno al re caldeo Baldassarre dopo la conquista della Babilonia da parte degli eserciti di Ciro il Persiano (Dn 5:30, 31). Dn 9:1 lo identifica come “Dario, figlio di Assuero, della stirpe dei Medi, che fu fatto re del regno dei Caldei”. Dati i suoi poteri amministrativi, Dario nominò 120 satrapi che prestassero servizio in tutto il reame, e anche tre alti funzionari preposti ai satrapi, per curarne gli interessi finanziari; una delle prime mansioni dei satrapi fu quella di riscuotere pedaggi e tributi per le casse dello stato (cfr. Esd 4:13). Uno dei tre alti funzionari era Daniele e il re intendeva farlo primo ministro. – Dn 6:1-3.

   Finora non è stato trovato alcun riferimento a “Dario, figlio di Assuero, della stirpe dei Medi, che fu fatto re del regno dei Caldei” (Dn 9:1). Nelle fonti extrabibliche non ce n’è traccia e gli storici antichi anteriori a Giuseppe Flavio (lo storico ebreo del 1° secolo E. V.) non lo menzionano. Il ritornello dei critici è lo stesso di sempre: personaggio immaginario. E noi opponiamo il ritornello che prima o poi si conferma vero: la Bibbia ha sempre ragione. Sono numerosi i casi in cui personaggi o perfino avvenimenti menzionati nella Bibbia e definiti fantasiosi dai critici sono alla fine risultati storici al di là di ogni dubbio. Chi studia la Scritture seriamente ha ormai imparato a non dare troppo peso alle critiche. Queste vanno affrontate e discusse.

   Secondo certi studiosi, Cambise (II) fu fatto re di Babilonia dal padre Ciro subito dopo la conquista della città. In effetti, Cambise rappresentava ogni anno il padre durante la festa del capodanno che si teneva in Babilonia, ma pare proprio che per il resto dell’anno risiedesse a Sippar. Le ricerche basate sui testi cuneiformi rivelano che Cambise assunse per la prima volta il titolo di “re di Babilonia” il 1° nissàn del 530 a. E. V. in qualità di correggente di Ciro, essendo quest’ultimo impegnato a preparare la campagna militare in cui trovò poi la morte. I soliti arrampicatori sui vetri hanno tentato di identificare Dario con Cambise II figlio di Ciro, per salvare capra e cavoli. Ma costoro non tengono conto del fatto che “Dario il Medo ricevette il regno all’età di sessantadue anni” (Dn 5:31). Un po’ troppo perché fosse principe ereditario.

   Altri arrampicatori tentano un vetro diverso su cui arrampicarsi: Dario sarebbe lo stesso Ciro. Ma anche questo è un vetro d’ipotesi scivoloso. Non è possibile che “Dario” potesse essere un altro nome dello stesso Ciro. Dario, infatti, era “medo” (Dn 5:31) e Ciro era persiano (2Cron 36:22; Dn 6:28). Dario era “della stirpe dei Medi” (Dn 9:1): suo padre, Assuero, era un medo. Ciro, anche se sua madre poteva essere originaria della Media (come sostengono alcuni storici), aveva un padre persiano: Cambise I. – Cfr. il Cilindro di Ciro.

   Non mancano altri vetri su cui tentare scivolose arrampicate. Altri vorrebbero identificare Dario con un presunto zio di Ciro, quello presentato dallo storico greco Senofonte come “Ciassare, figlio di Astiage”. Senofonte riferisce che Ciassare succedette sul trono ad Astiage, re di Media, ma poi diede sua figlia e tutta la Media al nipote Ciro (Ciropedia, I, v, 2; VIII, v, 19). Ma sia Erodoto che Ctesia (storici greci più o meno contemporanei di Senofonte) contraddicono la tesi di Senofonte. Erodoto sostiene che Astiage morì senza figli (I, 109). La Cronaca di Nabonedo indica che Ciro s’impadronì del regno dei medi dopo aver catturato Astiage. Inoltre, per identificare Dario con Ciassare II si dovrebbe supporre che Astiage fosse un altro nome per Assuero, dato che Dario il Medo era “figlio di Assuero” (Dn 9:1). Un’ipotesi basata su altre ipotesi è troppo flebile: non trova, infatti, conferma.

   Alla fin fine, chi era Dario il Medo? Nella Ciropedia di Senofonte compare un certo Gobria – altrove chiamato Gubaru – che può essere identificato con Dario. Questo Gubaru diventò governatore della Babilonia dopo che i medi e i persiani la conquistarono. Si possono addurre diverse prove.

   Nella Cronaca di Nabonedo (un antico testo cuneiforme), descrivendo la caduta di Babilonia si dice che Ugbaru “governatore di Gutium e l’esercito di Ciro entrarono a Babilonia senza combattere”. Più avanti, dopo aver descritto l’ingresso di Ciro in città 17 giorni dopo, l’iscrizione afferma che Gubaru, “il suo governatore, insediò governatori in Babilonia” (Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, pag. 306; cfr. J. C. Whitcomb, Darius the Mede, 1959, pag. 17). Non si faccia però confusione tra Ugbaru e Gubaru. I nomi Ugbaru e Gubaru, per quanto simili, non sono uguali. In cuneiforme il segno corrispondente alla prima sillaba di Ugbaru è molto diverso da quello di Gubaru. Inoltre, la stessa Cronaca di Nabonedo afferma che Ugbaru, governatore di Gutium, morì poche settimane dopo la vittoria. Altri testi cuneiformi indicano invece che Gubaru rimase in vita e per 14 anni fu governatore non solo della città di Babilonia ma dell’intera regione e anche della “regione oltre il fiume” (incluse Siria, Fenicia e Palestina fino al confine con l’Egitto). Gubaru governava perciò una regione che si estendeva per tutta la lunghezza della cosiddetta Fertile Mezzaluna, all’incirca come l’impero babilonese. Va precisato che Dario il Medo “fu fatto re del regno dei Caldei” (Dn 9:1), ma non re di Persia. Ad essere “re di Persia” era Ciro (Dn 10:1): “Ciro, re di Persia” (Esd 1:1,2;3:7;4:3). Ciò comporta che la regione governata da Gubaru corrisponde a quella governata da Dario. “Su tutta questa vasta estensione di terra fertile, Gobria [Gubaru] governava quasi come monarca indipendente”. – A. T. Olmstead, History of the Persian Empire, 1948, pag. 56.

   Come mai, allora, Gubaru non viene mai chiamato “Dario”? Lo studioso W. F. Albright ritiene che “Dario” fosse il suo titolo o il nome assunto diventando re: “Mi sembra molto probabile che Gobria [Gubaru] abbia effettivamente assunto la dignità regale, insieme al nome ‘Dario’, forse un antico titolo reale iraniano, mentre Ciro era impegnato in una campagna in Oriente” (Journal of Biblical Literature, 1921, vol. XL, pag. 112, nota 19). Si potrebbe obiettare che i testi in cuneiforme non menzionano mai Gubaru come “re”. Tuttavia, va fatto notare che il titolo di “re” non viene riferito neanche a Baldassarre, mentre un testo cuneiforme persiano (la Storia in versi di Nabonedo) dice chiaramente che Nabonedo “affidò il regno” al figlio.  Lo studioso J. C. Whitcomb mette in risalto che, stando alla Cronaca di Nabonedo, Gubaru – governatore distrettuale di Ciro – “nominò . . . [satrapi] a Babilonia”, proprio come afferma Dn 6:1,2. J. C. Whitcomb sostiene che Gubaru, essendo governatore dei governatori, poteva benissimo essere chiamato “re” dai suoi subalterni. – Darius the Mede, pagg. 31-33.

   Diversi studiosi ritengono più che probabile che Dario il Medo fosse in realtà un viceré che governava sul regno dei caldei, ovviamente subordinato a Ciro, il supremo monarca dell’impero persiano. “Nei rapporti con i sudditi babilonesi, Ciro era ‘re di Babilonia, re delle nazioni’. Sostenendo in tal modo che l’antica dinastia di monarchi rimaneva ininterrotta, egli lusingava la loro vanità, si assicurava la loro lealtà . . . Ma era il satrapo Gobria che rappresentava l’autorità sovrana dopo la partenza del re”. – A. T. Olmstead, History of the Persian Empire, 1948, pag. 71.

   Il “Dario” biblico era senz’altro un viceré. Infatti di lui è detto che “ricevette il regno” (Dn 5:31) e che “fu fatto re del regno dei Caldei” (Dn 9:1). “Fatto re” è la prova che egli era subordinato a un altro monarca. Si noti anche Dn 7:27, dove “il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi”: Dio qui è l’“Altissimo”, il re supremo che il regno. Chi riceve il regno (in questo caso i santi) è fatto re, pur rimanendo Dio il re supremo.

   Questa identificazione può ritenersi conclusiva? No. I documenti storici non indicano la nazionalità di Gubaru né la sua linea di discendenza: non possiamo essere certi che fosse un “medo” e che fosse “figlio di Assuero”. Ma non è provato neppure il contrario. I documenti storici disponibili non indicano neppure che Gubaru avesse un’autorità così sovrana da poter emanare un editto come quello indicato in Dn 6:6-9. Ma, anche qui, non ci dicono il contrario. Vero è che la Bibbia sembra indicare che il dominio di Dario sulla Babilonia non fu di lunga durata; sembra che Ciro assunse poi il potere. Gubaru di certo conservò la sua posizione per 14 anni. Ma è anche possibile che Ciro e Dario governassero contemporaneamente; Daniele può aver menzionato in particolare solo l’anno in cui Dario diventò un personaggio di rilievo a Babilonia. – Dn 6:28;9:1; 2Cron 36:20-23.

   In attesa di nuove scoperte storiche, ci sembra che l’ipotesi sia più che legittima. Sono centinaia di migliaia le tavolette con iscrizioni cuneiformi scoperte in Medio Oriente che presentano ancora un quadro molto incompleto e lacunoso. Va detto anche che gli storici antichi di cui ci sono pervenuti gli scritti (spesso molto frammentari) sono pochi, quasi tutti greci e sono vissuti uno o più secoli dopo gli avvenimenti descritti nel libro di Daniele. Dobbiamo in ogni caso ricordare che la veracità della Scrittura non ha affatto bisogno di conferma da parte di altre fonti.

   Non si trascuri un altro elemento, tutt’altro che secondario. Gli antichi non ebrei non amavano affatto descrivere le sconfitte e le cose negative che li riguardavano. Solo la Bibbia fa eccezione, descrivendo candidamente le colpe e i misfatti degli ebrei stessi. È per questa ragione che nei documenti egizi non si trova traccia delle umiliazioni subite dal Dio degli ebrei da parte degli egizi. La stessa ragione, validissima, può essere addotta per la mancanza di informazioni storiche relative a Dario nei documenti babilonesi. Lo stesso libro di Daniele ci dà motivo di crederlo. Quando Dario affidò a Daniele un alto incarico nel governo (Dn 6:1-3), molti alti funzionari, mossi dalla gelosia e dall’invidia, complottarono contro di lui (6:4-9). Il complotto fu sventato e Dario fece mettere a morte gli accusatori di Daniele con le loro famiglie (6:18-24). Questa non era davvero una cosa da riportare negli annali babilonesi. Inoltre, un editto di Dario ordinava a tutti i sudditi del suo regno di temere e di rispettare “il Dio di Daniele, perché è il Dio vivente che dura in eterno; il suo regno non sarà mai distrutto e il suo dominio durerà sino alla fine” (6:26). Figurarsi se i potenti preti babilonesi potevano accettare che il Dio di un popolino straniero e caduto in disgrazia potesse oscurare i loro grandi e magnifici dèi. Gli scribi, che agivano sotto la direttiva di tale classe sacerdotale pagana, non ebbero certo scrupoli a manomettere le registrazioni per eliminare questi fatti per loro vergognosi. È risaputo che ciò accadeva regolarmente nella storia dell’epoca.

   È del tutto ovvio che la storia debba attribuire una schiacciante superiorità a Ciro e ai persiani. La Bibbia, fuori dai giochi politici, mostra invece il dualismo del dominio medo-persiano: “Il tuo regno è diviso e dato ai Medi e ai Persiani” (Dn 5:28); “Il montone con due corna, che tu hai visto, rappresenta i re di Media e di Persia” (8:20). La Bibbia mostra che i medi continuarono a dividere il potere con i persiani, tanto che continuarono a esserci leggi “dei medi e dei persiani” (Dn 6:8; cfr. Est 1:19). Obiettivamente, i medi ebbero un ruolo importante nella conquista della Babilonia. – Is 13:17-19.