Dato che l’attività del battezzatore si svolse nella Perea allora sottomessa ad Erode Antipa (abbreviazione di Antìpatros), occorre dire qualcosa di questo sovrano. Riportando solo le persone che interessano il presente studio biblico, ecco uno schema genealogico in cui è possibile districarsi tra i nomi della discendenza di Erode I il Grande:

erode

 

Mogli di Erode il Grande

c

Ucciso nel 7 a. E. V.

f

Morto nel 34 E. V.;

1° marito di Salomè

i

2° marito di Salomè

a

Morto nel 4 a. E. V.

d

A Roma

g

Re, morto nel 44 E. V.

l

Moglie di Erode Filippo e poi di Erode Antipa

b

Uccisa nel 19 a. E. V.

e

Esiliato nel 39 E. V.

h

Morto nel 48 E. V.

m

1° marito: Filippo Tetrarca

2° marito: Aristobulo

 

   Erode il Grande in un primo tempo aveva pensato di lasciare suo figlio Antipa quale re ed unico suo erede, ma quattro o cinque giorni prima di morire cambiò idea e incluse tra i suoi successori anche Archelao e Filippo, forse per non essere ingiusto verso di loro. Alla morte di Erode (il Grande), tanto Antipa quanto Archelao ricorsero a Roma per ottenere il titolo di re e per far valere i singoli testamenti a loro favore. Una delegazione di settemila ebrei ricorse a Roma per eliminare la dinastia erodiana e far annettere la Palestina alla Siria.

   Cesare Augusto accolse in linea di massima le ultime decisioni del defunto Erode, senza però dare a nessuno il titolo di re. Il prepotente Archelao fu fatto etnarca della Giudea e delle Samaria, e solo più tardi (se avesse governato bene) avrebbe ricevuto il titolo regale. Il suo fratellastro, Erode Antipa, fu riconosciuto tetrarca della Galilea e della Perea. Filippo, infine, fu tetrarca dei selvaggi distretti della Batumea, della Auranitide e della Traconidite, poste a nord-est della Palestina. Dopo la deposizione del despota Archelao (6 E. V.) e l’annessione del suo territorio (Giudea e Samaria) alla Siria, Antipa fu il più importante degli Erodi ancora al potere; fu tanto abile che Yeshùa lo definì una “volpe” (Lc 13:32). Con questa sua abilità, Antipa seppe accattivarsi la simpatia del nuovo imperatore Tiberio (14 E. V.), per il quale fungeva da spia a carico dei magistrati romani in oriente. – Cfr. Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 18,4,5 104,105.

   Nonostante avesse solo 17 anni all’inizio del suo regno, iniziò a regnare con intenti pacifici. Fu un buon costruttore come il padre. Fu lui ad erigere la nuova città di Tiberiade sulla costa occidentale del lago di Gennezaret, così chiamata in onore dell’imperatore. A Tiberiade stabilì la sua residenza. Quando in Giudea fu mandato come procuratore Ponzio Pilato (abile amministratore, ma duro, collerico e sprezzante), ne seguì con cauta vigilanza le azioni per riferirle all’imperatore. Da qui l’inimicizia tra i due, pure ricordata da Luca: “In quel giorno [del processo a Yeshùa] Erode e Pilato divennero amici, mentre prima erano stati nemici” (Lc 23:12). Antipa, giunto all’apice del suo dominio, si recò a Roma al tempo della massima potenza di Seiano (27-29 E. V.), verso l’autunno del 27 o la primavera del 28. In quella circostanza fu ospite di un suo fratellastro, che Giuseppe chiama Erode ma Marco chiama Filippo: “Erode stesso infatti aveva fatto arrestare Giovanni e l’aveva tenuto legato in carcere a causa di Erodiade, moglie di Filippo suo fratello, perché egli l’aveva presa per moglie”. – Mr 6:17.

   Questo “Erode Filippo” che abitava a Roma fu il primo marito di Erodiade, da non confondersi con l’altro Filippo (tetrarca). Questo Erode Filippo aveva sposato Erodiade che era la sua nipote, una donna passionale, violenta e ambiziosa, che non sapeva rassegnarsi alla condizione priva di governo di suo marito. Tentò forse lei stessa di sedurre suo cognato Antipa. Divorziò quindi dal marito Erode Filippo e seguì, con il consenso di Tiberio, il tetrarca della Galilea, il suo nuovo marito Antipa. La precedente moglie di Antipa, figlia del re nabateo Aretra 4°, subodorato il fatto, si recò dal padre a cui raccontò l’affronto subito (sarebbe stata ripudiata): nacque così una mai sopita ostilità tra i due capi di stato. Intanto Erodiade (con sua figlia Salomè) aveva preso la posizione della precedente moglie di Antipa presso la corte. Questa unione tra Antipa e sua cognata Erodiate costituiva una violazione sfacciata delle Legge: “Se uno prende la moglie di suo fratello, è una cosa impura; egli ha scoperto la nudità di suo fratello”; “Non scoprirai la nudità della moglie di tuo fratello; è la nudità di tuo fratello” (Lv 20:21;18:16). Questo fatto suscitò un grande scandalo nel paese, ma la gente ne parlava in segreto per non incorrere nelle ire di Antipa. Solo Giovanni il battezzatore ebbe il coraggio di biasimare in pubblico il colpevole, e finì per essere decapitato. “Erode, fatto arrestare Giovanni, lo aveva incatenato e messo in prigione a motivo di Erodiada, moglie di Filippo suo fratello; perché Giovanni gli diceva: ‘Non ti è lecito averla’ . . . e mandò a decapitare Giovanni in prigione”. – Mt 14:3,4,10.

   Fu poco tempo dopo tale misfatto che cominciò a diffondersi anche a Tiberiade la fama di Yeshùa, che la gente riteneva essere la reincarnazione del battezzatore o di Elia o di qualche antico profeta. Antipa stesso ne fu turbato. Luca riferisce una sola frase di Antipa, una domanda che egli si fece, aggiungendo come risposta il suo comportamento: “Erode disse: ‘Giovanni l’ho decapitato io; chi è dunque costui del quale sento dire tali cose?’. E cercava di vederlo” (Lc 9:9). Marco, invece, riporta la congettura popolare, ricordata da Antipa, che Yeshùa fosse il battezzatore risorto: “Il re Erode udì parlare di Gesù (poiché la sua fama si era sparsa) e diceva: ‘Giovanni il battista è risuscitato dai morti; è per questo che agiscono in lui le potenze miracolose’”. – Mr 6:14.

   Matteo aggiunge che questa considerazione fu fatta da Antipa davanti ai suoi “servitori”: “In quel tempo Erode il tetrarca udì la fama di Gesù, e disse ai suoi servitori: ‘Costui è Giovanni il battista! Egli è risuscitato dai morti; perciò agiscono in lui le potenze miracolose’” (Mt 14:1,2). TNM, similmente, traduce “servitori”. Questo è conforme al greco del testo: τοῖς παισὶν (tòis paisìn), “ai servitori”. Va tuttavia ricordato che, secondo l’uso orientale, questi “servitori” erano cortigiani e ufficiali di corte: “Saul disse ai suoi servitori: ‘Trovatemi un uomo che suoni bene, e conducetelo qui’”, “Poi Saul diede quest’ordine ai suoi servitori: ‘Parlate in confidenza a Davide e ditegli: Ecco, tu sei gradito al re e tutti i suoi servitori ti amano; diventa dunque genero del re’. I servitori di Saul sussurrarono queste parole all’orecchio di Davide. Ma Davide replicò: ‘Sembra a voi cosa semplice diventare genero del re? Io sono povero e di umile condizione’. I servi riferirono a Saul: ‘Davide ha risposto così e così’. Saul disse: ‘Dite così a Davide: Il re non domanda dote; ma domanda cento prepuzi dei Filistei, per vendicarsi dei suoi nemici’. Saul aveva in animo di far cadere Davide nelle mani dei Filistei. I servitori dunque riferirono quelle parole a Davide; ed egli fu d’accordo di diventare genero del re in questa maniera. E prima del termine fissato” (1Sam 16:17;18:22-26); “Io punirò lui, la sua discendenza e i suoi servitori” (Ger 36:31). Da queste scritture si vede che quei “servitori” avevano mansioni ben più importanti dei semplici servi come sono intesi in occidente.

   Presso Mr e Lc la frase serve da introduzione al racconto della decapitazione del battezzatore. Anche se Antipa, ellenista e sadduceo, non ammetteva la resurrezione, nel caso particolare e date le circostanze inesplicabili, poté essere indotto dal suo stesso rimorso a quelle affermazioni superstiziose.

   L’insegnamento di Yeshùa penetrò anche nella corte di Antipa, tanto è vero che Giovanna moglie di Cuza (amministratore di Antipa; non semplicemente “incaricato”, come traduce TNM) era tra le sue fedeli discepole: “Con lui [Yeshùa] vi erano i dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti maligni e da malattie: Maria, detta Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, l’amministratore di Erode” (Lc 8:2,3). Antipa fu allarmato da questa penetrazione della dottrina di Yeshùa nella sua corte e tentò con astuzia di allontanare questa influenza di Yeshùa dai suoi domini servendosi di alcuni farisei per mettergli paura. Ma a questi Yeshùa rispose con parole profetiche perché fossero riferite a quella “volpe”: “Vennero alcuni farisei a dirgli: ‘Parti, e vattene di qui, perché Erode vuol farti morire’. Ed egli disse loro: ‘Andate a dire a quella volpe: Ecco, io scaccio i demòni, compio guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno avrò terminato” (Lc 13:31,32). In un’altra occasione Yeshùa esortò a guardarsi “dal lievito di Erode”: “Guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode! Guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!” (Mr 8:15). Dopo questi fatti, Yeshùa “si ritirò di là in barca verso un luogo deserto, in disparte” (Mt 14:13), dove poi avvenne la moltiplicazione dei pani.

   Il desiderio di Antipa di vedere Yeshùa fu appagato da Pilato che glielo mandò perché fosse da lui giudicato, e da quel tempo i due divennero amici (mentre prima erano avversari). Yeshùa però non volle parlargli, così fu rimandato da Pilato con la veste bianca che si metteva ai pazzi:

“Quando vide Gesù, Erode se ne rallegrò molto, perché da lungo tempo desiderava vederlo, avendo sentito parlare di lui; e sperava di vedergli fare qualche miracolo. Gli rivolse molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla. Or i capi dei sacerdoti e gli scribi stavano là, accusandolo con veemenza. Erode, con i suoi soldati, dopo averlo vilipeso e schernito, lo vestì di un manto splendido, e lo rimandò da Pilato. In quel giorno, Erode e Pilato divennero amici; prima infatti erano stati nemici”. – Lc 23:8-12.

   Nel 34 E. V. Areta dichiarò guerra ad Antipa e lo sconfisse, ma questi ricorse all’imperatore Tiberio per aiuto. Tiberio impose al riluttante proconsole della Siria di prendere le armi contro il re nabateo. Ma all’improvvisa morte dell’imperatore il 16 marzo del 36, egli ne approfittò per tornarsene nella sua sede. Frattanto, lo splendore di Antipa era iniziato ad affievolirsi. Nel 31 il potentissimo Seiano (amico di Antipa), che da oscuro cavaliere era salito fino al consolato e, quale ministro di Tiberio, dettava legge in tutto l’impero, veniva giustiziato per aver complottato contro l’imperatore. Agrippa, nipote di Antipa, dopo una vita avventurosa che lo aveva portato prima a vivere alle spalle dello zio e poi a lasciare precipitosamente la Siria per sfuggire ai suoi creditori, finì in prigione. Vi finì per avere invocato da Dio il regno per Caligola, nonostante Agrippa fosse amico del figlio di Tiberio (Druso, avvelenato da Seiano). Liberato poi da Seiano quando questi salì al trono, Agrippa fu ricompensato con una catena d’oro dello stesso peso di quella che lo incatenava in carcere e fu fatto re della Nabatea (circa 37 E. V.).

   L’improvvisa fortuna di Agrippa suscitò la gelosia di sua sorella Erodiade che voleva la medesima dignità per il proprio marito. Con la sua insistenza, ella riuscì a vincere la riluttanza di suo marito Antipa. “Andiamo a Roma – gli diceva Erodiade – non risparmiamo né fatica né oro né argento. A cosa servirebbe conservare questi tesori? Non possiamo impiegarli meglio che per procurarci la corona” (Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 18,7,1,2). Erode [Antipa], che amava la quiete e provava ripugnanza per i tumulti e i disordini a Roma, resistette a tale pressione. Ma Erodiade “quanto più lo vedeva opporsi alle sue aspirazioni e al viaggio, tanto più si sforzava di persuaderlo a tentare ogni cosa pur di ottenere il titolo di re. E non cessò se non quando riuscì a carpirgli il consenso. Ed egli fu costretto a cedere alla sua insistenza” (Ibidem). L’impresa fallì miseramente. Su sollecitazione di Agrippa fu accusato di lavorare contro Roma; gli furono trovate armi per settemila uomini. Così, verso il 40 E. V., Antipa fu esiliato in Gallia (odierna Francia), dove Erodiade lo volle seguire rifiutando il favore imperiale a suo riguardo. “Tu, o Cesare, parli da quel generoso e grand’uomo che sei, ma l’amore che porto a mio marito mi vieta di accettare i tuoi doni cortesi. E poiché fui compagna nella prosperità non è giusto da parte mia che l’abbandoni nelle sue sventure”. – Ibidem 18,7,2.