L’episodio è in Mr 7:24-30 e in Mt 15:21-28. Pressato dall’ostilità dei nemici che lo spiavano e di continuo polemizzavano con lui, Yeshùa esce dai confini della Galilea in cerca di un po’ di riposo, dirigendosi verso Tiro e Sidone sulla costa fenicia. “Partito di là, Gesù si ritirò quindi nelle parti di Tiro e Sidone” (Mt 15:21, TNM). Il verbo greco tradotto giustamente “si ritirò” è ἀνεχώρησεν (anechòresen). Il verbo ἀναχωρέω (anachorèo), numero Strong 402, indica anche il ritirarsi di quelli che a causa della paura cercano un altro luogo o che evitano di essere visti (da questo verbo deriva anche l’italiano “anacoreta”). Nel caso di Yeshùa non si trattava certo di paura, ma solo di desiderio di stare in pace e trovare un po’ di riposo per raccogliere di nuovo le forze. Lo stesso verbo è usato in Mt 4:12: “Avendo udito che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea” (TNM), Mt 14:13: “Gesù si ritirò di là in barca in un luogo solitario per isolarsi”. –TNM.

   Yeshùa si rifugiò in una casa (si tenga presente l’ospitalità di allora) “e non voleva farlo sapere a nessuno; ma non poté restare nascosto” (Mr 7:24), perché la sua fama aveva varcato i confini del proprio paese (Mr 3:8; Mt 4:25). Venne perciò da lui una “cananea”, così la chiama Matteo (15:22); Canaan era un’antica denominazione del territorio fenicio. Ella è descritta da Marco così: “Quella donna era pagana, sirofenicia di nascita” (Mr 7:26). In verità Marco dice “greca”: “La donna era greca, di nazionalità siro-fenicia” (TNM). “Pagana” è una interpretazione del tutto esatta: gli ebrei chiamavano “greci” i pagani. Paolo parla dei discepoli di Yeshùa dicendo “i chiamati, sia giudei che greci  [pagani]” (1Cor 1:24). Marco, per specificare meglio la nazionalità della donna ai suoi lettori non ebrei dice che era siro-fenicia.

   Matteo, desiderando mostrare come i pagani comprendano meglio dei giudei la dignità di Yeshùa, mette sulle labbra della donna il titolo prettamente messianico di “Signore, Figlio di Davide” (15:22). Marco, invece, rende indiretta la frase ed evita ogni titolo: “Lo pregava di scacciare il demonio da sua figlia” (7:26). Matteo vuole mostrare che l’implorazione della guarigione non era fatta ad una persona qualsiasi, ma al discendente davidico per eccellenza, al re messianico che ha il potere di aiutare. È difficile pensare che questo titolo ebraico fosse noto ai pagani; anche se si ipotizza che con la fama di Yeshùa fosse giunto fin lì anche il suo titolo, occorre dire che i pagani non lo avrebbero compreso. È più facile che Matteo lo abbia messo in bocca alla cananea. Come sempre, sarebbe solo un occidentale a scandalizzarsi. Per gli ebrei era un procedimento del tutto lecito. Marco, infatti, tace il particolare.

   Caso strano: Yeshùa, quasi fosse sordo a quella implorazione angosciosa, “non le rispose parola” (Mt 15:23). Gli stessi discepoli pregano Yeshùa di darle ascolto: “I suoi discepoli si avvicinarono e lo pregavano”, sebbene per uno scopo non molto nobile: “Mandala via, perché ci grida dietro” (Mt 15:23). Yeshùa però risponde in tono distaccato: “Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele” (v. 24). Qui ci sono diversi semitismi che indicano l’antichità del racconto: “inviato”; “pecore” (Is 63:11). Il teologo Bultmann ritiene che questo v. 24 sia un’aggiunta posteriore della comunità dei discepoli. È facile smentire questa ipotesi: la chiesa o congregazione, che era impegnata nel diffondere la fede ai pagani, mai avrebbe inserito un loghion (detto) contrario alla sua missione. Che senso dare al rifiuto di Yeshùa? Egli, per il suo programma di vita, deve rifiutare il miracolo: “Non andate tra i pagani” (Mt 10:5), ma per la fede della donna che non cede le deve venire necessariamente incontro.

   “Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini” (Mt 15:26). In tutte le lingue semitiche la parola “cane” indica l’orrore e il disprezzo: il cane, allora allo stato semiselvaggio, si cibava di carne putrida e dei resti di cadaveri, per non parlare degli escrementi di ogni tipo. Era quindi simbolo di un essere spregevole e impuro. Il termine “cagnolini” usato da Yeshùa attenua un po’ l’asprezza del vocabolo; ma a quel tempo i cagnolini addomesticati non esistevano, perciò non si tratta affatto di un vezzeggiativo come potrebbe suonare a noi oggi; sarebbe come dire “piccoli cani”, piccoli ma sempre “cani”.

   La donna non si spaventa, non si scandalizza. Con grande fede si umilia e per questo, eccezionalmente, ottiene la guarigione da Yeshùa.

   Nel dialogo tra la donna e Yeshùa emerge l’intelligenza e la sagacia mista all’umiltà della donna. Nonostante Yeshùa le dia indirettamente della piccola cagna (in quanto pagana), la donna non solo umilmente accetta, ma usa l’argomentazione stessa di Yeshùa esasperandola e volgendola a suo favore. Yeshùa ha detto: “Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini” (v. 26). Yeshùa parla di “figli”, di “pane” e di “buttarlo” ai “cagnolini”, intendendo: giudei, benedizioni di Dio, sprecare e pagani. La donna va oltre: “Anche i cagnolini mangiano delle brìciole che cadono dalla tavola dei loro padroni” (v. 27). I cani-pagani rimangono cani, ma il “pane” di Yeshùa diventa “briciole” e i “figli” diventano “padroni”; e non è necessario “buttarlo”, si prende quello che inavvertitamente cade.

Yeshùa

pane

figli

buttare il pane

Piccoli cani

Donna

briciole

padroni

raccogliere

Piccoli cani

Significato

benedizioni

ebrei

sprecare-accontentarsi

pagani

   La risposta-argomentazione della donna è posta con umiltà. Non si tratta per nulla di una contrapposizione, come la rende – molto male – TNM: “Essa disse: ‘Sì, Signore, ma veramente i cagnolini […]’”. Non “ma, veramente”, che sarebbe una correzione del pensiero di Yeshùa e mostrerebbe una riserva. Il greco ha ναί κύριε, καὶ γὰρ τὰ κυνάρια  (nài, kΰrie, kài gar ta künària), “Certamente, signore, e infatti i cagnolini”. La donna dà piena ragione a Yeshùa e non solleva nessuna obiezione: non sta affatto dicendo che sebbene il pane appartenga ai figli, però si ha diritto almeno alle briciole. No, non è questa l’argomentazione. Yeshùa ha detto che il pane è per i figli e non per i cani. La donna dice: Sì, verissimo, infatti i cani non devono mangiare il pane dei figli; quello che dici rimane come dici; i cani raccolgono solo le briciole che cadono dalla tavola dei padroni. Come dire: non sto chiedendo il pane dei figli né un pezzetto di quel pane, non sto chiedendo neppure le briciole di quel pane che appartiene ai figli; lascia solo che un piccolo cane raccolga le briciole cadute dalla tavola dei padroni e che sarebbero in ogni caso perse e inutilizzate.

   Yeshùa non può che essere stupefatto di fronte al ragionamento umile e irreprensibile della donna. Ha vinto lei. “Grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi”. – V. 28.

   Yeshùa a volte semina tristezza, ma lo fa perché ne nasca una gioia duratura: “Così anche voi siete ora nel dolore; ma io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi toglierà la vostra gioia” (Gv 16:22). Occorre credere con costanza e pregare senza stancarsi (Lc 18:1). Quella donna cananea fu premiata per la sua fede. Dio può suscitare anche dalle pietre dei figli di Abraamo, “veri giudei”. – Mt 3:9; Rm 2:29.

   Il lòghion (detto) di Yeshùa. Il lòghion  “io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 15:24) corrisponde a quello della missione degli apostoli durante la vita terrena di Yeshùa: “Non andate tra i pagani e non entrate in nessuna città dei Samaritani, ma andate piuttosto verso le pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 10:5,6; cfr. Mt 8:5-13=Lc 7:1-10). D’altra parte, dopo la sua resurrezione Yeshùa comanda: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli” (Mt 28:19). Come congiungere questi due domandi tra loro opposti? Essi corrispondono a due diversi temi storici della salvezza:

  1. Durante la sua vita terrena Yeshùa limita a Israele l’attività sua e dei discepoli. Questo in omaggio all’elezione, alle promesse fatte da Dio ad Israele. È da Israele che proviene, infatti, il salvatore: “Gli Israeliti, ai quali appartengono l’adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il servizio sacro e le promesse; ai quali appartengono i padri e dai quali proviene, secondo la carne, il Cristo” (Rm 9:4,5). È ad Israele che viene mandato il salvatore: “Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 15:24). Yeshùa è l’“amèn ossia “il sì”, l’adempimento di tutte le promesse messianiche: “Infatti tutte le promesse di Dio hanno il loro «sì» in lui; perciò pure per mezzo di lui noi pronunciamo l’Amen alla gloria di Dio”. – 2Cor 1:20.
  2.  Israele ha respinto il suo messia (cristo, unto, consacrato): “Pilato a loro: ‘Che farò dunque di Gesù detto Cristo?’. Tutti risposero: ‘Sia crocifisso’. Ma egli riprese: ‘Che male ha fatto?’. Ma quelli sempre più gridavano: ‘Sia crocifisso!’. Pilato, vedendo che non otteneva nulla, ma che si sollevava un tumulto, prese dell’acqua e si lavò le mani in presenza della folla, dicendo: ‘Io sono innocente del sangue di questo giusto; pensateci voi’. E tutto il popolo rispose: ‘Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli’” (Mt 27:22-25). Yeshùa comprende che il suo tentativo di radunare “le pecore perdute della casa di Israele” “come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali” (Mt 23:37) è destinato a fallire. Egli prevede che la sua fine sarà la morte cruenta: “Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molte cose da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti, degli scribi, ed essere ucciso” (Mt 16:21), “Gesù disse loro: ‘Il Figlio dell’uomo sta per essere dato nelle mani degli uomini; essi lo uccideranno’” (Mt 17:22,23), “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà dato nelle mani dei capi dei sacerdoti e degli scribi; essi lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito, flagellato e crocifisso”. – Mt 20:18,19.
  3. Di fronte a tale opposizione Yeshùa pronuncia la condanna di Israele per predire il passaggio della salvezza ai gentili, nei quali trova una fede sorprendente: “Io vi dico in verità che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande! E io vi dico che molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a tavola con Abraamo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori” (Mt 10:11-12), “Allora egli prese a rimproverare le città nelle quali era stata fatta la maggior parte delle sue opere potenti, perché non si erano ravvedute: ‘Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida! perché se in Tiro e Sidone fossero state fatte le opere potenti compiute tra di voi, già da molto tempo si sarebbero pentite, con cilicio e cenere. Perciò vi dichiaro che nel giorno del giudizio la sorte di Tiro e di Sidone sarà più tollerabile della vostra. E tu, o Capernaum, sarai forse innalzata fino al cielo? No, tu scenderai fino all’Ades. Perché se in Sodoma fossero state fatte le opere potenti compiute in te, essa sarebbe durata fino ad oggi. Perciò, vi dichiaro, nel giorno del giudizio la sorte del paese di Sodoma sarà più tollerabile della tua’” (Mt 11:20-24), “I Niniviti compariranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco, qui c’è più che Giona! La regina del mezzogiorno comparirà nel giudizio con questa generazione e la condannerà; perché ella venne dalle estremità della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco, qui c’è più che Salomone!” (Mt 12:41,42). Yeshùa allora si ritira da Israele: “Gesù disse loro: ‘Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno rifiutata è diventata pietra angolare; ciò è stato fatto dal Signore, ed è cosa meravigliosa agli occhi nostri? Perciò vi dico che il regno di Dio vi sarà tolto, e sarà dato a gente che ne faccia i frutti’” (M 21:41,43). Al nuovo popolo di Dio Pietro dirà:

“Voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale,

una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato”. – 1Pt 2:9.

   L’ora dei pagani scocca con la caduta di Israele. È quanto mette particolarmente in risalto Marco nell’episodio della donna Cananea. Matteo riporta: “Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini” (15:26). Ma Marco attesta:

“Lascia che prima siano saziati i figli,

perché non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini”. – Mt 7:27.

   Girolamo commenta: “Non che Gesù non sia stato inviato per i gentili, ma è inviato dapprima ad Israele affinché dopo che essi respinsero il vangelo si avverasse una giusta trasmissione del lieto annuncio ai pagani” (PL 26,114). Matteo pone in primo piano solo Israele nel ‘tempo nel quale è stata visitata’ (Lc 19:44). Dopo il loro rifiuto, i gentili o pagani saranno al centro della missione dei discepoli di Yeshùa, come appare da Atti e da Paolo nella sua lettera ai romani.

   Fonti. Mt deriva da Mr, le modifiche sono dovute a variazioni redazionali, senza aggiungere altra fonte orale o scritta. Nella presentazione fatta da Marco si esalta l’importanza dei discepoli che possono conoscere in antecedenza l’importanza dell’accesso ai beni messianici. Yeshùa è taumaturgo in quanto “figlio di Davide” (titolo eminentemente messianico), per cui anche la cananea ha accesso a tali beni. Nonostante l’estensione della missione di Yeshùa, i giudei stanno pur sempre in primo piano: la sua teologia della missione è anzitutto giudaica. L’unico modo con cui i pagani si inseriscono nel nuovo popolo di Dio è la fede.