Un atto d’amore di Dio

   “Dio è amore” (1Gv 4:8). Dio aborrisce i sacrifici umani: “Non darai i tuoi figli perché vengano offerti a Moloc; e non profanerai il nome del tuo Dio. Io sono il Signore” (Lv 18:21). Per impedire che si facessero cose del genere, il fedele re Giosia fece profanare il luogo in cui si praticava il culto idolatrico che prevedeva sacrifici umani, specie la parte detta Tofet. – 2Re 23:10.

“In questo si è manifestato per noi l’amore di Dio: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo affinché, per mezzo di lui, vivessimo. In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati”. – 1Gv 4:9,10.

   Ci volle l’eccezionale amore di Dio per l’umanità per permettere che Yeshùa subisse la tortura e una morte vergognosa. “Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato” (Rm 5:12). Risalendo la china del baratro prodottosi con il peccato, Yeshùa doveva mostrare la sua perfetta ubbidienza fino alla morte.

   “Nessun uomo può riscattare il fratello, né pagare a Dio il prezzo del suo riscatto” (Sl 49:7). Nessun discendente di Adamo, essendo un peccatore, poteva essere all’altezza, eppure occorreva che proprio un essere umano come Adamo sanasse la situazione di peccato da lui prodotta. Con la sua nascita verginale da Miryàm, Yeshùa era perfettamente uomo come lo fu Adamo; con la sua nascita per intervento dello spirito santo di Dio, Yeshùa proveniva perfettamente da Dio, come Adamo. Yeshùa fu il secondo Adamo: “Il primo uomo, Adamo, divenne anima vivente; l’ultimo Adamo è spirito vivificante”. – 1Cor 15:45.

   Yeshùa aveva tutti i requisiti per essere il Riscattatore: era osservante della Legge di Dio ed era senza peccato. Il principio espresso in Es 21:23,24 (“vita per vita”) richiedeva che qualcuno uguale ad Adamo desse la sua vita. Yeshùa aveva tutti i requisiti:

  • “Egli non commise peccato”. – 1Pt 2:22.
  • “Egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato”. – Eb 4:15.
  • “Santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori”. – Eb 7:26.
  •  “Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui”. – 2Cor 5:21; cfr. Is 53:9.

La maniera della morte di Yeshùa fu in armonia con il ruolo di Riscattatore

   Sebbene per riscattare le persone non giudee non fosse necessario che Yeshùa morisse su un palo, ciò era necessario per togliere la maledizione dagli ebrei dovuta allo loro disubbidienza: “Maledetto chi non si attiene alle parole di questa legge, per metterle in pratica”. – Dt 27:26.

   In base all’Insegnamento di Dio (la Toràh), chiunque fosse stato appeso ad un palo era maledetto: “Quando uno avrà commesso un delitto passibile di morte, e viene messo a morte, lo appenderai a un albero. Il suo cadavere non rimarrà tutta la notte sull’albero, ma lo seppellirai senza indugio lo stesso giorno, perché il cadavere appeso è maledetto da Dio”. – Dt 21:22,23.

   Yeshùa era senza colpa. Prendendo innocentemente il posto di un malfattore, egli si caricò la maledizione che gravava sugli ebrei. “Dunque, come con una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così pure, con un solo atto di giustizia, la giustificazione che dà la vita si è estesa a tutti gli uomini. Infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati resi peccatori, così anche per l’ubbidienza di uno solo, i molti saranno costituiti giusti”. – Rm 5:18.19.

“Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto maledizione per noi (poiché sta scritto: Maledetto chiunque è appeso al legno)”. – Gal 3:13.

   Siccome la morte di Yeshùa doveva comportare il perdono dei peccati, era necessario che egli versasse il suo sangue:

“Secondo la legge, quasi ogni cosa è purificata con sangue; e, senza spargimento di sangue, non c’è perdono”. – Eb 9:22.

   Yeshùa fu inchiodato alla croce (Gv 20:25), così che perse sangue. Non tutti i metodi di esecuzione capitale garantivano che venisse versato il sangue. Ad esempio, con il metodo ebraico – spesso impiegato – della lapidazione, non necessariamente ci sarebbe stato versamento di sangue. Anche i romani impiegavano talvolta metodi non necessariamente cruenti: spesso legavano il condannato a un palo senza inchiodarvelo. Comunque, in genere, “quando si giungeva al luogo dell’esecuzione, il criminale era quasi denudato, legato e inchiodato”. – The Imperial Bible Dictionary, vol 1, pag. 377.

   Sebbene fosse necessario versare il sangue del Riscattatore, il modello dell’agnello pasquale richiedeva che non gli dovessero essere rotte le ossa: “Si mangi ogni agnello per intero in una casa. Non portate fuori casa nulla della sua carne e non gli spezzate neanche un osso”. – Es 12:46.

   Ora, il metodo romano di crocifiggere comportava spesso la rottura delle gambe. Ciò veniva fatto per affrettare la morte del condannato. “Inchiodata . . . le braccia levate della vittima reggevano tutto il peso del corpo, esercitando notevole trazione . . .  L’unico modo in cui il crocifisso poteva respirare era di spostare il suo peso sui chiodi che reggevano i piedi . . . C’era un mezzo per affrettare la morte: il crurifragium. Rompendo le gambe dell’uomo crocifisso, gli si rendeva impossibile alzarsi per respirare [e ne seguiva subito asfissia]”. – Medical World News del 21 ottobre 1966, pag. 159.

   Nel caso di Yeshùa, la sua morte non fu affrettata rompendogli le ossa: “I Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato (poiché era la Preparazione e quel sabato era un gran giorno), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe, e fossero portati via. I soldati dunque vennero e spezzarono le gambe al primo, e poi anche all’altro che era crocifisso con lui; ma giunti a Gesù, lo videro già morto, e non gli spezzarono le gambe”. – Gv 19:31-33.

   Il tipo di morte di Yeshùa soddisfece dunque tutte le esigenze bibliche.

   Il luogo in cui Yeshùa fu crocifisso era fuori dalle mura allora esistenti. “Presero dunque Gesù; ed egli, portando la sua croce, giunse al luogo detto del Teschio, che in ebraico si chiama Golgota, dove lo crocifissero” (Gv 19:17,18). Ciò era conforme alla norma biblica sull’eliminazione della carogna offerta per i peccati: “I corpi degli animali il cui sangue è portato dal sommo sacerdote nel santuario, quale offerta per il peccato, sono arsi fuori dell’accampamento. Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, soffrì fuori della porta della città”. – Eb 13:11,12.

   Con mani e piedi inchiodati, sanguinando fino alla morte, Yeshùa adempì Is 53:12:

Ha dato se stesso alla morte

ed è stato contato fra i malfattori;

perché egli ha portato i peccati di molti

e ha interceduto per i colpevoli”.

   Dopo circa tre ore di agonia sulla croce (Mt 27:45-50), Yeshùa morì, probabilmente per il cuore infranto o per un’arteria rotta.

La lunga e atroce agonia di Yeshùa

   La notte prima della sua morte Yeshùa l’aveva passata insonne. Fu in un’agonia così tremenda che emise sudore sanguigno che cadde a terra: “Essendo in agonia, egli pregava ancor più intensamente; e il suo sudore diventò come grosse gocce di sangue che cadevano in terra” (Lc 22:44). Si tratta di ematidrosi, dovuta ad angoscia mentale.

   Sin dal momento del suo arresto, di notte, Yeshùa era stato sottoposto a ingiurie, interrogatori, percosse e scherni. Un astuto stratagemma era stato ideato per ucciderlo: “I capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote che si chiamava Caiafa, e deliberarono di prendere Gesù con inganno e di farlo morire” (Mt 26:3,4). Prima fu condotto da Anna, influente ex sommo sacerdote, che lo interrogò dando così il tempo a Caiafa di radunare il Sinedrio, la suprema corte, e di preparare falsi testimoni. “Quindi Anna lo mandò legato a Caiafa, sommo sacerdote” (Gv 18:24). Nel cuore della notte Yeshùa fu condotto dinanzi al Sinedrio per il primo processo e la condanna. Il Sinedrio infranse così le tradizioni legali, riunendosi di notte.

   Alla fine furono trovati dei falsi testimoni: “Alcuni si alzarono e testimoniarono falsamente contro di lui dicendo: ‘Noi l’abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne ricostruirò un altro’” (Mr 14:57,58). Questa accusa era molto seria: Geremia rischiò di essere giustiziato per aver profetizzato la distruzione del Tempio (Ger 26:6-9). L’accusa però non resse, ed erano richiesti due testimoni per condannare qualcuno (Dt 19:15). “Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò e gli disse: ‘Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?’ Gesù disse: ‘Io sono; e vedrete il Figlio dell’uomo, seduto alla destra della Potenza, venire sulle nuvole del cielo’. Il sommo sacerdote si stracciò le vesti e disse: ‘Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Voi avete udito la bestemmia. Che ve ne pare?’ Tutti lo condannarono come reo di morte. Alcuni cominciarono a sputargli addosso; poi gli coprirono la faccia e gli davano dei pugni dicendo: ‘Indovina, profeta!’ E le guardie si misero a schiaffeggiarlo”. – Mr 14:61-65.

   Tutto fu subìto da Yeshùa senza poter mai dormire. All’alba, il Sinedrio si riunì di nuovo e condannò Yeshùa, che aveva già sopportato una notte estenuante. Tuttavia, il Sinedrio non poteva condannare a morte senza il consenso dei romani. Così dovettero portarlo di fronte a Pilato e accusarlo falsamente di un reato che reggesse presso i romani, giacché l’autorità romana non avrebbe condannato alla pena capitale qualcuno accusato solo in base alla legge giudaica. Così, Yeshùa fu accusato si sedizione e tradimento: “Cominciarono ad accusarlo, dicendo: ‘Abbiamo trovato quest’uomo che sovvertiva la nostra nazione, istigava a non pagare i tributi a Cesare e diceva di essere lui il Cristo re’”. – Lc 23:2.

   La sua morte fu “una delle più estenuanti, angosciose forme di morte che si possono immaginare”. – Medical World News del 21 ottobre 1966, pag. 154.

    Abbandonato da tutti, comprese che Dio stesso lo aveva abbandonato nelle mani del maligno: “All’ora nona, Gesù gridò a gran voce: ‘Eloì, Eloì lamà sabactàni?’ che, tradotto, vuol dire: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, “Gesù, emesso un gran grido, rese lo spirito” (Mr 15:34,37). Adempì così la profezia di Sl 22:1:

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito!”.

   “È comune . . . per le persone il cui cuore è oppresso per l’eccessiva congestione sanguigna, con ansietà e palpitazione, e minacciate dal soffocamento, gridare ad alta voce” (Dott. W. Stroud, The Physical Causes of the Death of Christ, pagg. 125 e 126, citando Grüner). Con il muscolo cardiaco infranto o un’arteria rotta, il sangue sgorga nel pericarpio (il sacco che racchiude il cuore): lì si scompone in siero acquoso e materia coagulata rossa. “Uno dei soldati gli forò il costato con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua”. – Gv 19:34.

La nostra speranza di felicità è incentrata su Yeshùa

   “Vediamo colui che è stato fatto di poco inferiore agli angeli, cioè Gesù, coronato di gloria e di onore a motivo della morte che ha sofferto, affinché, per la grazia di Dio, gustasse la morte per tutti. Infatti, per condurre molti figli alla gloria, era giusto che colui, a causa del quale e per mezzo del quale sono tutte le cose, rendesse perfetto, per via di sofferenze, l’autore della loro salvezza”. – Eb 2:9,10.

   Nello stesso momento in cui ciascuno di noi nasce, inizia un conto alla rovescia che conduce inevitabilmente alla morte. “Tutti i suoi giorni non sono che dolore, la sua occupazione non è che fastidio; perfino la notte il suo cuore non ha posa” (Ec 2:23). “Non sapete quel che succederà domani! Che cos’è infatti la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi svanisce”. – Gc 4:14.

“L’uomo, nato di donna,

vive pochi giorni, ed è sazio d’affanni.

Spunta come un fiore, poi è reciso;

fugge come un’ombra, e non dura”. – Gb 14:1,2.

   Senza “Cristo Gesù uomo, che ha dato se stesso come prezzo di riscatto per tutti” (1Tm 2:5,6), non avremmo riscatto, quel riscatto che nessuno di noi può produrre. La nostra condizione sarebbe stata disperata. Con i sacerdoti e i sacrifici previsti dalla Legge mosaica si poteva ottenere man mano il perdono dei peccati, ma mai la possibilità di riacquistare la condizione originaria che Adamo aveva prima del peccato. Quei sacrifici non potevano recare il vero perdono, quello definitivo, ma prefigurarono il riscatto di Yeshùa. “Mosè fu fedele in tutta la casa di Dio come servitore per rendere testimonianza di ciò che doveva essere annunciato, ma Cristo lo è come Figlio, sopra la sua casa; e la sua casa siamo noi” (Eb 3:5,6). “Ogni sommo sacerdote, preso tra gli uomini, è costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati; così può avere compassione verso gli ignoranti e gli erranti, perché anch’egli è soggetto a debolezza; ed è a motivo di questa che egli è obbligato a offrire dei sacrifici per i peccati, tanto per se stesso quanto per il popolo . . . Cristo non si prese da sé la gloria di essere fatto sommo sacerdote . . . Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì; e, reso perfetto, divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna, essendo da Dio proclamato sommo sacerdote . . . Ne consegue che Gesù è divenuto garante di un patto migliore del primo. Inoltre, quelli sono stati fatti sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare; egli invece, poiché rimane in eterno, ha un sacerdozio che non si trasmette. Perciò egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro. Infatti a noi era necessario un sommo sacerdote come quello, santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli; il quale non ha ogni giorno bisogno di offrire sacrifici, come gli altri sommi sacerdoti, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo; poiché egli ha fatto questo una volta per sempre quando ha offerto se stesso. La legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento fatto dopo la legge costituisce il Figlio, che è stato reso perfetto in eterno”. – Eb 5:1-3,5, 8-10;7:22-28.

 

“E voi, che un tempo eravate estranei e nemici a causa dei vostri pensieri e delle vostre opere malvagie, ora Dio vi ha riconciliati nel corpo della carne di lui, per mezzo della sua morte, per farvi comparire davanti a sé santi, senza difetto e irreprensibili”. Col 1:21,22.