Rileviamo dalla Bibbia che l’ascensione al cielo di Yeshùa avvenne il 40° giorno dalla sua resurrezione. Ciò è confermato in At 1:3-9:

“Si presentò vivente con molte prove, facendosi vedere da loro per quaranta giorni, parlando delle cose relative al regno di Dio. Trovandosi con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme . . . Dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo sottrasse ai loro sguardi”. – Passim.

   Quest’ascensione avvenne dal monte degli Ulivi, non lontano dal Tempio di Gerusalemme, infatti è detto che dopo l’evento “essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell’Uliveto, che è vicino a Gerusalemme”. – At 1:12.

   Ora si confronti questo passo con Lc 24:50,51: “Poi li condusse fuori fin presso Betania; e, alzate in alto le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato su nel cielo”.

   Si tratta dello stesso evento? Se sì, occorrerebbe spiegare la differenza geografica, e non solo, dato che c’è di diverso anche il fattore cronologico. Si tratta forse di due ascensioni? Nei passi di At e di Lc, sono da precisare prima di tutto il luogo e il tempo. Il risultato sarà sorprendente.

   Presunta ascensione da Betania (Lc 24:50,51). Nel passo lucano è detto chiaramente che Yeshùa condusse i discepoli “fin presso Betania”. “Betania distava da Gerusalemme circa quindici stadi” (Gv 11:18). Dato che uno stadio era pari a un ottavo di miglio romano, ovvero a 185 m, tra Betania e Gerusalemme c’erano 2775 m, quasi tre km. L’ascensione narrata da Luca avviene subito dopo gli avvenimenti della domenica in cui le donne trovano la tomba vuota, “il primo giorno della settimana” (Lc 24:1). “In quello stesso giorno” (v. 13) Yeshùa incontra due discepoli di Emmaus e quando “si fa sera e il giorno sta per finire” (v. 29) entra da loro e con loro si mette a tavola, al che lo riconoscono, e in quel momento Yeshùa “scomparve alla loro vista” (v. 31). Rimasti soli, i due commentano l’accaduto (v. 32). Ora si noti: “Alzatisi in quello stesso momento, tornarono a Gerusalemme e trovarono riuniti gli undici e quelli che erano con loro” (v. 33); siamo sempre alla sera di quella domenica. “Ora, mentre essi parlavano di queste cose, Gesù stesso comparve in mezzo a loro” (v. 36). I vv. 37-48 riportano la conversazione di Yeshùa con i discepoli. Poi – lo si noti attentamente –, “poi li condusse fuori fin presso Betania; e, alzate in alto le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato su nel cielo”. – Vv. 50,51.

   Era dunque quella stessa domenica in cui le donne trovarono il sepolcro vuoto. Possiamo determinarne meglio il momento? Sì. Un’indicazione ci è data dal v. 29. Sebbene il passo sia tradotto “si fa sera e il giorno sta per finire”, noi preferiamo sempre vedere cosa dice la Bibbia. La frase è ἑσπέραν ἐστὶν καὶ κέκλικεν ἤδη ἡ ἡμέρα  (espèran estìn kài kèkliken ède e emèra). Le prime due parole (espèran estìn) significano “sera è”. Ciò non deve far subito pensare a quella che noi consideriamo sera, quando ormai il sole è tramontato. Gli ebrei distinguevano tra due sere. Es 12:6 prescriveva che l’agnello pasquale si doveva “scannare fra le due sere” (TNM). Il primo agnello pasquale veniva scannato nel Tempio verso le ore 15. Ecco una conferma storica: “Questi sommi sacerdoti alla venuta della festa che chiamano la Pasqua ebraica, sacrificano gli animali uccidendoli dalla nona all’undicesima ora” (Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, Libro VI, IX, 3). “Verso l’ora nona, Gesù gridò a gran voce . . . E Gesù, avendo di nuovo gridato con gran voce, rese lo spirito” (Mt 27:46,50). La nona ora corrisponde alle nostre ore 15, per cui l’undicesima corrisponde alle 17. “Tra le due sere” significa quindi, in tempo di Pasqua (perché la durata del dì varia con le stagioni), tra le 15 e le 17. L’avvenimento di Betania cadde in quel periodo, era difatti il 18 di nissàn, essendo Yeshùa morto il 14 ed essendo rimasto nella tomba tre giorni. Le “due sere” corrispondevano a due momenti particolari del movimento apparente del sole: la prima sera era quando il sole iniziava a declinare, la seconda al tramonto. Nell’espressione lucana c’è poi κέκλικεν ἤδη ἡ ἡμέρα (kèkliken ède e emèra). E emèra significa “il giorno”. Il verbo κέκλικεν (kèkliken) è la forma al perfetto indicativo del verbo κλίνω (klìno) che significa “inclinarsi”. La frase completa, letteralmente, suona: “È sera e il giorno ormai si è inclinato”. Erano quindi passate le 15 e il sole scendeva; era quello che noi definiremmo pomeriggio. Sempre di domenica 18 nissàn, il primo giorno dalla resurrezione di Yeshùa. A Betania.

   Ascensione dal Monte degli Ulivi (At 1:3-9,12). Nel passo di At 1:3-9 erano invece già passati quaranta giorni dalla resurrezione. Il passo lo dice chiaramente. In quanto al luogo, il comando di “non allontanarsi da Gerusalemme” (v. 4) fa capire che erano lì nei pressi. Il v. 12 dice chiaramente che dopo l’ascensione di Yeshùa “essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell’Uliveto, che è vicino a Gerusalemme, non distandone che un cammin di sabato”. Ora si noti la distanza da Gerusalemme: “un cammin di sabato”. Questa è una misura precisa, stabilita dai rabbini per rispettare il riposo sabatico sulla base di Gs 3:4, che parla “di circa duemila cubiti”, equivalenti a 890 m, meno di un km.

   Due ascensioni? Si hanno così, a quanto pare, due ascensioni. Contraddizione? Errori degli evangelisti? Nulla di tutto ciò. In verità, di ascensioni ce ne fu più d’una, ma occorre capire bene. In At 1:3 è detto che Yeshùa “si presentò vivente”, dopo la sua resurrezione, “facendosi vedere da loro per quaranta giorni”. Egli non era rimasto con loro per tutto il tempo, ma “si presentò”: in pratica appariva loro in determinate circostanze e poi spariva alla loro vista. In 1Cor 15:5-7 sono menzionate queste apparizioni. Ogni volta che scompariva dopo una manifestazione, non si trattava di un’ascensione vera e propria. Luca, in At 1:3 dice che durante quei quaranta giorni Yeshùa παρέστησεν ἑαυτὸν (parèstesen eautòn), “mostrò se stesso”, e lo fece ὀπτανόμενος (optanòmenos), “apparendo”. Dopo una di queste apparizioni (quella ai due discepoli di Emmaus) è detto che egli poi ἄφαντος ἐγένετο (àfantos eghèneto), “invisibile divenne” (Lc 24:31). Non era un’ascensione: scomparve semplicemente. Potrebbe essere che neppure quella di Lc 24:51 fosse un’ascensione? In effetti, sì, non lo fu. Ma non dice il testo che “si staccò da loro e fu portato su nel cielo”? Non esattamente. La frase “fu portato in cielo” non si trova nei seguenti manoscritti: Papiro Bodmer (P75) dell’anno 200 circa, Codice Sinaitico (א) del 4° secolo, Codice Alessandrino (A) del 5° secolo, Manoscritto Vaticano 1209 (B) del 4° secolo, Codice Ephraemi rescriptus (C) del 5° secolo, Codice di Freer (W) del 5° secolo, Vulgata latina (Vg) del 4° secolo, Pescitta siriaca (Syp) del 5° secolo, Versione Armena (Arm) del 5° secolo, Codici di Beza (D) del 5-6° secolo, Codice Siriaco Sinaitico (Sys) del 4-5° secolo. Si avrebbe così nella Bibbia soltanto la frase “si staccò da loro”, il che equivale ad una separazione e non ad un’ascensione.

   Inoltre, paragonando i due eventi, si rilevano delle differenze notevoli. Vediamole:

   L’ascensione definitiva al cielo, avvenuta dal monte degli Ulivi e 40 giorni dopo la resurrezione (At 1:9-11). “Mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo sottrasse ai loro sguardi. E come essi avevano gli occhi fissi al cielo, mentre egli se ne andava, due uomini in vesti bianche si presentarono a loro e dissero: ‘Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù, che vi è stato tolto, ed è stato elevato in cielo, ritornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo’”. Qui si ha:

  • Prima dell’ascensione Yeshùa dà le sue ultime istruzioni (At 1:6-9a), precisando: “Riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi” (v. 8), segno che erano già stati informati in precedenza che dovevano rimanere a Gerusalemme.
  • Mentre Yeshùa viene elevato al cielo, gli apostoli guardano la scena.
  • Una nuvola nasconde Yeshùa alla loro vista.
  • Gli apostoli hanno “gli occhi fissi al cielo”.
  • Due angeli garantiscono che Yeshùa tornerà nella stessa maniera.
  • La fissità del loro sguardo e le parole di consolazione degli angeli fanno pensare alla tristezza degli apostoli.
  • Dopo l’ascensione “essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell’Uliveto” e senza gioia “salirono nella sala di sopra” e “perseveravano concordi nella preghiera”. – Vv. 12-14.

   La separazione a Betania (Lc 24:50,51). “Alzate in alto le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro [e fu portato su nel cielo – frase mancante in P75, א, A, B, C, W, Vg, Syp, Arm, D, Sys]. Ed essi, adoratolo [“essendosi prostrati”, nel testo greco], tornarono a Gerusalemme con grande gioia”. Qui invece si ha:

  • L’unica istruzione che Yeshùa dà è di rimanere a Gerusalemme. – V. 49.
  • Conduce gli apostoli a Betania. – V. 50.
  • Nello staccarsi da loro li benedice.
  • Tornano a Gerusalemme “con grande gioia”.
  • Stanno nel Tempio. – V. 53.
  • Non ci sono i due angeli.
  • Non c’è una nuvola a nascondere Yeshùa.
  • Il clima è di gioia, non di tristezza: a quanto pare, sanno che Yeshùa apparirà ancora.
  • Tutto ha il sapore di una separazione ma non di un addio.

L’ascensione nascosta

   Pochi studiosi capiscono davvero questo evento importantissimo. L’indizio – che dovrebbe far riflettere, portando ad un approfondimento – si trova in Gv 20:17: “Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre”. Queste parole le dice Yeshùa a Maria Maddalena la domenica mattina del 18 nissàn, quando le donne si recano al sepolcro trovandolo vuoto. Per la precisione, Yeshùa le dice: Μή μου ἅπτου, οὔπω γὰρ ἀναβέβηκα πρὸς τὸν πατέρα (mè mu àptu, ùto gar avabèbeka pros ton patèra), “non mi toccare, non ancora infatti sono salito a il padre”. La poca comprensione che gli studiosi hanno di questo punto si vede anche dalla traduzione superficiale: “Non trattenermi”; evidentemente non sanno spiegare quel “non mi toccare” del testo originale. Così anche CEI. Conforme al testo è Did: “Non toccarmi”. TNM usa il solito giro lungo di parole: “Smetti di stringerti a me”. Comunque, Yeshùa dice: Μή μου ἅπτου (mè mu àptu), “non mi toccare”.

   Yeshùa stesso dà la spiegazione sul perché non deve essere toccato: “Perché non sono ancora salito al Padre”. Doveva quindi salire al Padre. A cosa si riferisce? La chiave sta nella data stessa di quel giorno: era il 18 nissàn. In questa data precisa gli ebrei dovevano rispettare un’osservanza:

“Quando sarete entrati nel paese che io vi do e ne mieterete la raccolta, porterete al sacerdote un fascio di spighe, come primizia della vostra raccolta; il sacerdote agiterà il fascio di spighe davanti al Signore, perché sia gradito per il vostro bene; l’agiterà il giorno dopo il sabato. Il giorno che agiterete il fascio di spighe, offrirete un agnello di un anno, che sia senza difetto, come olocausto al Signore. L’oblazione che l’accompagna sarà di due decimi di efa di fior di farina intrisa d’olio, come sacrificio consumato dal fuoco, di profumo soave per il Signore; la libazione sarà di un quarto di hin di vino. Non mangerete pane, né grano arrostito, né spighe fresche, fino a quel giorno, fino a che abbiate portato l’offerta al vostro Dio. È una legge perenne, di generazione in generazione, in tutti i luoghi dove abiterete”. – Lv 23:10-14.

   Questa era l’Offerta del Covone, la prima delle primizie, accompagnata dalle offerte di pane e di vino, letteralmente un pasto, oltre ad un agnello. L’agnello rappresentava ovviamente Yeshùa. “Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti” (1Cor 15:20). Per presentare se stesso a Dio quale primizia, Yeshùa doveva ascendere al cielo. È per questo che quella domenica mattina dice a Maria Maddalena che lo vuole abbracciare: “Non mi toccare [Μή μου ἅπτου (mè mu àptu)], perché non sono ancora salito al Padre” (Gv 20:17). Yeshùa non poteva essere contaminato da nessuno che lo toccasse. Stava aspettando d’adempiere questo sacrificio. Stava per essere presentato come primizia, in modo da prendere il suo posto di nostro sommo sacerdote, entrando nel Santo dei Santi del Tempio celeste, dove dimora la presenza di Dio (1Pt 3:22). “Abbiamo un sommo sacerdote tale che si è seduto alla destra del trono della Maestà nei cieli”, “Cristo, sommo sacerdote dei beni futuri, egli, attraverso un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d’uomo, cioè, non di questa creazione, è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue. Così ci ha acquistato una redenzione eterna”. – Eb 8:1;9:11,12.

   Il passo di Lv prescriveva di agitare l’offerta del covone “il giorno dopo il sabato”. Di certo era quindi nel primo giorno della settimana, chiamato in ebraico “primo giorno” (Gn 1:3), la nostra domenica. Ma a quale sabato si riferiva la prescrizione di Lv? Al v. 5 di Lv 23 si parla del sacrificio della Pasqua da farsi il 14 di nissàn; al v. 6 si dice che il 15 di nissàn è la Festa dei Pani Azzimi (che doveva durare sette giorni). Queste date, ovviamente, potevano cadere in giorni diversi della settimana, secondo l’anno. Proprio come accade con il nostro calendario: ad esempio, il 1° gennaio 2010 è caduto di venerdì, ma il 1° gennaio 2011 cade di sabato. Ora, quando Lv dice “il giorno dopo il sabato”, con tutta evidenza si riferisce al sabato di quel periodo, quello che va dal 14 al 21 nissàn e che copre le Festività appena menzionate. Quel primo giorno dopo quel sabato è anche il giorno da cui parte il conteggio per calcolare il giorno di Pentecoste, come previsto ai vv. 15-21.

   Aspetto interessante, l’anno della morte di Yeshùa quel “giorno dopo il sabato” cadeva proprio quella domenica mattina in cui Yeshùa disse che non doveva essere toccato perché doveva salire al Padre. Quando avvenne quell’ascensione? Non avvenne quaranta giorni dopo e neppure quando quella stessa sera – come abbiamo esaminato –  “si staccò” dagli apostoli (Lc 24:51). La dimostrazione sta nel fatto che quella stessa domenica 18 nissàn, verso sera, quando apparve agli apostoli dopo essere apparso ai discepoli di Emmaus, Yeshùa invita gli apostoli a toccarlo: “Guardate le mie mani e i miei piedi, perché sono proprio io! Toccatemi e guardate” (Lc 24:39). Ora permette di essere toccato, cosa che quel mattino aveva impedito a Maria Maddalena. L’ascensione al Padre per presentare l’offerta del suo sacrificio quale primizia era quindi già avvenuta, probabilmente di mattina.

   Era domenica 18 nissàn dell’anno 30 della nostra èra.