Un esame particolare è richiesto per il passo biblico di 1Pt 3:18-20, che è spesso così mal compreso.

     Il passo in questione dice:

“Cristo ha sofferto una volta per i peccati, lui giusto per gli ingiusti, per condurci a Dio. Fu messo a morte quanto alla carne, ma reso vivente quanto allo spirito. E in esso andò anche a predicare agli spiriti trattenuti in carcere, che una volta furono ribelli, quando la pazienza di Dio aspettava, al tempo di Noè, mentre si preparava l’arca”.

   TNM – che va spesso un po’ per conto suo – dà del passo la stessa traduzione: “Cristo morì una volta per sempre in quanto ai peccati, un giusto per ingiusti, per condurvi a Dio, essendo messo a morte nella carne, ma essendo reso vivente nello spirito. In questo [stato] andò anche a predicare agli spiriti in prigione, che una volta erano stati disubbidienti quando la pazienza di Dio aspettava ai giorni di Noè, mentre era costruita l’arca”.

   Cosa intende dire esattamente Pietro? Qual è il significato del passo? Iniziamo a vedere le interpretazioni che vengono date. Ci sono due linee esegetiche fondamentali: orientale e occidentale. E altre interpretazioni.

Le interpretazioni

 

   1. Interpretazione orientale.

   L’interpretazione orientale (Scuola di Alessandria) sostiene che Yeshùa scese nell’Ades (soggiorno dei morti) per offrire una nuova possibilità di salvezza a quelli che perirono nel Diluvio. – Cfr. Clemente Alessandrino, Origène.

     a) Questa interpretazione presuppone la dottrina dell’apocastasi (conversione finale di tutti gli esseri umani).

     b) Nella versione siriaca del testo si legge: “Egli [Cristo] predicò alle anime [non spiriti] chiuse nello sheòl, cioè a coloro che furono disubbidienti al tempo di Noè”.

     c) La maggior parte degli esegeti protestanti respinge questa interpretazione.

     d) I mormoni ammettono la possibilità di salvezza dopo la morte per tutti i defunti. Infatti, battezzano i vivi per i morti.

     e) In campo cattolico, Galot ammette che la salvezza attuata da Yeshùa sul Calvario, si estese alle generazioni che lo precedettero, compresa quella del Diluvio.

     Questa ipotesi contrasta con tutto il resto della Bibbia che insegna, invece, che con la morte cessa ogni possibilità di salvezza.

     • “Il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo l’opera sua”. – Mt 16:27.

     • “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. E tutte le genti saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli della sua destra: ‘Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v’è stato preparato fin dalla fondazione del mondo […]. Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: ‘Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! […]”. – Mt 25:31-46, passim.

     • Mt 25:31-46 è un sermone profetico. Ap 20:11-15 parla del giudizio finale: “Vidi un grande trono bianco e colui che vi sedeva sopra […]. E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono. I libri furono aperti, e fu aperto anche un altro libro che è il libro della vita; e i morti furono giudicati dalle cose scritte nei libri, secondo le loro opere. […] La morte e l’Ades restituirono i loro morti; ed essi furono giudicati, ciascuno secondo le sue opere. Questa è la morte seconda, cioè lo stagno di fuoco. E se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco”. – Passim.

     • Rm 2,:5-10 dice: “Con la tua ostinazione e con l’impenitenza del tuo cuore, ti accumuli un tesoro d’ira per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio. Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere: vita eterna a quelli che con perseveranza nel fare il bene cercano gloria, onore e immortalità; ma ira e indignazione a quelli che, per spirito di contesa, invece di ubbidire alla verità ubbidiscono all’ingiustizia. Tribolazione e angoscia sopra ogni uomo che fa il male; sul Giudeo prima e poi sul Greco; ma gloria, onore e pace a chiunque opera bene; al Giudeo prima e poi al Greco”.

     • Il testo pietrino parla di spiriti e non di anime: “Andò anche a predicare agli spiriti [πνεύμασιν, pnèumasin, “a spiriti”] trattenuti in carcere” (3:19). Lo “spirito” nella Bibbia è la forza, la potenza. Nella Bibbia lo spirito non si identifica mai con l’anima.

     2. Interpretazione occidentale.

     a) Secondo Agostino, Pietro parlava dello spirito eterno di Cristo che, tramite Noè, predicò (inutilmente) la salvezza alle generazioni del Diluvio. Viene addotto: Pietro chiama Noè “predicatore di giustizia” (2Pt 2:5); “Per fede Noè, divinamente avvertito di cose che non si vedevano ancora, con pio timore, preparò un’arca per la salvezza della sua famiglia; con la sua fede condannò il mondo e fu fatto erede della giustizia che si ha per mezzo della fede”. – Eb 11:7.

     b) Perché mai la generazione del Diluvio o dei viventi di quel tempo vengono chiamati “spiriti trattenuti in carcere” (3:1)?

     • L’idea di anima (ma qui si parla di spiriti) rinchiusa nel “carcere” del corpo non è assolutamente biblica.

     • La cosiddetta preesistenza divina del Cristo – ammesso che vada intesa come vera preesistenza – non è mai detta “spirito”, ma casomai sarebbe detta “verbo”, “parola”, lògos.

     • L’andata del Cristo “in spirito” sembra riferirsi ad un tempo successivo alla sua morte e non ad un tempo precedente: “Reso vivente quanto allo spirito. E in esso [“In questo [stato]”, TNM; ovvero nello spirito] andò anche a predicare”. – 3:18,19.

     c) Per Bellarmino, Noè con la sua testimonianza avrebbe predicato la salvezza alla sua generazione e qualcuno, all’ultimo momento, si sarebbe ravveduto. Cristo, disceso nell’Ades, avrebbe non predicato, ma liberato le anime di quelli che si erano ravveduti prima di morire nel Diluvio. C’è qui, in Bellarmino, l’idea del purgatorio.

     • Ma, se si trattasse di anime, perché mai queste anime disincarnate sono qui chiamate spiriti?

     • La Bibbia ci presenta le generazioni del Diluvio come estremamente malvagie e perverse: dove mai è detto che qualcuno allora si converti? “Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo. Il Signore si pentì d’aver fatto l’uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo. E il Signore disse: ‘Io sterminerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato: dall’uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti” (Gn 6:5-7). “Nei giorni prima del diluvio si mangiava e si beveva, si prendeva moglie e s’andava a marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e la gente non si accorse di nulla, finché venne il diluvio che portò via tutti quanti” (Mt 24:38,39). “Si mangiava, si beveva, si prendeva moglie, si andava a marito, fino al giorno che Noè entrò nell’arca, e venne il diluvio che li fece perire tutti” (Lc 17:27). “[Dio] non risparmiò il mondo antico ma salvò, con altre sette persone, Noè, predicatore di giustizia, quando mandò il diluvio su un mondo di empi”. – 2Pt 2:5.

     • Il testo non dice per nulla che lo spirito del Cristo andò ai convertiti del tempo diluviano, ma agli spiriti “ribelli”. –  3:20.

   3. Nuova esegesi.

   Proclamazione della vittoria del Cristo. A. Selurin (anglicano) nel 1947 propose una nuova esegesi. Yeshùa, prima della resurrezione, sarebbe andato nel soggiorno dei morti per proclamare la sua vittoria agli spiriti ribelli, cioè agli angeli rinchiusi in attesa della punizione finale. In questa nuova interpretazione si fa notare che il testo non usa il termine evangelizzare, ma proclamare. Sebbene NR e TNM traducano “predicare” in 3:19, il testo greco ha ἐκήρυξεν (ekèrücsen): “proclamò”. È lo stesso verbo greco (ekèrücse) che LXXBagster (in greco) usa in Dn 5:29 per tradurre l’aramaico vehakhrìzu, “annunciarono”. In questa ipotesi il termine spirito non viene inteso come anima bensì nel suo significato di potenza.

   I punti deboli di questa teoria sono:

   • Se Yeshùa nello spirito è andato nell’Ades prima della sua resurrezione, vorrebbe dire che ci è andato con l’anima (nella Bibbia l’anima è il corpo) e quindi la parola “spirito” verrebbe usata con due significati diversi nello stesso versetto: “In esso [nello spirito, che qui sarebbe anima=corpo, secondo la teoria] andò anche a predicare agli spiriti [non anime] trattenuti in carcere” (3:19). Questo non è possibile. “Spirito” non può avere due significati diversi, a maggior ragione nello stesso versetto.

   • La proclamazione della vittoria di Yeshùa non avviene prima della sua resurrezione, ma per mezzo della resurrezione!

   L’ipotesi del Selurin, quindi, non regge.

   Questa ipotesi del Selurin circa la proclamazione di Yeshùa agli angeli è adottata anche dai Testimoni di Geova: “Nei giorni precedenti il Diluvio, gli angeli che ‘non mantennero la loro posizione originale ma abbandonarono il proprio luogo di dimora’ si incarnarono e presero mogli umane. Che quegli angelici figli di Dio non fossero veri uomini ma avessero solo corpi materializzati è indicato dal fatto che il Diluvio non distrusse tali angeli, i quali si smaterializzarono e tornarono nel reame spirituale”. – Perspicacia nello studio delle Scrittura Vol. 1, pag. 577, alla voce “Corpo”, sottovoce “Il corpo carnale di Cristo”, § 4.

   Il loro punto di vista è così espresso: “In 1 Pietro 3:19, 20, dopo aver descritto la risurrezione di Gesù alla vita spirituale, l’apostolo dice: ‘In questo stato andò anche a predicare agli spiriti in prigione, che una volta erano stati disubbidienti quando la pazienza di Dio aspettava ai giorni di Noè, mentre era costruita l’arca’. Commentando questo versetto, W. E. Vine dice: ‘In I Piet. 3:19 il probabile riferimento non è a una buona notizia (che non c’è alcuna vera prova che Noè abbia predicato, e neanche esiste prova che gli spiriti di uomini antidiluviani siano effettivamente ‘in prigione’), ma all’attività di Cristo dopo la Sua risurrezione nel proclamare la Sua vittoria a decaduti spiriti angelici’. (Vine’s Expository Dictionary of Old and New Testament Words, 1981, vol. 3, pag. 201) Come si è detto, kerỳsso si riferisce a una proclamazione che può riguardare non soltanto cose buone ma anche cose cattive, come quando Giona proclamò l’imminente distruzione di Ninive. Gli unici spiriti in prigione menzionati nelle Scritture sono gli angeli dei giorni di Noè che furono ‘consegnati a fosse di dense tenebre’ (2Pt 2:4, 5) e ‘riservati al giudizio del gran giorno con legami sempiterni’. (Gda 6) Perciò la predicazione fatta dal risuscitato Gesù a quegli angeli malvagi poteva essere soltanto una predicazione di giudizio. Si può notare che il libro di Rivelazione trasmesso in visione a Giovanni da Cristo Gesù verso la fine del I secolo E.V. contiene molti accenni a Satana il Diavolo e ai suoi demoni e alla loro finale distruzione, e questo costituisce una predicazione di giudizio. (Ri 12–20) Il fatto che Pietro parli al passato (‘andò a predicare’) indica che questa predicazione era stata compiuta prima della stesura della sua prima lettera”. – Ibidem Vol. 2, pag. 634, alla voce “Predicatore, predicazione”, ultimo §, intitolato “A che scopo Gesù predicò ‘agli spiriti in prigione’?”.

   Per loro, quindi, la proclamazione di Yeshùa sarebbe avvenuta dopo la sua resurrezione e sarebbe stata una proclamazione di giudizio contro gli angeli ribelli.

La glorificazione di Yeshùa

   Solo Yeshùa è stato glorificato sopra tutti.

   a) “Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre”. – Flp 2:9-11.

   b) Anche nell’Apocalisse (o Rivelazione) solo Yeshùa è in grado di aprire il libro dai 7 sigilli, dopo che nessun altro vi era riuscito (Ap 5:1-14): “Degno è l’Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la lode” (v. 12), “all’Agnello, siano la lode, l’onore, la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli”. – V. 13.

   c) Paolo descrive il trionfo di Yeshùa prendendo l’immagine del condottiero vittorioso che torna in patria dopo la vittoria trascinando dietro al suo carro trionfale i capi dei nemici sconfitti, ridotti in schiavitù: “Salito in alto, egli ha portato con sé dei prigionieri e ha fatto dei doni agli uomini” (Ef 4:8; cfr Sl 68:18). “Questa potente efficacia della sua forza egli l’ha mostrata in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla propria destra nel cielo, al di sopra di ogni principato, autorità, potenza, signoria e di ogni altro nome che si nomina non solo in questo mondo, ma anche in quello futuro. Ogni cosa egli ha posta sotto i suoi piedi”. – Ef 1:20-22.

   • Chi sono i principati, le autorità, le potenze e le signorie? “Il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti” (Ef 6:12). Si tratta di esseri spirituali demoniaci.

   • Secondo la cosmologia del tempo, Yeshùa, per salire al cielo, doveva attraversare i luoghi celesti in cui risiedevano gli angeli malvagi che si erano ribellati a Dio: “Ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro”. – Col 2:15.

   • Anche Pietro ricorda il trionfo di Yeshùa dopo la sua resurrezione: “Asceso al cielo, sta alla destra di Dio, dove angeli, principati e potenze gli sono sottoposti”. – 1Pt 3:22.

   • È questo, allora, ciò che vuole insegnare Pietro? Fa anch’egli uso di questo simbolismo della proclamazione? Pare proprio di sì.

   • Tali idee erano diffuse nell’ambiente giudaico dei primi discepoli di Yeshùa.

   • Il libro di Enoc (apocrifo del 2° secolo a. E. V.), che si rifà a Gn 6:1-4, parla di alcuni angeli detti “i vigilanti” o anche solo “spiriti”, che poco prima del Diluvio si accoppiarono con donne terrene dando origine a dei giganti, e che con le loro rapine e violenze corruppero l’umanità. Ne seguì una duplice punizione: gli uomini perirono nel Diluvio ad eccezione di Noè e della sua famiglia; i giganti furono uccisi nel Diluvio, ma dai loro corpi si smaterializzarono gli spiriti cattivi che tormentano il genere umano. Questi angeli colpevoli, che non possono morire, furono imprigionati (probabilmente nel secondo cielo). Là, infatti, li pone il Testamento di Levi, che, al pari del testo pietrino, li chiama “spiriti”. “[Nel secondo cielo] vi sono tutti gli spiriti di quei che [vissero] senza legge; vi sono confinati per loro punizione” (Test. Levi 3:2). È là, infatti, che li trova Enoc quando ascende al cielo: “E gli uomini mi presero” – dice Enoc – “e mi portarono al secondo cielo, e mi mostrarono dei prigionieri custoditi in attesa del giudizio eterno. Io vidi gli angeli condannati che piangevano. E dissi agli uomini che stavano con me: Sono coloro che apostatarono dal Signore, che non ascoltarono la voce del Signore, ma che presero consiglio dalla propria volontà “. – 2Enoc 7:1-3.

   • Clemente di Alessandria ritiene che ci siano degli angeli malvagi prigionieri nell’aria vicino alla terra: “Le catene nelle quali gli angeli malvagi sono ora confinati sono l’aria vicino alla nostra terra, ed essi si possono ben dire incatenati, poiché sono impediti dal riavere la gloria e la felicità che perdettero”. – Aelucubrationes in Ep. Judae.

   • Secondo questo testo apocrifo (Enoc) Enoc fu inviato al cielo per proclamare a questi angeli la loro punizione eterna, il decreto della loro condanna. Arcano dice: “Enoc, pur essendo uomo, agì come inviato di Dio verso gli angeli e fu trasferito”. – Adv. Haer. 4,16,2.

   • Persino nel libro biblico canonico della Lettera di Giuda, si ha l’assimilazione di tale idea. Questa idea faceva parte dell’ambiente giudaico della prima congregazione dei discepoli di Yeshùa. “Profetizzò Enoc, settimo dopo Adamo, dicendo: ‘Ecco, il Signore è venuto con le sue sante miriadi per giudicare tutti; per convincere tutti gli empi di tutte le opere di empietà da loro commesse e di tutti gli insulti che gli empi peccatori hanno pronunciati contro di lui’” (Gda 14,15). “Egli [Dio] ha pure custodito nelle tenebre e in catene eterne, per il gran giorno del giudizio, gli angeli che non conservarono la loro dignità e abbandonarono la loro dimora”. – Gda 6.

   • Era credenza diffusa che gli angeli decaduti si fossero accoppiati con femmine umane (donne) generando i “giganti”: “Avvenne che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte”, “In quel tempo c’erano sulla terra i giganti, e ci furono anche in seguito, quando i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini, ed ebbero da loro dei figli”. – Gn 6:2,4.

   • Questo peccato degli angeli al tempo del Diluvio è paragonato a quello dei sodomiti che volevano unirsi carnalmente con i tre angeli ospiti di Lot: “Allo stesso modo Sodoma e Gomorra e le città vicine, che si abbandonarono, come loro [quegli angeli al tempo del diluvio], alla fornicazione e ai vizi contro natura”. – Gda 7; cfr. Gn 19:5).

   • “Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li inabissò, confinandoli in antri tenebrosi per esservi custoditi per il giudizio”. – 2Pt 2:4.

   • Pietro, utilizzando la leggenda di Enoc, esprime la reale esaltazione di Yeshùa: “Asceso al cielo, sta alla destra di Dio, dove angeli, principati e potenze gli sono sottoposti”. – 1Pt 3:22.

   a) Salendo al cielo, Yeshùa proclama la sua vittoria ai demòni, anche a quelli più potenti, come quelli che furono causa del Diluvio.

   b) Il Cristo è, quindi, il vero araldo di Dio, e non Enoc. E a Yeshùa che spetta il giudizio finale su tutti gli empi ed i malvagi, siano essi uomini o demòni.

Il testo di 1Pietro 4:6

   “Per questo è stato annunziato il vangelo anche ai morti; affinché, dopo aver subìto nel corpo il giudizio comune a tutti gli uomini, possano vivere mediante lo Spirito, secondo la volontà di Dio”. – 1Pt 4:6.

   Vi sono due correnti interpretative:

   1. Morti e viventi in senso spirituale.

   a) Clemente Alessandrino ritiene che qui i morti ed i vivi debbano intendersi in senso spirituale: “Ai morti fu predicato l’Evangelo, vale a dire a noi che un tempo eravamo infedeli”. Questa interpretazione fu accolta da Cirillo di Alessandria, da Teofilatto, da Agostino ed è accolta anche da alcuni esegeti moderni.

   b) Anche al v. 5 viene usata l’espressione “vivi e morti” (“Ne renderanno conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti”). Vero, ma in senso fisico e non spirituale. Si tratta di vivi e di morti fisici. Perché al v. 6 avrebbe cambiato significato? Coerentemente si deve pensare che anche i “morti” del v. 6 sono morti fisicamente.

   c) Se i morti sono i peccatori cui è stato annunziato il vangelo, chi sono i vivi che, pur non essendo peccatori, ricevono ugualmente questo annunzio? Sarebbe una predicazione inutile. Se, infatti, questi morti sono i non credenti che erano morti in senso spirituale, perché mai Pietro dice che “è stato annunziato il vangelo anche ai morti”? I vivi dovrebbero essere i vivi in senso spirituale, e questi che bisogno avrebbero mai della predicazione se sono già vivi spiritualmente?

   2. Predicazione di Yeshùa ai morti giacenti nell’oltretomba.

   a) Yeshùa, scendendo nell’Ades, avrebbe evangelizzato i morti (i giusti) dando una possibilità di salvezza.

   b) Ci sono così difficoltà enormi:

   • Sarebbe un concetto nuovo nella Bibbia che potrebbe essere accettato solo nel caso in cui sia del tutto impossibile un’altra interpretazione;

   • Qui il testo usa le parole evangelizzare e non proclamare. Evangelizzazione è l’annuncio della buona notizia di salvezza che si può accettare o respingere;

   • Nel testo pietrino non c’è alcun indizio che ci permetta di restringere questo annunzio solo ai giusti. Vi si dice “morti”. E i morti sono i defunti, buoni e cattivi.

   • I giusti, nelle Scritture Ebraiche, si credeva che riposassero nel seno di Abramo. – Lc 16:22.

   • La successione degli eventi è: predicazione, condanna o vita nello spirito. Non  è: condanna, evangelizzazione, vita.

L’evangelizzazione, nella Bibbia, è antecedente la morte.

   a) L’espressione “vivi e morti” nelle Scritture Greche non indica i peccatori e i non peccatori, ma persone morte o vive fisicamente al tempo del ritorno o parusìa di Yeshùa.

   • Al ritorno di Yeshùa non tutti saranno morti (1Ts 4:13-17), ma i vivi saranno trasformati.

   • Tutti, però, staranno davanti al trono di Dio per essere giudicati.

   b) Colui che giudicherà sarà Yeshùa il consacrato: in tutte le Scritture Greche è presentato come giudice ultimo.

   c) L’evangelizzazione è fatta alle persone prima che muoiano e non dopo:

   • Evangelizzare è dare una (la) buona notizia. Nelle Scritture Greche il verbo viene usato sempre per indicare la predicazione a quelli che sono sulla terra e che possono rispondere con la fede o rifiutare.

   • Se al v. 5 i vivi e i morti sono in senso fisico, lo stesso intendimento va usato al v. 6.

   • Vi è solo una lieve differenza: nel v. 5 i morti sono tutti i defunti, credenti o no; nel v. 6 i morti sono solo i credenti deceduti che, avendo accolto l’evangelo, vivono “mediante lo spirito”.

   d) Si parla di condanna: “Dopo aver subìto nel corpo il giudizio” (4:6). Il giudizio cui sono sottoposti è una punizione: κριθῶσι (krithòsi), “fossero giudicati” (TNM). Ma è un “giudizio comune a tutti gli uomini”, “nel corpo” (4:6). “Giudicati in quanto alla carne dal punto di vista degli uomini” (TNM). È una condanna che si vede: è la morte comune a tutti.

   • Non è una condanna spirituale.

   • È una condanna a morte (martirio?) oppure la constatazione che anche i credenti muoiono come gli altri, condannati alla morte agli occhi umani.

   • Ma non è una condanna agli occhi di Dio che, invece, li mantiene in vita “mediante lo spirito”: “Per me il vivere è Cristo e il morire guadagno” (Flp 1:21). “Chi crede in me, anche se muore, vivrà”. – Gv 11:25.

   e) Il significato del passo è, dunque: Il credente sembra punito perché muore come avviene anche per chi non crede; in realtà non è punito, dato che nello spirito è vivificato e partecipa, al ritorno di Yeshùa, alla resurrezione e al premio riservato ai figli di Dio. “Il messaggio del Vangelo è stato annunziato anche ai morti: perché, pur ricevendo nel loro corpo la condanna comune a tutti gli uomini, ora per mezzo dello Spirito di Dio, possano vivere la vita di Dio”. – 1Pt 4:6, PdS.

Conclusione

   I due passi di 1Pt 3:18-20 e di 1Pt 4:6 non trattano lo stesso argomento e non esprimono il medesimo insegnamento.

   Nel primo passo Yeshùa, nella sua ascesa al cielo dopo la resurrezione, è passato attraverso le regioni occupate dagli angeli ribelli proclamando loro la sua vittoria: espressione, secondo Pietro e i suoi contemporanei, della massima esaltazione.

   Nel secondo passo, il Cristo è stato evangelizzato non solo ai credenti viventi al tempo della prima lettera di Pietro, ma anche a quelli che poi morirono. Questi non hanno subito alcuna punizione se non la condanna a morte che pesa su tutti i discendenti di Adamo, ma riceveranno il premio, insieme agli altri, a quelli che saranno ancora vivi al ritorno di Yeshùa.