La frase di Yeshùa: “Ho altre pecore, che non sono di questo ovile; anche quelle devo condurre, ed esse ascolteranno la mia voce, e diverranno un solo gregge, un solo pastore” (Gv 10:16, TNM) viene interpretata dal corpo dirigente dei Testimoni di Geova come se le “altre pecore” fossero i credenti destinati a vivere per sempre sulla terra. Ma Yeshùa dice espressamente che queste “altre pecore” (i pagani che sarebbero entrati a far parte del popolo di Dio) sarebbero state – insieme alle pecore dell’ovile giudaico – “un solo gregge”. Proprio come vi è “un solo pastore” (Yeshùa) così c’è “un solo gregge”, formato dalle pecore dell’“ovile” ebraico e dalle “altre pecore” che a quell’ovile non appartengono poiché provengono dai pagani. Tutte le pecore sono poi riunite in un unico gregge sotto l’unico pastore. Ciononostante, il direttivo statunitense dei Testimoni di Geova ha creato una sua terminologia con cui chiama “unti” i credenti destinati al cielo e “altre pecore” quelli destinati alla terra. Ma un semplice esame della Scrittura mostrerà che la parola christòs (“unto”) – applicata nelle Scritture Greche a Yeshùa – ricorre sotto forma di verbo (ungere) o sotto forma di sostantivo (unzione) applicata a tutti i discepoli. 2Cor 1:21 dice che “colui che garantisce che voi e noi apparteniamo a Cristo e che ci ha unti è Dio” (TNM), “Voi avete un’unzione dal santo” (1Gv 2:20, TNM), “L’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi […] l’unzione da lui […]” (1Gv 2:27, TNM). Questi quattro passi (quello di 2Cor e gli altri tre di 1Gv 2) sono gli unici in cui si parla di unzione o consacrazione dei credenti. Paolo non distingue tra credente e credente: tutti i discepoli sono uniti al Cristo, tutti hanno conoscenza. Tutti (sia le pecore dell’ovile giudaico che le altre pecore provenienti dal paganesimo) fanno parte di quell’unico gregge che è sotto l’unico pastore Yeshùa. Il direttivo americano obietta qui che Paolo (secondo loro), stia scrivendo agli “unti” e che allora tutti erano “unti”. Il direttivo sostiene che “dapprima la posizione di queste altre pecore non fu ben compresa, ma col passar del tempo le cose divennero più chiare. Nel 1932 i cristiani unti furono incoraggiati a esortare le altre pecore a prendere parte all’opera di predicazione, qualcosa che molti delle altre pecore già facevano. Nel 1934 le altre pecore furono incoraggiate a sottoporsi al battesimo in acqua. Nel 1935 furono identificate con la ‘grande folla’ di Rivelazione capitolo 7. Nel 1938 vennero invitate ad assistere alla Commemorazione della morte di Gesù Cristo in qualità di osservatori. […] Nel 1985 si capì che in base al sacrificio di riscatto di Gesù le altre pecore sono dichiarate giuste quali amici di Dio con la speranza di sopravvivere ad Armaghedon” (La Torre di Guardia del 1° luglio 1995, pag. 14, § 5). L’attento osservatore che va a fondo delle cose si domanda come mai nel 1938 furono date disposizioni affinché le “altre pecore” non prendessero parte alla cena del Signore (cosa del tutto arbitraria e antiscritturale). La scoperta che si fa è a dir poco scandalosa. Dato che il direttivo di New York ha sempre letto letteralmente (alla maniera occidentale e non biblica) il numero di 144.000 in Ap 7:4, riteneva che questo fosse il numero totale dei salvati. Ma i Testimoni di Geova stavano crescendo e superando il totale di 144.000. Ecco l’andamento statistico ufficiale:

Anno

Commemorazione annuale

della morte di Yeshùa

Fonte

Presenti

Partecipanti*

1935

63.146

52.465

I Testimoni di Geova, proclamatori del Regno di Dio

cap. 33, pag. 717

1940

96.989

27.711

1945

186.247

22.328

* Con “partecipanti” s’intendono coloro che prendono gli emblemi del pane e del vino (gli “unti”);

i “presenti” sono solo osservatori (la “grande folla”).

   Come si nota, negli anni ’30 ci si avvicinava al numero di 144.000. Come spiegarne il prossimo superamento? Anziché riconoscere l’errore dell’errata interpretazione letterale, si andò oltre nell’errore. Ed ecco venire alla luce la teoria antiscritturale di due classi di persone, di cui una addirittura invitata a non partecipare del pane e del vino emblematici.

   Gli errori dottrinali non finiscono qui. Mentre Paolo afferma chiaramente che tutti i credenti si uniranno a Yeshùa al suo ritorno (che è tuttora futuro), il direttivo di Brooklyn sostiene questo evento sarebbe già avvenuto: “Quando avrebbe avuto luogo la risurrezione celeste dei fedeli cristiani unti? La Bibbia indica che è già cominciata. L’apostolo Paolo spiegò che essi sarebbero stati destati ‘durante la presenza di Cristo’, che ha avuto inizio nel 1914. (1 Corinti 15:23) Ora, durante la sua presenza, quando gli unti fedeli terminano la loro vita terrena non devono aspettare nella morte il ritorno del loro Signore. Appena muoiono vengono destati in spirito, essendo ‘mutati, in un momento, in un batter d’occhio’”. – Adoriamo il solo vero Dio cap. 9, pag. 83, § 10.

   Ci sono qui, in questa dichiarazione, diverse affermazioni contrarie alla Bibbia. Esaminiamole.

   Paolo dice: “Non tutti ci addormenteremo [nella morte], ma tutti saremo mutati, in un momento, in un batter d’occhio, durante l’ultima tromba. Poiché la tromba suonerà, e i morti saranno destati incorruttibili, e noi saremo mutati” (1Cor 15:51,52, TNM). Paolo parla qui della mutazione da corpo fisico a corpo spirituale. Questa mutazione avviene “in un batter d’occhio”. Ma non riguarda affatto solo i credenti morti, dato che Paolo dice: “Non tutti ci addormenteremo [nella morte]”. Riguarda tutti i credenti: “Tutti saremo mutati”. Morti e vivi? Sì. “Il Signore stesso scenderà dal cielo con una chiamata di comando, con voce di arcangelo e con tromba di Dio, e quelli che sono morti unitamente a Cristo sorgeranno per primi. In seguito noi viventi che sopravvivremo saremo rapiti, insieme con loro, nelle nubi per incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre col Signore” (1Ts 4:16,17, TNM). Si noti: “Noi viventi che sopravvivremo saremo rapiti, insieme con loro [i morti resuscitati]”. In pratica, quando Yeshùa “scenderà dal cielo” darà il comando: i morti fedeli resusciteranno e i viventi saranno rapiti con i resuscitati. Ora, se fosse vero che gli “unti” Testimoni di Geova che muoiono resuscitano man mano sin dal 1914, questo porrebbe almeno due problemi: 1. Ci sarebbe una resurrezione progressiva nel corso dei decenni, anzi nel corso di un secolo (dal 1914!) mentre Paolo parla della mutazione di “tutti e “in un batter d’occhio”; 2. E quelli in vita? Paolo dice che sono “rapiti, insieme con loro”.

   L’affermazione che questi cosiddetti “unti” sarebbero “destati ‘durante la presenza di Cristo’, che ha avuto inizio nel 1914” (Ibidem), si basa su un’altra speculazione non scritturale. A parte la data del 1914 (la Watch Tower Society è sempre stata negata per il calcolo delle date), si cerca qui di giocare sul termine greco parusìa, cercando di far passare l’idea che significhi “presenza” (invisibile) anziché “venuta”. Anche qui, se si va a fondo, si scopre un altro motivo scandaloso.

   La “venuta” o ritorno di Yeshùa fu, all’inizio, sempre ritenuto vero e storico dagli Studenti Biblici di C. T. Russell, da cui sorsero poi gli scismatici Testimoni di Geova. Il libro Rivelazione: Il suo grandioso culmine è vicino (cap. 18, pag. 104, § 5), editato dalla Watch Tower Society, riferisce: “C. T. Russell, primo presidente della Società (Watch Tower), quando la mattina del 2 ottobre 1914 entrò nella sala da pranzo per partecipare all’adorazione mattutina con la famiglia Betel di Brooklyn (New York), fece questo sensazionale annuncio: ‘I tempi dei Gentili sono finiti; i loro re hanno avuto la loro opportunità’”. Ha dell’incredibile immaginare un uomo, di cui – malgrado tutto – non mettiamo in dubbio la sincerità e la buona fede, che bello bello annuncia il giudizio divino sul mondo intero decretando che in quel 2 ottobre 1914 per tutti i governanti mondiali era scoccata l’ora in cui la partita era chiusa.

   In verità, il gruppo di Russell attendeva il ritorno di Yeshùa e il rapimento di tutti loro in cielo; e lo attendeva in quel giorno. Anche quella volta, anziché riconoscere umilmente l’ennesimo errore, preferirono forzare l’interpretazione della Scrittura. Del resto, avevano già annunciato diverse date precedenti per il ritorno di Yeshùa e per il rapimento celeste con la resurrezione dei credenti. Ogni volta erano stati smentiti dai fatti. E ora? Fissare una nuova data? E quale? Con tutta probabilità fu la combinazione dello scoppio della prima guerra mondiale ad indurli a insistere su quella data, cercando un’interpretazione diversa. Per loro quella guerra dovette sembrare un evento colossale, non potendo sapere che poi la seconda guerra mondiale avrebbe fatto impallidire la prima. Comunque, insistendo caparbiamente sul 1914 (altre date non potevano fissarne, del resto), trasformarono la “venuta” di Yeshùa (in cui credevano) in “presenza invisibile”. Da allora hanno speculato molto sulla parola greca parusìa.

   La Società di Brooklyn riconosce: “Il sostantivo greco parousìa significa letteralmente ‘l’essere presso’, essendo l’espressione composta dalla preposizione parà (presso) e da ousìa (‘l’essere’)” (Appendice 5B della Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture pag. 1578-1579). Tuttavia, c’è l’accanito tentativo di sostenere una presenza invisibile.  “Dal contrasto che si fa tra la presenza e l’assenza di Paolo sia in 2Co 10:10, 11 che in Flp 2:12, il significato di parousìa risulta chiaro. Inoltre, dal paragone della parousìa del Figlio dell’uomo con i ‘giorni di Noè’, in Mt 24:37-39, risulta evidente che questa parola significa ‘presenza’” (Ibidem). Vediamo.

   In 2Cor 10:10,11 si legge in TNM: “Poiché dicono: ‘Le [sue] lettere sono gravi e vigorose, ma la [sua] presenza personale è debole e la [sua] parola spregevole’. Un tal uomo prenda questo in considerazione, che ciò che siamo a parole mediante lettere quando siamo assenti, tali saremo anche nell’azione quando saremo presenti”. L’espressione tradotta da TNM con “ma la [sua] presenza personale” è nel greco:

ἡ δὲ παρουσία τοῦ σώματος

e de parusìa tu sòmatos

la ma presenza del corpo

   Questo passo indica inequivocabilmente che parusìa è qui una presenza fisica: “la presenza del corpo”, messa in contrasto con le lettere. Ovvero: le lettere di Paolo sono “gravi e vigorose” ma di persona (“la presenza del corpo”) “è debole”. Si tratta di presenza non invisibile, ma fisica e visibile. Non ci sono dubbi.

   “Quindi, miei diletti, nel modo in cui avete sempre ubbidito, non solo durante la mia presenza, ma ora ancor più prontamente durante la mia assenza, continuate a operare la vostra salvezza con timore e tremore” (Flp 2:12, TNM). Ci si domanda cosa si voglia dimostrare con questa citazione. Il senso è del tutto evidente: si parla della presenza di Paolo e dell’assenza di Paolo. “Durante la mia presenza” è nel greco ἐν τῇ παρουσίᾳ μου (en te parusìa mu), “nella mia presenza”. Non è chiaro che si tratta di presenza fisica? Paolo dice in pratica: Sia che sia presente di persona o assente.

   Vediamo la prossima citazione: “Poiché come furono i giorni di Noè, così sarà la presenza del Figlio dell’uomo. Poiché come in quei giorni prima del diluvio mangiavano e bevevano, gli uomini si sposavano e le donne erano date in matrimonio, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si avvidero di nulla finché venne il diluvio e li spazzò via tutti, così sarà la presenza del Figlio dell’uomo” (Mt 24:37-39, TNM). Cosa intende dire qui Yeshùa? Egli stava rispondendo a una domanda spontanea che i suoi discepoli gli avevano fatto. Vediamo il contesto. “I suoi discepoli gli si accostarono [a Yeshùa] per mostrargli gli edifici del tempio. Rispondendo, egli [Yeshùa] disse loro: ‘Non vedete tutte queste cose? Veramente vi dico: Non sarà affatto lasciata qui pietra sopra pietra che non sia diroccata’” (vv. 1 e 2, TNM). Stupiti, i discepoli gli domandano: “Quando avverranno queste cose, e quale sarà il segno della tua presenza e del termine del sistema di cose?’” (v. 3, TNM). Yeshùa risponde quindi a queste domande dando un segno composito. Alla fine riprende la domanda scottante dei discepoli: Quando? E dice: “In quanto a quel giorno e a quell’ora nessuno sa, né gli angeli dei cieli né il Figlio, ma solo il Padre” (v. 36, TNM). E per spiegare meglio che davvero nessuno lo sa, se non Dio solo, aggiunge: “Poiché come furono i giorni di Noè […]” (v. 37, TNM). Ed eccoci al passo citato. Yeshùa sta in pratica facendo un paragone con il tempo antidiluviano: come il Diluvio avvenne all’improvviso su quella generazione, così lui tornerà all’improvviso. Tornerà? Ma il testo non parla di “presenza”? Veramente il testo parla di parusìa. Se dobbiamo stare alle due scritture precedenti citate dalla Watch Tower, questa parusìa – come abbiamo visto – è una presenza fisica. Si tenga presente la domanda dei discepoli: “Quando avverranno queste cose, e quale sarà il segno della tua presenza e del termine del sistema di cose?’” (v. 3, TNM). Ma davvero possiamo immaginare che i discepoli gli stessero domandando: ‘Quale sarà il segno della tua presenza invisibile?’ Cerchiamo di essere seri. Abbiamo a che fare con la Scrittura. Dobbiamo trattarla con il massimo rispetto. Quei discepoli erano dei giudei, persone del tutto concrete che non concepivano astrazioni. E Yeshùa era concreto lui pure parlando della distruzione del Tempio. La domanda era concreta: Quando? Quando non ve lo aspettate, risponde Yeshùa. “Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro abbandonato; due donne macineranno al mulino a mano: una sarà presa e l’altra abbandonata. Siate vigilanti, dunque, perché non sapete in quale giorno verrà il vostro Signore” (vv. 40-42, TNM). Un momento. “Verrà”? Sì, dice proprio così: “Verrà”. Ma la Watch Tower Society scrive: “La parola parousìa, ‘presenza’, è diversa dalla parola greca èleusis, ‘venuta’, che si trova una sola volta nel testo greco, in At 7:52, nella forma elèuseos (lat. adventu)” (Ibidem). Ma ciò che essa trascura di dire – ed è grave – è ciò che riguarda proprio questa parola èleusis. Ma noi andiamo a fondo. Nel Vocabolario greco-italiano di Lorenzo Rocci (citato anche nell’appendice 5B che stiamo considerando), a pag. 600 della XXXIV edizione, alla parola ἔλευσις (èleusis) si legge: “[ἐλεύσομαι] venuta”. Ora, attenzione. La parola tra parentesi quadre ([ἐλεύσομαι], elèusomai) sta ad indicare il verbo di riferimento di èleusis. Nella stessa pagina del Rocci, poco più sotto, troviamo tale verbo ἐλεύσομαι (elèusomai), con questa spiegazione: “vrb. Set.  v. ἔρχομαι”. Il che significa: “Verbo (della) Settanta [traduzione greca delle Scritture Ebraiche] vedere èrchomai”. E noi vediamo allora èrchomai. Ecco: “ἔρχομαι (èrchomai), numero Strong 2064, verbo; 1) venire 1a) di persone 1a1) provenire da un luogo ad un altro, ed usata sia di persone che arrivano che di quelli che ritornano 1a2) apparire, fare un’apparenza, venire davanti al pubblico”. E così scopriamo che la famosa parola “èleusis, ‘venuta’, che si trova una sola volta nel testo greco” (Appendice 5B della Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture pagg. 1578-1579), appare nella Scrittura nella forma del suo verbo. Del resto una sottigliezza c’era: “Si trova una sola volta nel testo greco, in At 7:52, nella forma elèuseos” (Ibidem). Appare sì una sola volta, ma “nella forma elèuseos” (Ibidem). Piccola sottigliezza, quasi da non notare. Ma il verbo appare altrove, eccome. E appare proprio nel passo della “presenza” in Mt 24:42. Rileggiamolo: “Siate vigilanti, dunque, perché non sapete in quale giorno verrà il vostro Signore” (TNM). “Verrà”: greco ἔρχεται (èrchetai), voce del verbo ἔρχομαι (èrchomai) che ci rimanda ad ἔλευσις (èleusis), “venuta”.

   Quindi, alla domanda dei discepoli (espressa con le parole di TNM): “Quando avverranno queste cose, e quale sarà il segno della tua presenza e del termine del sistema di cose?’” (Mt 24:3), Yeshùa dice alla fine: “Siate vigilanti, dunque, perché non sapete in quale giorno verrà il vostro Signore” (Mt 24:42,TNM). Yeshùa verrà. E verrà davvero, con il corpo glorioso. Dovrebbe emozionarci profondamente la frase con cui la Bibbia si chiude: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22:20). “Vieni”: ἔρχου (èrchù), sempre il verbo èrchomai, che – come abbiamo visto – significa: “Provenire da un luogo ad un altro, ed usata sia di persone che arrivano che di quelli che ritornano”.

   Altro che presenza invisibile. Ma come è possibile affermare seriamente che Yeshùa sia già tornato invisibilmente nel 1914? Sarebbe tornato senza chiamare a sé morti e viventi fedeli? Sarebbe tornato senza che nessuno se ne sia accorto? Se ne sono accorti solo i Testimoni di Geova? In verità neppure loro. Certo che non se ne sono accorti; al massimo possono predendere di saperlo per il loro credo non biblico. E lo saprebbero anche se La Torre di Guardia non lo avesse detto loro? Attenzione: “Dio non è da beffeggiare” (Gal 6:7, TNM). Viene qui in mente una specie di barzelletta che circolava davvero tra gli stessi Testimoni negli anni ’60. A quel tempo l’edizione italiana della loro rivista ufficiale La Torre d Guardia era diffusa sei mesi dopo quella americana in inglese, giacché se ne doveva attendere la traduzione. Ebbene, nel proporre la barzelletta, un Testimone diceva all’altro: “Quando verrà Armaghedon (da loro inteso come fine del mondo) noi lo sapremo sei mesi dopo”; l’altro domandava perché e il primo rispondeva che era perché dovevano attendere la rivista in italiano.

   Il ritorno di Yeshùa è un evento universale che cambierà tutto per sempre. Nella parabola dei talenti, in Mt 25:14-30, introdotta da Yeshùa con le parole: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora” (v. 13), l’uomo che fa un lungo viaggio ritorna davvero a chieder conto ai suoi servi, non torna invisibilmente. I servi se ne accorgono, eccome.

   Cos’è, allora, questa famosa parusìa? Nell’appendice 5B che stiamo considerando, vengono fatte molte citazioni per dimostrare che la parola significa “presenza”. Ma sembra un dialogo tra sordi, dove gli autori citati intendono una cosa e chi li cita si ostina a capirne un’altra. Gli studiosi che sono citati parlano di parusìa come di “presenza”, ma intendono una presenza concreta. La Watch Tower vi legge il senso di presenza invisibile. Alcuni di questi autori hanno diffidato legalmente la Society dei testimoni di Geova vietando loro di citarli in futuro. Comunque, vediamo.

Citazione

Note

“Il Vocabolario greco-italiano di Lorenzo Rocci, XXVI ed., p. 1441, dà come prima definizione di parousìa la parola italiana presenza Ma il Rocci aggiunge: “essere presenti;venuta; arrivo; il presentarsi”. Manca qualsiasi riferimento a una presenza invisibile.
“Similmente il GLNT, vol. IX, col. 843, all’intestazione ‘Il significato generale’, afferma: ‘παρουσία [parousìa] indica particolarmente la presenza attiva’”. Si noti: “Presenza attiva”, non invisibile e insensibile. Il “similmente”, poi, rimanda allo stesso significato del Rocci: presenza non invisibile.
“Il GLNT, vol. IX, col. 860, fa notare che ‘παρουσία [parousìa, come anche pàreimi] non è mai impiegato per indicare la venuta di Cristo nella carne e non significa mai ‘ritorno’”. Vero: “Non è mai impiegato per indicare la venuta di Cristo nella carne”. Yeshùa non torna nella carne. “Non significa mai ‘ritorno’”: infatti, Yeshùa non torna più nella carne.
“Soltanto nella chiesa antica [non prima di Giustino Martire, II secolo E.V.] si cominciò a parlare di più parusie . . . Una delle premesse indispensabili per comprendere il pensiero protocristiano è che ci si liberi completamente di questa idea [che ci sia più di una parousìa]”. Cosa si intende dimostrare? Si dice un’ovvietà. Infatti, nel pensiero “protocristiano” (della primitiva congregazione) non c’era l’idea “che ci sia più di una parousìa”. C’è una sola parusìa.
“Riguardo al significato di questa parola, Israel P. Warren, dottore in teologia, scrisse nella sua opera The Parousia (Portland, Maine, USA, 1879), pp. 12-15: ‘Siamo noi che spesso parliamo del ‘secondo avvento’, della ‘seconda venuta’, ecc., ma le Scritture non parlano mai di una ‘seconda Parusia’. Qualunque dovesse esserne la natura, doveva essere qualcosa di particolare, che non era mai avvenuto prima, e che non sarebbe mai avvenuto di nuovo. Doveva essere una presenza diversa e superiore rispetto a ogni altra manifestazione di se stesso agli uomini, così che sarebbe stato appropriato lasciarla stare a sé, senza alcun epiteto qualificativo diverso dall’articolo: LA PRESENZA”. Come nel precedente, si gioca sulle parole. La Bibbia parla di una sola parusìa. Ma ne parla! La parusìa è una.Non si tratta di una seconda venuta di Yeshùa (nella carne). Ma di una venuta speciale, nel corpo glorioso, “qualcosa di particolare, che non era mai avvenuto prima, e che non sarebbe mai avvenuto di nuovo” (P. Warren). Si noti: “Una presenza diversa e superiore rispetto a ogni altra manifestazione di se stesso agli uomini” (Israel P. Warren). Pare che i Testimoni di Geova ammettano invece due parusìe: una invisibile nel 1914 e un’altra alla termine del “sistema di cose”.
“[Se i traduttori avessero usato la parola presenza invece di alludere ad una seconda venuta] Alla chiesa sarebbe stato insegnato a parlare della PRESENZA DEL SIGNORE come quella mediante cui sarebbero state realizzate le sue speranze, nel prossimo futuro o nel tempo più lontano, quella sotto la quale il mondo sarebbe stato reso nuovo, sarebbe stata conseguita una risurrezione sia spirituale che corporea, e sarebbero state amministrate giustizia e ricompense eterne”. – Israel P. Warren. Più chiaro di così! Questa parusìa o presenza non è invisibile, ma è “quella mediante cui sarebbero state realizzate le sue speranze, nel prossimo futuro” (Israel P. Warren). È la parusìa, l’unica, che i discepoli di Yeshùa attendono.
“Bauer, p. 630, dichiara che parousìa ‘divenne il termine ufficiale per la visita di una persona di alto rango, spec[ialmente] di re e imperatori che visitavano una provincia’”. È chiarissimo. Perché si vuole capirlo diversamente? “La visita di una persona di alto rango, spec[ialmente] di re e imperatori che visitavano una provincia” (Bauer) è qualcosa di concreto e non di invisibile.

(Dall’Appendice 5B della Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture pagg. 1578-1579)

   Alla fine, cosa significa parusìa? Il Vocabolario del Nuovo Testamento dà questa definizione: “παρουσίᾳ (parousìa), dal participio presente di πάρειμι [pàreimi], numero Strong 3952, sostantivo femminile; 1) presenza 2) arrivo, avvento 2a) il futuro ritorno visibile dal cielo di Gesù, per risuscitare i morti, fare l’ultimo giudizio, ed inaugurare formalmente e gloriosamente il regno di Dio”. È del tutto ovvio che questa “venuta” non è affatto la stessa della prima, nella carne. Se si parla di “seconda venuta” ci si riferisce solo al fatto che è sempre Yeshùa che torna, ma questo suo tornare non ha nulla a che fare con il ritornare nella carne.

   “In realtà, il sacro segreto di questa santa devozione è per ammissione grande: ‘Egli fu reso manifesto nella carne, fu dichiarato giusto nello spirito, apparve agli angeli, fu predicato fra le nazioni, fu creduto nel mondo, fu ricevuto in gloria’” (1Tm 3:16, TNM). “Anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, certamente ora non lo conosciamo più così”. – 2Cor 5:16, TNM.

   “Ecco, io vengo come un ladro. Felice chi sta sveglio e mantiene le sue vesti, affinché non cammini nudo e non si veda la sua vergogna”, “Ecco, vengo presto”, “Colui che rende testimonianza di queste cose dice: ‘Sì; vengo presto’”, “Amen! Vieni, Signore Gesù”. – Ap 16:15;22:7,20, TNM.

   Amèn, sia così! Vieni, Signore Yeshùa.

 

Μαρὰν ἀθά

Maràna tha, Signore nostro, Vieni!

 Maràn athà, Il nostro Signore viene!

(1Cor 16:22)