Paolo, per comprovare la resurrezione dei morti, adduce anche la seguente ragione: “Altrimenti, che faranno quelli che sono battezzati per i morti? Se i morti non risuscitano affatto, perché dunque sono battezzati per loro?”. – 1Cor 15:29.

   Questo è uno dei passi più oscuri di tutte le Scritture Greche. Molti esegeti riconoscono lealmente di non aver ancora trovato una risposta soddisfacente sotto ogni aspetto.

   Nella nostra indagine vogliamo vagliare tutte le soluzioni proposte, con i pregi e i difetti.

   Battesimo vicario “per i morti”? Gli studiosi Lietzmann e Weiss suppongono che il battesimo in favore dei morti sia stato un rito primitivo, prima tollerato dalla congregazione ma poi proibito e sopravvissuto solo in certe sette. Paolo di fatto né approva né disapprova questo battesimo: ne trae solo un argomento a favore della dottrina della resurrezione. Tuttavia, si noti il v. 30 del passo in questione: “E perché anche noi siamo ogni momento in pericolo?”. Subito dopo l’argomento del v. 29 (battesimo per i morti), Paolo presenta un secondo argomento. Questo contrasto tra i due argomenti ci fa capire che né Paolo né i discepoli di Corinti si facevano battezzare per i morti. Comunque, pare che questa pratica fosse usata dai Corintiani (Epifanio, Haereses 28, 6 PG 41, 383); certamente dai Montanisti (Filastro, Adv. Haer. 49 PL 12, 1166) e dai Marcioniceti (Tertulliano, Adv. Haeres 5, 10 PL 2, 495). Il Crisostomo (morto nel 407), parlando dei Marcioniceti così ci descrive la pratica: “Quando moriva un catecumeno, nascondevano un uomo vivo sotto il letto del morto; poi si avvicinavano al letto del morto, si mettevano a parlargli e gli domandavano se fosse disposto a ricevere il battesimo. Naturalmente il morto non rispondeva, ma al suo posto rispondeva colui che stava nascosto sotto il letto. Costui veniva poi battezzato al posto del morto” (Crisostomo, In I Cor Hom 40, PG 61, 347). Anche nella Chiesa Cattolica – soprattutto in Africa – fu in uso fino ai tempi di Agostino, morto nel 430 (Po. Imperf. 6, 38 PL 45, 1597), e di Fulgenzio, morto nel 533 (Ep. 11,4 e 12,20 PL 65, 379). La pratica fu condannata dal 3° Concilio di Cartagine (Conc. Cartag. 3, 397), ma in Germania persistette fino a Burcardo di Worms, morto nel 1025. – De mortuis baptizandis 4, 37 PL 140, 734.

   Oggigiorno questo battesimo vicario è praticato dalla Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, più noti come Mormoni. Costoro si avvalgono di liste anagrafiche e di genealogie che recuperano in vari modi per battezzare ripetutamente i vivi in favore dei morti. Si ha qui una situazione simile a quella prospettata nell’apocrifo Maccabei. Dato che i morti non potevano compiere il sacrificio di espiazione richiesto dalla Legge per il loro peccato, i soldati vivi lo compivano al loro posto (2Maccabei 12:38-43). Nel caso dei Mormoni, non potendo i morti farsi battezzare, i vivi compiono il rito al loro posto.

   Che dire di questa opinione? Di certo ha il vantaggio di rispettare il valore preciso di ὑπὲρ τῶν νεκρῶν (üpèr ton nekròn) in 1Cor 15:29: “per i morti”, che ha il senso ovvio di “in favore / in vece dei morti”. Tuttavia questa opinione non dà la ragione del futuro “che faranno” (τί ποιήσουσιν, ti poièsusin). Infatti, se si trattasse di una pratica esistente, ci aspetteremmo il presente: ‘Altrimenti, che fanno quelli che sono battezzati per i morti?’. Ma Paolo usa il futuro. Inoltre, la storia non ci documenta in alcun modo tale pratica al tempo di Paolo. È quindi logico supporre che l’uso posteriore e attuale presso le sette eretiche sia stato creato proprio dall’interpretazione che esse hanno dato a questo passo, piuttosto che da una consuetudine praticata al tempo apostolico. Inoltre, sembrerebbe davvero strano che proprio Paolo – che non ne faceva passare una – adduca per dimostrare la sua tesi una pratica superstiziosa ed errata senza darle una nota di biasimo.

   Presso i commentatori greci dominò l’opinione che l’espressione “per i morti” fosse un’ellissi da completare così: ‘Per la resurrezione dei morti’. Questo ragionamento si basa sul fatto che il vero battesimo è compiuto con l’intenzione di risorgere dai morti. Il battesimo, infatti, non simboleggia solo la morte al peccato insieme a Yeshùa (questa è l’immersione), ma simboleggia anche la resurrezione con lui a nuova vita (emersione).

   Questa opinione, con sfumature diverse, è accolta anche da J. W. Garvey che così scrive: “Rom 6,3-11 rende il passo di Paolo assai chiaro. I morti cristiani sono una classe di cui Cristo è il capo e il primogenito già risorto. Con il battesimo ci uniamo simbolicamente a questo gruppo e quindi anche con Cristo, esprimendo in tal modo anche la nostra speranza di risorgere in questo gruppo mediante il potere di Cristo . . . Se non vi è resurrezione, il battesimo che la simboleggia è privo di valore”. – The Standard Commentary, Standard Publish. Comp., Concinnati, pag. 152.

   Non è possibile accettare questa opinione. Infatti, l’ellisse della parola “resurrezione” sarebbe violenta. Sarebbe stato più semplice togliere “dei morti” (ottenendo: ‘Altrimenti, che faranno quelli che sono battezzati per la resurrezione?’). Togliendo invece la parola “resurrezione” si ha una frase incomprensibile. Crediamo proprio che la parola “resurrezione” non ci sia mai stata. Inoltre, questa ipotesi non può dimostrare con altri passi l’uso di ὑπὲρ (üpèr) nel senso “in vista” (sottinteso “della resurrezione”), ovvero con lo scopo di poter partecipare al gruppo dei morti in Cristo. Di più, non vi è indizio che lì si parli di morti “in Cristo” e non di morti in generale. Non si capisce neppure perché Paolo usi il futuro (“che faranno”) se si tratta di un battesimo già attuato e che si continua ad attuare per i nuovi. Ci vorrebbe l’aoristo oppure il presente; di certo non il futuro. E, per prevenire una possibile obiezione, diciamo subito che non può trattarsi di un “futuro logico”, ovvero un futuro usato come presente. Questo tipo di futuro si usa in greco solo con i verbi di domanda; per fare un esempio: “Ti pregherò” invece di “ti prego”, dove il futuro greco assume il senso del nostro “ti pregherei”. Neppure possiamo tradurre con un futuro anteriore (‘Che avranno fatto’), perché l’uso del futuro primo al posto del futuro anteriore non è documentato da nessuna parte nella letteratura greca. Il testo di Paolo è proprio al futuro. E non c’è da girarci attorno, perché un presente c’è: “Altrimenti, che faranno quelli che sono battezzati per i morti?”. Quindi, data già la presenza di un presente, il futuro “che faranno” è voluto.

   Valore simbolico del battesimo? Il Godet, in accordo con un’idea già sostenuta dal cardinale Bellarmino al Concilio di Trento, osservò che nei versetti successivi Paolo parla con insistenza dei pericoli di morte da lui affrontati. Infatti vi si legge: “E perché anche noi siamo ogni momento in pericolo? Ogni giorno sono esposto alla morte . . . ho lottato con le belve a Efeso” (vv. 30-32). Tutto ciò induce il sospetto legittimo che anche al v. 29 Paolo alluda al martirio che i discepoli di Yeshùa devono essere pronti ad affrontare. Tale martirio sarebbe un “battesimo” in senso metaforico secondo il linguaggio di Yeshùa: “Potete voi bere il calice che io bevo, o essere battezzati del battesimo del quale io sono battezzato?” (Mr 10:38), “Vi è un battesimo del quale devo essere battezzato; e sono angosciato finché non sia compiuto!”. – Lc 12:50.

   Secondo questa opinione, come Paolo si espone alla morte così i discepoli di Corinto devono essere disposti a “farsi battezzare”, vale a dire a donare la propria vita.

   Possiamo accogliere questa interpretazione? No. Infatti, non è possibile dare alla preposizione ὑπὲρ (üpèr) il senso che questa opinione richiederebbe. Se il pensiero di Paolo fosse stato quello che questa interpretazione gli attribuisce, la logica della lingua avrebbe richiesto la preposizione “in”: ‘Altrimenti, che faranno quelli che sono battezzati nella morte?’. Ma Paolo dice: “Per i morti”. Stando alla struttura grammaticale è più logico il pensiero del Bellarmino, che – proprio in forza della preposizione ὑπὲρ (üpèr) – vedeva nelle sofferenze descritte da Paolo un valore di suffragio “per i morti”. Pensiero logico, stando alla grammatica; ma errato, stando a tutto l’insegnamento biblico. Inoltre, dobbiamo osservare che tutte le volte che Paolo parla di battesimo lo intende come battesimo reale, e mai come simbolo di immersione nelle sofferenze o nelle morte.

   Testo da correggere? B. M. Foschini (Thore who are baptized for the Dead, Worcester, The Hefferman Press) riduce la frase paolina ad una serie di domande che ben rientrano nello stile di Paolo. Il futuro τί ποιήσουσιν (ti poièsusin) è tradotto: “Cosa otterranno”? Il “per i morti” viene separato da quel che precede divenendo una domanda a sé. Tutta la frase si dovrebbe, secondo lui, tradurre così: ‘Altrimenti, che otterranno quelli che sono battezzati? Per i morti?’. Il senso sarebbe: Se i morti non resuscitano, perché farsi battezzare? Per loro? In altre parole: Chi si fa battezzare lo fa per divenire un morto e per essere accolto tra i morti che non resusciteranno?

   Questa ipotesi ha avuto la simpatia di molti studiosi. Secondo costoro questa soluzione ha il vantaggio di eliminare il battesimo a favore dei morti, dando il giusto valore alle parole “battesimo” e “morti”, ed è in armonia con lo stile paolino che ama le domande. Da questa argomentazione, così ricostruita, sgorgherebbe la logica risposta negativa con la conseguente affermazione della resurrezione. Inoltre, dato che nei codici antichi mancano sempre i segni di interpunzione, è possibile al traduttore cambiare la punteggiatura tradizionale. Detta così, questa opinione appare più convincente delle altre. Ma.

   Ma dobbiamo rifiutarla, perché sarebbe troppo arduo dare alla preposizione ὑπὲρ (üpèr) il senso di εἰς (èis) che indica il movimento (“verso”). In greco accade che εἰς (èis) assuma il valore di ὑπὲρ (üpèr), ma mai il contrario.

   La correzione del Nolli. Il noto studioso italiano dà una nuova traduzione, in cui unisce la preposizione ὑπὲρ (üpèr) con ποιήσουσιν (poièsusin, “faranno”) anziché – come è nel testo – con βαπτιζόμενοι (baptizòmenoi, “si fanno battezzare”). In più, stacca le ultime due parole del versetto (ὑπὲρ αὐτῶν, üpèr autòn, “per loro”) dalla frase precedente per unirle alla seguente. Ne viene così fuori questa traduzione: ‘Coloro che si fanno battezzare in cosa supereranno i morti? Perché allora si fanno battezzare? Riguardo a noi stessi, perché mai ci esponiamo ai pericoli ogni istante?”. – G. Nolli, Il battesimo per i morti, in “Osservatore Romano”, 6 febbraio 1963.

   Come si vede il problema viene così a scomparire senza difficoltà critiche, dato che la punteggiatura inesistente negli originali permette la ripartizione diversa dei vocaboli. Inoltre, è possibile unire “per i morti” a ποιήσουσιν (poièsusin). Ma c’è un ma. È ben difficile attribuire al verbo ποιήσουσιν (poièsusin, “faranno”) il valore di “supereranno”. Come se non bastasse, è davvero arduo far equivalere la preposizione ὑπὲρ (üpèr) a περί (perì), dandole il senso di “riguardo a”. E’ pur vero che ὑπὲρ (üpèr) e περί (perì) talvolta si confondono tra loro, ma è il περί (perì) ad assumere il valore di ὑπὲρ (üpèr), “in favore di”; mai viceversa. – Cfr. J. H. Moulton – N. Turner, Syntax of the Greek N. T., Edimburg, pag. 269.

   L’interpretazione del direttivo della Watchtower. Qui abbiamo un miscuglio delle ipotesi precedenti. Vediamo intanto la loro traduzione: “Altrimenti, che faranno quelli che si battezzano allo scopo [di essere] dei morti? Se i morti non devono affatto essere destati, perché sono anche battezzati allo scopo di [esser] tali?” (TNM). La prima cosa che colpisce è: “allo scopo [di essere]”. “Essere” non appartiene ovviamente al testo originale: viene, infatti, messo tra quadre. Libertà del traduttore, indubbiamente. Ma “allo scopo di” o “a motivo” (nota in calce, TNM) non può essere accolto. Il testo greco ha ὑπὲρ (üpèr): “a favore”.  L’errore si ripete alla fine del versetto: “Perché sono anche battezzati allo scopo di [esser] tali?”. Anche qui il greco ha ὑπὲρ (üpèr): “a favore”. Non c’è verso di intendere diversamente questa preposizione. Lo abbiamo già fatto notare.

   È del tutto falsa la dichiarazione che fa La Torre di Guardia del 1° ottobre 2003: “La preposizione greca hypèr, che compare in 1 Corinti 15:29, tradotta ‘per’ o ‘a favore di’ in molte versioni della Bibbia, può anche significare ‘allo scopo di’” (pag. 29). A favore di questa strana idea non viene citata nessuna grammatica greca, né potrebbe esserlo. L’affermazione è gratuita.

ὑπὲρ (üpèr)una preposizione primaria

TDNT – 8: 507,1228

Numero Strong: 5228

preposizione

1) con genitivo*: per, nell’interesse di

2) con accusativo: sopra, oltre, più che

* In 1Cor 15:29 regge il genitivo

 

 

Perché non ci siano dubbi, citiamo tutti, ma proprio tutti, i passi delle Scritture Greche in cui compare ὑπὲρ (üpèr) + genitivo, verificando come la stessa TNM lo traduce.

 

Passo

TNM (in corsivo rosso la traduzione di ὑπὲρ, üpèr)

Mr 9:40

“Chi non è contro di noi è per noi”

Mr 14:24

“Il mio ‘sangue del patto’, che dev’essere versato a favore di molti”

Lc 9:50

“Chi non è contro di voi è per voi”

Lc 22:19

“Il mio corpo che dev’essere dato in vostro favore

Lc 22:20

“In virtù del mio sangue, che dev’essere versato in vostro favore

Gv 1:30

“Questi è colui del quale ho detto” (Letteralmente: “In favore del quale”)

Gv 6:51

A favore della vita del mondo”

Gv 11:4

“È per la gloria di Dio”

Gv 17:19

“Io mi santifico in loro favore

At 21:26

“Finché si presentasse l’offerta per ciascuno di loro”

At 26:1

“Ti è permesso di parlare in tuo favore

Rm 8:31

“Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?”

Rm 9:3

A favore dei miei fratelli”

Rm 9:27

“Isaia grida riguardo a Israele” (Letteralmente: “In favore di Israele”)

Rm 15:8

A favore della veracità di Dio”

Rm 16:4

“Hanno rischiato il proprio collo per la mia anima”

1Cor 1:13

“Paolo non è stato messo al palo per voi, vero?”

1Cor 4:6

Per il vostro bene”

1Cor 11:24

“Questo significa il mio corpo che è a vostro favore

1Cor 12:25

“Le sue membra avessero la stessa cura le une per le altre”

1Cor 15:29

?

2Cor 1:6

“È per vostro conforto . . . è per vostro conforto”

2Cor 5:20

# “Noi siamo perciò ambasciatori in sostituzione di Cristo, come se Dio supplicasse per mezzo di noi. Quali sostituti di Cristo imploriamo: ‘Siate riconciliati con Dio’”

2Cor 5:21

“Egli lo fece essere peccato per noi”

2Cor 7:7

“Del vostro zelo per me”

2Cor 8:23

Per il vostro bene”

2Cor 12:10

“Prendo piacere nelle debolezze . . . e nelle difficoltà, per Cristo”

2Cor 12:15

“Sarò completamente speso per le anime vostre”

2Cor 12:19

“Tutte le cose sono per la vostra edificazione”

2Cor 13:8

“Non possiamo fare nulla contro la verità, ma solo per la verità”

Gal 1:4

“Egli diede se stesso per i nostri peccati”

Ef 3:1

“Paolo, prigioniero di Cristo Gesù a favore vostro”

Flp 1:7

“È del tutto giusto che io pensi questo riguardo a tutti voi” (Lett.: “A favore”)

Flp 2:13

Per amore del [suo] beneplacito”

Flp 4:10

“Il vostro pensiero a favore mio”

Col 1:7

A nostro favore

Col 2:1

A favore vostro e di quelli di Laodicea”

Col 4:12

“Adoperandosi sempre a vostro favore nelle [sue] preghiere”

1Ts 3:2

“Rendervi fermi e confortarvi a favore della vostra fede”

2Ts 1:4

A motivo della vostra perseveranza”

2Ts 1:5

Per il quale in realtà soffrite”

2Ts 2:1

Riguardo alla presenza del nostro Signore”

1Tm 2:1,2

“Si facciano supplicazioni . . . riguardo a ogni sorta di uomini,  riguardo a re”

1Tm 2:6

“Diede se stesso come riscatto corrispondente per tutti”

Flm 13

“Affinché continui a servirmi in vece tua”

Eb 2:9

“Affinché per immeritata benignità di Dio egli gustasse la morte per ogni [uomo]”

Eb 5:1

“E’ costituito a favore degli uomini”

Eb 6:20

“E’ entrato a nostro favore

Eb 9:24

“Per comparire ora dinanzi alla persona di Dio per noi”

Eb 13:17

“Essi vigilano sulle vostre anime” (C’è il genitivo! Quindi: “A favore delle vostre anime”)

1Pt 2:21

“Cristo soffrì per voi”
# La traduzione è pasticciata; diamo la traduzione letterale dal greco: “A favore di Cristo dunque facciamo l’ambasciata come se Dio esortasse per mezzo di noi; vi supplichiamo per Cristo: Riconciliatevi con Dio”.

   Come si vede, la preposizione ὑπὲρ (üpèr), che contiene il senso di “a favore”, non assume mai il valore di “allo scopo”. Ciò è contrario alla grammatica greca.

   Comunque, la spiegazione che viene data è questa: “L’apostolo intendeva dire che i cristiani unti vengono battezzati, o immersi, in un modo di vivere che li porta a morire fedeli come Cristo. Successivamente beneficiano di una risurrezione simile alla sua, alla vita spirituale” (La Torre di Guardia, citata). Questa non è altro che la riesumazione dell’idea avanzata al Concilio di Trento dal cardinale Bellarmino e ripresa poi nel 1887 dal Godet. L’impossibilità di accettare questa interpretazione è data da diversi elementi.

     Se si trattasse di essere “battezzati, o immersi, in un modo di vivere che li porta a morire fedeli come Cristo” (Ibidem), non si userebbe ὑπὲρ (üpèr), “a favore”. Si userebbe εἰς (èis), “in/verso”, come fa Paolo stesso in Rm 6:3: “Non sapete che tutti noi che fummo battezzati in [εἰς (èis)] Cristo Gesù fummo battezzati nella [εἰς (èis)] sua morte?”. – TNM.

   Inoltre, quando Paolo parla di battesimo ne parla sempre come del battesimo reale, mai simbolico. Ecco tutti i passi in cui Paolo parla del battesimo. Si noti come egli si riferisce sempre al battesimo reale.

Il battesimo negli scritti paolini (TNM)

Rm 6:3

“Non sapete che tutti noi che fummo battezzati in Cristo Gesù fummo battezzati nella sua morte?”

Rm 6:4

“Fummo sepolti con lui per mezzo del nostro battesimo nella sua morte”

1Cor 1:13

“O foste battezzati nel nome di Paolo?”

1Cor 1:14

“Ringrazio di non aver battezzato nessuno di voi tranne Cristo e Gaio”

1Cor 1:15

“Affinché nessuno dica che voi foste battezzati nel mio nome”

1Cor 1:16

“Sì, battezzai anche la casa di Stefana . . . non so se battezzai qualcun altro”

1Cor 1:17

“Cristo non mi inviò a battezzare, ma a dichiarare la buona notizia”

1Cor 10:2

“Tutti furono battezzati in Mosè mediante la nube e il mare”

1Cor 12:13

“Mediante un solo spirito fummo tutti battezzati in un solo corpo”

1Cor 15:29

?

Gal 3:27

“Tutti voi che foste battezzati in Cristo”

Ef 4:5

“Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo”

Col 2:12

“Sepolti con lui nel [suo] battesimo”

   La Torre di Guardia già citata fa riferimento a Flp 3:10,11 per avvalorare la sua tesi: “Per conoscere lui e la potenza della sua risurrezione e la partecipazione alle sue sofferenze, sottomettendomi a una morte simile alla sua, [per vedere] se in qualche modo io possa conseguire la risurrezione dai morti” (TNM). Ma non si vede qui il nesso con il passo discusso di 1Cor 15:29. In Flp Paolo non parla di battesimo, ma della “giustizia che emana da Dio in base alla fede” (v. 9). Si noti, poi, che quando Paolo dice: “Sottomettendomi a una morte simile alla sua”, dice in greco τῷ θανάτῳ (to thanàto), “alla morte”. È escluso qualsiasi riferimento al passo discusso.

   Soluzione. Anziché dare per scontate le traduzioni tradizionali e anziché far violenza al significato di ὑπὲρ (üpèr), cercando di attribuirgli – in barba alla grammatica greca – un significato diverso da quello che ha (e che può essere solo “a favore di”), occorre esaminare meglio il verbo principale da cui Paolo parte. Nelle traduzioni è reso così: “Che faranno quelli che” (NR, TNM). Il greco ha ποιήσουσιν (poièsusin). Anche CEI attribuisce a questo verbo il significato di “fare”. E così fanno pure Did, ND e Luz. Ma noi vogliamo andare a fondo. Il verbo è ποιέω (poièo):    

ποιέω (poièo)

TDNT – 6: 458,895

Numero Strong: 4160

verbo

1) fare (nel senso creare)

1a) con i nomi di cose fatte, produrre,

costruire, formare, plasmare,

1b) essere gli autori di, la causa

1c) rendere pronto, preparare

1d) produrre, portare

1e) acquisire, provvedere una cosa per

                          sé stesso

1f) fare una cosa da qualcosa

1g) rendere uno qualcosa

1g1) costituire o nominare

uno qualcosa

1g2) dichiarare uno

qualcosa

1h) mettere qualcuno avanti, condurlo

fuori

1i) fare ad qualcuno fare qualcosa

1i1) causare che qualcuno

fa

1j) essere gli autori di una cosa

(causare)2) fare (nel senso agire)

2a) agire giustamente, fare bene

2a1) eseguire

2b) fare una cosa a qualcuno

2b1) fare a qualcuno

2c) con designazione di tempo: passare,

trascorrere

2d) celebrare, tenere

2d1) rendere pronto, e così

allo stesso tempo

istituire, la

celebrazione della

Pasqua

2e) compiere: una promessa

 

     Il significato più consono alla domanda che Paolo pone con l’intento di far ragionare i corinti sulla questione ci sembra “ottenere”: “Che cosa otterranno / produrranno / acquisiranno per se stessi”? Ecco allora la traduzione completa:

Ἐπεὶ τί ποιήσουσιν οἱ βαπτιζόμενοι ὑπὲρ τῶν νεκρῶν

Epèi ti poièsusin òi baptizòmenoi üpèr ton nekròn

Infatti cosa otterranno i facentisi immergere a favore dei morti

εἰ ὅλως νεκροὶ οὐκ ἐγείρονται, τί καὶ βαπτίζονται ὑπὲρ αὐτῶν

èi òlos nekròi uk eghèirontai ti kài baptìzontai üpèr autòn

se affatto morti non risorgono perché anche vengono immersi a favore loro

   Messo in bell’italiano: “Infatti, cosa otterranno a favore dei morti coloro che si fanno battezzare? Se i morti non risorgono, perché allora si fanno battezzare?”. La parte finale, “a favore loro” (üpèr autòn), crediamo che appartenga alla frase successiva. Ma andiamo con ordine.

   Iniziamo da quell’“infatti” con cui si apre il versetto. La congiunzione Ἐπεὶ (epèi) ha il senso di “siccome”, “stando così le cose”. Paolo sta portando una dimostrazione di qualcosa che ha appena detto. Dobbiamo quindi entrare nel contesto di 1Cor 15. Vediamolo, richiamando i versetti:

     1  – Vi ricordo, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato

     2  – purché lo riteniate quale ve l’ho annunziato

     3  – vi ho prima di tutto trasmesso . . .  che Cristo morì per i nostri peccati

     4 – che è stato risuscitato

   12 – Ora se si predica che Cristo è stato risuscitato dai morti, come mai

          alcuni tra voi dicono che non c’è risurrezione dei morti?

   13 – se non vi è risurrezione dei morti, neppure Cristo è stato risuscitato

   14 – e se Cristo non è stato risuscitato . . .  vana pure è la vostra fede

   16 – Difatti, se i morti non risuscitano, neppure Cristo è stato risuscitato

   17 – vana è la vostra fede

   18 – Anche quelli che sono morti in Cristo, sono dunque periti

   20 – Ma ora Cristo è stato risuscitato dai morti

   21 – per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti

   23 – ma ciascuno al suo turno

   25 – bisogna ch’egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi

   26 – L’ultimo nemico che sarà distrutto, sarà la morte

   29 – Ἐπεὶ … (epèi)… Infatti …

   Il problema di alcuni corinti era che avevano smesso di credere nella resurrezione (v.12). Da qui tutto il discorso di Paolo: Se la resurrezione non avviene, neppure Yeshùa è resuscitato e la vostra fede non serve a nulla. Poi conferma che la resurrezione c’è e spiega come devono avvenire le cose: Yeshùa è resuscitato, ma occorre attendere il proprio turno. La morte sarà sconfitta, ma intanto Yeshùa regna in attesa che tutto gli venga sottoposto.

   Dopo queste argomentazioni dottrinali, Paolo fa leva su di loro direttamente. Ecco allora Ἐπεὶ (epèi): “Infatti”…

“Infatti, cosa otterranno a favore dei morti coloro che si fanno battezzare? Se i morti non risorgono, perché allora si fanno battezzare?”. – V. 29 (traduzione dal greco).

   La parte finale del v. 29 (“a favore loro”, ὑπὲρ αὐτῶν, üpèr autòn) appartiene alla frase successiva (v. 30):

ὑπὲρ αὐτῶν τί καὶ ἡμεῖς κινδυνεύομεν πᾶσαν ὥραν

üpèr autòn ti kài emèis kindünèuomen pàsan òran

a favore loro perché anche noi corriamo pericolo ogni ora

Infatti, cosa otterranno a favore dei morti coloro che si fanno battezzare? Se i morti non risorgono, perché allora si fanno battezzare? Perché anche noi corriamo pericolo per loro ogni ora?”. –  1Cor 15:29,30, traduzione dal greco.

   Poi Paolo spiega: “Ogni giorno sono esposto alla morte; sì, fratelli, com’è vero che siete il mio vanto, in Cristo Gesù, nostro Signore. Se soltanto per fini umani ho lottato con le belve a Efeso, che utile ne ho? Se i morti non risuscitano, ‘mangiamo e beviamo, perché domani morremo’”. – 15:30-32.

   Il passo così diventa chiaro. Quei corinti devono credere alla resurrezione: Se la resurrezione non avviene, è inutile che si battezzino ed è inutile che Paolo metta a rischio la sua vita per loro.

   In questa versione ogni parola conserva il suo esatto senso e valore. Si tratta di persone vive “che si fanno battezzare”, come suggerisce il participio presente βαπτιζόμενοι (baptizòmenoi), che indica un’azione continuativa: si facevano cioè battezzare al tempo in cui Paolo scriveva e continuavano a farsi battezzare. Il verbo ποιέω (poièo) conserva il senso che ha altrove di “ottenere / procurarsi qualcosa”: “Io vi dico: fatevi [ποιήσατε (poièsate)] degli amici” (Lc 16:9), “Fatevi [ποιήσατε (poièsate); Yeshùa non suggeriva certo di costruirsele, ma di procurarsele] delle borse che non invecchiano” (Lc 12:33). Il verbo ποιέω (poièo) conserva qui nel passo di 1Cor questo senso di “ottenere [qualcosa]” “in favore di”, come suggerisce la preposizione ὑπὲρ (üpèr). È naturale anche la connessione di “dei morti” (τῶν νεκρῶν, ton nekròn) con il verbo principale ποιέω (poièo) anziché con che immediatamente lo precede (βαπτιζόμενοι, baptizòmenoi, “che si fanno battezzare”). Infatti i “morti” non sono già morti, ma sono quelli futuri che diventeranno tali in quanto discepoli di Yeshùa. Questo spiega il futuro del verbo (“cosa otterrano”?): Se quei corinti si fanno battezzare senza credere nella resurrezione, cosa otterranno, che vantaggio avranno dal morire?

   L’effetto del battesimo si deve collegare proprio con la morte, in quanto il credente battezzato (immerso) si trova proprio nella condizione particolare di dover riemergere (emersione), essendo destinato alla resurrezione con Yeshùa. “Chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morirà mai”. – Gv 11:25,26.

   I “morti” sono quindi la categoria dei discepoli defunti, al cui gruppo parteciperanno in futuro anche tutti quelli di Corinto che si fanno battezzare. Per questi credenti che devono divenire morti lavora con grande energia Paolo, subendo sacrifici di ogni genere e correndo spesso il pericolo di divenire uno di quei morti. Per loro Paolo ha subito tante fatiche in Corinto.

   Ora, tutto ciò non ha senso se i morti non risorgono, se anche i discepoli diverranno dei morti come tutti gli altri. In tal caso è molto meglio mangiare e bere anziché subire tanti sacrifici per predicare una realtà insussistente.

   È così che si può spiegare il tanto discusso passo paolino.