Si presti attenzione alle diverse sfumature dello stesso passo biblico secondo le diverse traduzioni:

  • “Ogni giorno, nel tempio e di casa in casa, continuavano senza posa a insegnare e a dichiarare la buona notizia intorno al Cristo, Gesù”. – At 5:42, TNM.
  • “Ogni giorno, nel tempio e per le case, non cessavano di insegnare e di portare il lieto messaggio che Gesù è il Cristo”. – At 5:42, NR.
  • “Ogni giorno, nel tempio e a casa, non cessavano di insegnare e di portare il lieto annunzio che Gesù è il Cristo”. At 5:42, CEI.
  • “Ogni giorno, nel tempio, e per le case, non restavano d’insegnare, e d’evangelizzar Gesù Cristo”. – At 5:42, Did.
  • “Ogni giorno, nel tempio e per le case, non cessavano d’insegnare ed evangelizzare il Cristo Gesù”. – At 5:42, Con.

   Qui si parla dell’assidua evangelizzazione (il recare la buona notizia intorno a Yeshùa) da parte degli apostoli (e solo degli apostoli – v. 40) dopo la morte di Yeshùa. Stando alle diverse traduzioni, su due cose sono tutte concordi: la predicazione avveniva (1) “ogni giorno” e (2) “nel tempio”. In quanto all’altro luogo in cui avveniva, c’è discordanza nelle traduzioni. Vengono proposti tre luoghi:

  1. di casa in casa”;
  2. a casa”;
  3. per le case”.

   La differenza è notevole. Implica, infatti, se la predicazione fosse fatta dagli apostoli sistematicamente casa per casa (“di casa in casa”, a) oppure non metodicamente ma solo in certe case (“per le case”, c). La logica ci impone invece di scartare l’opzione b della cattolica CEI. Infatti, che senso mai avrebbe avuto che gli apostoli si predicassero da soli la buona notizia “a casa”, in casa propria?

   La questione, quindi, è: Come avveniva la predicazione? Era fatta secondo il criterio scrupoloso di passare di casa in casa (TNM), non tralasciandone alcuna? Oppure avveniva solo presso certe case? Il nostro metodo d’indagine si svolgerà in tre tappe:

  1. Attento esame del testo biblico.
  2. Attento esame delle istruzioni di Yeshùa.
  3. Capire le ragioni del metodo voluto da Yeshùa.

 

 

1 – L’attento esame del testo biblico originale

 

Le parole che c’interessano nel passo di At 5:42, quelle cioè messe in discussione, sono nella Bibbia queste:

 

κατ’ οἶκον

kat’òikon

 

   Per chi non conosce il greco, specifichiamo che l’apostrofo è il segno dell’elisione dell’ultima vocale della prima parola per non creare una cacofonia incontrandosi con la prima vocale della seconda parola; proprio come avviene nella lingua italiana. Senza elisione, l’espressione ricostruita è: κατὰ οἶκον (katà òikon).

   L’aspetto più facile riguarda la seconda parola: οἶκον (òikon). Significa “casa”. Si tratta del sostantivo οἶκος (òikos), che in greco è maschile; catalogato da Strong con il n. G3624. La forma οἶκον (òikon) è quella del singolare al caso accusativo.

   La nostra attenzione si deve perciò focalizzare sulla preposizione κατὰ (katà). Questa preposizione può reggere due casi: genitivo o accusativo. Essendo qui οἶκον (òikon) al caso accusativo, dobbiamo riferirci al significato che κατὰ (katà) assume con questo caso. Ed è il seguente: “secondo / verso / lungo”. Se ci fermassimo alla grammatica, avremmo qui tre possibilità: una predicazione “secondo” la casa, ovvero solo in certe case secondo le caratteristiche particolari della famiglia che l’abitava; “verso” casa, intendendo forse una predicazione mentre tornavano a casa (il che non avrebbe molto senso); oppure “lungo” le case, stando sulla strada senza entrare nelle case (anche questa senza un vero senso). Come sempre, è il contesto e il confronto con il resto della Bibbia a stabilire quale sfumatura si adatta meglio. Fin qui, la grammatica.

   Non bisogna travisare le parole dell’esegeta R. C. H. Lenski, che scrisse: “Gli apostoli non cessarono mai, neppure per un momento, la loro benedetta opera. Continuarono ‘ogni giorno’, e questo apertamente, ‘nel Tempio’, dove il Sinedrio e la polizia del Tempio li potevano vedere e udire, e, naturalmente, anche κατ’ οἴκον, usato in senso distributivo, ‘di casa in casa’, e non semplicemente in senso avverbiale, ‘a casa’” (The Interpretation of The Acts of the Apostles, Minneapolis, USA, 1961). Lenski fa osservare che traduzione “a casa” è errata. L’espressione alternativa che propone – “di casa in casa” – va letta contrapposta a quella errata di “a casa”. Va ricordata una nota di TNM che vedremo: “Lett. ‘e secondo [le] case’”. Ribadiamo: “secondo”, per stessa ammissione di TNM.

   Cosa significa allora: “Ogni giorno, nel tempio e per le case [κατ’ οἶκον (kat’òikon)], non cessavano d’insegnare ed evangelizzar il Cristo Gesù” (At 5:42, Con)? Significa quello che c’è scritto: Insegnavano ogni giorno nel Tempio e per le case, cioè dov’erano invitati a parlare della loro fede. Non di casa in casa, ma “secondo la casa”.

   Lo studioso della Scrittura non si ferma alla grammatica. Cerca nella Bibbia tutti i passi in cui appare la stessa espressione, così da trarne il senso dai vari contesti in cui appare.

   La stessa identica espressione la troviamo, sempre in At, in 2:46: “Ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case [κατ’ οἶκον (kat’òikon)] e prendevano il loro cibo insieme”. Contraddicendo se stessa, TNM traduce qui: “Prendevano i loro pasti nelle case private”, salvo poi indicare nella nota in calce: “O, ‘di casa in casa’. Gr. kat´ òikon”. Non vorremmo pensar male, ma perché questa nota? Temiamo per prevenire l’obiezione di chi, conoscendo il greco, trovi la contraddizione di traduzione tra At 5:42 e 2:46. Comunque, è un fatto che qui in 2:46 si evita di tradurre “di casa in casa”: infatti, non sarebbe logico pensare che i discepoli prendessero i loro pasti andando di casa in casa.

   La stessa identica espressione la troviamo ancora in At 20:20: “Non vi ho nascosto nessuna delle cose che vi erano utili, e ve le ho annunciate e insegnate in pubblico e nelle vostre case [κατ’ οἴκους (kat’òikus)]”. Qui la preposizione κατὰ (katà) regge sempre un accusativo e sempre la parola “casa”, ma al plurale. Qui TNM traduce di nuovo “di casa in casa”, ma nella nota in calce spiega: “O, ‘e in case private’. Lett. ‘e secondo [le] case’. Gr. kai kat´ òikous. Qui katà è usato con l’accusativo pl. in senso distributivo”. Dobbiamo osservare che, per essere coerenti, qui TNM dovrebbe tradurre “di case in case”, data la presenza del plurale. Il che non avrebbe senso. La nota in calce però, suo malgrado, dice una verità: “Lett. ‘e secondo [le] case’”, riconoscendo il senso di katà e riconoscendo che l’espressione greca significa “secondo le case”. Questo significato di κατὰ (katà) – “secondo” – è infatti il primo significato che la preposizione greca assume reggendo l’accusativo. Cosa significa qui “secondo le case”? Si noti che chi pronuncia la frase è Paolo (At 20:16) e si noti che la pronuncia nella città di Mileto da cui aveva mandato “a Efeso a chiamare gli anziani della chiesa” (At 20:17). Il riferimento di Paolo non è per nulla alla sua predicazione fatta a porta a porta o “di casa in casa”. Vediamo perché. “Quando giunsero da lui, disse loro” (v. 18), in altre parole stava parlando agli anziani della comunità di Efeso. È a costoro che dice che ‘non aveva nascosto loro nessuna delle cose che erano utili e le aveva annunciate e insegnate in pubblico e nelle loro case’, κατ’ οἴκους (kat’òikus), “secondo le case”. Paolo non era andato di casa in casa a insegnare loro quelle cose utili, ma era andato “secondo le case”, in altre parole dove era necessario andare. Si trattava di visite pastorali nelle case di alcuni credenti efesini, non di predicazione fatta a porta a porta.

   Qui Paolo non parla dei suoi sforzi di predicare a quegli uomini quando non erano ancora credenti. Paolo conosceva molto bene la congregazione di Efeso, dove aveva soggiornato a lungo: “Ho lottato con le belve a Efeso”, “Rimarrò a Efeso fino alla Pentecoste” (1Cor 15:32;16:8). L’apostolo Paolo durante il suo terzo viaggio missionario (53-58 E. V.) si era fermato a Efeso circa tre anni, formandovi una congregazione forte. – At 20:31.

   Occorre insistere sul fatto che qui Paolo non parla dei suoi sforzi di predicare a quegli uomini quando non erano ancora credenti. A quella prima fase allude quando dice loro: “Voi tutti fra i quali sono passato predicando il regno” (At 20:25). Si noti la differenza tra loro che erano credenti e gli altri cui pure Paolo aveva annunciato la buona notizia: “Non vi ho nascosto nessuna delle cose che vi erano utili, e ve le ho annunciate e insegnate in pubblico e nelle vostre case, e ho avvertito solennemente Giudei e Greci di ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo” (At 20:20,21). Giudei e greci erano stati avvertiti ovvero avevano ricevuto l’annuncio del Regno. Queste due categorie comprendevano tutte le persone: ebrei (“giudei”) e pagani (“greci” o non ebrei). Va da sé che quegli anziani efesini erano appartenuti chi ai giudei chi ai pagani. Ma mentre a tutti era stato dato l’annuncio, solo a questi anziani Paolo aveva insegnato oltre che in pubblico anche nelle loro case, segno che a quel punto erano già diventati credenti. Infatti, il ‘non nascondere nulla’ implica un insegnamento approfondito, e questo poteva interessare solo i credenti, non gli altri che erano stati semplicemente avvertiti, o – per meglio dire traducendo bene il testo greco – “rendendo testimonianza” (διαμαρτυρόμενος, diamartüròmenos). Altrimenti, perché non riferire κατ’ οἴκους (kat’òikus), “secondo le case”, anche agli altri? È necessario apprezzare bene il testo greco e capire la differenza di comportamento che Paolo aveva adottato con i credenti e con i non credenti. Nella Bibbia questa differenza è molto chiara:

  • διδάξαι ὑμᾶς δημοσίᾳ καὶ κατ’ οἴκους (didàcsai ümàs kài kat’òoikus), “insegnare a voi [agli anziani efesini] pubblicamente e secondo le case”. – At 20:20.
  • διαμαρτυρόμενος Ἰουδαίοις τε καὶ Ἕλλησιν (diamartüròmenos Iudàiois te kài èllesin), “rendendo testimonianza a giudei e greci”. – At 20:21.

   Mentre a loro, agli anziani efesini, aveva insegnato (in pubblico e nelle loro case), agli altri si era limitato a dare testimonianza. Quindi, Paolo non era andato indiscriminatamente “di casa in casa” in cerca di persone dall’indole spirituale, ma era andato “secondo le case” solo nel caso di quegli efesini che erano già diventati credenti.

2. Le istruzioni di Yeshùa sul modo di evangelizzare

   L’espressione vera e propria “di casa in casa”, nelle Scritture Greche la troviamo in Lc 10:7: “Non passate di casa in casa”. L’espressione greca è ἐξ οἰκίας εἰς οἰκίαν (ecs oikìas èis oikìan).

   In Lc 10:1-12 troviamo le particolareggiate istruzioni che Yeshùa diede ai suoi discepoli sul modo in cui avrebbero dovuto evangelizzare: “Il Signore designò altri settanta discepoli e li mandò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dov’egli stesso stava per andare. E diceva loro: ‘La mèsse è grande, ma gli operai sono pochi; pregate dunque il Signore della mèsse perché spinga degli operai nella sua mèsse. Andate; ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. Non portate né borsa, né sacca, né calzari, e non salutate nessuno per via. In qualunque casa entriate, dite prima: Pace a questa casa! Se vi è lì un figlio di pace, la vostra pace riposerà su di lui; se no, ritornerà a voi. Rimanete in quella stessa casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l’operaio è degno del suo salario. Non passate di casa in casa. In qualunque città entriate, se vi ricevono, mangiate ciò che vi sarà messo davanti, guarite i malati che ci saranno e dite loro: Il regno di Dio si è avvicinato a voi. Ma in qualunque città entriate, se non vi ricevono, uscite sulle piazze e dite: Perfino la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scotiamo contro di voi; sappiate tuttavia questo, che il regno di Dio si è avvicinato a voi. Io vi dico che in quel giorno la sorte di Sodoma sarà più tollerabile della sorte di quella città’”. Possiamo qui notare alcuni punti ben precisi.

   Yeshùa invia i settanta discepoli nelle città e nei luoghi in cui stava per andare. Si noti poi la precisa ingiunzione: “Non salutate nessuno per via”. Non dovevano attaccare bottone con le persone per strada. E, già da qui, detto in termini moderni, vediamo che non si devono fermare per strada le persone per annunciare loro la buona notizia.

   Le case sono menzionate da Yeshùa in queste circostanze:

  1. “In qualunque casa entriate”. Non dice che devono cercare d’entrare in tutte le case.
  2. “Rimanete in quella stessa casa, mangiando e bevendo di quello che hanno”. Non devono cercare di andare in altre case: “Rimanete in quella stessa casa”. Si tratta qui di accettare l’ospitalità: “Mangiando e bevendo di quello che hanno”. Nella casa in cui sono ospitati non devono predicare, ma devono prima di tutto dire: “Pace a questa casa!”. L’annuncio che “il regno di Dio si è avvicinato a voi” deve essere fatto “in qualunque città” entrano, poi devono fare del bene ‘guarendo i malati che ci saranno’.
  3. “Non passate di casa in casa”. L’evangelizzazione fatta a porta a porta viene vietata da Yeshùa. Qui non si tratta di evitare le case che respingono in messaggio κατ’ οἶκον (kat’òikon), “secondo le case”. Si tratta proprio della specifica proibizione di andare ἐξ οἰκίας εἰς οἰκίαν (ecs oikìas èis oikìan), “di casa in casa”. Aggiustare il verbo traducendo “non vi trasferite di casa in casa”, come fa TNM, confonde solo le acque. Cosa significherebbe che non dovevano trasferirsi? Yeshùa aveva appena detto: “In qualunque casa entriate” e si riferiva all’accettarne l’ospitalità. Va da sé che la volta successiva avrebbero accettato l’ospitalità d’un’altra casa; ciò comportava proprio il trasferirsi. Ma qui Yeshùa sta dicendo μὴ μεταβαίνετε ἐξ οἰκίας εἰς οἰκίαν (me metabàinete ecs oikìas èis oikìan). La particella μή (me) è una negazione qualificata (diversa da οὐ, u, che esprime “non”). Il verbo μεταβαίνω (metabàino) significa “passare da un luogo ad un altro”, nella fattispecie “di casa in casa”; μεταβαίνετε (metabàinete) è la seconda persona plurale dell’imperativo presente. È lo stesso verbo che troviamo in Mt 8:34: “Lo pregarono che se ne andasse [μεταβῇ (metabè)]”, qui al tempo aoristo del congiuntivo attivo. – Testo greco.

   Si noti Mt 10:11: “In qualunque città o villaggio sarete entrati, informatevi se vi sia là qualcuno degno di ospitarvi, e abitate da lui finché partirete”. I discepoli avevano a che fare con le case solo per esservi ospitati. Il loro annuncio doveva essere pubblico: “Mentre andate, predicate” (Mt 10:7, TNM). Il cercare “chi vi è meritevole” – lo si noti: “In qualunque città o villaggio” – (Mt 10:11, TNM), non aveva a che fare col cercare coloro che avrebbero prestato ascolto al messaggio, ma con coloro che li avrebbero alloggiati per la notte. Infatti, è detto loro: “Lì rimanete finché non partiate”; se lo scopo fosse stato quello di andare casa per casa, perché rimanere lì? – Cfr. Lc 9:4.

   Ciò era in perfetta armonia con il metodo che Yeshùa stesso seguiva. “Gesù, vedendo le folle, salì sul monte e si mise a sedere. I suoi discepoli si accostarono a lui, ed egli, aperta la bocca, insegnava loro” (Mt 5:1,2); Yeshùa si rendeva disponibile e attendeva che gli altri si rivolgessero a lui. “Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno” (Mt 9:35); la sua predicazione era sempre pubblica. Quando insegnò in alcune case era perché vi era stato invitato.

3. Perché Yeshùa vietò la predicazione di casa in casa?

   L’idea di dover andare casa per casa a portare la buona notizia è un’idea del tutto moderna, umana, religiosa e di stampo statunitense (vendita a porta a porta); essa è perfino contraria alle indicazioni bibliche. Alcune persone, mosse dall’entusiasmo e dallo zelo dopo aver scoperto nuove verità bibliche, commettono l’errore di tentare di convincere altre persone al loro nuovo modo di vivere e di vedere le cose. Il risultato è che spesso si alienano da familiari ed amici. Mentre quest’atteggiamento entusiastico potrebbe venire del tutto naturale, ci sono organizzazioni religiose che lo impongono e fanno sentire in colpa chi non se la sente di adeguarsi. È triste dover ammettere che tali organizzazioni stanno in piedi solo grazie al sostentamento che deriva da quest’attività. Se non avessero chi li distribuisce, non potrebbero stampare centinaia e centinaia di milioni di pubblicazioni religiose e fallirebbero velocemente. Nell’insistenza di voler predicare per forza a tutti, diversi di questi predicatori vengono considerati stravaganti o balordi, e vengono persino allontanati da familiari, amici e conoscenti.

   Comunque, a noi interessa qui solo il punto di vista biblico, cioè di Dio.

   Predicare è compito solo di coloro che sono qualificati. In Mt 24:14 Yeshùa predisse: “Questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine”. Si noti lo scopo della predicazione: “Affinché ne sia resa testimonianza”. Lo scopo non è quello di cercare di convertire le persone. La Bibbia dice chiaramente che solo una piccola parte, esigua, dell’umanità si converte: “Larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano” (Mt 7:13,14). Tuttavia, il mondo intero deve ricevere la testimonianza di cui parla Mt 24:14. Anche se l’ignorano, i più odono qualcosa intorno agli ammonimenti di Dio. La testimonianza riguarda “tutte le genti”, ma non si legga qui come se si trattasse di tutte le persone. La Bibbia dice “in tutto il mondo in testimonianza πᾶσιν τοῖς ἔθνεσιν [pàsin tòis èthnesin, “a tutti i popoli”]”. Se si dovessero raggiungere tutte le persone, tra l’altro, sarebbe un fallimento sicuro. Gli istituti demografici preposti non sanno neppure in quanti siamo al mondo. Ci sono poi popolazioni in guerra, altre così selvagge o talmente integraliste che sono inavvicinabili. Milioni e milioni di persone in Cina, in India e in chissà quali altri posti non hanno mai sentito nominare neppure “Gesù”. Yeshùa parlò di “testimonianza” a “tutti i popoli”, non a tutte le persone del mondo. Chi pretende di raggiungere tutte le persone del pianeta, oltre ad essere un illuso, è anche ingiusto: mentre alcuni sono tempestati di visite, moltissimi altri non saranno mai raggiunti. “In testimonianza” è esattamente ciò che aveva fatto Paolo secondo le istruzioni di Yeshùa, come abbiamo visto sopra. Va anche sottolineato che in quella riunione tenuta da Paolo con gli anziani efesini, tra le molte istruzioni che egli dà loro non compare mai quella di andare a predicare casa per casa. – At 20:17-36.

   La Bibbia dice chiaramente che solo coloro che sono chiamati, preparati e scelti sono autorizzati a predicare. Non è cosa per tutti i credenti. Paolo disse: “Guai a me, se non evangelizzo!” (1Cor 9:16). E con lui possiamo dire: guai a tutti i ministri se non lo fanno. Ma questo compito non è per tutti. Yeshùa dapprima scelse i dodici apostoli: “Chiamò a sé quelli che egli volle, ed essi andarono da lui. Ne costituì dodici per tenerli con sé e per mandarli a predicare” (Mr 3:13-15). In seguito “il Signore designò altri settanta discepoli e li mandò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dov’egli stesso stava per andare” (Lc 10:1). Si noti che fu lui a designarli e quindi a sceglierli tra tutti i suoi discepoli. E quelli che non furono scelti? Continuarono ad essere discepoli, ma senza avere il compito di predicare.

   Un solo corpo ma molte funzioni. In Rm 12:3, Paolo molto schiettamente dichiara ai credenti: “Dico quindi a ciascuno di voi che non abbia di sé un concetto più alto di quello che deve avere”. Poi prosegue: “Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e tutte le membra non hanno una medesima funzione, così noi, che siamo molti, siamo un solo corpo in Cristo, e, individualmente, siamo membra l’uno dell’altro. Avendo pertanto doni differenti secondo la grazia che ci è stata concessa, se abbiamo dono di profezia, profetizziamo conformemente alla fede; se di ministero, attendiamo al ministero; se d’insegnamento, all’insegnare; se di esortazione, all’esortare; chi dà, dia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le faccia con gioia” (vv. 4-8). Lo stesso concetto viene ribadito in 1Cor 12. Si presti attenzione al v. 29: “Sono forse tutti apostoli? Sono forse tutti profeti? Sono forse tutti dottori?” Gc 3:1 conferma: “Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri”.

   “È lui [Yeshùa] che ha dato:

alcuni come apostoli,

altri come profeti,

altri come evangelisti,

altri come pastori e dottori”.

Ef 4:11.

   Non tutti nella primitiva congregazione erano apostoli: solo alcuni; non tutti erano profeti: solo alcuni. E non tutti erano evangelizzatori: solo alcuni. Perché mai oggi si dovrebbe pensare di far meglio di Yeshùa e trasformate tutti in evangelizzatori?

   Ciò non significa che tutti gli altri che non sono qualificati per evangelizzare debbano semplicemente non parlare mai della loro fede. “Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni” (1Pt 3:15). Ogni credente può e deve “render conto della speranza” che ha, ma – lo si rilevi – a tutti quelli che “chiedono spiegazioni”. Non ci si deve mai vergognare della verità di Dio. Non si deve però andare all’estremo opposto per lanciarsi in infiniti confronti con lo scopo di convincere. “Comportatevi con saggezza verso quelli di fuori . . . Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come dovete rispondere a ciascuno” (Col 4:5,6). Ancora una volta, si tratta di rispondere, non di andare all’arrembaggio cercando di “convertire”. Il comportarsi “con saggezza verso quelli di fuori”, ovvero con i non credenti, comporta di saper discernere l’atteggiamento del nostro interlocutore. Vuol solo provocare discussioni? “Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le pestino con le zampe” (Mt 7:6). È semplicemente un po’ curioso? Oppure desidera sinceramente capire? Pur rispondendo onestamente alle sue domande, non è necessario essere precipitosi e dire tutto quello che si sa. “Hai mai visto un uomo precipitoso nel parlare? C’è più da sperare da uno stolto che da lui” (Pr 29:20). È meglio limitarsi a dire quanto può soddisfarlo al momento, lasciandogli abbastanza curiosità da indurlo a fare successivamente altre domande. “[Yeshùa] fece come se volesse proseguire. Essi lo trattennero” (Lc 24:28,29): l’opportunità di non proseguire la conversazione Yeshùa la diede e il fatto che fu trattenuto indicava che erano davvero interessati. Se non si è qualificati per predicare, è meglio indirizzare le persone sinceramente interessate a chi sa e può farlo.

   Non va trascurato l’aspetto più importante di tutta la questione. “Il Signore conosce quelli che sono suoi” (2Tm 2:19). “Se qualcuno ama Dio, è conosciuto da lui” (1Cor 8:3). È solamente Dio che può aprire la mente delle persone alla verità. Yeshùa lo spiegò: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre” (Gv 6:44). “Il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che venivano salvati” (At 2:47). La storia della congregazione dei discepoli di Yeshùa mostra che sono relativamente pochi quelli che Dio chiama ed elegge. Così è anche oggi. È dunque del tutto inutile cercare di fare opera di persuasione. Se Dio non chiama, qualsiasi strenuo tentativo di convincere produrrà solo ostilità.

   La nostra parte è quella di essere fedeli e di ubbidire ai comandamenti di Dio. “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5:16). “Qui è la costanza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù”. – Ap 14:12.