“Dio il Signore fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò; prese una delle costole di lui, e richiuse la carne al posto d’essa. Dio il Signore, con la costola che aveva tolta all’uomo, formò una donna e la condusse all’uomo” (Gn 2:21,22). Leggendo la Bibbia letteralmente, e per di più basandosi su una traduzione, si prendono spesso cantonate. È il caso di questo passo della Bibbia.

   A quanto pare, c’è ancora gente che crede che gli uomini abbiano una costola in meno rispetto alle donne. In realtà, sia uomini che donne hanno esattamente lo stesso numero di costole. Eppure, in passato questa credenza fu considerata dal popolino una vera e propria tesi scientifica: lo testimoniano i testi, al tempo molto diffusi, in cui tale tesi era accettata e consolidata. Si ripeté insomma l’errore dei tempi di Galileo: si leggeva la Bibbia letteralmente e guai a mettere in dubbio tale lettura. La religione, ovviamente, ne era responsabile. Eppure, già Origène, nel terzo secolo, spiegava che il racconto della creazione di Eva non doveva essere preso alla lettera (cfr. Contra Celsum). Il teologo cattolico Tommaso De Vio, nel 15°/16° secolo, sosteneva che il racconto della creazione di Eva doveva essere interpretato come una parabola.

   Com’è oggi la situazione? Ormai anche i semplici sanno che l’anatomia umana presenta lo stesso numero di costole sia nel maschio che nella femmina: 24 ossa arcuate (le costole, appunto), lunghe e sottili, che racchiudono la cavità toracica che protegge cuore e polmoni, disposte in 12 coppie. E dunque? Mentre i teologi spiegano che il racconto biblico è solo simbolico, il popolo ritiene che il racconto biblico sia ridicolo e che non valga la pena di credere alla Bibbia. D’altra parte, c’è chi ancora cerca di arrampicarsi sui vetri per difendere la lettura letterale della Scrittura. In un’opera religiosa si legge: “È interessante notare che quando si asporta una costola, questa ricresce, fintantoché il periostio (la membrana di tessuto connettivo che avvolge l’osso) è presente. La Bibbia non dice se Geova Dio seguì questo procedimento o no; comunque, essendo il Creatore dell’uomo, Dio conosceva senz’altro questa insolita proprietà dell’osso della costola” (Perspicacia nello studio delle Scritture, Vol. 1, pag. 592). Fa sorridere la gentile concessione fatta al Creatore: “Dio conosceva senz’altro questa insolita proprietà dell’osso della costola” (Ibidem). Che la cosa sia presa letteralmente, lo conferma un’altra dichiarazione: “Ciò non modificò le cellule riproduttive di Adamo così da influire sulla struttura ossea dei suoi figli, maschi o femmine”. – Ibidem.

   Ma Dio utilizzò o no una costola di Adamo per creare Eva? Il fatto è che ciò non sta scritto da alcuna parte. Non lo dice la Bibbia? No. Lo dicono le traduzioni. La Scrittura dice che Dio יִּקַּח אַחַת מִצַּלְעֹתָיו (yqàkh achàt mitzaleòtav ), “prese una da tzelà (צלע) di lui” (Gn 2:21). Si tratta ora di capire cosa sia questa tzelà (צלע). La seconda volta che il nome tzelà (צלע) compare nella Bibbia è al versetto successivo (Gn 2:22): וַיִּבֶן יְהוָה אֱלֹהִים ׀ אֶת־הַצֵּלָע אֲשֶׁר־לָקַח מִנ־הָאָדָם לְאִשָּׁה (vayvèn yhvh elohìm et-hatzelà ashèr-laqàkh min-haadàm leishàh), “e costruì Yhvh Dio la tzelà che prese dall’uomo come donna”. Ci domandiamo ancora cosa sia questa tzelà (צלע).

   La terza volta questa parola compare in Es 25:12: “Fonderai per essa [l’arca del patto] quattro anelli d’oro, che metterai ai suoi quattro piedi: due anelli da un lato [צַלְעֹו (tzalòt); plurale di צלע (tzelà)] e due anelli dall’altro lato [צַלְעֹו (tzalòt); plurale di צלע (tzelà)]”. Qui, come si nota, il senso di “costola” è impossibile; il traduttore opta per “lato”. Così anche al successivo v. 14. Lo stesso significato si ha in Es 26:20: “Farai venti assi per il secondo lato [צלע (tzelà)] del tabernacolo, dal lato nord”. Però, qui si ha una cosa curiosa nella traduzione: la parola “lato” compare due volte, ma solo la prima traduce צלע (tzelà); ciò che è reso “dal lato nord” è nel testo לִפְאַת צָפֹון (lifàt tzafòn), “per tratto di nord”. Ora, in Es 26:35 si ha, stando alla traduzione: “Il candelabro di fronte alla tavola dal lato [צלע (tzelà)] meridionale del tabernacolo; metterai la tavola dal lato [צלע (tzelà)] di settentrione”. Esaminando bene le dislocazioni di queste componenti del Tabernacolo, si nota che la parola צלע (tzelà) non significa propriamente “lato”, ma “metà”; per cui si ha: “Il candelabro di fronte alla tavola nella metà [צלע (tzelà)] meridionale del tabernacolo; metterai la tavola nella metà [צלע (tzelà)] di settentrione”.

   Rivediamo i passi sostituendo alla traduzione “lato” la parola “metà”: “Due anelli sulle metà [צַלְעֹו (tzalòt); plurale di צלע (tzelà)] la prima e due anelli sulle metà [צַלְעֹו (tzalòt); plurale di צלע (tzelà)] la seconda” (Es 25:12); questa è una traduzione letterale; vi si parla dei quattro anelli da collocare ai quattro piedi dell’arca; la traduzione rispetta il plurale del testo biblico, che traducendo con “lato” scompare. “Farai venti assi per la seconda metà [צלע (tzelà)] del tabernacolo, dal lato nord” (Es 26:20); qui non c’è incongruenza nella traduzione: “dal lato nord” rimane come “lato”. “Il candelabro di fronte alla tavola nella metà [צלע (tzelà)] meridionale del tabernacolo; metterai la tavola nella metà [צלע (tzelà)] settentrionale”; qui si tratta del locale chiamato Santo: non si tratta di “lato” nord e sud, ma di “metà meridionale” e di “metà settentrionale”.

   In 1Re 6:15 si legge: “Ne rivestì le pareti interne di tavole di cedro . . . e coprì il pavimento della casa con tavole di cipresso”. Qui la parola “tavole”, scelta dal traduttore, è nel testo ebraico צַלְעֹו (tzalòt), che come abbiamo visto è il plurale di צלע (tzelà). Il Dizionario di ebraico e aramaico (Società biblica britannica e forestiera) annota circa questo passo: “Senso inc.[erto]” (pag. 353); il che significa che “tavole” è traduzione non sicura. Ora, se applichiamo il senso di “metà” alla parola צלע (tzelà) – proprio come fatto sinora -, si comprende come le pareti e il pavimento del Tempio fossero ricoperte da tronchi di cedri e cipressi tagliati a metà.

   Appurato che צלע (tzelà) significa “metà”, occorre rileggere Gn 2:21,22 così: “Dio il Signore fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò; prese metà di lui, e richiuse la carne al posto d’essa. Dio il Signore, con la metà che aveva tolta all’uomo, formò una donna e la condusse all’uomo”. Va da sé che il racconto non va letto letteralmente. Dio aveva creato l’uomo “dalla polvere della terra” (Gn 2:7) e non aveva bisogno di effettuare un’improbabile operazione chirurgica per creare la donna. Addentrarsi in questa ipotesi porta solo ad assurdità, come quella di dover spiegare che ne sarebbe stato della metà dell’essere umano rimasto (come, del resto, doversi domandare come mai ci sarebbe stato un essere umano mutilato di una costola).

   Il racconto della creazione della donna contiene invece un grande insegnamento. Creando la donna, Dio non la fece separata e distinta dall’uomo formandola dalla polvere della terra, come aveva fatto con Adamo. Dicendo che la fece prendendo la metà (צלע, tzelà) di Adamo, s’intende insegnare che la donna era davvero “come una che gli sta di fronte” (כְּנֶגְדֹּו, kenegdòGn 2:18) ed era, nel contempo, ‘ossa delle sue ossa e carne della sua carne’ (Gn 2:23). Non era sottomessa al maschio; essendo della stessa natura, ne era “metà”.

   Ancora oggi si usa parlare della propria moglie come della propria metà. Ciò è conforme non solo al secondo racconto della creazione che abbiamo appena esaminato, ma è conforme anche al primo racconto della creazione: “Dio creò l’uomo [= l’essere umano] a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina”. – Gn 1:27.