Le donne dei patriarchi 

   Da quanto detto nello studio precedente non si deve concludere che le donne non fossero amate dai loro mariti. Nella Bibbia compaiono relazioni amorose cariche di tenerezza.

   “Isacco condusse Rebecca nella tenda che prima era stata di sua madre Sara. La sposò e l’amò” (Gn 24:67, PdS); bello il “si innamorò di lei” di TNM. Una scena successiva parla di “Isacco e Rebecca nella loro intimità” (Gn 26:8, PdS); bello anche qui il “c’era Isacco che si divertiva con Rebecca sua moglie” di TNM. La scena ci rammenta Pr 5:18: “Sia benedetta la tua fonte d’acqua, e rallegrati con la moglie della tua giovinezza” (TNM) ed Ec 9:9: “Godi la vita con la donna che ami”. – PdS.

   “Giacobbe si era innamorato di Rachele . . . Giacobbe sposò dunque Rachele, che amò” (Gn 29:18,30). Anche questo amore è connotato nella Scrittura da caratteristiche sensuali.

Una figura di donna durante l’Esodo

   Maria – o, meglio, Miryàm (מִרְיָם) – era la sorella maggiore del conduttore del popolo ebraico durante l’Esodo dall’Egitto, Mosè. Era lei che lo aveva salvato dalla furia infanticida del faraone (Es 2:1-10). Dopo che il popolo d’Israele fu uscito indenne attraverso le acque in cui perirono gli egiziani al loro inseguimento (Es 14:21-30), Miryàm ebbe da Dio un’ispirazione profetica. “Maria, la profetessa, sorella d’Aaronne [e di Mosè], prese in mano il timpano e tutte le donne uscirono dietro a lei, con timpani e danze. E Maria rispondeva [al popolo che aveva appena cantato un inno di lode a Dio; cfr. Es 15:1-19]:

 

‘Cantate al Signore, perché è sommamente glorioso:

ha precipitato in mare cavallo e cavaliere’”. – Es 15:20,21.

   Le parole di Miryàm risuonano ancora nell’invito al canto che si troverà poi in Is 42:10: “Cantate al Signore un cantico nuovo, cantate le sue lodi all’estremità della terra, o voi che scendete sul mare, e anche gli esseri che esso contiene, le isole e i loro abitanti!”

   Miryàm si vantò del fatto che Dio aveva parlato anche per mezzo suo: “Maria e Aaronne parlarono contro Mosè . . . E dissero: ‘Il Signore ha parlato soltanto per mezzo di Mosè? Non ha parlato anche per mezzo nostro?’” (Nm 12:1,2). Dio riconobbe l’autorità profetica di Miryàm anche secoli dopo: “Sono io infatti che ti ho condotto fuori dal paese d’Egitto, ti ho liberato dalla casa di schiavitù, ho mandato davanti a te Mosè, Aaronne e Maria” (Mic 6:4). Al momento del suo cantico, Miryàm era ricolma dello spirito divino: suonava, cantava e ballava davanti al Dio d’Israele.

La donna nella Toràh

   Abbiamo già visto come la Legge permettesse di ripudiare la moglie: bastava darle un documento di ripudio (Dt 24:1). La moglie poteva perfino essere lapidata, se infedele (Dt 22:22). Dalla donna si esigevano purificazioni speciali, e la nascita di una femmina recava alla madre maggiore impurità che non quella della nascita di un maschio (Lv 15:19-30;12:2-8). Tra queste prescrizioni la più sorprendente è quella che riguarda la gelosia:

“Se una donna si svia dal marito e commette un’infedeltà contro di lui; se uno ha relazioni carnali con lei e la cosa è nascosta agli occhi del marito; se ella si è contaminata in segreto senza che vi siano testimoni contro di lei o che sia stata còlta sul fatto, qualora lo spirito di gelosia s’impossessi del marito e questi diventi geloso della moglie che si è contaminata, oppure lo spirito di gelosia s’impossessi di lui e questi diventi geloso della moglie che di fatto non si è contaminata, quell’uomo condurrà la moglie dal sacerdote, e porterà un’offerta per lei: un decimo d’efa di farina d’orzo; non vi spanderà sopra olio né vi metterà sopra incenso, perché è un’oblazione di gelosia, un’oblazione commemorativa, destinata a ricordare un’iniquità. Il sacerdote farà avvicinare la donna, e la farà stare in piedi davanti al Signore. Poi il sacerdote prenderà dell’acqua santa in un vaso di terra; prenderà pure della polvere che è sul suolo del tabernacolo, e la metterà nell’acqua. Il sacerdote farà quindi stare la donna in piedi davanti al Signore, le scoprirà il capo e le metterà in mano l’oblazione commemorativa, che è l’oblazione di gelosia; e il sacerdote avrà in mano l’acqua amara che porta maledizione. Il sacerdote farà giurare quella donna e le dirà: ‘Se nessun uomo si è unito a te, e se non ti sei sviata contaminandoti con un uomo, invece di tuo marito, quest’acqua amara che porta maledizione, non ti farà danno! Ma se ti sei sviata ricevendo un altro invece di tuo marito e ti sei contaminata, se un altro che non è tuo marito ti ha fecondata’, allora il sacerdote farà giurare la donna con un giuramento di maledizione e le dirà: ‘Il Signore faccia di te un oggetto di maledizione e di esecrazione in mezzo al tuo popolo, facendoti dimagrire i fianchi e gonfiare il ventre; quest’acqua che porta maledizione, ti entri nelle viscere per farti gonfiare il ventre e dimagrire i fianchi!’ E la donna dirà: ‘Amen! Amen!’ Poi il sacerdote scriverà queste maledizioni in un rotolo e le farà sciogliere nell’acqua amara. Farà bere alla donna quell’acqua amara che porta maledizione, e l’acqua che porta maledizione entrerà in lei per produrle amarezza. Il sacerdote prenderà dalle mani della donna l’oblazione di gelosia, agiterà l’oblazione davanti al Signore e l’offrirà sull’altare. Il sacerdote prenderà una manciata di quell’oblazione commemorativa e la farà fumare sull’altare; poi farà bere l’acqua alla donna. Quando le avrà fatto bere l’acqua, se è contaminata e ha commesso un’infedeltà contro il marito, l’acqua che porta maledizione entrerà in lei per produrre amarezza; il ventre le si gonfierà, i suoi fianchi dimagriranno, e quella donna diventerà un oggetto di maledizione in mezzo al suo popolo. Ma se la donna non si è contaminata ed è pura, sarà riconosciuta innocente, ed avrà dei figli. Questa è la legge relativa alla gelosia, per il caso in cui la moglie di uno si svii ricevendo un altro invece di suo marito e si contamini, per il caso in cui lo spirito di gelosia s’impossessi del marito e questi diventi geloso della moglie; egli farà comparire sua moglie davanti al Signore e il sacerdote applicherà questa legge integralmente. Il marito sarà immune da colpa, ma la donna porterà la pena della sua iniquità”. – Nm 5:11-31.

   Ci si domanda come una donna potesse uscire indenne da una prova simile. Spicca qui anche l’ostinazione maschile nel voler rivendicare i propri diritti contro una presunta offesa. Questo rituale, per chi non soppesa bene le cose, sembrerebbe riflettere una mentalità molto arcaica. Tuttavia, questa legge impediva che la moglie fosse perseguitata dal marito se questi era roso da dubbi che riguardavano la fedeltà di lei. La prescrizione si applicava ovviamente nei casi in cui c’era solo un sospetto fondato di un adulterio commesso in segreto e mancavano i testimoni richiesti per provare l’accusa. La Legge prescriveva che la coppia si presentasse al sacerdote, rappresentante di Dio. Si ricorreva così a Dio, che sapeva come erano andate le cose: in tal modo sarebbe stato Dio stesso a giudicare. Se la donna risultava adultera, subiva la perdita delle facoltà procreative (considerata una vergogna tra gli ebrei). Se la gelosia del marito era stata infondata, costui doveva riconoscere l’innocenza della moglie e dimostralo avendo rapporti sessuali con lei perché potesse avere un figlio.