“Nel principio era la Parola … Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta” (Gv 1:1-3). Con la sua parola Dio creò ogni cosa: “La parola del Signore creò il cielo e il soffio della sua bocca, tutte le stelle” (Sl 33:6, PdS). Le parole sono importanti. Paolo, nel suo rapimento, “udì parole ineffabili che non è lecito all’uomo di pronunciare” (2Cor 12:4). Dobbiamo mantenere “il modello di sane parole” (2Tm 1:13, TNM). Le “le parole della fede” ci nutrono (1Tm 4:6, TNM) e vanno evitate “le parole vuote che violano ciò che è santo” (1Tm 6:20, TNM). Delle cose di Dio “ne parliamo non con parole insegnate dalla sapienza umana, ma insegnate dallo Spirito, adattando parole spirituali a cose spirituali” (1Cor 2:13). “Di ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato, e in base alle tue parole sarai condannato”. – Mt 12:36,37.

   “Quando pregate, non usate tante parole come fanno i pagani: essi pensano che a furia di parlare Dio finirà per ascoltarli. Non fate come loro, perché Dio, vostro Padre, sa di che cosa avete bisogno, prima ancora che voi glielo chiediate” (Mt 6:7,8, PdS). Alcuni applicano male questo ammonimento di Yeshùa e pensano che non sia appropriato leggere una preghiera, magari una preghiera dei Salmi. Solo chi non sa pregare si limita a leggere una preghiera. Solo chi non sa pregare davvero pensa che non si possa pregare leggendo una preghiera. In verità, non sappiamo come pregare: “Noi non sappiamo neppure come dobbiamo pregare” (Rm 8:26, PdS). Succede allora che “lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio” (Rm 8:26,27). Se sapessimo come pregare, lo faremmo come si conviene. Ecco allora che lo spirito di Dio viene in nostro soccorso: interpretando i nostri bisogni, li esprime a Dio “con gemiti inespressi” (v. 26, TNM), “con gemiti inesprimibili [στεναγμοῖς ἀλαλήτοις (stenagmòis alalètois)]” (testo originale greco). È come se Dio mandasse il suo spirito per interpretare la nostra intenzione di preghiera facendosela poi rivolgere dal suo stesso spirito.

   Il Salterio (i Salmi) è il libro di preghiere ispirato della Bibbia. Lì ci sono parole ispirate. La preghiera vive di parole. Per pregare occorrono due cose: la persona che prega e le parole. Nella preghiera le parole divengono distillati del nostro animo e condensano i momenti più importanti della nostra spiritualità. Che parole pronunceremo? A quali parole ci aggrapperemo? Ecco che la preghiera biblica scritta ci aiuta. Non si tratta semplicemente di leggere un Salmo con l’intento di pregare. Si inizia in modo piano, ma la preghiera percorre poi terreni aspri, ridenti pascoli, deserti, scorci panoramici, devia su vie secondarie, ritrova il cammino, si inabissa nelle profondità dell’animo, riemerge, scala montagne, raggiunge le vette più elevate. Così, di parola in parola, di pensiero in pensiero, di sentimento in sentimento, procediamo a capo chino, avendo deposto i nostri sandali, perché siamo sul suolo sacro della presenza di Dio.

   Leggendo un Salmo che è preghiera, la nostra mente può essere attratta da una parola e si sofferma su quella, si inizia così un percorso nuovo, personalissimo, in cui le nostre parole si fanno preghiera e fluiscono libere. Soffermandoci di volta in volta su una parola, scopriamo che è un tesoro tutto da scoprire perché contiene preziosi significati nascosti. Quella parola può alludere a qualcosa di nostro e risvegliare ciò che è sopito: sono i momenti in cui prendiamo coscienza di ciò che di più profondo c’è in noi. “Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1Gv 3:20) e “non v’è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto” (Eb 4:13). Siamo noi che dobbiamo conoscere meglio noi stessi, perché spesso ciascuno di noi “è simile a uno che si guarda allo specchio, vede la sua faccia così com’è, ma poi se ne va e subito dimentica com’era” (Gc1:23,24, PdS). Nella preghiera accade che la nostra coscienza irrompa e si denudi davanti a Dio. Accade anche che le nostre aspirazioni emergano per presentarle a Dio. Accade anche di commuoverci e di essere grati a Dio per ciò che ci dona. E tutto parte da una parola, preziosa per noi, che trascina poi dietro di sé le nostre, liberamente. E possiamo fare esperienza di come le nostre parole sappiano fluire libere, ricche, sentite.

 “Servite il Signore con timore,

e gioite con tremore”.

Sl 2:11.

   Timore, gioia, tremore: la preghiera è questo. “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome” (Mt 6:9); santificare Dio: la preghiera è questo. “Dovete dare gloria all’Iddio d’Israele” (1Sam 6:5, TNM): la preghiera è anche glorificare Dio. “I cieli raccontano la gloria di Dio”, ma “non hanno favella, né parole; la loro voce non s’ode” (Sl 19:1,3). I serafini irrompono in questa lode: “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria!”, ma se lo gridano l’un l’altro in cielo (Is 6:3). Quando nacque Yeshùa “vi fu con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: ‘Gloria a Dio nei luoghi altissimi’” (Lc 2:13,14). Qui sulla terra chi lo loderà? “Nel mondo dei morti tu non sei ricordato, laggiù nessuno ti può lodare” (Sl 6:6, PdS). “Anima mia, loda il Signore”. – Sl 146:1.

   Francesco d’Assisi nel 1224 circa cantava in volgare umbro: Laudato sie mi’ signore cun tucte le tue creature (Laudes Creaturarum, anche noto come Cantico di Frate Sole). Ponendosi al livello delle varie creature, Francesco le chiama “fratello” e “sorella”. Il suo è un inno alla bellezza della natura, decantando spetialmente messor lo frate sole. Mentre la Bibbia dice: “Ti lodino, Signore, tutte le creature”, aggiunge: “Rendano grazie tutti i tuoi fedeli”. – Sl 145:10, PdS.

“Cantategli, salmeggiategli,

meditate su tutte le sue meraviglie”.

1Cron 16:9.

“Chi salirà al monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo? L’uomo innocente di mani e puro di cuore, che non eleva l’animo a vanità” Sl 24:3,4

L’amen della preghiera

   Ogni preghiera si chiude con un “amen”. Questa parola è traslitterata dall’ebraico אָמֵן (amèn), che significa “sicuramente/certamente”. Si tratta di una formula solenne che accompagna un giuramento, come in Nm 5:22 in cui una donna che viene fatta giurare dal sacerdote dice “Amen! Amen”. Può indicare anche un voto, come in 1Re 1:36 in cui “Benaia, figlio di Ieoiada, rispose al re: «Amen! Così voglia il Signore, il Dio del re mio signore!” (cfr. anche Ger 11:5); tale formula può convalidare anche un’affermazione (cfr. Ap 1:7;22:20). Può indicare anche una predizione, come in Ger 38:6 in cui “il profeta Geremia disse: «Amen! Così faccia il Signore!”. Può indicare anche una dossologia (un’esclamazione durante il culto, una formula, un breve inno; che loda, esalta e glorifica Dio), come in Sl 106:48: “Benedetto sia il Signore, il Dio d’Israele, d’eternità in eternità! E tutto il popolo dica: «Amen!» Alleluia” (cfr. anche Sl 41:13;72:19;89:52; Nee 8:6; si veda anche Rm 1:25;16:27; Ef 3:21; 1Pt 4:11). Nella Bibbia il termine “amen” è usato quindi come espressione solenne che impegna chi lo pronuncia a mantenersi fedele, essendo disposto ad assumersene le conseguenze. – Nn 5:22; Dt 27:15-26; Nee 5:13.

   Nella preghiera indica la solenne adesione a ciò che si è proferito, così come risulta chiaro da 1Cron 16:36: “Benedetto sia il Signore, Dio d’Israele, d’eternità in eternità!» E tutto il popolo disse: «Amen!»”.

   In Ap 3:14 Yeshùa è chiamato ὁ Ἀμήν (o Amèn), “l’Amen” e Paolo spiega in 2Cor 1:19,20 che tale titolo è riferito a Yeshùa non solo perché ha annunciato la verità come vero profeta di Dio, ma anche perché in lui  si compiono tutte le promesse di Dio, “infatti tutte le promesse di Dio hanno il loro «sì» in lui; perciò pure per mezzo di lui noi pronunciamo l’Amen alla gloria di Dio” (v. 20). Il tal modo, rivolgendo a Dio le nostre preghiere nel nome di Yeshùa, il nostro amen assume ancora più forza perché Yeshùa stesso è l’Amen.

    Sia la preghiera riportata in 1Cron 16:36 sia quelle contenute in Sl 41:13;72:19;89:52;106:48 indicano tutte la correttezza di dire “amen” al termine delle preghiere. Non ci si deve fare ingannare dal fatto che non tutte le preghiere riportate nella Bibbia hanno questa conclusione (cfr. 1Cron 29:19; 1Re 8:53-61): pur se non riportato, l’amen può benissimo essere stato usato (si veda 1Cron 29:20). Anche se l’uso dell’amen nelle preghiere di Yeshùa (Mt 26:39,42; Gv 17:1-26) e in quella dei suoi discepoli (At 4:24-30) non è documentato, i fatti biblici mostrano che è del tutto giusto dire “amen” a conclusione di una preghiera. Lo mostra chiaramente anche 1Cor 14:16: “Se tu benedici Dio soltanto con lo spirito, colui che occupa il posto come semplice uditore come potrà dire: «Amen!» alla tua preghiera di ringraziamento, visto che non sa quello che tu dici?”. Da qui si evince che era d’uso regolare dire “amen” al termine delle preghiere. Abbiamo inoltre gli esempi di ciò che avviene in cielo, come attestato da Ap 5:13,14;7:10-12;19:1-4.    Dire “amen” al termine delle nostre preghiere esprime la nostra piena fiducia, la nostra decisa adesione e la nostra sincera speranza.

   Quando qualcun altro prega e noi diciamo “amen”, ci associamo a ciò che è stato detto, lo facciamo nostro e chiediamo noi pure che Dio esaudisca la preghiera. Se siamo indifferenti e non facciamo udire il nostro amen almeno a Dio nel nostro cuore, non partecipiamo a quella preghiera. La preghiera è una cosa seria, dobbiamo rammentarci di fronte a Chi stiamo. Nello stesso modo in cui non dobbiamo essere indifferenti, così non dobbiamo essere superficiali e aderire con il nostro “amen” a una preghiera che non abbiamo ascoltato o capito. In 1Cor 14:16, come abbiamo visto, Paolo insiste sul fatto che la preghiera deve essere capita, altrimenti come l’“uditore come potrà dire: «Amen!» alla tua preghiera di ringraziamento, visto che non sa quello che tu dici?”. Ciò mostra anche che la preghiera pubblica deve essere chiara, concisa, comprensibile.

   Nella lettura pregata della Bibbia è del tutto appropriato che diciamo mentalmente “amen” alle dichiarazioni di Dio che troviamo nella Sacra Scrittura: con esse Dio ci fa conoscere la sua volontà e noi vi aderiamo con il nostro “amen” che indica la nostra totale accettazione. Così fece il profeta Geremia udendo Dio che gli comunicava i suoi propositi per Israele: “Allora io risposi: «Amen, Signore!»” (Ger 11:5). Allo stesso modo, il popolo di Dio, riconoscendo come giuste le parole pur severe di Neemia, aderì con il proprio “amen” e “tutta l’assemblea disse: ‘Amen!’ Poi celebrarono il Signore. E il popolo mantenne la promessa”. – Nee 5:13.