Subito dopo aver detto che Yeshùa “si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi”, richiamandosi al Sl 110:1, l’autore Eb, concludendo quello che per noi oggi è il primo capitolo del suo scritto, spiega:

“Così è diventato di tanto superiore agli angeli, di quanto il nome che ha ereditato è più eccellente del loro. Infatti, a quale degli angeli ha mai detto:

«Tu sei mio Figlio,

oggi io t’ho generato»?

e anche: «Io gli sarò Padre ed egli mi sarà Figlio»?

   Di nuovo, quando introduce il primogenito nel mondo, dice:

«Tutti gli angeli di Dio lo adorino

   E mentre degli angeli dice:

«Dei suoi angeli egli fa dei venti, e dei suoi ministri fiamme di fuoco»,

   parlando del Figlio dice:

«Il tuo trono, o Dio, dura di secolo in secolo,

e lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia.

Tu hai amato la giustizia e hai odiato l’iniquità;

perciò Dio, il tuo Dio, ti ha unto con olio di letizia,

a preferenza dei tuoi compagni».

   E ancora:

«Tu, Signore, nel principio hai fondato la terra

e i cieli sono opera delle tue mani.

Essi periranno, ma tu rimani;

invecchieranno tutti come un vestito,

e come un mantello li avvolgerai e saranno cambiati;

ma tu rimani lo stesso,

e i tuoi anni non avranno mai fine».

   E a quale degli angeli disse mai:

«Siedi alla mia destra

finché abbia posto i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi»?

   Essi non sono forse tutti spiriti al servizio di Dio, mandati a servire in favore di quelli che devono ereditare la salvezza?”. – Eb 1:4-14.

   Seguendo lo schema tipico delle omelie tenute nelle sinagoghe, l’oratore illustra il tema appena esposto, nel nostro caso l’esaltazione di Yeshùa. Nel suo commento, seguendo la passi omiletica sinagogale, richiama dei passi tratti dalla Bibbia. La scelta dei testi citati mostra che l’esposizione è stata ben studiata.

   Esaminiamo più da vicino ciò che l’autore sacro presenta. La prima citazione è tratta dal Sl 2:7, pronunciato anticamente dal re d’Israele: “Il Signore mi ha detto: ‘Tu sei mio figlio, oggi io t’ho generato”. Viene così applicato a Yeshùa il valore profetico di quella intronizzazione. La paternità, ovviamente in senso biblico, che Dio si assume del Figlio è confermata dalla seconda citazione, tratta 2Sam 7:14: “Io sarò per lui un padre ed egli mi sarà figlio”, parole pronunciare da Dio nei confronti del re Salomone, figlio del re Davide.

   Il v. 6 è mal tradotto in TNM che ha: “Quando introduce di nuovo il suo Primogenito”; quando mai fu introdotto prima, per dire “di nuovo”? Meglio NR che separa con una virgola: “Di nuovo, quando introduce”. Se poi TNM traduce così per mantenersi sul letterale, sbaglia traduzione, perché è vero che il testo ha ὅταν δὲ πάλιν εἰσαγάγῃ (òtan dè pàlin eisagàghe), “quando poi ancora introduce”, ma questo pàlin va inteso come il precedente al v. 5, tradotto giustamente “anche” da NR ma “di nuovo” da TNM. Tuttavia, si potrebbe pensare che l’autore si riferisca al ritorno di Yeshùa, creduto nel primo secolo imminente; in tal caso, il “di nuovo” farebbe riferimento a ciò e la menzione dell’omaggio che gli angeli devono tributargli sarebbe in armonia con l’idea che il Messia ritorna nella gloria con le sue schiere angeliche. – Cfr. Mr 13:26; Mt 24:30; Lc 21:27; 2Ts 1:7.

   Sempre al v. 6, la traduzione “tutti gli angeli di Dio lo adorino!” va corretta. Molto meglio qui TNM: “Gli rendano omaggio”. Il verbo è προσκυνέω (proskynèo), che indica il prostrarsi piegandosi in avanti, anche toccando il terreno con la fronte. Con questo gesto gli antichi orientali esprimevano profonda riverenza a una persona importante. Nella Bibbia un verbo specifico per “adorare” non c’è. Si usa questo, ed è solo il contesto che stabilisce se si tratta di omaggio o di quella che noi definiamo adorazione. Il secondo Comandamento, che vieta la fabbricazione e il culto degli idoli, sebbene reso popolarmente “non adorare”, in realtà dice: “Non ti prostrare davanti a loro” (Es 20:5). Non è vietato prostrarsi, ma è proibito da Dio farlo di fronte a un idolo. Si prenda 2Re 2:15: “Si prostrarono [προσεκύνησαν (prosekýnesan), LXX] fino a terra davanti a lui”. Questo grande omaggio reso al profeta Eliseo non era certo adorazione, cosa assolutamente vietata dalla Toràh, ma appunto un rendere grande omaggio, cosa del tutto consentita. Che significato dare al verbo in Eb 1:6, in cui Dio dice degli angeli προσκυνησάτωσαν (proskynesàtosan), “si prostrino”? Abbiamo la testimonianza stessa di Yeshùa. Nella sua terza tentazione, il maligno offrì a Yeshùa il dominio mondiale a questa condizione: δώσω ἐὰν πεσὼν προσκυνήσῃς μοι (dòso eàn pesòn proskynèses), “se cadendo ti prostri a me” (Mt 4:9). La risposta secca e decisa di Yeshùa fu: “Vattene, satana; è scritto infatti: Signore il Dio di te riverirai e a lui solo renderai culto” (v. 10). Siccome l’atto di prostrarsi per rendere culto va riservato unicamente a Dio – come confermò anche lo stesso Yeshùa -, in Eb 1:6 “si prostrino” non può che avere il senso datogli da TNM.

   La menzione del “nome che ha ereditato”, che supera di gran lunga quello degli angeli, dà inizio a una serie di citazioni bibliche. Il nome, nella concezione biblica ha un senso molto diverso dal nostro occidentale che è solo anagrafico. Nella Scrittura il nome indica l’essenza stessa della persona. Qui fa riferimento a tutta la nuova dignità di Yeshùa. La sua nuova eccelsa posizione è chiarita dai nomi che seguono, convalidati dalle citazioni bibliche: “Figlio”, “primogenito”, “Signore”. Il confronto con gli angeli dà la statura di Yeshùa, che è di molto superiore. Ma c’è di più: non si tratta solo di superiorità: c’è la sua esaltazione e la sua intronizzazione alla destra di Dio.

   L’intento dell’esposizione fatta dall’agiografo è quello di descrivere il Messia esaltato. Lo stile di Eb predilige iniziare il discorso subito con un confronto. E qui è con gli angeli, che sono intermediari tra Dio e l’uomo. Yeshùa è divenuto di molto superiore agli angeli e ora è alla destra della Somma Maestà.

   “Oggi io t’ho generato”: il testo ha proprio ἐγὼ (egò), “io”. Così la LXX, da cui l’autore cita Sl 2:7; e nel testo ebraico si ha אֲנִי (anìy), “io”. Sia in ebraico sia in greco, in genere il pronome è omesso. Il fatto che qui sia presente indica tutta l’autorità della decisione di Dio che parla in prima persona, rimarcando “io”.

   “Io gli sarò Padre ed egli mi sarà Figlio”. Anche se le Scritture Ebraiche presentano diverse volte gli angeli come “figli di Dio”  (cfr. Gn 6:2,4; Gb 1:6;2:1;38:7; Sl 58:1), è evidente dalla frase “a quale degli angeli ha mai detto” che qui c’è un senso esclusivo in cui Dio si fa Padre di colui che considera Figlio. Quella che viene poi descritta non è la relazione tra Dio e Yeshùa, ma tra questi e gli angeli. Partendo dagli angeli, nel paragone, si arriva alla superiorità di Yeshùa.