6 – “Non uccidere”. – Es 20:13.

 

Prima di tutto, questo Comandamento va enunciato nella sua forma più corretta: “Non assassinare”. L’ebraico ha לֹא תִּֿרְצָח (lo tirtsàkh). Il verbo רָצַח (ratsàkh), qui usato, è diverso dal verbo הָרַג (haràgh). Sebbene ambedue significhino “uccidere”, le sfumature sono ben diverse.

  • Verbo הָרַג (haràgh). Si tratta dell’uccidere da parte di diversi soggetti:
  1. L’uomo. “Quando il faraone udì il fatto, cercò di uccidere Mosè”. – Es 2.15.
  2. Dio. “Sterminerò il giudice e ucciderò tutti i suoi prìncipi, con lui’, dice il Signore”. – Am 2:3.
  3. Un animale. “Mandò contro di loro leoni che uccisero molta gente”. – 2Re 17:25, PdS.
  4. Una forza della natura. “Uccideva la loro vite anche con la grandine e i loro sicomori con i chicchi di grandine”. – Sl 78:47, TNM.
  5. Metaforicamente. “Il cruccio non uccide che l’insensato” (Gb 5:2); “Il pervertimento degli insensati li uccide”. – Pr 1:32.
  • Verbo רָצַח (ratsàkh). Si tratta del commettere un omicidio:
  1. Per caso. “Rifugio all’omicida che avesse ucciso il suo prossimo involontariamente”. – Dt 4:42.
  2. Con premeditazione. “Non assassinare”. Es 20:13, TNM.
  3. Per vendetta. “Se il vendicatore del sangue trova l’omicida fuori dei confini della sua città di rifugio e l’uccide, il vendicatore del sangue non sarà responsabile del sangue versato”. – Nm 35:27.

   Si vede da tutta questa casistica come i due verbi ebraici non possano essere sempre tradotti in italiano allo stesso modo. Dio, ad esempio, uccide i colpevoli ma non li assassina. Anche un fulmine o una bestia feroce uccidono, ma non assassinano. Quello che noi chiamiamo omicidio volontario è un assassinio. Il boia che esegue una pena di morte di certo uccide ma non commette un assassinio. Nel caso del sesto Comandamento, il divieto riguarda l’assassinare. Non si tratta di essere oltremodo pignoli. Se, infatti, ci accontentiamo del “non uccidere”, dovremmo dire che Dio lo infrange, perché, di fatto, uccide i malvagi. Migliore quindi la traduzione “non assassinare”.

   Negli antichi miti pagani l’essere umano viene all’esistenza in un contesto di omicidi, di carneficina. Nell’Enûma Eliš – così s’intitola, dalle sue prime parole che significano “Quando in alto”, il poema mesopotamico – troviamo il mito della creazione e delle imprese del dio Maruk. Dal frammischiarsi e dall’unirsi delle acque dolci (personificate in Apsu) e delle acque salate (personificate in Tiamat) si formano i primi dèi che poi ne generano altri. Costoro disturbavano il sonno di Apsu che decise di ucciderli, nonostante la contrarietà di Tiamat. Apsu viene poi ucciso da uno degli dèi, Ea/Enki. Tiamat, adirata perché le hanno ucciso il marito, fa guerra agli altri dèi alleandosi con il mostro Kingu (messo a capo del suo esercito) e con altre divinità. Solo Marduk, figlio di Ea/Enki, osa affrontarla, pretendendo però in cambio di diventare re di tutti gli dèi. Così la uccide. Poi ne taglia in due il corpo: con una parte dà origine al cielo e con l’altra alla terra. Con il sangue del mostro Kingu forma gli uomini per servire gli dèi. – L. Cagni, La religione della Mesopotamia, in Storia delle religioni. Le religioni antiche, Laterza, Roma-Bari, 1997.

   Il dio Marduk aveva come grido di battaglia: “Si ponga fine alla vita di Tiamat, portino i venti il suo sangue in regioni lontane!”. Difatti, la dea è poi frantumata. Dopo questa teomachia il dio Marduk si appresta a creare gli uomini e annuncia: “Voglio far sorgere delle ossa e voglio far sorgere un uomo che servirà gli dèi mentre loro si riposeranno, ma deve essere distrutto uno degli dèi per far sorgere l’uomo”. In un’adunanza degli dèi viene scelto Kingu come vittima, il mostro che aveva capeggiato la ribellione di Tiamat. Così Kingu viene legato e il suo sangue fatto scorrere: è dal suo sangue che si creano gli uomini al servizio degli dèi.

   In questo mito, il genere umano è creato nel rosso del sangue. Anche nella Bibbia la creazione dell’essere umano è collegata al rosso. “Dio il Signore formò l’uomo dalla polvere della terra” (Gn 2:7). Il testo biblico dice che Dio formò הָאָדָם (haadàm), “l’uomo”, con polvere (עָפָר, afàr) presa מִנ־הָאֲדָמָה (min-haadamàh), “dalla terra”. La parola ebraica אֲדָמָה (adamàh), tradotta “terra”, è una terra di colore rossiccio. La parola אָדֹם (adòm), a essa assonante, significa “rosso”: “Esaù disse dunque a Giacobbe: ‘Presto, ti prego, dammi un boccone del rosso [מִנ־הָאָדֹם (min-haadòm), “(preso) dal rosso”], del rosso [הָאָדֹם (haadòm)] lì’” (Gn 25:30, TNM). La parola אָדֹם (adòm), “rosso”, può significare il colore del sangue, come in 2Re 3:22: “Videro l’acqua rossa come sangue” (TNM). La stessa parola אֲדָמָה (adamàh), oltre che “terra” può significare “sangue”: “Egli vendicherà il sangue dei suoi [אַדְמָתֹו (adamàtu)] servitori” (Dt 32:43, TNM). Tuttavia, la creazione biblica dell’essere umano non ha nulla a che fare con il mito dello spargimento di sangue. Dopo aver detto che “Dio il Signore formò l’uomo dalla polvere della terra”, Gn 2:7 aggiunge che Dio “gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un’anima vivente”.

   L’elemento pneumatico è quello che trasformò il corpo fisico umano in “anima vivente”. L’essere umano creato viene chiamato אָדָם (adàm), parola derivata da אֲדָמָה (adamàh) che, come abbiamo visto, indica la “terra rossiccia”. “Adamo” è quindi il “terroso”, il “terroso rossiccio”. Ma diventa vivo solo quando Dio gli infonde ilנִשְׁמַת חַיִּים  (nishmàt khayìm), “l’alito di vita”. Manca qui completamente qualsiasi allusione o traccia del mito babilonese che vede la creazione umana iniziata con una carneficina e con l’omicidio (meglio dire con la teomachia, trattandosi di un dio) del mostro Kingu.

   L’Adamo biblico è rosso non perché sorto dal sangue di un dio pagano ucciso, ma per effetto della terra rossiccia da cui Dio lo forma. Il rapporto tra essere umano e divinità cambia completamente. L’essere umano biblico non è legato a Dio da un rapporto di sangue: il suo corpo terrestre è vivificato dall’alito di vita che il suo creatore gli infonde. Gn 1:27 dichiara che “Dio creò l’uomo a sua immagine”. C’è qui un abisso rispetto al mito babilonese. L’essere umano non solo vive per il nishmàt khayìm che Dio gli ispira, ma il suo rapporto con Dio ascende a un grado più alto ancora: è fatto da Dio stesso “a sua immagine”. L’essere umano è l’immagine di Dio in terra. “Tu l’hai fatto solo di poco inferiore a Dio”. – Sl 8:5.

   La Bibbia quindi conferisce all’essere umano un grande valore vedendo in lui celata l’immagine di Dio in terra. Mai la Scrittura si avvicina all’idea di assunzione di un sangue divino in un corpo umano. Nella Bibbia la comunione tra l’essere umano è Dio non si compie con l’infusione di sangue divino, come nel mito babilonese, ma con l’effusione dello spirito.

   Nondimeno, la Scrittura attribuisce al sangue (particolarmente umano) un valore tutto speciale. Ciò appare già dal primo assassinio della storia umana. “Caino si avventò contro Abele, suo fratello, e l’uccise” (Gn 4:8). È questo il primo spargimento di sangue umano. Si noti ora il valore del sangue: “Il Signore disse: ‘Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra’” (v. 10). Il sangue dell’ucciso ha una voce che grida e questo grido sale fino al cielo. La terra che accoglie il sangue dell’ucciso causa maledizione e diviene maledetta: “Ora tu sarai maledetto, scacciato lontano dalla terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando coltiverai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti” (vv. 11,12). L’uomo, che è polvere e terra, morendo torna alla terra: “Sei polvere e in polvere ritornerai” (Gn 3:19), ma il sangue di uomo ucciso è un’onta per la terra e grida al cielo lamentandosi. Solo la poesia ebraica ha così espresso la grandezza tragica di un’uccisione.

   Chi uccide un essere umano ferisce l’immagine di Dio in terra. “Il sangue di chiunque spargerà il sangue dell’uomo sarà sparso dall’uomo, perché Dio ha fatto l’uomo a sua immagine” (Gn 9:6). Annientando però l’uccisore, l’immagine divina non è ristabilita: dopo aver assassinato Abele, Dio conferisce a Caino un segno che non permetterà di ucciderlo, così viene arginata la sete della vendetta e un secondo omicidio: “’Io sarò nascosto lontano dalla tua presenza, sarò vagabondo e fuggiasco per la terra, così chiunque mi troverà, mi ucciderà’. Ma il Signore gli disse: ‘Ebbene, chiunque ucciderà Caino, sarà punito sette volte più di lui’. Il Signore mise un segno su Caino, perché nessuno, trovandolo, lo uccidesse” (Gn 4:14,15). È per questo che furono istituite le Città di Rifugio.

   La santità del sangue umano è implicita nella legislazione biblica che riguarda le Città di Rifugio. Lo spargimento si sangue umano costituiva una contaminazione della terra: “Non contaminerete il paese dove sarete, perché il sangue contamina il paese; non si potrà fare per il paese alcuna espiazione del sangue che vi sarà stato sparso, se non mediante il sangue di colui che l’avrà sparso” (Nm 35:33). In caso di assassinio, in conformità a questa norma biblica, il sangue della persona assassinata era vendicato. “Colui che ha colpito dovrà essere punito con la morte: è un omicida; il vendicatore del sangue ucciderà l’omicida quando lo incontrerà” (Nm 35:21). Poteva però accadere che non si trattasse di assassinio ma di quello che noi definiamo omicidio preterintenzionale. Uno di questi casi è menzionato in Dt 19:5: “Se uno, ad esempio, va al bosco con il suo compagno a tagliare legna e, mentre la mano alza la scure per abbattere l’albero, il ferro gli sfugge dal manico e colpisce il compagno e lo fa morire”.  Per tali casi, per evitare la vendetta dei parenti, Dio stabilì che ci fossero in Israele sei Città di Rifugio, tutte levitiche e quindi collegate al sacerdozio, con carattere sacro. Chi aveva involontariamente sparso sangue vi poteva trovare asilo e protezione dai vendicatori del sangue. – Nm 35:6-32; Gs 20:2-9.

   Il rifugiarsi in queste città per non rimanere in balia dei parenti della vittima non era però un condono della colpa né tantomeno un perdono. L’omicida non intenzionale vi trovava asilo in attesa che la giustizia facesse il suo corso. Giunto in una di queste città, l’omicida fuggiasco esponeva il suo caso agli anziani della città. Per impedire che gli assassini ovvero gli omicidi volontari la facessero franca avvalendosi fraudolentemente di questo provvedimento, il fuggiasco subiva un processo nella città che aveva la giurisdizione del luogo in cui era accaduto l’omicidio e doveva dimostrare la sua non intenzione di uccidere. Solo dopo un esito a lui favorevole del processo, veniva rimandato nella Città di Rifugio. L’incolumità gli era garantita solo se rimaneva lì per il resto della sua vita o fino alla morte del sommo sacerdote (Nm 35:22-29,32; Gs 20:4-6). Il sangue della vittima intanto rimaneva nella terra innalzando, per usare l’efficace espressione biblica, il suo grido al cielo.

   Neppure l’altare sacro di Dio poteva dare protezione all’assassino: “Se non gli ha teso agguato, ma lo uccide involontariamente, io stabilirò un luogo dove egli si possa rifugiare. Se qualcuno insidia e uccide il suo prossimo con premeditazione, tu lo strapperai anche dal mio altare, per farlo morire” (Es 21:13,14). Questa disposizione divina che assicura la giustizia è totalmente differente da quella dell’apostata cristianità che nel corso dei secoli assicurava l’impunità a certi assassini che si rifugiavano in certi loro luoghi sacri. Le condizioni rigide per l’accesso alle Città di Rifugio sottolinea il rispetto per la santità del sangue, cioè della vita.

   La santità del sangue e della vita emerge anche dalla disposizione relativa al ritrovamento di un cadavere. “Quando nella terra di cui il Signore, il tuo Dio, ti dà il possesso, si troverà un uomo ucciso, disteso in un campo, senza che si sappia chi lo ha ucciso . . . tutti gli anziani di quella città che sono i più vicini all’ucciso . . . prendendo la parola, diranno: ‘Le nostre mani non hanno sparso questo sangue e i nostri occhi non lo hanno visto spargere. Signore, perdona al tuo popolo, Israele, che tu hai riscattato, e non rendere responsabile il tuo popolo, Israele, dello spargimento del sangue innocente’. Così quel sangue sparso sarà loro perdonato. In questo modo toglierai via di mezzo a te la colpa del sangue innocente, perché avrai fatto ciò che è giusto agli occhi del Signore”. – Dt 21:1,6-9.

   Secondo il concetto biblico, il sangue è “anima”, ovvero vita: “La vita [נֶפֶשׁ (nèfesh), “anima”] della carne è nel sangue” (Lv 17:11). Al sangue animale è conferito dalla Bibbia un valore catartico o purificatorio. Quando morirono i primogeniti egiziani, con il sangue dell’agnello pasquale furono segnati i due stipiti e l’architrave delle porte delle case ebraiche (Es 12:7). “Il sangue vi servirà di segno sulle case dove sarete; quand’io vedrò il sangue, passerò oltre, e non vi sarà piaga su di voi per distruggervi, quando colpirò il paese d’Egitto” (v. 13). Il sangue animale sparso sull’altare aveva la funzione di purificare dai peccati: “Farà sette aspersioni del sangue, con il dito, sull’altare; così lo purificherà e lo santificherà a causa delle impurità dei figli d’Israele” (Lv 16:19). “Senza spargimento di sangue, non c’è perdono” (Eb 9:22). Ecco perché Yeshùa “è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue. Così ci ha acquistato una redenzione eterna. Infatti, se il sangue di capri, di tori e la cenere di una giovenca sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano, in modo da procurare la purezza della carne, quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno offrì se stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente!”. – Eb 9:12-14.

   Data questa peculiarità del sangue, si comprende come Dio ne vieti l’assunzione: “Non mangerete carne con la sua vita, cioè con il suo sangue” (Gn 9:4). Questo divieto fu dato a Noè, molto prima che il popolo d’Israele venisse all’esistenza. Si tratta, quindi a maggior ragione, di una legge divina per l’umanità intera. Giustamente, uno studioso biblico scrive: “Bisogna osservare che questa proibizione di mangiar sangue, data a Noè e a tutti i suoi posteri, e ripetuta agli israeliti nella maniera più solenne, sotto la legge di Mosè, non è mai stata revocata, ma, al contrario, è stata confermata sotto il Nuovo Testamento, Atti xv.; e resa in tal modo un obbligo perpetuo” (J. Benson, Notes, 1839, vol. I, pag. 43). La Toràh prescrive: “Non mangerete il sangue di nessuna creatura, poiché la vita di ogni creatura è il suo sangue” (Lv 17:14). La validità di questa norma della Toràh fu confermata dal concilio degli apostoli e degli anziani gerosolimitani nel 1° secolo: “Quanto ai pagani che hanno creduto, noi abbiamo scritto decretando che si astengano . . . dal sangue, dagli animali soffocati [che quindi contengono ancora sangue]” (At 21:25). Non intendiamo qui commentarla neppure, la sciocchezza detta sotto le mentite spoglie di un’argomentazione secondo cui “Gesù fu il più grande donatore di sangue”. Le idiozie ammantate di erudizione facilona le lasciamo ai “cristiani” che leggono la Scrittura e non imparano. Qui c’è solo da ubbidire e da star lontani dal sangue in tutti i modi. L’unico uso consentito del sangue era quello concernente i sacrifici, in altre parole l’uso apotropaico stabilito dalla Legge di Dio.

   Dato tutto questo valore del sangue, si comprende ancora di più il Comandamento di non uccidere. “Tutte le vite sono mie” (Ez 18:4), dice Dio. “In te è la fonte della vita”. – Sl 26:9.