Giovanni Semerano (1911-2005) fu un filologo italiano, studioso delle antiche lingue europee e mesopotamiche. Egli esaminò più di 7000 termini del greco, del latino, del tedesco e dell’inglese, rintracciandone la corrispondenza nel lessico delle antiche lingue semitiche (accadico e sumero). Con i suoi accurati studi dimostrò anche che il presunto indoeuropeo non è mai esistito, parlando così di favola dell’indoeuropeo (titolo anche di un suo scritto). Sulla base delle affinità riscontrate, Semerano mostra che le antiche lingue mesopotamiche sono la testimonianza di una fase preistorica della lingua umana. Giovanni Semerano ha rintracciato la madre di tutte le lingue in Mesopotamia. La lingua sumera era parlata nella Mesopotamia meridionale almeno dal 4° millennio a. E. V. e fu poi rimpiazzata dall’accadico come lingua parlata dal 2000 a. E. V. circa.

   Contro le fantasiose e non scientifiche idee degli evoluzionisti, la storia umana inizia invece all’improvviso. Ciò è del tutto conforme al racconto biblico. Anche le scoperte di G. Semerano che la madre di tutte le lingue fu in Mesopotamia è conforme al racconto biblico. L’Eden, in cui Dio piantò un giardino per porvi i nostri primogenitori, si trovava proprio in Mesopotamia, di cui viene menzionato anche il fiume Eufrate. – Gn 2:8-14.

   Solo alcuni sempliciotti delle religioni pensano che Adamo e Eva parlassero ebraico, e ciò lo deducono ingenuamente dal fatto che la parte più antica della Bibbia fu scritta in ebraico. La lingua si evolve in continuazione. È pure un’ingenuità credere che lingue diverse siano sorte d’un tratto alla Torre di Babele, come se Dio avesse dato origine a nuovi vocabolari e nuove grammatiche. Tale idea popolare e tradizionale è dovuta alla non comprensione del testo biblico. La cessazione dell’opera costruttiva della Torre di Babele fu certamente dovuta a invasioni nemiche. Con l’indebolimento del potere centrale, i sudditi, prima sottomessi, si ribellarono e non furono più di una “sola lingua” come prima. Secondo il linguaggio biblico che elimina ogni causa seconda, tutto ciò è attribuito a diretto intervento divino che deve “scendere” per visitare l’“alta” torre che si eleva verso il “cielo”. La visione di questa ziggurat incompleta, che poi altri sovrani dovettero cercare di completare, fu vista da Israele come il tentativo babilonese di procurarsi fama, di stabilire un grosso impero indipendentemente da Dio, che però scendendo (egli è molto più eccelso di tutte le costruzioni umane) per attuare il suo giudizio di condanna, produsse discordie, fazioni e opposizioni con la conseguente cessazione di ogni attività costruttiva. Così la torre che doveva essere segno di potenza e di unione, divenne simbolo di discordia e di disunione. Che non si tratti di confusione linguistica risulta chiaro dal capitolo 10 in cui già si presentano i vari popoli con le loro differenti lingue, come se si fossero evolute in modo normale: “Questi furono i figli di Sem secondo le loro famiglie, secondo le loro lingue, nei loro paesi, secondo le loro nazioni”. – Gn 10:31, TNM.

   Poi in Gn 11:1 si legge nella traduzione italiana: “Ora tutta la terra continuava ad avere una sola lingua e un solo insieme di parole”. Ma l’ebraico non ha per nulla “una sola lingua”. Il testo biblico ha “un solo labbro” (M, LXX, Vg). In 10:31, “secondo le loro lingue” è infatti לִלְשֹׁנֹתָם (lilshonotàm); mentre in 11:1 si haשָׂפָה אֶחָת  (sapà ekhàt), “un labbro solo”. Questa espressione (“un labbro”) è tipica per indicare “un solo sentimento”. Inoltre, quello che TNM rende “un solo insieme di parole” e che, nella nota in calce, spiega come “un solo vocabolario”, è invece nel testo ebraico דְבָרִים אֲחָדִים (dvarìm akhadìm) ovvero “parole uniche”, che esprime l’idea di un intento condiviso cui attenersi (un po’ come il nostro “avere una sola parola”).

   Fu dalla Mesopotamia che Abraamo, per comando di Dio, uscì per recarsi nella Terra Promessa (Gn 11:27;12:1). E fu da Abraamo che sorse il popolo di Israele (Gn 12:2). Che lingua parlava Abraamo? Ovviamente quella parlata a Ur dei Caldei (le cui rovine si trovano oggi vicino a Nassiria, a sud di Baghdad, in Iraq), di cui era originario (Gn 11:27). Ur si trovava nella Mesopotamia meridionale, proprio dove Semerano ha rintracciato la madre di tutte le lingue. Al tempo di Abraamo, in Mesopotamia si parlava ormai l’accadico (influenzato dal sumero), una lingua semitica. Assiri e babilonesi parlavano accadico. La scrittura era cuneiforme (inventata dai sumeri).

   A Ur dei Caldei, comunque, si parlava l’aramaico (caldaico). I caldei erano stanziati nella Mesopotamia meridionale insieme agli aramei, un popolo semitico nomade. Abraamo era un arameo (si veda al riguardo lo studio L’arameo errante, nella categoria La storia d’Israele della sezione Israele). La lingua di Abraamo era quindi l’aramaico.

   Diversi nomadi si spostarono dalla zona di Ur verso nord-ovest. Sappiamo che Abraamo con il suo clan si trasferì dapprima a Haran, nella Mesopotamia settentrionale, dove suo padre Tera morì (Gn 11:31,32;12:4,5; At 7:2-4).  La loro lingua (l’aramaico) penetrò così nelle regioni siriane con centro a Damasco. L’aramaico divenne poi la lingua dei viaggiatori e dei commercianti, come i fenici sul mare, e fu vastamente usato dal 2° millennio a. E. V. fin verso il 500 della nostra èra. Essendo l’aramaico affine al cananeo, al fenicio e all’ebraico, dapprima si affiancò a queste lingue, poi ne invase il campo fino a sostituirle del tutto.

   Una testimonianza dell’affiancamento dell’aramaico all’ebraico la troviamo in Gn 31:47: “Labano chiamò quel mucchio Iegar-Saaduta e Giacobbe lo chiamò Galed”. Si è nel 18° secolo a. E. V.. Giacobbe era il nipote di Abraamo e risiedeva in Palestina; Labano, “figlio di Betuel, l’Arameo” (Gn 28:5), era zio di Giacobbe e risiedeva ad Haran in Mesopotamia (Gn 25:20). Era qui da Labano che Giacobbe si era poi recato e abitava (Gn 27:41–28:5). Quel mucchio di pietre ricevette dai due lo stesso nome (“mucchio testimone”, Gn 31:52) ma in lingue diverse: “Iegar-Saaduta” in aramaico; “Galed” in ebraico.

   L’aramaico è menzionato nella Scrittura alcune volte. Ad esempio, in Dn 2:4 è detto che “i Caldei risposero al re in aramaico [אֲרָמִית (aramìyt)]”. L’aramaico si divide in due gruppi:

  • Aramaico occidentale, cui appartiene l’aramaico biblico, che Girolamo (il traduttore latino della Bibbia nel 4°/5° secolo della nostra èra) chiamava “caldaico”. È la lingua usata nei papiri di Elefantina, una colonia giudaica (5° secolo), nei Targumìm (parafrasi bibliche), nel Talmùd gerosolimitano (commentario rabbinico) e nella versione samaritana del Pentateuco.
  • Aramaico orientale. È la lingua del Talmud Da esso deriva il siriaco.

   Aramaico ed ebraico sono lingue semitiche. L’aramaico differisce molto dall’ebraico ma è una lingua affine che ha le stesse lettere dell’alfabeto ebraico; anch’essa si scrive da destra a sinistra ed è consonantica (furono i masoreti ad aggiungere i punti vocalici all’aramaico biblico, come fecero per l’ebraico). Come l’ebraico, anche l’aramaico ha maschile e femminile, singolare, duale e plurale.

   La grande espansione dell’aramaico ne fece una lingua internazionale, soprattutto quando l’aramaico sostituì l’accadico nel vasto impero assiro (6° secolo a. E. V.).

   Già nell’8° secolo a. E. V. abbiamo una testimonianza biblica dell’internazionalità dell’aramaico. Il re d’Assiria, Sennacherib, aveva mandato un contingente militare a Gerusalemme per costringere il re giudeo Ezechia alla resa. Il suo portavoce parlava ovviamente l’aramaico, sua lingua materna, ma anche l’ebraico. E fu in ebraico che costui si rivolse al portavoce di Ezechia. Ora si noti l’atteggiamento di quest’ultimo: “Ti prego, parla ai tuoi servi in aramaico, perché noi lo capiamo; non parlarci in lingua giudaica poiché il popolo che sta sulle mura ascolta”. – 2Re 18:26.

   I molti reperti archeologici (tavolette in caratteri cuneiformi, papiri, sigilli, monete, pietre iscritte) con iscrizioni in aramaico, provenienti dalla Mesopotamia, dalla Persia, dall’Egitto, dall’Anatolia e dall’Arabia, mostrano quanto questa lingua fosse internazionale. L’aramaico continuò ad essere usato anche durante il periodo ellenistico, dal 323 a. E. V. fino all’inizio della nostra èra.

   La grande espansione dell’aramaico, soprattutto al tempo della dominazione persiana (6° secolo a. E. V.) spiega la sua accoglienza nei testi sacri della Bibbia. Sezioni in lingua aramaica si trovano in Esdra 4:8–6:18;7:12-26; Geremia 10:11 e Daniele 2:4b–7:28.

   Una questione tuttora dibattuta è se Yeshùa parlasse ebraico o aramaico. Riportiamo l’opinione di uno studioso:

“Per le vie delle città principali [della Palestina] senza dubbio si sentivano parlare diverse lingue. Il greco e l’aramaico erano evidentemente le lingue comuni, e la maggioranza delle popolazioni urbane probabilmente le capivano entrambe, anche in città ‘moderne’ e ‘occidentali’ come Cesarea e Samaria dove il greco era più comune. Ufficiali e soldati romani potevano conversare in latino, mentre gli ebrei ortodossi potevano benissimo parlare fra loro un ebraico tardo, lingua che sappiamo non era né l’ebraico classico né l’aramaico, nonostante le analogie con entrambi . . . Non c’è modo di sapere con sicurezza se egli [Yeshùa] sapeva parlare greco o latino, ma nel suo ministero di insegnante usava abitualmente l’aramaico o l’ebraico popolare che aveva subìto notevoli influssi aramaici. Quando Paolo si rivolse alla folla nel Tempio, viene detto che parlò in ebraico (Atti 21:40). Gli studiosi in genere ritengono che si trattasse di aramaico, ma è senz’altro possibile che la lingua comune fra gli ebrei fosse allora un ebraico popolare”. – George E. Wright (studioso e archeologo biblico, esperto del Vicino Oriente antico), Biblical Archaeology, 1963, pag. 243.

   Che diverse lingue fossero normalmente parlate nel primo secolo, lo deduciamo anche da At 6:1: “Sorse un mormorio da parte degli ellenisti [graecorum, “greci”, Vulgata] contro gli Ebrei”. Gli “ellenisti” erano i giudei che parlavano greco, gli “ebrei” erano i giudei di lingua ebraica.

   Nelle Scritture Greche si trovano alcuni aramaicismi. Lo stesso Yeshùa usò alcune parole aramaiche, dal che potremmo dedurre che normalmente parlasse ebraico, pur usando a volte espressioni aramaiche. Paolo parlava ebraico (At 22:2), tant’è vero che il resuscitato Yeshùa, quando lo chiama, gli parla in ebraico. – At 26:14.