Lo abbiamo letto nelle parole stesse stampate nero su bianco dalla Watchtower: “Non la consideriamo una ‘teoria’, bensì un’esposizione dei fatti storici su come furono trasmessi i manoscritti della Bibbia”. Il riferimento è all’ipotesi avanzata dal prof. George Howard, dell’Università della Georgia, secondo cui il nome divino, יהוה (e possibili sue abbreviazioni), fu scritto in origine nelle Scritture Greche. Lo studioso stesso definisce la sua ipotesi una teoria, quindi qualcosa che non si è ancora riusciti a dimostrare.

   Ora, mentre l’autore dell’ipotesi – che abbiamo discusso nello studio precedente – precisa lui stesso che si tratta di “teoria”, il direttivo d’oltreoceano della Watchtower se ne appropria citandola come una prova di fatti storici.

   Cosa curiosa, lo stesso direttivo ammette che “oggi, a parte alcuni frammenti della primitiva Settanta greca in cui il nome sacro è conservato in ebraico, solo il testo ebraico ha ritenuto questo importantissimo nome nella sua forma originale di quattro lettere, יהוה (YHWH), la cui esatta pronuncia non è stata preservata” (TNM, pag. 1563). Come mai, allora, se l’uso del “nome” divino dev’essere – a detta del direttivo dei Testimoni di Geova – un requisito essenziale per identificare l’unica vera religione, nei manoscritti delle Scritture Greche questo “nome” divino non compare mai?

   Così rispondono gli editori di Brooklyn: “Perché quando furono fatte quelle copie (dal III secolo E.V. in poi) il testo originale degli scritti degli apostoli e dei discepoli era già stato alterato. Quindi copisti successivi devono aver sostituito il nome divino nella forma del Tetragramma con Kỳrios e Theòs” (Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. I, pag. 1028). Questa risposta è decisamente problematica perché induce alla conclusione che tutti i manoscritti di quello che è erroneamente chiamato Nuovo Testamento, tutti studiati dagli specialisti, sarebbero stati proditoriamente manipolati da scribi infedeli allo scopo di cancellare ogni menzione del “nome” divino. Ma i problemi aumentano se si tiene conto di quanto La Torre di Guardia del 1° ottobre 1997 insinua: “La natura e la vastità dei cambiamenti dimostrano chiaramente che c’era lo zampino di qualcuno [leggi: satana]” (pag. 14, § 12). Se questa tesi fosse attendibile, gli stessi Testimoni di Geova dovrebbero conseguentemente domandarsi: quale affidabilità può offrire un testo che ha subìto alterazioni così radicali? In quali altri brani biblici lo ‘zampino di satana’ ha compiuto manomissioni così diaboliche? In sostanza: quanto è attendibile il messaggio di Dio che viene fuori dalle Scritture Greche così ‘vastamente’ manomesse? Che dire poi della figura di Yeshùa? Se lo zampino diabolico di satana è andato ad incidere su un nome, che avrà mai combinato con il resto? Non osiamo pensare al resto di tutta la Bibbia.

   Personalmente, però, crediamo che Dio sappia preservare la sua parola scritta. Comunque, la tesi del direttivo dei Testimoni di Geova ci obbliga a fare una riflessione. E questa porta come conseguenza logica a sole due possibilità:

  1. Il testo delle Scritture Greche è stato manipolato da scribi diabolicamente suggestionati che hanno eliminato ogni riferimento al “nome” divino. Dal che si deve necessariamente dedurre che Dio non avrebbe esercitato alcuna forma di protezione per salvaguardare l’integrità del suo “nome”.
  2. Le Scritture Greche non hanno subìto alcuna alterazione sostanzialmente rilevante. Il che dimostra la vigile cura di Dio nella preservazione della Bibbia.

   Siamo decisamente e convintamene per la seconda possibilità. Quanto alla prima ipotesi, siamo perplessi per il fatto che la stessa Watchtower che l’ha avanzata dica poi che “la preservazione e la traduzione delle Scritture ispirate sono avvenute per divina provvidenza” (Ibidem, pag. 11, § 4). Ci sembra una posizione molto incoerente e la perplessità aumenta di fronte a questa affermazione (che, tra parentesi, condividiamo in pieno): “Qualunque versione delle Scritture Cristiane possediate, non avete motivo di dubitare che il testo greco su cui si basa rappresenti con notevole fedeltà ciò che scrissero in origine gli autori ispirati di questi libri biblici. Sebbene siano passati quasi 2.000 anni dal tempo in cui fu composto in origine, il testo greco delle Scritture Cristiane è una meraviglia di trasmissione accurata” (La Torre di Guardia del 1° ottobre 1977, pag. 603). Ma allora come spiegare che la “divina provvidenza”, che ha fatto sì che ci fosse la meravigliosa “trasmissione accurata”, avrebbe permesso l’omissione del tetragramma in tutti e 5000 gli antichi manoscritti? “Logicamente [Dio] avrebbe fatto in modo che la sua Parola fosse tramandata fedelmente fino ai nostri giorni”. – Svegliatevi! del 22 luglio 1985, pag. 21.

   Crediamo che si debba ripensare la legittimità dell’eccezionale importanza attribuita al tetragramma da parte dei Testimoni di Geova. È un fatto che Dio è l’autore delle Scritture Greche, che fanno parte della sua parola scritta, la Bibbia. È un fatto che esse sono state preservate per suo volere. È un fatto che esse ci sono giunte in modo accurato sotto la sua divina guida. Ed è un fatto che in esse il tetragramma non compare mai.

   Ne consegue che la conoscenza di un particolare “nome” divino non costituisce un requisito essenziale per individuare la pura forma di adorazione approvata da Dio. Se poi si aggiunge che il “nome” tanto innalzato non è affatto il sacro tetragramma ma la forma spuria JeHoVaH creata ad arte dai masoreti proprio per celare il tetragramma … davvero il tutto diventa molto triste.

   La conoscenza del “nome” non va intesa all’occidentale, come fa l’americana Watchtower. Di coloro che già conoscevano (nel senso occidentale) il “nome” e lo usavano pure, Dio dice: “Rispetto al mio nome יהוה non mi feci conoscere da loro” (Es 6:3). Conoscere il “nome” di Dio significa ben altro che accanirsi sulla forma volutamente alterata dai masoreti.

   L’ipotesi avanzata dallo studioso George Howard, da lui stesso definita una “teoria” e trasformata in fatto storico solo dalla Watchtower, rimane solo un’ipotesi per due ragioni:

  1.  Nessuno dei supposti manoscritti greci che avrebbero dovuto contenere il tetragramma è stato mai ritrovato; proprio come il famoso “anello mancante” degli evoluzionisti.
  2.  Nessuno degli oltre 5.000 manoscritti nel greco originale contiene il tetragramma.

    Possiamo anzi dire di più. Anche se si trovassero nuovi manoscritti delle Scritture Ebraiche contenenti il tetragramma e quindi l’ipotesi di Howard si dimostrasse vera, anche in tal caso saremmo di fronte al tetragramma e non alla sua forma falsata JeHoVaH.

   Nonostante questo, TNM inserisce forzatamente – definendolo “ripristino” – il nome “Geova” in 237 luoghi delle Scritture Greche. Si noti bene: non il tetragramma, ma la forma spuria creata a bella posta dai masoreti per tener nascosto proprio il tetragramma. Comunque, l’elevato numero di inserimenti ci fa pensare che sia stato inserito ogni volta che era possibile. Dal che ne consegue che dove non lo hanno inserito non era proprio possibile inserirlo. Tenuto conto dell’accanimento nell’inserirlo, quelle sezioni in cui non lo hanno inserito attirano la nostra attenzione. Il fatto è che non si tratta semplicemente di passi qua e là in cui l’editore americano non è riuscito a inserirlo. La traduzione italiana della forma camuffata del tetragramma non è stata inserita in:

– Filippesi

– 1 Timoteo

– Tito

– Filemone

1 Giovanni

– 2 Giovanni

– 3 Giovanni

   Si tratta di ben sette interi libri delle Scritture Greche. Ammesso e non concesso che il tetragramma (quello vero) fosse presente nelle Scritture Greche, come mai Paolo non lo avrebbe mai usato in ben quattro sue lettere e Giovanni in nessuna delle sue tre lettere?

   Per ciò che riguarda la teoria del professor G. Howard, c’è da menzionare il comportamento scorretto degli editori di TNM nel citarlo. Gli editori, infatti, omettono sistematicamente di far rilevare ai propri lettori che l’articolo di Howard è pieno di inviti alla cautela, col ricorso ad espressioni del tipo: “questa è solo una teoria”, “probabilmente”, “è possibile che”, “se la nostra teoria è corretta”, “la teoria che proponiamo”, “se ipotizziamo”, e così via. Vengono ritagliate dal contesto solo le parole che servono. Contrariamente a quanto detto prudentemente da Howard, l’editore americano ritiene le sue riflessioni “un’esposizione dei fatti storici su come furono trasmessi i manoscritti della Bibbia” (TNM, pag. 1566). Infine viene taciuto che la tesi del prof. Howard propone l’uso del tetragramma solo nelle citazioni dalle Scritture Ebraiche. La Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture invece introduce non il tetragramma ma la forma alterata dai masoreti anche in passi in cui non compare alcuna citazione dalle Scritture Ebraiche. Così facendo, va ben oltre l’ipotesi proposta da Howard.

   La pretesa della Watchtower secondo cui gli apostoli e gli altri autori sacri del 1° secolo avrebbero incluso il tetragramma nei propri scritti è semplicemente la forzatura di una teoria, contro il pensiero stesso del suo autore. È un’ipotesi speculativa che cozza contro il peso dell’evidenza storica e documentale. Una delle due più antiche copie degli scritti apostolici finora ritrovate è un codice papiraceo noto come Papiro Chester Beatty n. 2, classificato come P46. Esso contiene frammenti di otto lettere dell’apostolo Paolo (Rm, 1 e 2Cor, Ef, Gal, Flp, Col e 1Ts) ed Eb. In passato la datazione di questo codice è stata a lungo fatta risalire intorno al 200 E. V.. Tuttavia, ora sussistono valide ragioni per retrodatarlo. Nel 1988 il prof. Y. K. Kim ha accuratamente documentato che il codice dovrebbe essere retrodatato alla seconda metà del 1° secolo, forse addirittura al regno dell’imperatore Domiziano, cioè a prima dell’81 E. V.. In ogni caso, le prove addotte portano la collezione papiracea a soli pochi decenni di distanza dalla redazione degli scritti originali (Y. K. Kim, Paleographic Dating of P46 to the Later First Century, in Biblica, vol. 69, fascicolo 2, 1988, pagg. 248-257). Ora, nei libri biblici presenti nel P46, si dovrebbe trovare – stando alla forzatura della Watchtower fatta sull’ipotesi di Howard – il tetragramma in vari punti. E precisamente nei seguenti punti (che sono poi quelli in cui il nome “Geova” è stato inserito in TNM in sostituzione della presunta presenza del tetragramma):

 

Rm

1Cor

2Cor

Gal

4:3, 4:8, 9:28, 9:29, 10:13, 10:16, 11:3, 11:34, 12:11, 12:19, 14:4, 14:6, 14:6, 14:6,     14:8, 14:8, 14:8, 14:11, 15:11

1:31, 2:16, 3:20, 4:4, 4:19, 7:17, 10:9+, 10:21, 10:21, 10:22, 10:26, 11:32, 14:21, 16:7, 16:10

3:16, 3:17, 3:17, 3:18, 3:18, 6:17, 6:18, 8:21, 10:17, 10:18

3:6

Ef

Col

1Ts

Eb

2:21, 5:17, 5:19, 6:4, 6:7, 6:8

1:10, 3:13, 3:16, 3:22, 3:23, 3:24

1:8, 4:6, 4:15, 5:2

2:13, 7:21, 8:2, 8:8, 8:9, 8:10, 8:11, 10:16, 10:30, 12:5, 12:6, 13:6

   Qual è la realtà dei fatti? In quest’antichissimo codice non si trova un solo caso in cui compaia il tetragramma o una sua forma abbreviata. In questi libri biblici vengono fatte numerose citazioni dalle Scritture Ebraiche, rifacendosi al testo della LXX, tuttavia in nessuna di queste citazioni si riporta il tetragramma. Le citazioni seguono la prassi di sostituire il tetragramma con le parole greche kǘrios (“Signore”) o theòs (“Dio”). Come avrebbe reagito il prof. Howard a questa scoperta? Non dobbiamo far ricorso all’immaginazione. Lo sappiamo. Quando il ricercatore svedese Rud Persson inviò al prof. Howard una copia del materiale pubblicato dal prof. Kim a proposito della retrodatazione del codice papiraceo P46, il prof. Howard rispose: “Ciò indebolisce la mia teoria”. Questa si chiama correttezza, obiettività e onestà intellettuale.

   Contro l’assurda pretesa di “ripristinare” un tetragramma (per di più nella forma alterata dai masoreti!) che tutte le documentazioni storiche dimostrano non esserci mai stato nelle Scritture Greche, facciamo anche un’altra considerazione. L’attento lettore della Scrittura può accorgersi di ciò che gli studiosi già sanno: leggendo le Scritture Greche, troviamo a volte delle citazioni dalle Scritture Ebraiche, che presentano differenze rispetto alla fonte citata. Come si spiegano queste differenze? Lo stesso direttivo dei Testimoni di Geova ammette: “Ogni tanto le citazioni differiscono sia dal testo ebraico che dal testo greco che ora abbiamo. Alcune variazioni possono essere dovute al fatto che lo scrittore citava a memoria. O i cambiamenti possono essere stati intenzionali . . . Gli scrittori sostituirono ogni tanto parole o frasi sinonime . . . Talvolta i versetti delle Scritture Ebraiche furono parafrasati nelle Scritture Greche Cristiane” (Svegliatevi! del 22 luglio1969, pagg. 28-29). La spiegazione ci sembra più che ragionevole. Ma se gli scrittori stessi delle Scritture Greche si presero questa libertà, come si può assecondare la pretesa di uniformare tutte le citazioni dalle Scritture Ebraiche, fatte da quegli autori ispirati, includendovi il tetragramma dove compariva nell’originale ebraico? È evidente che l’ipotesi degli editori di TNM presuppone che tutti gli scrittori delle Scritture Greche si sarebbero attenuti scrupolosamente a una trascrizione fedele dei versetti citati dalle Scritture Ebraiche contenenti il tetragramma. Ma questa presunzione è smentita dal comportamento degli stessi scrittori ispirati. Ciò si evince anche da altre evidenze testuali.

   Qualche tempo fa è stato dato ampio risalto alle scoperte del prof. Thiede, un rinomato papirologo, il quale ha dimostrato che il Vangelo di Matteo fu scritto a distanza di una sola generazione dalla morte di Yeshùa o, addirittura, prima. Tale conclusione si basa su una rivalutazione della datazione del Papiro Magdalen (P64), che contiene tre frammenti del capitolo 26 di Mt. In base agli studi di Thiede, tale papiro risale alla metà del 1° secolo E. V.. Una delle caratteristiche peculiari del Papiro Magdalen è la frequenza dei cosiddetti “nomina sacra” (Mt 26:10,22,31), che rappresentano delle abbreviazioni delle parole greche “Signore” e “Gesù”. Tali abbreviazioni divennero molto popolari tra i primi discepoli: abitualmente venivano usate la prima e l’ultima lettera di una parola. Per capirci, avveniva come facciamo noi quando abbreviamo – ad esempio – il termine “dottore” in “dr”. Pertanto, il Papiro Magdalen è la prova che, come scrive Thiede, “quasi d’un solo colpo, all’inizio della seconda fase della trasmissione, cioè la fase del codice, i nomina sacra cominciarono a essere abbreviati nei papiri cristiani”. Ovviamente, se il tetragramma fosse stato inserito inizialmente nel testo originale del Vangelo di Matteo, redatto al più presto verso il 40 E. V., in segno di pedissequa fedeltà al testo delle Scritture Ebraiche – come sostiene il direttivo dei Testimoni di Geova – appare, a dir poco, anomalo che per i cosiddetti nomina sacra possa essere stato adottato così presto un sistema di abbreviazioni fin dalle primissime copie (come nel caso del Papiro di Magdalen), forse addirittura al tempo in cui alcuni apostoli erano ancora in vita, se accettiamo la datazione di Thiede. Invece, il ricorso così precoce a un articolato sistema di codificazione rappresenta un’ulteriore prova dell’autonomia degli scrittori delle Scritture Greche. In definitiva, mentre è lecito avanzare l’ipotesi, per quanto improbabile, di un’eventuale presenza del tetragramma nelle Scritture Greche originali, sicuramente non è lecito alterarne il testo sulla base di una semplice ipotesi, peraltro molto improbabile e contro tutta l’evidenza. Perdendo di vista il ruolo del traduttore, la Watchtower si è sostituita all’Autore.

   È il caso di rammentare ai traduttori di TNM quanto da essi stessi dichiarato: “L’azione più indegna che i traduttori moderni compiono nei confronti del divino Autore delle Sacre Scritture è quella di togliere o nascondere il suo caratteristico nome personale. In realtà il suo nome ricorre nel testo ebraico 6.828 volte nella forma יהוה (YHWH o JHVH)” (TNM, pag. 1563). Già. Nella Scrittura il Nome ricorre migliaia di volte “nella forma יהוה”. E “l’azione più indegna che i traduttori moderni compiono nei confronti del divino Autore delle Sacre Scritture è quella di togliere o nascondere il suo caratteristico nome personale” (Ibidem, l’evidenziazione è nostra). I masoreti lo nascosero, ma lo fecero con il massimo rispetto, lasciandolo intatto e camuffandolo con altre vocali che tutti sapevano non appartenenti al Nome. TNM lo nasconde del tutto, sostituendolo con la forma spuria JeHoVaH e dissacrandolo anziché lasciarlo intatto in tutta la sua sacralità.

Un fatto sorprendente

   È ormai appurato da circa un secolo che i masoreti camuffarono il sacro tetragramma inserendovi le vocali di Adonày per non farlo pronunciare. Ne venne fuori il nome senza senso JeHoVaH. Ciò è riconosciuto perfino dalla Watchtower.    Ora, inserendo la forma JeHoVaH nella loro versione biblica, il direttivo della società americana non fa altro che continuare l’opera di quei masoreti. Con una differenza, però, che è tristemente grave. I masoreti erano perfettamente consapevoli che la pronuncia di Adonày sostituiva quella vera del tetragramma. Il loro profondo rispetto per “il Nome” li portò a proteggerlo in modo indubbiamente eccessivo. Ma era rispetto. La società americana va ben oltre l’intento dei masoreti. Prende la loro forma spuria JeHoVaH per buona e insiste su di essa, inserendola addirittura nella Bibbia. Gli stessi masoreti ne sarebbero scandalizzati. E profondamente indignati per l’affronto blasfemo fatto al “Nome”. Ci sia consentito di poter sempre dire, con Paolo: “Abbiamo rinunciato alle cose subdole di cui c’è da vergognarsi, non camminando con astuzia, né adulterando la parola di Dio, ma rendendo la verità manifesta”. – 2Cor 4:2.

Conclusione

   A conclusione, dopo aver svolto un esame scrupolo delle Scritture in merito al “nome”, proponiamo un ragionamento semplicemente logico. E ci avvaliamo dello stesso ragionamento che la Watchtower propone per la dottrina pagana della Trinità.

   “Se la Trinità fosse vera, dovrebbe essere chiaramente e coerentemente esposta nella Bibbia. Perché? Perché, come affermarono gli apostoli, la Bibbia è il mezzo con cui Dio si è rivelato all’umanità. E dato che per adorare Dio in maniera accettevole dobbiamo conoscerlo, la Bibbia dovrebbe dirci chiaramente chi è”. – Dovreste credere nella Trinità?, pag. 5.

   Il ragionamento non fa una grinza. E lo appoggiamo in pieno. Non solo è logico, ma anche biblicamente corretto. Questo stesso ragionamento, vista la sua validità, ci sia consentito di applicarlo al “nome”, parafrasandolo:

   Se il nome di Dio fosse “Geova”, se questo fosse vero, dovrebbe essere chiaramente e coerentemente esposto nella Bibbia e Dio non avrebbe permesso che fosse oscurato al punto che nessuno più conosce con esattezza la sua pronuncia. Perché? Perché, come affermarono gli apostoli, la Bibbia è il mezzo con cui Dio si è rivelato all’umanità. E dato che per adorare Dio in maniera accettevole dobbiamo conoscerlo, la Bibbia dovrebbe dirci chiaramente chi è.