Numerose sono le azioni simboliche compiute da Ezechiele. Gli esegeti attualmente sono concordi nel vedervi azioni reali, non solo figure retoriche come si pensava in passato.

   Quali erano le disposizioni fisiche e psicologiche del profeta Ezechiele nel momento in cui eseguiva le sue più celebri azioni simboliche? Era in uno stato di normale sanità oppure era un ammalato, turbato da profonde crisi nervose e da stati catalettici?

   Stato del profeta nel periodo simbolico. Lo studioso Klostermann fu il primo a introdurre la medicina nell’esegesi di Ezechiele. Questo studioso era eccezionalmente preparato. Alla fine del suo studio dichiarò che la comprensione dell’infermità simile a quella del profeta lo aveva reso capace di capire la situazione dell’uomo di Dio. Le sue ricerche scritturistiche gli permisero di scrivere un articolo che suscitò molto scalpore (Ezechiel: Ein Beitrag zu besserer Würdigung seiner Person u. seiner Schrift, in Theologische Studien und Kritiker, pagg. 391-439). Esaminiamo prima la sua teoria. Poi la valuteremo.

   Le indicazioni che possediamo sulla malattia di Ezechiele risalgono al 30° anno. I fenomeni patologici iniziarono senza dubbio prima, ma il racconto biblico inizia solo da quel momento (Ez 1:1). Così sostiene la teoria.

   All’età di trent’anni, il quinto giorno del quarto mese, Ezechiele ha una visione che scuote violentemente la sua sensibilità e lo fa cadere con la faccia a terra: “A quella vista caddi sulla mia faccia” (Ez 1:28). Per ordine di una voce misteriosa si risolleva in piedi: “Álzati in piedi” (Ez 2:1). Ma non ritrova la sua forza e ormai sente che una forza estranea si è impadronita di lui e lo guida: “Lo Spirito entrò in me e mi fece alzare in piedi” (Ez 2:2). Prova subito delle allucinazioni che interessano la vista e l’udito: “Io udii colui che mi parlava” (Ez 2:2), “Io guardai, ed ecco una mano stava stesa verso di me” (Ez 2:9). Ha sensazioni di gusto molto piacevoli: gli sembra di ingoiare una pergamena che gli pare molto deliziosa: “Apri la bocca e mangia ciò che ti do” (Ez 2:8), “’Nùtriti il ventre e riempiti le viscere di questo rotolo che ti do’. Io lo mangiai, e in bocca mi fu dolce come del miele”. – Ez 3:3.

   Un giorno è invitato ad andare da alcuni compagni d’esilio e a parlare loro: “Va’, recati alla casa d’Israele, e riferisci loro le mie parole” (Ez 3:4). Si mette in viaggio, come portato da una forza esterna: “Lo Spirito mi portò in alto e mi condusse via” (Ez 3:14). L’“amarezza nello sdegno del mio spirito” (3:14) – “furore del mio spirito” (TNM); “amareggiato e sconvolto” (PdS) – di cui Ezechiele parla, è un’eccitazione della sua volontà, è la presa di possesso di tutto il suo essere da parte di una potenza superiore. Il profeta arriva a Tell-Abìb, dove risiedeva un’importante colonia di esiliati. Là la sua emozione giunge al colmo e per sette giorni rimane senza parola: “Mi fermai dove essi abitavano; e là abitai sette giorni, triste e silenzioso, in mezzo a loro”. – Ez 3:15.

   Dopo una settimana ha una nuova visione in cui apprende che Dio farà “in modo che la lingua” gli “si attacchi al palato” così che “rimanga muto” (3:26). Ezechiele si trova così ridotto, in casa sua, a uno stato di dolorosa infermità che gli impedisce di partecipare alle riunioni dei suoi compatrioti: “Sdràiati sul tuo lato sinistro, e metti su questo lato l’iniquità della casa d’Israele; per il numero di giorni che starai sdraiato su quel lato, tu porterai la loro iniquità. Io ti conterò gli anni della loro iniquità in un numero pari a quello di quei giorni: trecentonovanta giorni. Tu porterai così l’iniquità della casa d’Israele. Quando avrai compiuto quei giorni, ti sdraierai di nuovo sul tuo lato destro, e porterai l’iniquità della casa di Giuda per quaranta giorni: t’impongo un giorno per ogni anno. Tu volgerai la tua faccia e il tuo braccio nudo verso l’assedio di Gerusalemme, e profetizzerai contro di essa. Ecco, io ti metterò addosso delle corde, e tu non potrai voltarti da un lato sull’altro, finché tu non abbia compiuto i giorni del tuo assedio” (4:4-8). Eccolo quindi colpito da emiplegia (la paralisi di tutta una metà del corpo) al lato destro che lo obbliga a stare sul lato sinistro per 390 giorni, dopodiché è colpito di nuovo ed è costretto a stare sul fianco destro per 40 giorni. Tuttavia, la paralisi segue un andamento capriccioso: la parte superiore del corpo si liberava di tanto in tanto, così che il profeta poteva portarsi il cibo alla bocca, sebbene con l’aiuto dei suoi familiari: “Prendi anche frumento, orzo, fave, lenticchie, miglio, spelta, mettili in un vaso, fattene del pane sufficiente per tutto il tempo che starai sdraiato sul tuo lato; ne mangerai per trecentonovanta giorni. […]  Mangerai una volta al giorno. Berrai pure dell’acqua […] una volta al giorno” (4:9-11). Altre volte lo vediamo colpito da violenti tremiti: “Mangia il tuo pane con tremore, bevi la tua acqua con preoccupazione e angoscia” (12:18). Talvolta il suo viso e il suo braccio steso rimangono rigidi per un tempo considerevole: “Volgerai la tua faccia e il tuo braccio nudo” (4:7). Ridotto in questo stato, Ezechiele è persuaso che Dio lo tenga legato con funi per non fargli mutare posizione a suo piacimento: “Ti saranno messe addosso delle corde, con esse sarai legato” (3:25). Inoltre è colpito da afasia totale, da cui non esce che per trasmettere ai suoi compatrioti le comunicazioni divine: “Io farò in modo che la lingua ti si attacchi al palato, perché tu rimanga muto […]. Ma quando io ti parlerò, ti aprirò la bocca, e tu dirai loro: ‘Così parla Dio, il Signore’”. – Ez 3:26,27.

   Nulla di strano, quindi, che attirasse l’attenzione dei vicini, testimoni di tutte queste mimiche. Talvolta il profeta batteva le mani (21:19) o pestava i piedi (6:11). Talvolta era preso da convulsioni o emetteva sospiri, altre gridava forte (21:17). Quando poteva dire alcune parole, la violenta emozione gli conferiva un ritmo curioso (11:14-21), sintomo dello sconvolgimento del suo sistema nervoso.

   Tutti questi sintomi denotano le caratteristiche dell’epilessia, per cui il Klostermann conclude: “Ritengo dimostrato che dobbiamo considerare Ezechiele come un uomo che, già predisposto alla catalessia da uno stato di sofferenza e debolezza fisica, fu improvvisamente colpito da questa infermità in seguito ad una visione che lo turbò nel trentesimo anno”. – Opera citata, pag. 431.

   Il Klostermann si difende dall’accusa di attentato al carattere divino dell’esperienza profetica di Ezechiele. Se Ezechiele era malato, egli ribatte, Dio utilizzò le sue infermità per dare insegnamenti salvifici, proprio come già aveva utilizzato gli eventi familiari e dolorosi di Osea. Si potrebbe perciò dire che le patologie di cui Ezechiele soffriva avevano valore divino. – Ibidem, pag. 438.

   Dapprima la teoria di Klostermann non fu notata. Solo nel 1897 (vent’anni dopo), il Bertholet, nel suo commento a Ezechiele (Collezione Marti) aderì completamente alla tesi del Klostermann, aggiungendo anche l’ipotesi dell’autosuggestione. Questa teoria è andata sempre più diffondendosi.

   Che dire? La testimonianza non è sicura. Facciamo alcune considerazioni.

   Prodomi catalettici. Giunto a Tell-Abìb, Ezechiele rimane nello stupore per sette giorni. Il Klostermann e altri lo interpretano nel senso di assoluta rigidità, ma dicono più di quanto affermi il testo. Ciò che viene trascurato è che il comportamento profetico di Ezechiele è simbolico. In questo simbolismo anche i sentimenti di dolore – anzi, più di tutto – hanno avuto il loro linguaggio figurato. Una volta tanto che anche il modo di esprimersi occidentale potrebbe aiutarci a capire il linguaggio figurato, ci si ostina ugualmente e leggerlo in modo letterale. Anche noi, infatti, diciamo che una persona è impietrita dal dolore, ma non pensiamo neppure lontanamente a una rigidità catalettica. Occorre usare il buon senso e non attaccarsi sempre alla lettera, altrimenti non si va lontano. Degli amici (o presunti amici) di Giobbe la Bibbia dice che quando lo videro “rimasero seduti per terra, presso di lui, sette giorni e sette notti; nessuno di loro gli disse parola, perché vedevano che il suo dolore era molto grande”. – Gb 2:13.

   La crisi principale. Sarebbe un violento attacco di paralisi accompagnato da afasia totale. L’afasia è indiscutibile, e il profeta lo indica con chiarezza cristallina. Egli non riceveva la possibilità di parlare che a intervalli, quando il Signore lo incaricava di trasmettere qualche comunicazione al popolo. Al di là di questi casi era nella impossibilità fisica di parlare. Il suo mutismo non cessò che cinque anni dopo, nel dodicesimo anno della cattività, quando un messaggero venne da lui annunciandogli la distruzione di Gerusalemme: “Il dodicesimo anno della nostra deportazione, il decimo mese, il quinto giorno del mese, un fuggiasco da Gerusalemme venne da me e mi disse: ‘La città è presa!’. La sera prima della venuta del fuggiasco, la mano del Signore era stata sopra di me ed egli mi aveva aperto la bocca, prima che quello venisse da me la mattina; la bocca mi fu aperta e io non fui più muto” (Ez 33:21,22). Tutti questi fatti sono incontestabili. Ciò che invece è contestabile è l’interpretazione. Il Klostermann considera l’afasia del profeta come effetto della catalessia. Ma le prove non ci sono nel testo e le si cercano invano.

   Catalessia. La teoria porta tre prove: emiplegia, rigidità del viso e rigidità del braccio. Ma sono davvero prove? Lo stare sul proprio fianco può essere causato da molte altre ragioni diverse dall’emiplegia. Si può essere immobili senza essere paralitici. E si può, poi, essere paralitici senza essere catalettici. La volontà divina può essere tutta la spiegazione. Che sia così è dimostrato dalla storia dei famosi stiliti. Ezechiele fu legato con funi per comando divino: “Ecco, io ti metterò addosso delle corde, e tu non potrai voltarti da un lato sull’altro” (Ez 4:8). Non si tratta di una sensazione patologica, ma proprio di funi con cui è legato. La fissità dello sguardo e del braccio può essere sostenuta solo forzando il testo biblico. “Tu volgerai la tua faccia e il tuo braccio nudo verso l’assedio di Gerusalemme, e profetizzerai contro di essa. Ecco, io ti metterò addosso delle corde, e tu non potrai voltarti da un lato sull’altro” (4:7,8). Il testo proibisce solo di muoversi sui fianchi, ma non parla d’immobilità della vista, del braccio o delle gambe. Anzi, è detto che li muoveva: “Prendi un mattone, mettitelo davanti e disegnaci sopra […] costruisci […] circondala ]…] disponi […]. Prendi poi una piastra di ferro e piazzala […] volta la tua faccia” (4:1-3). Ezechiele ha l’ordine di disegnare su una tavoletta d’argilla la città santa di Gerusalemme e di disporvi attorno modelli di macchine da guerra per simboleggiare l’assedio che l’avrebbe cinta; egli denuda il braccio e lo tende contro di essa in atto di minaccia, fa la stessa cosa con lo sguardo; mette anche una lastra di ferro tra lui e Gerusalemme per indicare che tra essa e Dio c’è ormai un muro di separazione. Nulla indica la durata di questa posizione o per quanto tempo stesse così, con lo sguardo rivolto alla Gerusalemme disegnata sulla tavoletta. Inoltre, non si parla per nulla di braccio esteso. “Tu volgerai la tua faccia e il tuo braccio nudo verso l’assedio di Gerusalemme” (4:7) è una traduzione discutibile. TNM ha: “E all’assedio di Gerusalemme volgerai la tua faccia, col tuo braccio denudato”. Diodati traduce: “E ferma la tua faccia all’assedio di Gerusalemme, e sbracciati”. Questo è conforme all’ebraico del testo. E conforme agli usi ebraici: il braccio si denudava dalle pieghe del mantello per lavorare o per combattere. Lo fanno tuttora gli orientali per avere più libertà di movimento. Che Ezechiele fosse aiutato dai familiari a mangiare lo dice il Klostermann, non la Bibbia. Il testo biblico suppone che egli mangiasse e bevesse autonomamente: “Il cibo che mangerai […]. Berrai pure dell’acqua” (4:10,11). Anzi, il testo biblico dice addirittura che cucinava lui stesso: “Mangerai delle focacce d’orzo, che metterai a cuocere”. – Ez 4:12.

   Mancano i veri caratteri epilettici. Un medico, il dott. Vigouroux, nel suo Traité complet de medicine pratique (vol. III, pagg. 98 e 99) riduce i sintomi dell’epilessia a quattro fondamentali: rigidità, passività, incoscienza e afasia temporanea. Nella Bibbia sono riscontrabili questi sintomi che consentirebbero la diagnosi di epilessia?

  1. Rigidità. Abbiamo già esaminato i versetti che escludono la rigidità.
  2. Passività. Ezechiele mantiene il controllo dei suoi movimenti. È lui che deve collocarsi su un fianco, lui che deve voltare il viso verso Gerusalemme, lui che deve prepararsi il cibo, lui che deve scegliere certi alimenti per cibarsi. È lui che deve radersi i capelli e la barba, e dividere la peluria secondo ordini precisi: “Prendi una spada affilata, un rasoio da barbiere, prendila e fattela passare sul capo e sulla barba; poi prendi una bilancia da pesare, e dividi i peli che avrai tagliati” (Ez 5:1). Altro che paralisi.
  3. Incoscienza. Non c’è traccia d’incoscienza. C’è anzi evidenza di coscienza. Con la sua iniziativa Ezechiele conserva anche la piena coscienza, tutta la sua libertà morale e la sua responsabilità. I suoi atti sono umani. Egli conserva la sua nozione del tempo per agire secondo gli ordini divini. È talmente cosciente che pone obiezioni perfino a Dio. Quando il Signore gli ordina di mangiare “delle focacce d’orzo” messe “a cuocere sopra escrementi d’uomo” (4:12), egli protesta: “Ahimè, Signore, Dio, ecco, io non mi sono mai contaminato; dalla mia infanzia a ora” (4:14). E Dio, mantenendo il simbolo, gli cambia elemento: “Guarda, io ti do dello sterco bovino, invece di escrementi d’uomo; sopra quello cuocerai il tuo pane!”. – Ez 4:15.
  4. Afasia temporanea. Anche questo sintomo manca, poiché l’afasia di Ezechiele, interrotta solo da piccoli intervalli, non durò meno di cinque anni. Oltretutto, parlando di durata, la crisi epilettica dura “da qualche minuto a qualche giorno” (testo medico citato). Neppure questo concorda. La crisi di Ezechiele durò 430 giorni (230, secondo la LXX: ἐνενήκοντα καὶ ἑκατὸν ἡμέρας, enenèkonta kài ekatòn emèras, “centonovanta giorni”, Ez 4:5; τεσσαράκοντα ἡμέρας, tessaràkonta emèras, “quaranta giorni”, Ez 4:6; 190+40=230). Si tratta di mesi e mesi, non di minuti o di giorni.

   E poi, la personalità di Ezechiele denota forse un carattere nervoso? È difficile determinarlo dalle scarse notizie disseminate nel suo libro ma Dio stesso dice di lui: “Io rendo dura la tua faccia, perché tu possa opporla alla faccia loro; rendo dura la tua fronte, perché tu possa opporla alla fronte loro; io rendo la tua fronte come un diamante, più dura della selce; non li temere, non ti sgomentare davanti a loro, perché sono una casa ribelle” (Ez 3:8,9). Non sono davvero caratteristiche di una persona nervosa, al contrario. Inoltre, Ezechiele non maledice il giorno della sua nascita di fronte alle avversità (come fa Geremia, Ger 20:14). È lui che seppellisce la propria moglie, ‘la delizia dei suoi occhi’ (Ez 24:16),  senza versare una lacrima: “’Tu non fare lamento, non piangere, non versare lacrime. Sospira in silenzio; non portare lutto per i morti, copri il capo con il turbante, mettiti i calzari ai piedi, non ti coprire la barba, e non mangiare il pane che la gente ti manda’. La mattina parlai al popolo e la sera mia moglie morì. La mattina dopo feci come mi era stato comandato” (Ez 24:16-18). È forse questa la condotta di un catalettico o di uno che soffre patologie nervose?

   In conclusione, Ezechiele non ha proprio nulla del catalettico. Non ne ha la rigidità né la passività né l’incoscienza né il temperamento. La tesi del Klostermann non solo non è provata, ma non potrà mai esserlo.

   Ezechiele, per ordine di Dio, si limitava a dare lezioni mute a un popolo che non ascoltava. Il Signore fece in modo che egli si tenesse dentro lo sdegno di cui ribolliva. Ma nella persona esteriore – nei suoi atti e nella sua vita – Ezechiele fu un emblema per Israele: “Essi sapranno che c’è un profeta in mezzo a loro” (Ez 2:5), “Io ti ho stabilito come sentinella per la casa d’Israele”. – Ez 3:17.