Mentre l’attenzione di Luca si sposta subito da Betlemme a Gerusalemme, dove il bimbo Yeshùa viene proclamato redentore, Matteo si sofferma a Betlemme e mostra come il piccolo Yeshùa sia riconosciuto da persone gentili (o pagane), a differenza degli ebrei.

   “Gesù era nato in Betlemme di Giudea, all’epoca del re Erode. Dei magi d’Oriente arrivarono a Gerusalemme, dicendo: Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo”. – Mt 2:1,2.

   Si noti la parola “magi”. Cosa significa? Nel testo greco mattaico è μάγοι, màgoi, “maghi”.

   Il nome “mago” etimologicamente significa “grande”: μάγοι (màgoi), “maghi”; cfr. megalèios (μεγαλεῖος), “grande”; latino magnus, “grande”.

   Presso i persiani e i medi essi costituivano una speciale casta sacerdotale che si dedicava alla divinazione e alla medicina, come affermano Erodoto (Storie, 7,131) e Senofonte. Strabone dice che erano “gelosi osservatori della giustizia e della virtù” (15,3,1;16,2,39). Cicerone aggiunge che erano una “classe di saggi e di dottori della Persia” (De Divin., 1,1;2,42). Anche Geremia ricorda un certo “Nergal-Sarezer il Rabmag” (Ger 39:13, TNM), ufficiale della corte di Nabucodonosor; “rab-magh” (רַב־מָג) significa “grande mago” ossia capo dei maghi. Alla corte persiana tali maghi fecero una figura meschina di fronte a Daniele e agli altri tre ebrei: “Su tutti i punti che richiedevano saggezza e intelletto, sui quali il re li interrogasse, li trovava dieci volte superiori a tutti i magi e astrologi che erano in tutto il suo regno”. – Dn 1:20.

   Talora il nome “mago” assume nella Bibbia il valore popolare del nostro “indovino”. Così doveva essere Simone Mago (At 8:9) e il mago Elima (At 13:8). Fu solo tardivamente che i maghi divennero sinonimo di negromanti o di astrologi in senso peggiorativo, come afferma Girolamo: “Il costume e il linguaggio popolare identificano i maghi con gente malefica” (In Dan 2,3). Per Matteo i maghi che andarono a Betlemme furono dei saggi orientali, ma dediti alla divinazione mediante lo studio degli astri; la divinazione in Israele era proibita da Dio: “Non praticherete alcuna sorta di divinazione o di magia”. – Lv 19:26.

   Il paese classico dei maghi era la Persia (moderno Iran), motivo per cui diversi esegeti ritengono provenissero da là. Le pitture antiche li raffigurano con dei berretti pigiati in testa alla maniera persiana (così l’affresco di S. Priscilla a Roma, dell’inizio del 2° secolo; così il mosaico della basilica costantiniana a Betlemme, del 4° secolo). Altri studiosi insistono di più sull’espressione biblica “dall’oriente” (Mt 2:1). L’esatta traduzione di ἀπὸ ἀνατολῶν (apò anatolòn) in Mt 2:1 è infatti “dall’oriente” e non “d’oriente” (NR); correttamente, TNM ha “vennero da luoghi orientali”. Questi studiosi pensano all’Arabia, perché le carovane arabe entravano in Palestina dal paese di Moab, attraverso il Giordano e quindi dall’oriente. La Persia e la Mesopotamia erano invece ritenute settentrionali poiché i loro abitanti penetravano in Palestina attraverso il nord, vale a dire attraverso la Siria. L’assiro (che era il nemico tradizionale di Israele) viene chiamato settentrionale: “Il nemico che viene dal settentrione” (Gle 2:20). Tra parentesi, non si può fare a meno di osservare ancora una volta che si prendono grandi cantonate leggendo la Scrittura all’occidentale; si pensi alle profezie sul re del nord e sul re del sud: con la “bussola” occidentale si è completamente sviati, dato che le indicazioni bibliche non si rifanno alla posizione geografica dei popoli, ma alla direzione da cui essi entravano in Israele dal punto di osservazione degli ebrei.

   Anche la natura dei doni portati dai maghi fa pensare all’Arabia. “Che m’importa dell’incenso che viene da Seba [o Saba, nell’Arabia sudoccidentale]” (Ger 6:20); “Quelli di Seba verranno tutti, portando oro e incenso” (Is 60:6); “Andarono a Ofir [nell’Arabia sudoccidentale], vi presero dell’oro” (1Re 9:28). La regina di Saba, quando andò a trovare Salomone, portò pure aromi e oro in abbondanza (1Re 10:1, 2); e Yeshùa la chiamò “regina del meridione” (Mt 12:42, TNM). La mirra era una gommoresina aromatica estratta da un alberello spinoso che cresceva in Arabia. Va poi notato che gli scrittori palestinesi (Giustino, Origène, Epifanio) ritengono i maghi arabi, a differenza degli occidentali che li ritengono persiani.

   In quanto al tempo di arrivo dei maghi, tutto poggia sulla domanda di Erode e sul fatto che egli fece uccidere i bambini di Betlemme dai due anni in giù (Mt 2:3-16). Tuttavia, l’età massima di due anni per determinare quali bimbi far uccidere può essere stata scelta da Erode per allargare il numero degli uccisi e così non lasciarsi sfuggire Yeshùa; oltre al fatto che era più facile controllare l’età, dato che a quell’età i bambini già hanno cominciato a camminare da soli.

   Si può pensare che la visita dei maghi sia avvenuta non molto tempo dopo la nascita di Yeshùa, dato che appena arrivati a Gerusalemme i maghi domandano: “Dov’è il re dei Giudei che è nato?” (Mt 2:2); il testo greco ha τεχθεὶς (techthèis), letteralmente “che vien dal nascere”, quindi “appena nato”. Si potrebbe supporre che appena ebbero interpretato il significato del segno astrale, si prepararono a compiere il viaggio a Gerusalemme. Poteva quindi essere trascorso anche solo qualche mese. Ad ogni modo è inutile cercare di precisare ciò che nel testo è lasciato ambiguo.

   Ragionando in modo umano, si recano da Erode e domandano a lui, ingenuamente, dove sia “il re dei Giudei che è (appena) nato”. Anche qui le traduzioni possono ingannare. Il testo non dice “Dov’è il re dei giudei che è nato?” (TNM), come se si intendesse: “Dove è nato il re dei giudei?”. Il testo dice: Ποῦ ἐστὶν ὁ τεχθεὶς βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων;  (pu estìn o thechthèis basilèus ton iudàion?), ovvero: “Dove è colui che è appena nato (come) re dei giudei?”. Il neonato può quindi anche non essere figlio di re, pur essendo re per natura. Ecco allora spiegato il motivo per cui “il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui” (Mt 2:3). L’intera città, tutti i gerosolimitani sono turbati. Tutti pensano al messia che doveva essere il re per eccellenza, il re per natura, e non un re della stirpe erodiana.

   Tuttavia, certi correnti giudaiche pensavano che il messia non dovesse nascere come tutti gli altri, ma apparire in età già matura come condottiero. Questa veduta si basava su una non corretta interpretazione di Mic 5:2 (scrittura citata anche dai sacerdoti e dagli scribi, Mt 2:4-6): “Da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele”; dato che la profezia non parlava di nascita ma di uscita di in dominatore in grado di dominare su Israele, certi giudei intendevano che il messia dovesse comparire in età già adulta.

   Erode, il meno interessato alla venuta del messia (se non per timore che il suo potere fosse insidiato), convocò il sinedrio ovvero “tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo” (Mt 2:4). Etimologicamente, sinedrio significa “concistoro” o luogo di riunione; si chiamava anche “consiglio”. Era il supremo tribunale degli ebrei; composto da 71 membri, di cui uno era il presidente (normalmente identificato con il sommo sacerdote in funzione); gli altri 70 membri erano ripartiti in proporzioni quasi uguali tra i sacerdoti (i capi delle 24 classi sacerdotali e i sommi sacerdoti non più in funzione), gli scribi o dottori della Legge (la classe più alta) e gli anziani del popolo (notabili laici scelti tra le principali famiglie ebraiche). Anche se Matteo nomina solo i capi sacerdoti e gli scribi (dottori), non c’è motivo di ritenere che gli anziani del popolo non fossero stati invitati. Infatti, “gli scribi del popolo” è un’espressione alquanto insolita che ci fa sospettare che nella copia del manoscritto di non sia stata riportata la parola “anziani”: “[anziani] del popolo”. Questa era la terminologia usuale. Altrimenti, non si capirebbe cosa siano questi “scribi del popolo”. In Lc 22:66 troviamo la composizione del sinedrio: “Gli anziani del popolo, i capi dei sacerdoti e gli scribi si riunirono, e lo condussero nel loro sinedrio”.

   Il sinedrio risponde che il messia doveva “uscire” (non nascere) da Betlemme. Della tradizione che intendeva il passo di Mic come “uscita” da Betlemme del messia già adulto e già potente, si ha ancora traccia al tempo di Girolamo (morto nel 520), quando ancora si parlava di ebrei che si radunavano presso la porta di Ebron (oggi porta di Giaffa) a Gerusalemme, per spiare se da Betlemme arrivasse il messia. Matteo riporta la profezia di Michea secondo la versione greca (LXX); in ebraico suona diversamente.

 

Mic 5:2

Versione greca della LXX

riletta da Matteo in Mt 2:6

Versione ebraica originale

“E tu, Betleem del paese di Giuda, non sei affatto la [città] più insignificante fra i governatori di Giuda; poiché da te uscirà un governante, che pascerà il mio popolo, Israele”.

“E tu, o Betleem Efrata, quella troppo piccola per essere fra le migliaia di Giuda, da te mi uscirà colui che deve divenire il dominatore in Israele, la cui origine è dai primi tempi, dai giorni del tempo indefinito”.

(TNM)

   Matteo segue il testo greco della LXX con delle varianti personali che suppongono Betlemme già celebre per la nascita avvenuta del dominatore predetto. Michea dice che Betlemme è un borgo di poco conto ma che diverrà glorioso in futuro. Matteo elimina tale pochezza che più non si conviene a un luogo ormai glorioso. Egli quindi fornisce un nuovo senso: “Non sei affatto la più insignificante”. Dicendo “fra i governatori”, nella TNM traspare l’errore di traduzione commesso dalla Volgata latina che tradusse l’ebraico אַלְפֵי (alfè) con “principi” (milibus). Alfè significa “mille”. Ma sbaglia anche la NR traducendo “tra le migliaia di Giuda” (non potevano esserci “migliaia” di cittadine in Giuda!). Il significato è, nell’ebraico, “le città di mille” ovvero le cittadine che superavano i mille abitanti. La “rilettura” fatta da Matteo del testo biblico non deve stupire né tanto meno scandalizzare. Paolo lo farà spesso. Non si tratta affatto di manipolazione: è interpretazione ispirata, è il vedere chiaramente quelle che erano profezie alla luce delle nuove realtà adempiute. Girolamo comprese bene questo privilegio degli autori delle Scritture Greche e scrisse: “Da ciò appare come gli apostoli e gli evangelisti, nell’interpretazione delle profezie antiche ricercarono più senso che le parole e non si sono affatto curati dell’ordine dei discorsi, quando le realtà erano chiare all’intelligenza”. – PL 22,576.

   Dato che i giudei si aspettavano un messia già adulto e potente (sulla base della loro interpretazione di Mic dell’uscita e non di una nascita, del dominatore e non di un bambino), ci fa comprendere come mai i sacerdoti e i dottori non si siano mossi alla ricerca di un neonato. Devono anzi aver ritenuto i maghi degli illusi o degli ingannati. Per questi scribi gonfi della loro sapienza terrena il messia non poteva certo seguire la trafila della nascita propria dei comuni mortali.

   È solo il sospettoso Erode che si informa dai maghi “di nascosto” (v. 7) e, sempre segretamente, dà loro l’ordine di cercare il neonato. Per Erode era un comportamento abituale. Infatti, “spesso si travestiva da uomo privato, nelle nozze, e si mischiava alla gente per sperimentare e per sapere personalmente ciò che la gente diceva del suo regno”. – Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, 17,1,2-4; Guerre Giudaiche, 1,28,6;1,4.