Non di rado gli eventi storici più importanti furono collegati ad un astro. Lo storico Giustino riferisce che alla nascita di Mitridate e alla sua ascesa al trono comparve una cometa (Historia, 37,2). Un’altra sarebbe apparsa in cielo alla morte di Giulio Cesare (Svetonio, Giulio Cesare, 88). Si tratta ovviamente di leggende. Nel caso di Yeshùa, però, molti studiosi ritengono il fatto storico. Essi si sono applicati a identificare astronomicamente il fenomeno, in modo da determinarne la data.

   “Noi abbiamo visto la sua stella in Oriente” (Mt 2:2) dicono i maghi che vanno a trovare il bambino Yeshùa; “La stella, che avevano vista in Oriente, andava davanti a loro finché, giunta al luogo dov’era il bambino, vi si fermò sopra”. – V. 9.

   L’individuazione in una cometa della stella apparsa ai maghi è una ipotesi che risale a Origène e che fu ripresa dopo la famosa comparsa della cometa di Halley nel 1910. Tale ipotesi non è verosimile. Non si capisce, infatti, come una cometa possa apparire in oriente per poi sparire e riapparire nuovamente a Betlemme. Una cometa è visibile di continuo, senza occultarsi nel suo cammino.

   Un’altra ipotesi è quella del fenomeno luminoso. Qualcosa di simile a ciò che precedeva gli ebrei nel deserto: “Il Signore andava davanti a loro: di giorno, in una colonna di nuvola per guidarli lungo il cammino; di notte, in una colonna di fuoco per illuminarli” (Es 13:21). Ma non si comprende perché Dio avrebbe dovuto guidare dei maghi. Se poi si vuole attribuire al racconto solo un intento descrittivo per indicare che era Dio a guidare i maghi, ciò sarebbe un nuovo modo espressivo non riscontrabile nella Bibbia; il che ci farebbe dubitare molto. È vero che presso gli ebrei la luce era segno della presenza e della gloria divina. Anche ai pastori era apparsa una luce, ma la Bibbia spiega: “La gloria del Signore risplendé intorno a loro” (Lc 2:9). Altra cosa era la stella di Betlemme.

   Una congiunzione di astri è un’altra ipotesi. Seguendo il suggerimento di Keplero, nel 17° secolo alcuni autori (tra cui Kroll e Genhardt) hanno inteso l’astro alla nascita di Yeshùa come la congiunzione di astri: Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci, un fenomeno molto raro ma che verificò il 21 maggio dell’anno 747 di Roma ovvero tre anni prima della morte di Erode, nel 7 a. E. V.. In questa ipotesi il termine “astro” (greco ἀστέρα, astèra; tradotto da alcuni “stella”) non crea difficoltà all’ipotesi, dato che indica semplicemente un astro nuovo nel cielo. La congiunzione degli astri, vista dalla terra, dà l’impressione di un astro nuovo. Non si deve neppure pensare ad un astro che camminasse dinanzi ai maghi e indicasse loro il cammino. Letteralmente il testo greco suona così: “Ed ecco l’astro che videro in oriente li precedeva fino a che andando stette sopra dove era il bambino”. I verbi al passato possono essere anche tradotti al trapassato, così: “Ed ecco l’astro che avevano visto in oriente li aveva preceduti fino a che andando stesse sopra dove era il bambino”. L’astro che li aveva spinti ad andare alla ricerca del messia e che da essi era stato visto antecedentemente in oriente, fu rivisto a Betlemme in una angolazione diversa. La congiunzione, durata alcuni mesi nel 7 a. E. V., poteva essere visibile anche a Gerusalemme come se stesse sopra Betlemme. Si tratterebbe quindi di due apparizioni diverse: la prima nella parte orientale del cielo, la seconda nella parte meridionale. L’ipotesi è plausibile, ma la data crea delle difficoltà.

   Come mai i maghi da una stella o astro potevano dedurre la nascita del messia? Per capirlo bisogna sapere che presso gli antichi il cielo era una realtà, anzi l’unica vera realtà. La terra (con i suoi mari, monti, fiumi e abitanti) era solo un’ombra. Saper leggere il cielo significava conoscere, anche in anticipo, gli avvenimenti terrestri. In Egitto esistevano delle vere e proprie “carte del cielo” in cui erano segnate le stelle con il momento del loro sorgere e del loro tramontare assieme alle diverse congiunzioni. Su di esse si regolavano il culto e le feste. Il sorgere ben visibile di Sirio, la stella del mattino, che appariva per pochi istanti la prima volta, segnava la prossima piena fecondatrice del Nilo; Sirio si chiamava Sedepet ovvero “portatrice della crescita del Nilo”.

   Questa concezione della realtà e dell’ombra era presente anche presso gli ebrei. Il Tempio di Gerusalemme era considerato l’ombra del Tempio celeste. La descrizione della nuova Gerusalemme in Ezechiele non poggia sulla geografia palestinese, ma su quella ideale della Gerusalemme celeste.

   Il pianeta Giove era considerato nell’antichità come la stella del padrone del mondo. Giove era l’astro regale. In un monumento eretto nell’isola di Philae sul Nilo in onore di Augusto, l’imperatore – in quanto padrone del mondo – è designato con il nome di Giove.

   Il pianeta Saturno era presso i babilonesi l’astro corrispondente al paese di Amurru, vale a dire la Siria. L’astrologia ellenistica designava Saturno come la stella dei giudei.

   La costellazione dei Pesci era attribuita alla fine dei tempi. Se dunque Giove e Saturno si congiungevano nella costellazione dei Pesci, i maghi erano indotti a pensare che in Siria e, più precisamente, nel paese dei giudei era nato un re, il sovrano degli ultimi tempi. Va ricordato anche il passo di Svetonio: “Era una antica e ferma credenza diffusa in tutto l’oriente che l’impero del mondo lo avrebbe preso sin da questa epoca un uomo venuto dalla Giudea”. – Historia, 37,2.

   In seguito a tale visione i maghi lasciarono l’oriente e il loro viaggio fu compiuto indipendentemente dall’astro; solo in questo modo si spiega la loro gioia nel rivederlo sotto un’altra congiunzione, cosa che confermava la loro scelta di Betlemme: “Quando videro la stella, si rallegrarono di grandissima gioia” (Mt 2:10). Secondo le leggi astronomiche, l’astro aveva “camminato” assumendo una nuova posizione nel cielo, così da far supporre ai maghi che “la stella, che avevano vista in Oriente, andava davanti a loro” (v. 9), come del resto (nella loro concezione) ogni evento celeste precede quello terrestre.

   Su questi maghi ci furono poi delle leggende posteriori. Intanto divennero “magi”. La tradizione popolare li considerò dei re (i cosiddetti re magi). Dato che Matteo non ne parla, è evidente che per lui non erano dei re. Le leggende hanno cercato anche di fissarne il numero (la Bibbia non lo menziona). Nel 3° secolo erano due, nelle catacombe di Domitilla del 4° secolo divennero quattro; in alcune rappresentazioni siriache e armene se ne contano da sei a un massimo di dodici. Per la prima volta, nel 5° secolo, nel Vangelo apocrifo dell’infanzia il numero venne fissato a tre basandosi sui tre doni (oro, incenso e mirra). Nel medesimo apocrifo i “tre re magi” ricevono un nome: Melchiorre, Gaspare e Baldassarre. Secondo Agostino i tre provenivano dalle tre parti del mondo allora noto: Africa, Europa e Asia. La posteriore fantasia popolare li rappresentò allora nelle tre razze umane conosciute: bianca, nera e gialla. Nel 10°secolo il venerabile Beda spiegò che i tre raffigurano le tre età umane: giovanile, matura e vecchia. Questa la ragione del colore diverso delle tre barbe: rossa per il giovane, nera per il maturo e bianca per il vecchio. Al riguardo è interessante notare che la loro festa popolare cade il 6 gennaio, data della natività del dio greco Aiòn (che era rappresentato sia come fanciullo, sia come adulto e sia come vecchio). Tale dio riuniva in sé quelle tre età attribuite poi ai singoli “tre re magi”.

   In tutta questa leggendarietà non potevano mancare le reliquie dei tre. E i cattolici, naturalmente, le hanno trovate. Dicono loro. Fu la regina Elena a trovarle (colei che ha rinvenuto anche la “santa croce”) e quindi a trasportarle a Costantinopoli nella chiesa di S. Sofia. Prima del 12° secolo furono trasferite a Milano. Quando nel 1162 la città fu assalita da Federico Barbarossa, le reliquie furono asportate e poi esposte a Colonia. Molti papi le reclamarono, ma senza esito.

   Lasciando le leggende, vale la pena di tornate al testo biblico. Matteo, pur narrando fatti storici, non ha un intento storico. La sue sono intenzioni evangelizzatrici, per cui non si sofferma su particolari che per noi potrebbero riuscire importanti, anzi indispensabili. Matteo non ci dice come era questo astro, da dove venivano i maghi, quanto tempo avevano impiegato nel viaggio, come abbiano potuto apprendere la nascita del re d’Israele dalla presenza di un astro. Tutto ciò non interessava Matteo. Egli volle solo insegnare una verità molto importante: Yeshùa non venne a salvare solo gli ebrei, ma anche i popoli lontani, i pagani. Agli ebrei la rivelazione avviene tramite la profezia, ai gentili tramite l’astrologia, così tanto praticata da loro. Anche i pagani attendono il salvatore e vi sono preparati a loro modo. Con questo non si vuole in nessun modo affermare che Dio abbia usato l’astrologia quale rivelazione ai maghi, nient’affatto. Questo è escluso. Ma neppure si può arrivare ad argomentare – come fa qualcuno – che “essi avvertirono Erode che era nato il ‘re dei giudei’, ed Erode, a sua volta, cercò di far uccidere Gesù. Il piano però non riuscì. Geova intervenne e si dimostrò superiore agli dèi demonici degli astrologi, i quali perciò, dopo aver ricevuto ‘in sogno divino avvertimento’, anziché tornare da Erode si diressero verso il loro paese per un’altra via” (Perspicacia nello studio delle Scritture, Watch Tower B. & T. Soc., volume 1, pag. 237). Non si può affermare che i maghi erano guidati da satana e poi contraddirsi notando che la Bibbia dice chiaramente che Dio li avvisò in sogno.

   Come mai gli ebrei non seguirono i maghi a Betlemme per controllare di persona come stavano le cose? A quel temo non c’era una profezia chiara che affermasse il luogo della nascita del messia. Si pensava perfino che egli potesse scendere dal cielo già adulto. Si sapeva che doveva provenire dalla famiglia di Davide, ma non si sapeva dove sarebbe apparso. Anche la profezia di Michea non diceva chiaramente che il messia doveva nascere a Betlemme, ma solo che sarebbe stato la gloria di Betlemme (Mic 5:1; o 5:2, secondo certe versioni) Il passo, infatti, dice: “Da te, o Betlemme, Efrata, piccola per essere tra le migliaia di Giuda, da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele”. Si noti che la profezia dice “uscirà” e non ‘nascerà’; inoltre si parla di un “dominatore” e non di un bambino. Origène testimonia che gli ebrei rifiutavano di credere che fosse necessario che il messia nascesse a Betlemme. Matteo riferisce non che Erode abbia domandato dove era nato il messia (fatto sicuro: era già nato), ma “dove il Cristo doveva nascere” (Mt 2:4). In risposta viene citato l’unico passo che poteva essere inteso in tal senso, anche se loro non lo intendono così, dato che non ci vanno.