“33b Come in tutte le congregazioni dei santi, 34 le donne stiano in silenzio nelle congregazioni, poiché non è loro permesso di parlare, ma siano sottomesse, come dice anche la Legge. 35 Se, dunque, vogliono imparare qualcosa, interroghino a casa i propri mariti, poiché è vergognoso per una donna parlare nella congregazione.

   36 Che cosa? È uscita forse da voi la parola di Dio, o è pervenuta solo fino a voi?

     37 Se qualcuno pensa di essere profeta o dotato dello spirito, riconosca le cose che vi scrivo, perché sono il comandamento del Signore. 38 Ma se qualcuno è ignorante, rimane ignorante. 39 Quindi, fratelli miei, continuate a cercare zelantemente di profetizzare, e non impedite di parlare in lingue. 40 Ma ogni cosa abbia luogo decentemente e secondo disposizione”. – 1Cor 14:33b-40, TNM.

   La comunità di Corinto, in Grecia, era alquanto problematica. In essa c’era “una tale fornicazione che non si trova neppure fra i pagani; al punto che uno si tiene la moglie di suo padre!” (1Cor 5:1). “E voi siete gonfi”, dice Paolo, “e non avete invece fatto cordoglio” (v. 2). I credenti corinzi erano confusionari e disordinati. Gli uomini portavano i capelli lunghi come le donne e donne li portavano “alla maschietto” (si veda lo studio precedente, Il velo svelato). “Quando vi riunite in assemblea” – scrive ancora Paolo – “ci sono divisioni tra voi” (1Cor 11:18). E ancora: “Quando poi vi riunite insieme, quello che fate, non è mangiare la cena del Signore; poiché, al pasto comune, ciascuno prende prima la propria cena; e mentre uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e bere? O disprezzate voi la chiesa di Dio e umiliate quelli che non hanno nulla?” (1Cor 11:10-22). Era davvero una comunità strana, per usare un eufemismo.

   Lì a Corinto si faceva anche un gran parlare, e ciò anche durante il culto. Ai capitoli da 11 a 14 della sua prima lettera Paolo tratta quasi esclusivamente delle loro adunanze. C’è anche da dire che quella che oggi chiamiamo prima lettera ai corinti è in verità la seconda, perché la primissima è andata persa. Ne accenna lo stesso Paolo in 1Cor 5:9 menzionandola. Chissà di che tenore era quella lettera, che non ci è giunta. Dagli accenni che ne fa Paolo, anche quella doveva contenere delle riprovazioni: “Vi ho scritto nella mia lettera di non mischiarvi con i fornicatori”, e non si trattava di estranei ma di “chi, chiamandosi fratello, sia un fornicatore”, e non solo un immorale ma anche “un avaro, un idolatra, un oltraggiatore, un ubriacone, un ladro”. – 1Cor 5:9-11.

   In 14:33b-40 l’apostolo delle genti interviene sulla confusione che regnava nelle riunioni di culto a Corinto. Le sue parole imperative “le donne tacciano nelle assemblee” (1Cor 14:34) sono diventate famosissime. Per secoli il maschilismo religioso ne ha fatto un “comandamento” più noto perfino di qualche vero Comandamento, come il quarto sul sabato. Mentre molte religioni prestano la massima cura nel far rispettare il silenzio alle loro donne, calpestano i Comandamenti veri. Questo consolidato andazzo maschilista che dura da secoli è stato scosso dallo spirito dei tempi. La legittima presa posizione di molte donne ha obbligato quindi gli esegeti a esaminare con più attenzione il passo paolino.

   Anziché dare troppo peso alla disamina delle diverse interpretazioni, che pure va fatta, ci sembra che la strada da privilegiare sia alla fine – come sempre – l’esame diretto e accurato del testo biblico.

   Esaminando bene il testo di 1Cor 14:33b-40, si notano tre imperativi che appaiono molto decisi fino al punto di essere agghiaccianti come un’improvvisa sferzata di acqua gelida in piena estate. Vediamoli:

1)       “Come in tutte le congregazioni dei santi, le donne stiano in silenzio nelle congregazioni”. – 1Cor 14:33b,34a, TNM.

2)       “Non è loro permesso di parlare, ma siano sottomesse, come dice anche la Legge”. – 1Cor 14:34b, TNM.

3)       “Se, dunque, vogliono imparare qualcosa, interroghino a casa i propri mariti, poiché è vergognoso per una donna parlare nella congregazione”. – 1Cor 14:35, TNM.

   Tutte e tre queste formulazioni riguardano lo stesso soggetto: il silenzio delle donne nelle adunanze.

   Il primo comando viene impartito richiamandosi alle consuetudini delle chiese: “Come in tutte le congregazioni dei santi”.

   Il secondo imperativo non è altro che la motivazione del primo, iniziando con un “infatti” (greco γὰρ, gàr), reso con “poiché” da TNM e da C.E.I., e con “perché” da NR: “Non infatti [γὰρ (gàr)] è permesso ad esse parlare, ma siano sottomesse, come anche la legge dice”. – Traduzione dal greco.

   Il terzo ordine impositivo non fa che allungare il precedente; sembra anzi che in questo si prevenga una possibile obiezione: “Se vogliono imparare qualcosa …”. Se le donne volessero prendere la parola nelle riunioni, pare che dica, “interroghino i loro mariti a casa”; “perché” – si motiva – “è vergognoso per una donna parlare in assemblea”.

   A quali chiese o comunità ci si riferisce quando si parla di “tutte le congregazioni dei santi”, per ordinare il silenzio femminile richiamandosi al costume seguito? Si tratta di tutte le altre comunità e la menzione delle Legge conferma che tutte seguivano i precetti della Toràh, come Yeshùa stesso aveva insegnato.

   Il triplice comando afferma lo stesso divieto con formulazioni alquanto diverse. La prima formulazione riveste un carattere ufficiale: “Come in tutte le congregazioni dei santi”; la seconda ha un carattere giuridico: “Come dice anche la Legge”, anche nel linguaggio: “Non è loro permesso di parlare”; la terza formulazione si riallaccia alla prassi e alle abitudini quotidiane: “Interroghino a casa i propri mariti”, consuetudine sociale (non codificata) che se infranta rende “vergognoso per una donna parlare nella congregazione”. Abbiamo così, da una parte, l’appellarsi alle regole vigenti (a quanto pare) in tutte le comunità e il richiamo al massimo Codice, la Legge di Dio; dall’altra, c’è il riferimento alle abitudini sociali che, spesso, sono più vincolanti delle stesse leggi.

   Analizzato così, il testo paolino rivela tutte le difficoltà che ce lo rendono oggi quasi inaccettabile. Ma occorre continuare la nostra analisi, accuratamente. Così notiamo che il triplice imperativo è formulato con una generica terza perdona plurale:

  1. “Le donne stiano in silenzio”;
  2. Siano sottomesse”;
  3. Interroghino a casa i propri mariti”.

   In tutto questo contesto generale in cui non ci si riferisce a qualcuno in particolare ma alla generalità (terza persona plurale), d’un tratto troviamo un “voi” in 14:36: “È uscita forse da voi la parola di Dio, o è pervenuta solo fino a voi?” (TNM). Qui non si tratta più di un discorso generale ma viene chiamato in causa un “voi” specifico. Si noti poi che qui al v. 36 Paolo non sta affermando nulla ma sta ponendo una domanda. Nel suo stile, l’apostolo dei gentili pone domande retoriche la cui risposta è scontata e non può che essere questa: No, la parola di Dio non proviene da noi ed è giunta anche ad altri, non solo a noi.

   Ora, con molta superficialità e leggerezza, il lettore assuefatto alle spiegazioni religiose potrebbe pensare che quel “voi” sia riferito alle donne corinzie. In questa interpretazione – che è soltanto una propria deduzione del tutto ingiustificata – tutto diventa ancora più negativo perché Paolo non farebbe che rinforzare il triplice divieto precedente umiliando addirittura le sue consorelle spirituali ricordando loro che non hanno l’esclusiva della parola di Dio. Se così fosse, ovviamente.

  Le parole dette da Paolo subito dopo (vv. 37-40) escludono però questa interpretazione fatta alla leggera e ci fanno capire che quel “voi” è rivolto a tutti i credenti corinti: “Se qualcuno pensa che Dio gli parla, se pensa di avere lo Spirito del Signore, deve riconoscere che quanto vi scrivo è un ordine del Signore. Se qualcuno non lo riconosce, Dio non riconosce lui. Così, fratelli miei, desiderate di essere profeti e non impedite di parlare a chi si esprime in lingue sconosciute. Però tutto sia fatto con dignità e con ordine”. – TILC.

   Dopo quel “voi” riferito a tutti i discepoli di Corinto, Paolo si rivolge a tutti loro e fa due ipotesi:

1)       “Se qualcuno pensa di essere profeta o spirituale, riconosca che le cose che io vi scrivo sono comandamenti del Signore”. – 1Cor 14:37.

   C’è qui l’intimazione a chi si ritiene profeta o carismatico di ammettere che i comandi trasmessi da Paolo non  sono suoi ma del Signore.

2)       “Se qualcuno lo vuole ignorare, lo ignori” (1Cor 14:38). TNM traduce: “Se qualcuno è ignorante, rimane ignorante”. In verità, Paolo applica la legge del taglione e dice: εἰ δέ τις ἀγνοεῖ, ἀγνοεῖται (ei dè tis aghnoèi, aghnoèitai), “se invece qualcuno non [lo] riconosce, non è riconosciuto”.

   Anche se queste espressioni paoline appaiono per certi versi ermetiche, è evidente che egli si sta rivolgendo a tutti. Nel successivo “quindi, fratelli [ἀδελφοί (adelfòi)] miei” (v. 39, TNM), se si rivolgesse alla donne direbbe ἀδελφαὶ (adelfài), “sorelle”. Paolo si sta qui rivolgendo alla comunità corinzia e, in particolare, a qualcuno che nelle adunanze prende la parola magari per comunicare un messaggio divino che gli è giunto, come diceva al v. 36: “La parola di Dio … è pervenuta solo fino a voi?”, non solo fino a loro, ma certo anche a loro.

   Il tono ipotetico dei vv. 37 e 38 ci fa capire che Paolo rimprovera certe persone con cui non è in accordo su diverse questioni, che sono queste:

  • Se qualcuno pensa di essere profeta o spirituale” (14:37). A quanto pare, Paolo non pensa che lo sia.
  • “ … Non è riconosciuto” (14:38). A quanto pare, ignorando i comandi del Signore che Paolo trasmette, chi non l’accetta non è accettato.
  • “È uscita forse da voi la parola di Dio” (14:36)? Sembra proprio che qualcuno fosse presuntuoso fino a tal punto.
  • “È [la parola di Dio] pervenuta solo fino a voi?” (14:36). Pare che qualcuno credesse presuntuosamente di averne l’esclusiva.

   Ora – per usare un gioco di parole -, avendo più chiaro ciò che in tutto il brano Paolo dice – anche se è chiaro che in certi punti è alquanto oscuro! -, se tutto il provvedimento molto chiaro di 1Cor 14:33b-40 che impone il silenzio alle donne si mette a confronto con altri cinque punti dell’insegnamento di Paolo, quel provvedimento cessa di essere chiaro. Cerchiamo quindi di far luce su tutti questi chiaroscuri. Vediamo intanto questi cinque punti che creano difficoltà al famoso silenzio imposto alle donne:

  • 1Cor 14:36: “Che cosa? È uscita forse da voi la parola di Dio, o è pervenuta solo fino a voi?”. – TNM.
  • Il contesto di 1Cor 14:26-33:

“Che dunque, fratelli? Quando vi riunite, avendo ciascuno di voi un salmo, o un insegnamento, o una rivelazione, o un parlare in altra lingua, o un’interpretazione, si faccia ogni cosa per l’edificazione. Se c’è chi parla in altra lingua, siano due o tre al massimo a farlo, e l’uno dopo l’altro, e qualcuno interpreti. Se non vi è chi interpreti, tacciano nell’assemblea e parlino a se stessi e a Dio. Anche i profeti parlino in due o tre e gli altri giudichino; se una rivelazione è data a uno di quelli che stanno seduti, il precedente taccia. Infatti tutti potete profetare a uno a uno, perché tutti imparino e tutti siano incoraggiati. Gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti, perché Dio non è un Dio di confusione, ma di pace”.

  • Il parallelo con 1Cor 11:2-6 che evidenzia che non è solo l’uomo a profetizzare ma anche la donna, oltre alla parità uomo-donna (nella creazione e nella redenzione) sostenuta da Paolo.
  • L’esplicita dichiarazione di Paolo che “non c’è né maschio né femmina”. – Gal 3:28.
  • Il comportamento di Paolo così come lo conosciamo dalle sue lettere e da Atti degli apostoli.

   I diversi studiosi che hanno esaminato il testo di 1Cor 14:33b-40 in relazione ai cinque punti suddetti hanno formulato ipotesi e altri studiosi le hanno demolite. Alla fine alcuni si sono pronunciati per il femminismo paolino e altri per il suo antifemminismo. Per non rischiare di ripercorrere a nostra volta strade già percorse, è utile tirare le somme del lavoro già compiuto dagli studiosi. Anzi, è proficuo perché ci mette in una posizione neutrale permettendoci di verificare con serenità le diverse conclusioni, e ciò senza partire da una posizione preconcetta. Alla fine l’esame della questione sarà davvero completo e potremo giungere ad una interpretazione motivata perché ben setacciata.

   Nel prossimo studio prenderemo quindi in considerazioni le diverse interpretazioni.