L’Insegnamento di Dio, la sua Toràh, è stato abolito? La stragrande maggioranza delle chiese cristiane sostiene che la Legge di Dio sia stata abolita. Tale idea viene spesso sostenuta citando Paolo. Comunque, da un esame anche superficiale, perfino frettoloso, sembra emergere un doppio concetto di Legge da parte dell’apostolo delle genti.

 

Rm 3:31

Rm 3:28

“Annulliamo dunque la legge mediante la fede? No di certo!

Anzi, confermiamo la legge”

“Riteniamo che l’uomo è giustificato mediante la fede

senza le opere della legge”

 

   Qui, nello stesso capitolo, sembrerebbe che Paolo dica due cose diverse e in contrasto tra loro, una a poca distanza dall’altra. Sembra che Paolo alcune volte dica che la Legge è buona e altre volte dica che è cattiva. Sembra. A meno di tacciare Paolo di contraddizione, occorre andare a fondo e capire il suo pensiero ispirato. La domanda, quindi, è: Paolo insegna forse che Yeshùa abbia abolito la Legge e che di conseguenza oggi i credenti non siano più tenuti a osservarla?

   Così la pensano e così insegnano molte confessioni religiose cristiane. Capire cosa dice la Bibbia al riguardo è di estrema importanza: se la Legge va osservata, rischiamo di non avere l’approvazione di Dio se non l’osserviamo. S’impone perciò un serio esame della questione.

Paolo e la Legge

  La parola greca nòmos (νόμος), “legge”, è usata da Paolo non meno di 110 volte nei suoi scritti. Ma non sempre Paolo usa questa parola dando a essa l’identico significato. Paolo usa la parola “legge” riferita a:

  • Le Scritture Ebraiche. “Voi che volete essere sotto la legge, non prestate ascolto alla legge? Infatti sta scritto che Abraamo […]” (Gal 4:21,22). “È scritto nella legge [qui cita poi non dei testi legislativi, ma delle profezie – Dt 28:49; Ger 5:15; Is 28:11,12]”. – 1Cor 14:21.
  • La Legge mosaica. “Io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l’uomo interiore”, “Io con la mente servo la legge di Dio” (Rm 7:22,25). “Nella legge di Mosè è scritto”. – 1Cor 9:9.
  • La volontà di Dio scritta sui cuori dei non giudei o legge della coscienza. “Quando degli stranieri, che non hanno legge, adempiono per natura le cose richieste dalla legge, essi, che non hanno legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda”. – 1Cor 2:14,15.
  • L’insieme dei principi etici di condotta. “Dov’è dunque il vanto? Esso è escluso. Per quale legge? Delle opere? No, ma per la legge della fede”. – Rm 3:27.
  • L’inclinazione umana peccaminosa o legge del peccato. “Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me”. – Rm 7:21.
  • La guida dello spirito santo di Dio. “La legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte”. – Rm 8:2.

Soluzione dell’apparente contraddizione paolina

   È possibile districarsi tra le apparenti contraddizioni che troviamo nei testi paolini? La Legge è stata abrogata da Yeshùa, “abolendo nel suo corpo terreno la causa dell’inimicizia, la legge fatta di comandamenti in forma di precetti” (Ef 2:14,15)? Oppure, dobbiamo dire con Paolo che “confermiamo la legge” (Rm 3:31)?

   È possibile accordare il fatto che “ciò che conta è l’osservanza dei comandamenti di Dio” (1Cor 7:19) con il fatto che “l’uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge” (Rm 3:28)?

   Alcuni esegeti hanno tentato la spiegazione che Paolo riterrebbe abolita la Legge mosaica, pur continuando ad affermare la validità della Legge come insieme di princìpi. In altre parole, la Legge di Dio non sarebbe più vincolante, ma i suoi princìpi dovrebbero ugualmente guidarci. In linguaggio popolare, si direbbe salvare capra e cavoli. A questa facile soluzione aderiscono in molti. Così, capita di leggere in una pubblicazione religiosa che “uno studio della Legge con le sue Dieci Parole [= Dieci Comandamenti] è essenziale per i cristiani, perché rivela come Dio vede le cose”. Quest’affermazione sembra ragionevole e invitante, ma nella pratica? Se leggiamo il quarto Comandamento (“Ricòrdati del giorno del riposo per santificarlo” – Es 20:8) e lo ‘studiamo per capire come Dio la pensa’, per quanto continuiamo a studiarlo, ci dirà sempre che Dio vuole che santifichiamo il sabato. Rimane la domanda: Ubbidiremo o no al Comandamento di Dio? In questa scia di facile soluzione che riduce tutta la Legge di Dio a un insieme di semplici princìpi, moltissimi cosiddetti cristiani amano asserire che Yeshùa, secondo loro, ha ridotto tutta la Legge a due soli princìpi: amare Dio e il prossimo.

   Queste facili spiegazioni, comunque, non appaiono soddisfacenti, perché nella Scrittura non troviamo per niente questa presunta distinzione tra Legge abolita e i suoi soli princìpi morali ancora validi.

   Considerate le apparenti contraddizioni presenti in Paolo circa la Legge, l’unico modo per risolverne la tensione è quello di considerare i diversi contesti in cui Paolo parla della Legge. Scopriamo così che:

  1. Nel contesto della salvezza, Paolo afferma che l’osservanza della Legge non serve a giustificarci: “Mediante le opere della legge nessuno sarà giustificato davanti a lui [Dio]”. – Rm 3:20.
  2. Nel contesto della condotta del credente, Paolo afferma che la Legge mantiene tutto il suo valore. “Che cosa diremo dunque? La legge è peccato? No di certo! Anzi, io non avrei conosciuto il peccato se non per mezzo della legge; poiché non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: ‘Non concupire’. Ma il peccato, còlta l’occasione, per mezzo del comandamento, produsse in me ogni concupiscenza; perché senza la legge il peccato è morto. Un tempo io vivevo senza legge; ma, venuto il comandamento, il peccato prese vita e io morii; e il comandamento che avrebbe dovuto darmi vita, risultò che mi condannava a morte. Perché il peccato, còlta l’occasione per mezzo del comandamento, mi trasse in inganno e, per mezzo di esso, mi uccise. Così la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono” (Rm 7:7-12). “Ciò che conta è l’osservanza dei comandamenti di Dio”. – 1Cor 7:19.

   Paolo è chiaro: “Noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne fa un uso legittimo” (1Tm 1:8). Esiste dunque anche un uso non legittimo della Legge? Paolo intende proprio questo. Egli spiega: “Se la giustizia si ottenesse per mezzo della legge, Cristo sarebbe dunque morto inutilmente” (Gal 2:21). Il ragionamento di Paolo è non solo perfettamente logico, ma teologicamente importantissimo: L’osservanza della Legge, da sola, non ci fa ottenere la condizione di giusti presso Dio;  ci occorre Yeshùa.

   Paolo usa questa espressione: “La circoncisione non conta nulla, e l’incirconcisione non conta nulla”. La usa tre volte:

 

“La circoncisione non conta nulla, e l’incirconcisione non conta nulla;

ma ciò che conta è l’osservanza dei comandamenti di Dio”

1Cor 7:19

“In Cristo Gesù non ha valore né la circoncisione né l’incirconcisione;

quello che vale è la fede che opera per mezzo dell’amore”

Gal 5:6

“Tanto la circoncisione che l’incirconcisione non sono nulla;

quello che importa è l’essere una nuova creatura”

Gal 6:15

   Si noti il parallelismo: la prima frase (“La circoncisione non conta nulla, e l’incirconcisione non conta nulla”), presente in tutti e tre i passi, è seguita da un’altra frase (diversa per ciascun passo) che – dato il parallelismo – dovrebbe equivalere alle altre. Si ha così:

“Ciò che conta è l’osservanza dei comandamenti di Dio”

“Quello che vale è la fede che opera per mezzo dell’amore”

“Quello che importa è l’essere una nuova creatura”

   Ricomponendo il concetto paolino, si ha che “l’essere una nuova creatura” significa avere “la fede che opera per mezzo dell’amore” con “l’osservanza dei comandamenti di Dio”.

   Paolo, dunque, rifiuta la Legge come mezzo di salvezza, ma sostiene la Legge come norma di comportamento del credente. Rigetta il legalismo e afferma la Legge.

Il legalismo

   Il tentativo umano di ottenere giustizia (ovvero la condizione di persone giuste davanti a Dio) attraverso la scrupolosa osservanza della Legge si chiama legalismo. Il legalismo è la tendenza a rispettare strettamente la legge, con eccessiva attenzione agli aspetti formali. Specialisti in questo campo erano i farisei, la cui teologia aveva come base proprio il legalismo, e in cui lo stesso Paolo era stato formato. L’ideale dei farisei era di applicare la Legge precisamente, fino al raggiungimento della perfezione. La Toràh si prestava al rischio di legalismo: adottandola come codice, era facile estrarla dal suo contesto di alleanza e applicarla come fosse una legislazione. Così avevano fatto i farisei tramite procedure che avevano dato luogo a tutta una precettistica, una casistica e una particolareggiata giurisprudenza. Nonostante le buone intenzioni, si andò incontro a inevitabili problemi. I suoi depositari arrivarono, con il tempo, a canonizzare le loro stesse interpretazioni. Ad esempio, proibirono perfino di prendere una pulce durante il sabato perché ciò era considerato andare a caccia (e quindi un lavoro). Costoro trascurarono il consiglio ispirato di Ec 7:16: “Non essere troppo giusto, e non farti troppo saggio: perché vorresti rovinarti?”.