“Egli ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l’ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce; ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce”. – Col 2:14,15.

   Per capire bene il pensiero di Paolo occorre sapere che i colossesi avevano subito l’influenza della dominazione greca con i suoi culti pagani e che ora stavano subendo la dominazione romana, sempre pagana. Quei credenti di Colosse avevano abbandonato i costumi pagani di Roma e della Grecia e avevano accettato Yeshùa come loro Redentore. Paolo era molto preoccupato per una possibile manipolazione mentale dei fratelli colossesi che potevano essere di nuovo attratti da elementi della religione che rendeva un culto sensuale a Diana e dall’influenza del ragionamento filosofico greco.

   Paolo aveva avvertito i suoi fratelli colossesi dei pericoli della retorica persuasiva: “Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri secondo la tradizione degli uomini e gli elementi del mondo e non secondo Cristo” (2:8). La sua preoccupazione era che le vuote e ingannevoli speculazioni filosofiche avrebbero portato molti ad allontanarsi dalla verità. Occorre quindi fare molta attenzione a non togliere le parole paoline dal contesto per usarle strumentalmente per sostenere l’abolizione della Legge di Dio.

   La frase chiave che deve essere analizzata è “il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano” o, come traduce TNM, “il documento scritto a mano contro di noi, che consisteva in decreti e che ci era contrario”. Il punto cruciale è: Di che “documento” si tratta? È un “documento” divino oppure umano? Il fatto che Paolo dica che tale documento era “a noi ostile”, “contro di noi” (TNM), già ci dovrebbe far venire dei grossi dubbi che egli stia parlando della Legge di Dio: le ordinanze di Dio sono contro di noi? Per la verità, le leggi del Signore sono per il nostro bene. “Il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi e di temere il Signore, il nostro Dio, affinché venisse a noi del bene sempre”. – Dt 6:24.

“E ora, Israele, che cosa chiede da te il Signore, il tuo Dio, se non che tu tema il Signore, il tuo Dio, che tu cammini in tutte le sue vie, che tu lo ami e serva il Signore, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua, che tu osservi per il tuo bene i comandamenti del Signore e le sue leggi che oggi ti do?”. – Dt 10:12,13.

   Detto questo, riprendiamo ora la domanda: Di che “documento” si tratta? Vediamo quali parole utilizza Paolo:

χειρόγραφον τοῖς δόγμασιν

cheirògrafon tòis dògmasin

obbligazione scritta per decreti

   La prima parola su cui andare a fondo è χειρόγραφον (cheirògrafon), numero Strong  5498, parola composta da χείρ (chèir) che significa “mano” e dal verbo γράφω (gràfo) che significa “scrivere”. Si tratta dunque di un “documento scritto a mano” (TNM), anche se la parola “documento” viene aggiunta dal traduttore. La parola greca cheirògrafon, infatti, significa semplicemente “scritto a mano”. Ovvio poi che si tratti di qualche documento.

   Per individuare il tipo di “scritto a mano” (cheirògrafon) occorre perciò riferirsi alle parole successive τοῖς δόγμασιν (tòis dògmasin). La prima (tòis) è semplicemente l’articolo determinativo. In quanto alla parola δόγμα (dògma), di cui dògmasin è dativo plurale, la questione sta tutta qui, in questo vocabolo. Il modo migliore per comprenderne il significato di una parola biblica è quello di riferirsi alla Scrittura stessa e vedere come quella parola vi viene utilizzata. Scopriamo così che la parola δόγμα (dògma), numero Strong 1378, è usata in tutto in cinque casi nelle Scritture Greche. Non sarà quindi difficile esaminare questi casi e vederne il significato.

  1. Lc 21:1: “Or in quei giorni fu emanato da Cesare Augusto il decreto [δόγμα (dògma)] che tutta la terra abitata si registrasse” (TNM). Si tratta qui di un decreto umano, emanato dall’imperatore.
  2. At 16:4: “Or mentre viaggiavano per le città, trasmettevano a quelli che erano in esse, affinché li osservassero, i decreti [δόγματα (dògmata)] emessi dagli apostoli e dagli anziani a Gerusalemme” (TNM). Si fa qui riferimento ai decreti di At 15:20,29, che stabilivano di “di astenersi dalle cose contaminate dagli idoli, e dalla fornicazione e da ciò che è strangolato e dal sangue” (TNM) e che furono decisi dagli apostoli e dagli anziani gerosolimitani. Ancora una volta si tratta di decreti fatti da uomini, tanto che Giacomo (che presiedeva il concilio) dopo una lunga discussione dice: “La mia decisione è” (15:19, TNM). Nello ‘scritto a mano’ (v. 23) che “parve bene agli apostoli e agli anziani” (v. 22, TNM) inviare, si leggeva: “Siamo pervenuti a un accordo unanime” (15:25, TNM). Il tutto con il beneplacito dello spirito santo: “Allo spirito santo e a noi è parso bene”. – 15:28, TNM.
  3. At 17:7: “Tutti questi agiscono contro i decreti [δογμάτων (dogmàton)] di Cesare, dicendo che c’è un altro re, Gesù” (TNM). Si tratta sempre di decreti umani, qui imperiali, “di Cesare”.
  4. Ef 2:15: “Per mezzo della sua carne ha abolito l’inimicizia, la Legge di comandamenti consistente in decreti δόγμασιν (dògmasin)], per creare dei due popoli unitamente a sé un uomo nuovo, facendo la pace” (TNM). Qui Paolo mette in guardia gli efesini proprio come fa con i colossesi. Sta parlando di leggi fatte dall’uomo – δόγματα (dògmata) -, ordinanze fatte per la separazione degli ebrei dai pagani. Yeshùa ha abolito l’odio e inimicizia decretati con tali ordinanze e ha fatto sì che giudei e gentili potessero far parte di un unico corpo. È molto scorretto (e certamente influenzato dalle proprie idee religiose) che TNM metta “la Legge” con la maiuscola per riferirlo alla Toràh. La parola greca νόμος (nòmos), correttamente tradotta “legge”, si riferisce a “qualsiasi legge” (Vocabolario del Nuovo Testamento). Che qui “legge” si riferisca a un ordinamento umano è indicato dal fatto che viene detto che si tratta di τὸν νόμον τῶν ἐντολῶν ἐν δόγμασιν (ton nòmon ton entolòn en dògmasin), “la legge delle ingiunzioni in decreti”. La parola greca ἐντολή (entolè), di cui ἐντολῶν (entolòn) è genitivo plurale, indica un “ordine, comando, precetto, ingiunzione”. La parola è usata anche per significare i precetti della Legge di Dio, ma non esclusivamente. Ad esempio, il fratello del figliol prodigo della parabola fa presente a suo padre: “Sono tanti anni che ti faccio da schiavo e non ho mai trasgredito un tuo comandamento [ἐντολήν (entolèn)]” (Lc 15:29, TNM); qui la parola significa semplicemente “comando”. Così in Gv 11:57: “I capi sacerdoti e i farisei avevano dato ordine [ἐντολὰς (entolàs), “ordini”] che se qualcuno avesse saputo dov’era, avrebbe dovuto rivelar[lo], affinché lo potessero afferrare” (TNM); si tratta di “ordini” dati della autorità giudaiche. In più, queste “ingiunzioni” (ἐντολαὶ, entolài) è detto che sono ἐν δόγμασιν (en dògmasin), “in decreti”. Ancora una volta, è il contesto che dà il senso alle parole. Paolo inizia il cap. 2 della sua lettera agli efesini ricordando loro che vivendo nel peccato (vv. 1-3); poi dice che l’amore di Dio li ha uniti a Yeshùa (vv. 4-7); ciò è dono di Dio (vv. 8-10); poi dice loro: “Continuate a rammentare che una volta voi eravate persone delle nazioni” (v. 11, TNM); in quel tempo in cui non si erano convertiti erano “esclusi dallo stato d’Israele ed estranei ai patti della promessa” (v. 12, TNM); ma ora, dice loro Paolo, “voi che una volta eravate lontani, vi siete avvicinati mediante il sangue del Cristo” (v. 13, TNM); Yeshùa “delle due parti ne ha fatto una sola e ha distrutto il muro di mezzo che le separava” (v. 14, TNM). È a questo punto che Paolo spiega come il “muro” che separava giudei e pagani è stato abbattuto da Yeshùa, “annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia” (vv. 15,16, CEI). Ora, non si può assolutamente attribuire alla Legge di Dio la funzione di “muro” che causava “inimicizia” tra giudei e pagani. Vero è che i pagani vivevano a modo loro e i giudei secondo le norme divine, ma la Legge di Dio ammetteva che dei pagani potessero unirsi a Israele e sottomettersi alla Legge (Es 2:49;12:38). In nessun modo la Legge poteva essere ritenuta causa di odio e inimicizia. Paolo sta, infatti, parlando di leggi umane e di decreti umani. A cosa si riferisse esattamente Paolo lo vediamo nella quinta e ultima volta in cui nella Bibbia appare il termine δόγμα (dògma). – Per approfondimenti si veda lo studio precedente, La legge fatta di precetti in forma di comandamenti.
  5. Col 2:14. È il passo che stiamo considerando. In armonia con tutte le altre volte in cui la parola δόγμα (dògma) compare nella Scrittura, ci aspettiamo che anche qui si riferisca a decreti umani. Che sia così si deduce dall’esame del v. 20: “Se moriste insieme a Cristo rispetto alle cose elementari del mondo, perché, come se viveste nel mondo, vi assoggettate ancora ai decreti [δογματίζεσθε (dogmatìzesthe)]” (TNM)?  Si noti bene: “Come se viveste nel mondo”. Quei colossesi si assoggettavano ai decreti ‘come vivendo nel mondo’. È del tutto chiaro, fuori d’ogni ombra di dubbio, che quei decreti regolavano il mondo pagano da cui i colossesi erano usciti. Ora se ne facevano di nuovo assoggettare. Suo malgrado, TNM aggiunge anche l’avverbio “ancora”, indicante che quei colossesi già avevano fatto così. Ma giacché non erano mai stati assoggettati alla Legge di Dio, perché pagani, non avrebbero certo potuto esserne di nuovo soggetti. Però, come pagani, erano stati soggetti a quei “decreti” e ora, come se fossero ancora “nel mondo”, ci ricadevano. Si noti anche il parallelismo che Paolo fa: egli pone sullo stesso piano le “cose elementari del mondo” e i “decreti”. Quali siano queste cose, lo esemplifica lui stesso subito dopo: “Non prendere, non assaggiare, non toccare” (v. 21, TNM). Tutte queste cose, dice Paolo, sono “secondo i comandi [ἐντάλματα (entàlmata), “comandi”, non comandamenti] e gli insegnamenti degli uomini” (v. 22, TNM). Se fossero relativi alla Legge divina sarebbero ‘secondo i comandi e gli insegnamenti di Dio’, non “degli uomini”. Sono invece precetti del tutto umani.

   Oltre a queste evidenze bibliche, occorre qui fare anche un ragionamento logico. Se – e solo se, per amore di ragionamento – fosse stata abolita la Legge di Dio, vivremmo davvero senza Legge. Però, 1Gv 3:4 afferma: “Chiunque commette il peccato trasgredisce la legge: il peccato è la violazione della legge”. Ora, se togliamo la Legge, non abbiamo più qualcosa da trasgredire, per cui non ci sarebbe più peccato. E, senza peccato, a che mai servirebbe un Redentore? Ma questa non è davvero la nostra situazione, perché “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Rm 3:23). Dio ci dice che sua Legge è per il nostro bene. “Osserverete diligentemente i comandamenti del Signore, il vostro Dio, le sue istruzioni e le sue leggi che vi ha date. Farai ciò che è giusto e buono agli occhi del Signore, affinché venga a te del bene”. – Dt 6:17,18.

   È più che evidente che l’insegnamento dell’apostolo Paolo in Col 2:14 non si riferisce alla Legge di Dio. Egli si riferisce ai precetti e alle consuetudini seguite dai colossesi prima della loro conversione. In Col 2:14 Paolo dice ai colossesi che quando il messia è morto ha cancellato le ordinanze pagane cui loro si attenevano. Ora i colossesi non dovevano più ricadere in queste pratiche.

   Paolo dice, al versetto 16, che pertanto non si deve permettere a qualcuno di essere nostro giudice o di dirci cosa fare circa la carne, le bevande, i giorni santi, le lune nuove e i sabati. Noi non dobbiamo permettere che l’uomo con i suoi costumi pagani decida cosa dobbiamo fare o ci giudichi perché rispettiamo le norme bibliche e i giorni santi di Dio.

   I colossesi erano molto influenzati da filosofie pagane che insegnavano che la perfezione può essere raggiunta attraverso il sacrificio e l’astinenza dal piacere. Di conseguenza, quella di Colosse tendeva a essere una comunità ascetica. Paolo li corregge. Cerca di farli ragionare: se loro sono morti con Yeshùa rispetto ai principi del mondo, perché, come se vivessero ancora nel mondo, rimangono soggetti a normative come “non toccare, non assaggiare, non maneggiare” (Col 2:21)? Queste normative sono “tutte cose destinate a scomparire con l’uso” e sono “secondo i comandamenti e le dottrine degli uomini” (v, 22). Tali cose hanno “una parvenza di sapienza per quel tanto che è in esse di culto volontario, di umiltà e di austerità nel trattare il corpo, ma non hanno alcun valore” (v. 23). A quanto pare, alcuni avevano cominciato a pensare che tale ascetismo autoimposto avrebbe potuto in qualche modo contribuire alla loro salvezza e avevano cominciato a voltare le spalle alla fiducia in Yeshùa. Avevano più fede nelle loro opere d’ispirazione pagana che non nell’azione salvifica del messia. Paolo li aveva avvisati: “Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri secondo la tradizione degli uomini e gli elementi del mondo e non secondo Cristo” (Col 2:8). Dio aveva chiamato i componenti della chiesa di Colosse fuori dal loro mondo pagano e dovevano quindi star lontani da una concezione ascetica della vita. Essi avevano cominciato così a imparare a godere la vita in modo equilibrato come Dio desidera. Ciò includeva il mangiare carne, il bere vino e il rallegrarsi godendo della gioia del sabato e delle Festività di Dio. È detto, infatti, che loro osservano i noviluni, il sabato e i giorni santi proprio come Dio comanda. Poiché quei colossesi convertiti avevano imparato a godere la vita come Dio vuole, certuni avevano iniziato a guardarli con diffidenza e a giudicarli, condannandoli. Per affrontare questi problemi, Paolo dice loro vigorosamente che non hanno alcun bisogno delle filosofie pagane di questo mondo “perché in lui [in Yeshùa] abita corporalmente tutta la pienezza della Deità” e loro hanno “tutto pienamente in lui”. – Col 2:9,10.

   In 2:11-14, Paolo dimostra come Yeshùa è morto per pagare la sanzione per i nostri peccati e ora i nostri peccati passati, causati dall’esserci conformati ai modi e alle pratiche delle filosofie di questo mondo, sono completamente cancellati e inchiodati alla sua croce. Egli ricorda loro che Yeshùa ha completamente vinto tutti gli spiriti maligni che continuano a governare il male del mondo e che ispirano la filosofia pagana: “Ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce”. – Col 2:15.

   Con queste forti parole d’incoraggiamento sullo sfondo, Paolo spiega al versetto 16 che non devono essere distolti dall’atteggiamento sano del loro stile di vita, che consiste nell’osservare i giorni santi di Dio. In altre parole, non devono preoccuparsi di quello che la gente pensa del piacere che provano nel mangiare del buon cibo, nel bere vino e nel celebrare gioiosamente il sabato e le Festività bibliche. Cristo ha conquistato il mondo e tutti i suoi governanti, per cui non abbiamo bisogno di preoccuparci per ciò che il mondo pensa di noi. “Nessuno dunque vi giudichi”. – Col 2:16.