La parola Pasqua, in ebraico פֶּסַח (pèsakh), indica il “passare oltre”. Che significato ha? Questa è la domanda che i bambini ebrei avrebbero rivolto ai loro genitori. “Osserverete quest’usanza anche quando sarete entrati nella terra che il Signore ha promesso di darvi. Allora i vostri figli vi chiederanno: ‘Qual è il significato di quest’usanza?’; e voi direte loro: ‘È il sacrificio della Pasqua in onore del Signore, il quale, quando colpì gli Egiziani, ha risparmiato le case degli Israeliti e ha salvato le nostre famiglie’”. – Es 12:25-27, PdS.

   Tutto inizia dopo la nona delle “dieci piaghe” con cui Dio aveva colpito l’Egitto che si rifiutava di lasciar libera Israele tenuta schiava. “Il Signore disse a Mosè: ‘Io farò venire ancora una piaga sul faraone e sull’Egitto; poi egli vi lascerà partire da qui. Quando vi lascerà partire, egli addirittura vi scaccerà di qui’” (Es 11:1). Mosè annunciò al faraone egizio che con la decima e ultima piaga sarebbero morti tutti i primogeniti d’Egitto, uomini e animali. – Es 11:4-8.

   In Es 12 troviamo le istruzioni che Dio diede per celebrare la prima Pasqua, connessa con la decima piaga e con la liberazione di Israele. Il decimo giorno del primo mese del calendario biblico, nissàn o abìb (nostro marzo-aprile), nelle case ebraiche si doveva mettere da parte un agnello o un capretto, mettendolo in comune, se il caso, con una famiglia piccola, in modo che bastasse per tutti (Es 12:2-5). L’agnello o capretto doveva essere conservato fino al quattordicesimo giorno e quindi scannato: “Lo serberete fino al quattordicesimo giorno di questo mese, e tutta la comunità d’Israele, riunita, lo sacrificherà al tramonto”. – Es 12:6.

   Tutti gli israeliti dovevano rimanere in casa per non essere uccisi dall’angelo sterminatore che sarebbe passato a uccidere i primogeniti (Es 12:12,13). Per questo motivo, si doveva prendere il sangue dell’agnello e aspergerlo “sui due stipiti e sull’architrave della porta delle case” (Es 12:7): era il segno che indicava all’angelo di ‘passare oltre’ (Es 12:13) – da cui il nome di pèsakh (פֶּסַח), “Pasqua” -, risparmiando le famiglie ebree.

   “Se ne mangi la carne in quella notte; la si mangi arrostita al fuoco, con pane azzimo e con erbe amare. Non mangiatelo poco cotto o lessato nell’acqua, ma sia arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le interiora. Non lasciatene avanzo alcuno fino alla mattina. Quello che sarà rimasto fino alla mattina, bruciatelo con il fuoco. Mangiatelo in questa maniera: con i vostri fianchi cinti, con i vostri calzari ai piedi e con il vostro bastone in mano; e mangiatelo in fretta: è la Pasqua del Signore”. – Es 12:8-11.

   L’ultima piaga (come, del resto, tutte e dieci) fu un giudizio anche contro gli dèi d’Egitto; ciò valse particolarmente per la decima piaga con la morte dei primogeniti (Es 12:12). Il montone era un animale sacro al dio Ra, e l’aspersione delle porte proprio col sangue d’agnello era sacrilega per gli egiziani. Il toro era animale sacro al dio Osiride, e l’uccisione dei primogeniti, che includeva anche i tori, era un’umiliazione per quel dio pagano. Lo stesso faraone era venerato come figlio di Ra, e la morte del suo primogenito dimostrava quanto impotente fosse sia il dio Ra sia il faraone.

   Gli ingredienti della cena pasquale sono molto indicativi. Le “erbe amare” rammentavano l’amarezza della loro schiavitù; il “pane azzimo” o non lievitato significava la fretta con cui dovevano uscire dall’Egitto, fretta evidente anche nel modo in cui dovevano consumare quella cena: con i calzari ai piedi e con il bastone in mano, e mangiando di corsa.

   L’agnello, che doveva essere maschio e sano (Es 12:5), è prefigurativo del messia di Dio, Yeshùa, “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo”. – Gv 1:29.

   “Ricordate questo giorno” (Es 13:3). Doveva essere un segno per il popolo di Dio. “Questa festa sarà per te come un segno posto sulla tua mano e un ricordo sempre davanti ai tuoi occhi, affinché la legge del Signore sia sempre sulla tua bocca. Ogni anno tu dovrai osservare questa festa quando sarà la sua ricorrenza”. – Es 13:9,10, PdS.

   L’Esodo ebraico sta alla base della festa e la storia è basata sulla salvezza fisica del popolo di Israele, ma il simbolismo rappresenta la liberazione e la salvezza spirituale dell’intero popolo di Dio che è liberato da tutte le schiavitù al peccato per mezzo del vero agnello di Dio, Yeshùa.

   Nel deserto da cui gli ebrei liberati passarono per raggiungere la Palestina, si ebbe una sola celebrazione pasquale (Nm 9:1-14). Ciò è spiegabile col fatto che le istruzioni di Dio prevedevano che la Pasqua fosse osservata quando il popolo ebraico fosse giunto nella Terra Promessa: “Quando sarete entrati nel paese che il Signore vi darà, come ha promesso, osservate questo rito” (Es 12:25; cfr. 13:5). Un altro motivo è che per partecipare alla Pasqua, i maschi dovevano essere circoncisi (Es 12:47-49), e nel deserto non lo erano. – Gs 5:5.

   Nella Terra Promessa la Pasqua subì alcuni cambiamenti. Gli israeliti, ormai liberi, non dovevano più mangiarla in piedi e pronti per partire. Durante la prima Pasqua, in Egitto, non era richiesto del vino per accompagnare la cena. Fonti tradizionali ebraiche indicano che durante la cena pasquale si pasteggiava con vino rosso, passandosi quattro calici. Si cantavano anche i Salmi da 113 a 118 (piccolo Hallel) dopo che era stato versato il secondo calice di vino ed era stato spiegato il significato della celebrazione. Secondo la Scuola di Hillel, si cantavano i Sl 113 e 114, e i restanti Sl 115-118 si cantavano al quarto calice di vino.

   La festa di Pasqua (connessa alla festa del Pani Azzimi, di cui tratteremo in un prossimo studio) richiedeva anche il primo dei tre pellegrinaggi a Gerusalemme (Dt 16:16; cfr. Es 23:14;4:23). Ogni maschio, sia ebreo sia residente forestiero in Israele (circonciso), doveva osservare la Pasqua (Nm 9:9-14). I gerosolimitani mettevano a disposizione dei loro connazionali venuti da fuori le proprie case, ospitandoli; nelle case orientali si usava dormire in ogni stanza, anche in più persone, oltre che sui terrazzi; alloggi si trovavano anche fuori dalle mura cittadine, specialmente nei villaggi attorno (come Betfage e Betania, sui pendii del Monte degli Ulivi). – Mr 11:1;14:3.

   Un mese prima della festa già si facevano i preparativi per accogliere i pellegrini: strade e ponti erano sistemati, le tombe erano imbiancate per renderle ben visibili (cfr. A. Edersheim, The Temple, 1874, pagg. 184, 185). Quest’ultimo aspetto si spiega col fatto che chi moriva in aperta campagna era sepolto lì, e la Legge rendeva impuro chi veniva a contatto con un cadavere (Nm 19:1-13), impedendogli di partecipare alla Pasqua (Nm 9:6: Gv 11:55). Per gli ebrei era una contaminazione, che li rendeva impuri, anche venire a contatto con uno straniero (At 10:28), il che spiega Gv 18:28: “Essi [ebrei] non entrarono nel pretorio [romano] per non contaminarsi e poter così mangiare la Pasqua”.

   Coloro che non potevano consumare la Pasqua per qualche ragione o perché in viaggio, potevano celebrarla un mese dopo (Nm 9:6-12; 2Cron 30:2-4). Le disposizioni bibliche per la Pasqua si trovano in Es 12:3-49;23:15-18;34:18, Lv 23:4-8; Nm 9:2-5,13-14;28:16-25; Dt 16: 1-8.

   La partecipazione alla Pasqua di stranieri non ebrei che si erano utili a Israele (Nm 9:14), illustra come anche oggi l’intero popolo di Dio sia tenuto a osservare la Pasqua e tutte le altre sante Festività bibliche comandate da Dio (Gv 10:16; Zc 8:12). La pena per la mancata osservanza di questa Festa è l’esclusione dal popolo o congregazione di Dio. – Nm 9:13.

   La pasqua cristiana, come spiegato nello studio che segue, non ha nulla a che fare con la Pasqua biblica comandata da Dio.

Quando e come celebrare la Pasqua?

   Non ci sono dubbi che la Pasqua era preparata durante il 14 di nissàn, giorno chiamato Preparazione (Mr 15:42; Lc 23:54; Gv 19:14,31.42), in greco παρασκευή (paraskeuè), italianizzato in Parasceve. Veniva poi consumata dopo il tramonto, con l’oscurità notturna all’inizio del 15. Così fanno ancora oggi gli ebrei. La cristianità in generale, come mostrato nel prossimo studio, confonde la Pasqua biblica con la resurrezione di Yeshùa e la celebra sempre di domenica. I Testimoni di Geova, che confondono l’ultima cena con la Pasqua, credono che la Cena abbia sostituito la Pasqua; in più sono detrattori della Legge, ignorando la Pasqua. Facendo confusione, non riescono neppure a stabilire bene la data della commemorazione della Cena del Signore. Anziché seguire le indicazioni bibliche, si basano sulla luna piena, non considerando che il 14 di nissàn, per quanto vicino al plenilunio, non può essere il giorno della luna piena perché il mese lunare dura circa 29,5 giorni e la sua metà (plenilunio) cade quindi dopo il 14. Inoltre, fanno una gran confusione circa il giorno della Pasqua, che comunque non celebrano poiché non ubbidiscono alla Legge di Dio. Il loro errore si basa su due presupposti errati che sono contenuti in questa loro asserzione: “Per gli israeliti il giorno andava da tramonto a tramonto. Perciò il giorno di Pasqua iniziava al tramonto, alla fine del 13° giorno di abib (nisan). L’animale si doveva uccidere ‘fra le due sere’. (Eso 12:6)” (Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 2, pag. 493). Intanto, il giorno biblico non inizia al tramonto ma dopo, con l’oscurità della notte. Inoltre il periodo “fra le due sere” non cade come loro sostengono “fra il tramonto del sole e l’oscurità del crepuscolo” ovvero “fra il tramonto e l’oscurità” (Ibidem). Facendo questo errore, pongono la Pasqua all’inizio del 14. E l’errore è doppio, perché il periodo “fra il tramonto e l’oscurità” (Ibidem) appartiene ancora al giorno che finisce, nella fattispecie al 13. Il 14 inizia dopo che è calata oscurità, e il periodo “fra le due sere” – בֵּין הָעַרְבָּיִם (ben harbàym) (Es 12:6) – cade alla fine del 14. Ciò è dimostrato da Es 29:38,39: “Offrirai sull’altare: giovani montoni ciascuno di un anno, due al giorno, di continuo. E offrirai un giovane montone la mattina, e offrirai l’altro giovane montone fra le due sere” (TNM). La sequenza è chiara: nello stesso giorno, prima la mattina e poi “fra le due sere”, per cui quest’ultimo periodo non può che cadere nel pomeriggio di quello stesso giorno, da quando il sole inizia a calare (verso le 15, in nissàn) fino al suo tramonto. Per i particolari si veda il sottotitolo “Fra le due sere” nello studio L’ultima Pasqua di Yeshùa nella sezione Yeshùa.

   Per determinare oggi quando celebrare la Pasqua, ci si può avvalere delle tabelle che indicano il novilunio (che segna l’inizio del mese biblico). Tali tabelle sono disponibili nello studio Noviluni fino al 2030, tempo di Gerusalemme nella categoria Il calendario biblico, in questa stessa sezione. Per sapere a quale nostro mese corrisponde nissàn in un determinato anno, occorre un lunario ebraico, disponibile in Internet all’indirizzo http://www.torah.it/lunario/, facendo comunque attenzione a riferirsi solo al mese, perché i giorni seguono il computo rabbinico e non biblico. Individuato il mese di nissàn, che cade nel periodo marzo-aprile, con la tabella del novilunio che indica il 1° di nissàn, non è difficile stabilire poi il 14, giorno della Preparazione. Oggigiorno non abbiamo necessità di scannare un agnello o un capretto “fra le due sere” del 14; si trova facilmente in macelleria. Si può quindi approntare la cena pasquale con erbe amare, pane azzimo e vino rosso. La carne va arrostita: “Non mangiatelo poco cotto o lessato nell’acqua, ma sia arrostito” (Es 12:9). La cena va consumata dopo che è calata l’oscurità ovvero all’inizio del 15 di nissàn.

   Una notte di veglia. Riguardo alla notte di Pasqua, la Bibbia dice: “Questa è una notte da celebrarsi in onore del Signore, perché egli li fece uscire dal paese d’Egitto; questa è la notte di veglia in onore del Signore per tutti i figli d’Israele, di generazione in generazione” (Es 12:42). “Notte di veglia” è nel testo ebraicoלֵיל שִׁמֻּרִים  (lel shimurìym). La parola plurale שִׁמֻּרִים (shimurìym) si trova solo qui; la radice shamar significa recintare (come con siepi), quindi ha il senso di proteggere, attendere con attenzione. Il concetto della “notte di veglia” è di prestare attenzione a se stessi, essere prudenti. Non si tratta di stare attenti a pericoli esterni ma, come circondati da siepi, di prestare attenzione a se stessi e all’evento stesso. La variante shomèr ha il significato di scrutare, guardando con speranza. È lo stesso concetto che troviamo nella prima Pasqua, quando gli ebrei, all’interno delle loro case, erano protetti dall’ira distruttrice di Dio grazie al sangue dell’agnello, asperso sulle porte all’ingresso delle loro case. Israele dovette stare necessariamente all’erta, quella notte, in attesa di ordini su come muoversi. Nella prima Pasqua gli ebrei furono protetti dall’angelo della morte. Dio veglia sul suo popolo: “Colui che ti protegge non sonnecchierà. Ecco, colui che protegge Israele non sonnecchierà né dormirà”. – Sl 121:3,4.

   Questa notte così speciale è davvero l’occasione giusta per riflettere sulla grandiosità di Dio, apprezzando la liberazione che ci dona da tutte le schiavitù e la prossima grande liberazione dopo il giudizio che nella Bibbia è espresso in linguaggio simbolico contro l’Egitto (Ez 29:1-7;32:1-32). È una notte di veglia per meditare, apprezzandolo, sul sacrificio compiuto da Yeshùa, il vero agnello pasquale, in nostro favore. – Gv 1:29,36; 1Cor 5:7; 1Pt 1:19.