La “sapienza” orientale

   La parola “sapienza” traduce il vocabolo ebraico חָכְמָה (khokmàh) che non ha un perfetto equivalente in italiano. Per gli ebrei indicava l’abilità di una persona in un campo specifico. Così, gli ebrei parlavano di un muratore saggio oppure di un carpentiere saggio. Ancora oggi gli arabi chiamano “saggio” il medico. “Saggio” è anche la persona che sa dirigere bene la propria vita e i propri affari in modo che tutto abbia a procedere magnificamente.

   Come si nota, questo è un concetto pratico. Ricordiamo ancora una volta che per gli ebrei non esisteva l’astrazione. Tutto era pratico. Il concetto biblico di khokmàh – “sapienza” – era un concetto pratico che nulla ha a che vedere con la filosofia.

   Egitto e Mesopotamia. Il concetto di sapienza come lo hanno oggi gli occidentali si rinviene però presso gli egizi e i mesopotamici. Siccome la difficoltà della scrittura faceva sì che non molti sapessero leggere e scrivere, solo una speciale casta di scribi professionali aveva accesso alla scrittura. Costoro appaiono accanto al faraone egizio o al re assiro, stanno alla direzione dei templi, presiedono all’amministrazione dei beni appartenenti ai nobili pur non facendo parte della nobiltà. Gli scribi erano strettamente associati alla guida della nazione e stavano ben poco al di sotto dei grandi, costituendo così un’importantissima classe sociale che permetteva loro di salire all’ambita vetta di visìr. La loro istruzione si attuava ricopiando i detti dei saggi che li avevano preceduti. Collezioni di questo tipo sono apparse sia in Egitto che in Mesopotamia. Per poter salire in alto lo scriba doveva agire con quello che i francesi chiamerebbero savoir faire: la norma si riduceva all’assioma “non offendere alcuno!”. La “sapienza” egizia aveva un utile manuale che insegnava l’arte di farsi degli amici (cfr. i testi egizi editi da P. Humbert, Recherches sur les sources egyptiennes de la letterature sapienziale; E. Ebeling, Die Babylonische Fabel und thre Bedeutung für die Literaturgeschichte). Talora, ma di rado, si toccavano problemi importanti come quello del male. Questi racconti sapienziali esercitarono un notevole influsso su greci e romani. – Cfr. Esopo, Fedro.

   Fenicia. A Ras Shamra, in Fenicia (odierno Libano), furono scoperti nel 1929 le rovine di Ugarit, antica città distrutta nel 12° secolo a. E. V.. Nei documenti ritrovati si nomina il “saggio” Daniel, pure nominato in Ez 14:14,20. Le traduzioni della Bibbia hanno: “Questi tre uomini: Noè, Daniele e Giobbe” (anche TNM). Non ci si faccia ingannare dalla traduzione “Daniele” e dal fatto che costui è menzionato insieme e Noè e Giobbe. La Bibbia non ha “Daniele”, ma “Daniel”.

 

Ez 14:14,20

דָּנִאֵל

danièl

Danièl

Dn 1:6

דָּנִיֵּאל

daniyèl

Daniele

דָּנִאֵל

Manca la consonante י  (y)

דָּנִיֵּאל

Ha la consonante י  (y)

 

   Tornando agli ebrei, la “sapienza” biblica non ha quindi nulla a che fare con la sapienza in senso occidentale. Per la Scrittura si tratta di abilità. Il cosiddetto “cristianesimo”, imbevuto di concetti occidentali, non comprende il significato biblico di “sapienza” e lo confonde con i significati che i vocabolari occidentali ne danno. Ecco degli esempi: “Chi la cerca [la sapienza] deve dedicare tempo allo studio della Parola di Dio” (Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 2, pag. 880; il corsivo è aggiunto); “L’intelligenza ovviamente è un importante coefficiente della sapienza” (Ibidem, corsivo aggiunto); “Uno dei fattori principali nella ricerca della sapienza è lo studio diligente della Bibbia”. – La Torre di Guardia del 15 novembre 1999, pag. 25; il corsivo è aggiunto.

Sviluppo storico della sapienza biblica

   È evidente che le massime sapienziali dovettero circolare presso il popolo ebraico sin dall’epoca patriarcale: è impossibile che non sorgessero massime in quel periodo. Ma è pur vero che le prime collezioni scritte dei Proverbi apparvero in Israele solo nel 10° secolo a. E. V., dopo la creazione della monarchia. Gli ufficiali di corte in Israele – come dimostrano anche i loro titoli di derivazione egizia, come “scriba”, dovettero formarsi su testi egizi. Ciò significa che la sapienza collettiva del popolo ebraico dovette assumere come modello quello egizio che già da tempo fioriva.

   Il più celebre di questi saggi fu Salomone, che ricevette sapienza da Dio insieme ad altre doti meravigliose. Il successo della sua attività di monarca dimostra come egli fosse più di ogni altro arricchito di sapienza. Egli pronunciò 3000 proverbi e 5000 cantici: “[Salomone, vv. 29 e 30] pronunziò tremila massime e i suoi inni furono millecinque [LXX, Vg12 mss., hanno “cinquemila”]” (1Re 4:32). Nel corso dei secoli gli si attribuirono, secondo un metodo assai diffuso in oriente, alcuni Salmi, molti Proverbi ed interi libri, la cui paternità è assai discutibile o addirittura falsa.

“Dio diede a Salomone sapienza, una grandissima intelligenza e una mente vasta com’è la sabbia che sta sulla riva del mare. La saggezza di Salomone superò la saggezza di tutti gli orientali e tutta la saggezza degli Egiziani. Era più saggio di ogni altro uomo; più di Etan l’Ezraita, più di Eman, di Calcol e di Darda, figli di Maol; e la sua fama si sparse per tutte le nazioni circostanti. Pronunziò tremila massime e i suoi inni furono millecinque. Parlò degli alberi, dal cedro del Libano all’issopo che spunta dalla muraglia; parlò pure degli animali, degli uccelli, dei rettili, dei pesci. Da tutti i popoli veniva gente per udire la saggezza di Salomone, da parte di tutti i re della terra che avevano sentito parlare della sua saggezza”. – 1Re 4:29-34.

   L’Ecclesiaste è attribuito a lui: “Parole dell’Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme” (Ec 1:1). Ma anche il libro apocrifo della Sapienza è attribuito a lui, sebbene Salomone non vi sia menzionato per nome: “Tu mi hai prescelto come re del tuo popolo e giudice dei tuoi figli e delle tue figlie; mi hai detto di costruirti un tempio sul tuo santo monte”, “Io giudicherò con equità il tuo popolo e sarò degno del trono di mio padre (Sapienza 9:7,8,12, CEI). Un metodo letterario orientale permetteva di attribuire certi scritti ad un certo autore in base al genere letterario. Alcuni titoli dei Salmi attribuiscono a Salomone qualche salmo, sebbene in gran parte i Salmi siano attribuiti a Davide, il massimo rappresentante della lirica spirituale. Ma i titoli – va detto – non sono ispirati. Si noti come NR include il titolo del Sl 127 nel v. 1, mentre TNM, correttamente, lo esclude:

 

NR

TNM

Salmi 127:1 Canto dei pellegrinaggi. Di Salomone.

Se il SIGNORE non costruisce la casa […]Canto delle ascese.

Di Salomone.

127 1 A meno che Geova stesso non edifichi la casa […]

 

   I titoli o intestazioni o soprascritte di diversi Salmi forniscono informazioni generali, come istruzioni musicali o indicazioni sull’uso del salmo (cfr. i Salmi 3, 4, 5, 6, 7, 30, 38, 60, 92 e 102). Va notato che altre parti poetiche della Scrittura sono spesso introdotte in modo simile (cfr. Es 15:1; Dt 31:30;33:1; Gdc 5:1; paragonare 2Sam 22:1 con la soprascritta di Sl 18). È quindi legittimo pensare che le soprascritte fossero opera di coloro che raccolsero i salmi.

   Anche molti Proverbi, come vedremo, sono attribuiti a Salomone.

   A suo tempo ebbe inizio la classe dei “saggi” che al tempo di Ezechia (a cavallo tra il 700 e il 600 a. E. V.) costituivano una vera accademia dedita alla raccolta de detti sapienziali: “Ecco altri proverbi di Salomone, raccolti dalla gente di Ezechia, re di Giuda”. – Pr 25:1.

   Gli scritti sapienziali, pur utilizzando materiale più antico, nella loro forma sono molto tardivi e si possono collocare al tempo esilico o postesilico (dopo il 7° secolo a. E. V.).

   Di questi libri alcuni contengono delle massime disparate e pratiche su argomenti vari; altri – ma sono ben pochi – contengono invece delle discussioni su di un argomento unico (come nel caso di Giobbe).

   All’inizio la sapienza biblica raccoglieva l’esperienza collettiva delle generazioni passate, che era tramandata di padre in figlio. Tuttavia, a differenza della sapienza pagana, il costitutivo di questa sapienza era il “timore” dell’unico e vero Dio.

 

“Il timor del Signore è il principio della sapienza”. – Sl 111:10.

“Ecco, temere il Signore, questa è saggezza”. – Gb 28:28.

 

   Non è possibile divenire saggi senza questo timore e senza dirigere la propria vita alla sua luce.

   Dopo il crollo della nazione ebraica si capì che la verità di Dio sussisteva nella Legge, per cui praticare la Legge equivaleva ad essere saggi e ignorarla o non praticarla significava percorrere la via della stoltezza. Anche il libro spregiudicato dell’Ecclesiaste, dopo aver posto tutto in discussione, conclude asserendo che l’unica realtà valida è l’osservanza della Legge:

 

“Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso:

Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l’uomo.

Dio infatti farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò che è occulto, sia bene, sia male”.

Ec 12:15,16.

   La vera “sapienza” è quindi frutto di rivelazione divina, un dono di Dio che non deriva dalla meditazione o dall’indagine personale. I cosiddetti “cristiani” che pensano all’occidentale possono insistere quanto vogliono sullo studio, sull’intendimento e sulla meditazione personale, ma non è questa la “conoscenza” di cui la Scrittura parla. E non porta alla “sapienza” intesa biblicamente. Dio solo, infatti, conosce il luogo dove la sapienza vera dimora:

“Da dove viene dunque la saggezza?

Dov’è il luogo dell’intelligenza?

Essa è nascosta agli occhi di ogni vivente,

è celata agli uccelli del cielo.

L’abisso e la morte dicono:

‘Ne abbiamo avuto qualche sentore’.

Dio solo conosce la via che vi conduce,

egli solo sa il luogo dove risiede”.

Gb 28:20-23.

È solo Dio che può comunicare la sapienza alle persone. Nessuno può raggiungerla con le sue forze personali.

 

“Non quelli di lunga età sono saggi,

né i vecchi sono quelli che comprendono il giusto”. – Gb 32:9.

“Quel che rende intelligente l’uomo è lo spirito,

è il soffio dell’Onnipotente”. – Gb 32:8.

   I “saggi” biblici sono persone che dalla rivelazione divina (contenuta nella Legge) traggono delle norme pratiche capaci di condurre alla felicità facendo trascorrere una vita equilibrata su questa terra.

   Talvolta i sapienti della Bibbia toccano problemi molto complessi e ardui, come quello della felicità e del significato della vita (Ecclesiaste) o come quello dell’educazione (Proverbi) o dell’amore (Cantico) o della sofferenza (Giobbe). Ma essi non intendono dare la risposta definitiva: vogliono piuttosto ricordare che solo Dio ne ha la chiave interpretativa.