In questo studio sarà usata (salvo diversa indicazione) la Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture (TNM),

perché questa traduzione tende a essere piuttosto letterale, e nell’esame occorre riferirsi bene al testo biblico.

Saranno comunque riportati in ogni citazione i relativi vocaboli ebraici e greci del testo biblico originale,

in modo da avere riferimenti precisi e sempre conformi alla Scrittura.


 

Parlando d’inizio del giorno biblico, intendiamo qui il giorno di 24 ore. È, infatti, semplicemente ovvio che il “giorno” inteso come dì inizi all’alba. L’errore che fa chi sostiene che il giorno biblico inizi all’alba, confonde appunto il dì con il giorno. Consideriamo qui, quindi, il ciclo completo di 24 ore. Quando inizia secondo la Bibbia? All’alba, al tramonto oppure con l’oscurità, quando appaiono le prime stelle?

   Il passo biblico che normalmente viene citato a dimostrazione che il giorno biblico inizia con l’oscurità è Lv 23:32 che dice: “È un sabato di completo riposo per voi, e dovete affliggere le vostre anime la sera del nono [giorno] del mese. Da sera a sera dovete osservare il vostro sabato”. Si tratta del Giorno delle Espiazioni, un’importante festività biblica ordinata da Dio: “Il decimo [giorno] di questo settimo mese è il giorno dell’espiazione” (v. 26). Dio dice di considerarlo come un sabato, giorno di completo riposo. Abbiamo qui un ciclo completo di 24 ore “da sera a sera” che definisce un giorno completo, stabilendo anche il suo inizio e la sua fine.

   Ciò è in perfetta armonia con il primo giorno creativo, del quale la Bibbia dice: “E si faceva sera e si faceva mattina, un primo giorno” (Gn 1:5). Vengono qui indicati, in sequenza, i due periodi che costituiscono il giorno: la notte (con la fase iniziale della “sera”) e il dì (con la sua fase iniziale al “mattino”). A nuova conferma, si noti che l’inizio di questo primo giorno avvenne con le tenebre: “C’erano tenebre” (v. 2). È perciò una grave imprecisione dire, come fanno molti, che il giorno inizi al tramonto. All’inizio di quel primo giorno non ci fu il tramonto: non poteva esserci, perché la luce solare apparve solo nel quarto giorno (Gn 1:14-19). Il giorno biblico, dunque, inizia con la prima oscurità della notte, dopo il tramonto, per terminare alla successiva oscurità, dopo 24 ore.

   Così è anche nelle Scritture Greche. Si noti Lc 23:54: “Era il giorno della Preparazione, e stava per cominciare il sabato” (NR). CEI traduce così: “Era il giorno della parascève e già splendevano le luci del sabato”. Qualcuno tenta di tradurre “cominciava ad albeggiare il sabato”. Il testo greco originale ha: ἐπέφωσκεν (epèfosken). Si tratta del verbo greco ἐπιφώσκω (epifòsko) che indica il “crescere di luminosità”, che è una forma di ἐπιφαύσκω (epifàusko), “spendere sopra”, a sua volta una forma di ἐπιφαίνω (epifàino) che indica l’“apparire”, anche di stelle (Vocabolario del Nuovo Testamento).

Nelle Scritture greche il verbo ἐπιφώσκω (epifòsko) lo troviamo solo due volte: qui in Lc 23:54 e in Mt 28:1, troppo poco per desumerne il pieno significato. Per comprenderne appieno il significato dobbiamo quindi ricorrere al vocabolario di greco. Il Rocci, il più autorevole vocabolario greco italiano, dà due definizioni: a) cominciare a splendere, b) far splendere.

   Il significato di “cominciare a splendere” è esattamente quello dei due passi biblici che contengono il verbo. In Mt 28:1 si ha: “Dopo il sabato, quando cominciava a sorgere la luce [τῇ ἐπιφωσκούσῃ (te apifoskùse); letteralmente: “alla cominciante a splendere”] del primo giorno della settimana”. In Lc 23:54 si ha lo stesso significato: “Giorno era di preparazione e sabato cominciava a splendere [ἐπέφωσκεν (epèfosken)]” (Nuovo Testamento Interlineare, San Paolo). Che cosa “cominciava a splendere” in quel giorno della Preparazione della Pasqua? TNM rende così: “Ora era il giorno della Preparazione e si appressava la luce serale del sabato”. Iniziavano ad accendersi le luci per il giorno festivo di Pasqua (15 nissàn), in cui sarebbe poi stato vietato accendere fuochi (Es 35:3). Era verso sera. Infatti, “le donne, che erano venute con lui dalla Galilea”, ebbero il tempo di seguire Giuseppe d’Arimatea (Lc 23:50-53; Mt 27:57-60; Mr 15:43-46; Gv 19:38-42) e di guardare “la tomba commemorativa e come era posto il suo corpo [di Yeshùa]”; poi “tornarono a preparare aromi e oli profumati. Ma il sabato, naturalmente, si riposarono secondo il comandamento”. – Lc 23:55,56.

   Mt 27:57 specifica che era “tardo pomeriggio”, anzi, il testo greco dice: Ὀψίας δὲ γενομένης (Opsìas de ghenomènes), “sera poi fattasi”. Si parla qui di Giuseppe d’Arimatea che “andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù” (v. 58). Il passo di Lc 23:54 dimostra quindi che il giorno finisce di sera, quando ne inizia uno nuovo.

   Alcuni, molto scioccamente, citano At 27:29 per sostenere che il giorno biblico inizierebbe all’alba: “Si auguravano che venisse il giorno”. Poiché quest’augurio se lo facevano di “notte” (v. 27), l’attesa del “giorno” indicherebbe – secondo loro – che il giorno inizierebbe all’alba. Ora, tutti capiscono che qui “giorno” significa ovvero il periodo diurno di luce. Comunque, esaminiamo la Bibbia. Tra l’altro qui si narra un episodio davvero interessante. Paolo, imprigionato, aveva chiesto e ottenuto l’appello al tribunale imperiale di Roma. Luca narra: “Siccome fu deciso che salpassimo per l’Italia, consegnavano Paolo . . . a un ufficiale dell’esercito . . . Saliti a bordo di una nave . . . salpammo” (At 27:1,2). Poi ci fu un cambio di nave: “L’ufficiale dell’esercito vi trovò [nel porto di Mira di Licia, v.5] una nave di Alessandria che salpava per l’Italia, e ci fece salire su di essa” (27:6). Non tutto andò bene, perché “la navigazione era pericolosa” (27:9). Poi “si scatenò . . . un vento tempestoso . . . Ed essendo la nave violentemente afferrata e non potendo tener testa al vento, [la] lasciammo andare ed eravamo portati alla deriva” (27:14,15). “Or quando non erano apparsi da molti giorni né il sole né le stelle, e ci sovrastava una non piccola tempesta, era infine perduta ogni speranza di salvarci” (27:20). La preoccupazione era tale che ci fu “una lunga astinenza dal cibo”. – 27:21.

“Ora come scese la quattordicesima notte ed eravamo sbattuti qua e là nel [mare di] Adria, a mezzanotte i marinai sospettavano di avvicinarsi a qualche terra. E scandagliarono la profondità e trovarono venti braccia; e procedettero per breve distanza e di nuovo scandagliarono e trovarono quindici braccia. E siccome avevano timore che fossimo gettati in qualche luogo sulle rocce, gettarono quattro ancore da poppa e si auguravano che venisse il giorno. Ma quando i marinai cercavano di fuggire dalla nave e avevano messo la scialuppa in mare con il pretesto di voler calare le ancore da prua, Paolo disse all’ufficiale dell’esercito e ai soldati: ‘Se questi uomini non rimangono nella nave, non potete essere salvati’. Allora i soldati tagliarono le corde della scialuppa e la lasciarono cadere”. – At 27:27-32.

   “Mentre si avvicinava il giorno Paolo incoraggiava tutti senza eccezione a prendere del cibo, dicendo: ‘Oggi è il quattordicesimo giorno’” (At 27:33). “Mentre si avvicinava il giorno”, quindi non era ancora giorno, intendendo ovviamente il dì ovvero il periodo di luce solare. Possiamo precisare meglio il momento di questo “mentre si avvicinava il giorno”? Era forse quasi l’alba? No, non lo era. Lo sappiamo dal succedersi degli eventi. Quando Paolo ricorda ai suoi compagni di navigazione che è il quattordicesimo giorno che non mangiano (v. 33), si specifica che “si avvicinava il giorno”. Paolo incoraggia tutti a mangiare qualcosa, e così “tutti divennero allegri ed essi stessi prendevano del cibo” (v. 36). Quanto tempo ci volle? Non è detto, ma certo un po’ ce ne volle, poiché Paolo dice: “Tutti insieme, eravamo nella nave duecentosettantasei anime” (v. 37). Dopo ciò trascorre altro tempo, infatti: “Quando si furono saziati di cibo, alleggerirono la nave gettando il grano in mare” (v. 38). È solo dopo tutto questo periodo che il testo biblico dice: “Infine, quando fu giorno […]”. – V. 39.

   Ritorniamo ora all’espressione “si avvicinava il giorno” (v. 33). Dopo quanto esaminato, è chiaro che non si era né all’alba né al periodo appena precedente l’alba. Doveva essere piena notte, dato che tutto l’insieme degli avvenimenti narrati era iniziato “a mezzanotte” (v. 27) e solo dopo che 276 persone ebbero mangiato e solo dopo che i marinai ebbero alleggerito l’imbarcazione gettando il grano a mare, “infine” “fu giorno”.

   Ora notiamo l’uso della parola “giorno” nel diario di bordo conservato in At:

1

“Si auguravano che venisse il giorno

27:29

ἡμέραν (emèran)

2

“Infine, quando fu giorno

27:39

ἡμέρα (emèra)

  1. Quando i marinai “si auguravano che venisse il giorno”, è evidente che si trattava del (o giorno inteso come periodo di luce solare), dato che questa speranza viene espressa di notte, dopo la “mezzanotte” (v. 27) e ben prima che mangiassero (v. 36) e alleggerissero la nave (v. 38), cose avvenute tutte di notte.
  2. Nell’espressione “infine, quando fu giorno”, è sempre evidente che si tratta del .

   Ma ora esaminiamo attentamente At 27:33:

“Oggi è il quattordicesimo giorno

   La parola greca è sempre la stessa: ἡμέρα (emèra). Ma la frase è pronunciata da Paolo di notte, dopo la “mezzanotte” (v. 27) e prima che mangiassero (v. 36), cosa avvenuta sempre di notte. Il punto è questo: la parola “giorno” è usata in greco (e anche in ebraico è la stessa cosa) sia per definire un ciclo completo di 24 ore che per definire il periodo di luce solare dall’alba al tramonto. Anche nella lingua italiana usiamo la parola “giorno” con questo duplice significato. È sempre il contesto che ne definisce il senso. Così, se si dice che maggio ha un giorno in più di aprile si capisce che si tratta di 24 ore, da una mezzanotte all’altra; nessuno pensa certo, stupidamente, che questo giorno in più sia soltanto un dì, come se la notte non esistesse. Allo stesso modo, se si dice di aver trascorso un duro giorno di lavoro, nessuno si sogna di pensare che si tratti di 24 ore. Tuttavia, in italiano – anche se non è più tanto usata – abbiamo una parola apposita: . Questa parola nel greco e nell’ebraico biblici non esiste. Al suo posto di usa “giorno”.

   Volendo essere del tutto precisi, si dovrebbero tradurre in un italiano corretto quei passi così:

“Si auguravano che venisse il dì”

27:29

“Oggi è il quattordicesimo giorno”

27:33

“Infine, quando fu dì”

27:39

   Il quattordicesimo giorno era iniziato alla sera. Il v. 27 dice che “scese la quattordicesima notte”, poi – dopo la “mezzanotte” (v. 27) – Paolo dice: “Oggi è il quattordicesimo giorno” (v. 33). È di notte Paolo parla di “quattordicesimo giorno”. E dice: “oggi”. Alla fine del giorno precedente “scese la quattordicesima notte” e quella notte Paolo disse: “Oggi è il quattordicesimo giorno”. Non disse: ‘oggi sta per finire il quattordicesimo giorno’, ma “oggi è”. Quel quattordicesimo giorno era iniziato dopo il tramonto, continuava per tutta la notte e Paolo poté dire: “Oggi è il quattordicesimo giorno”. L’aggettivo numerale ordinale “quattordicesimo” non lascia dubbi: quel giorno era in corso.

τεσσαρεσκαιδεκάτην σήμερον ἡμέραν

tessareskaidekàten sèmeron emèran

Quattordicesimo oggi giorno

   Le versioni che traducono “quattordici giorni” non sono precise, non essendo fedeli al greco. Quando si fanno esami seri e approfonditi della Scrittura occorre riferirsi ai testi originali e non affidarsi alle traduzioni che sono sempre interpretative (perfino quando sono in buona fede). Il passo parla indiscutibilmente di “quattordicesimo giorno”. Τεσσαρεσκαιδεκάτην (tessareskaidekàten) non è un numero cardinale (14), ma un aggettivo ordinale (14°); aggettivo che viene declinato concordemente al caso accusativo, richiesto dalla situazione temporale, con ἡμέραν (emèran), “giorno” (in greco femminile). È lo stesso identico aggettivo che la LXX usa in Est 9:21: “L’obbligo di celebrare regolarmente il quattordicesimo [τεσσαρεσκαιδεκάτην (tessareskaidekàten)] giorno del mese di adar”.

“Giorno e notte”

 

  Nella Bibbia troviamo spesso l’espressione “giorno e notte”. Si può usare questa espressione per sostenere che nel giorno biblico il giorno (dì) preceda la notte, iniziando all’alba? No. Ci sono, al riguardo, tre aspetti biblici di cui occorre tener conto.

  1. È semplicemente ovvio e intuitivo che nelle espressioni “giorno e notte” il “giorno” menzionato equivale al . Come già osservato, in ebraico non esiste una parola specifica per “dì”.
  2.  Non ci si può riferire all’espressione “giorno e notte” per sostenere che nel ciclo di 24 ore prima venga il dì e poi la notte. Nella Bibbia esiste anche l’espressione “notte e giorno”. Le due espressioni sono intercambiabili:

“Di giorno e di notte”

1Re 8:59

“Notte e giorno”

1Re 8:29

“Né di giorno né di notte”

Is 60:11

“Notte e giorno”

Is 27:3

“Giorno e notte”

Ger 16:13

“Notte e giorno”

Ger 14:17

“Giorno e notte”

Lc 18:7

“Notte e giorno”

1Tm 5:5

   Queste sono solo alcune citazioni, ma sono sufficienti a dimostrare come le due espressioni sono usate indifferentemente anche dallo stesso autore sacro nello stesso scritto.

  1. Le due espressioni non sempre indicano un periodo completo di 24 ore. Ad esempio, l’espressione “per tre giorni, notte e giorno” non va necessariamente intesa come tre giorni di 24 ore ciascuno. Gli ebrei conteggiavano anche i periodi parziali come completi. Una citazione biblica lo chiarirà. In Est 4:16 la regina Ester dà queste disposizioni: “Va, aduna tutti i giudei che si trovano a Susa e digiunate a mio favore e non mangiate né bevete per tre giorni, notte e giorno. Anch’io, con le mie giovani, similmente digiunerò e dopo ciò entrerò dal re”. Qui lei dice che farà lo stesso, proprio come gli altri. Si tratta di tre giorni e, per di più, definiti “notte e giorno”. Ma poi, più avanti, in 5:1 leggiamo: “Avvenne il terzo giorno che Ester […]”. Siamo dunque nel terzo di quei tre giorni di digiuno. Il re riceve Ester (5:1-3) in quel terzo giorno e lei fece la sua richiesta: “Se al re in effetti sembra bene, venga oggi il re con Aman al banchetto che gli ho preparato” (v. 4). In quello stesso terzo giorno il re e la regina Ester sono insieme “durante il banchetto del vino” (v. 6). Siamo sempre nel terzo giorno, dato che il re “Aman uscì quel giorno gioioso e allegro di cuore” (v. 9). Nessuna contraddizione. Per noi forse c’è, ma non per gli ebrei che contavano come interi anche i periodi parziali. Non è comunque sempre così. Ancora una volta è il contesto che ci dice se il periodo indicato è intero o parziale.

   Nel caso di Yeshùa, quando egli predisse riguardo a se stesso: “Il Figlio dell’uomo sarà nel cuore della terra tre giorni e tre notti” (Mt 12:40), si trattava di un periodo intero. Si veda, la riguardo, il sottotitolo “Tre giorni e tre notti” nello studio La morte e la resurrezione di Yeshùa  nella sezione Yeshùa.