La parola di Dio e le azioni di Dio sono parte indispensabile del suo rapporto con il suo popolo. La risposta umana deve quindi pure avvenire a parole e con le azioni. Gli atti concreti compiuti dai fedeli hanno soprattutto a che fare con l’ubbidienza alla Toràh. Dio rivela la sua santa volontà attraverso i suoi santi comandamenti, che sono per il bene umano e la sua santificazione. “Siate dunque santi, perché io sono santo”. – Lv 11:45.

   Diversi teologi tendono a fare una distinzione tra le leggi e i comandamenti che si trovano nella Toràh. Fare questa distinzione può essere utile, ma non si deve dimenticare che la parola Toràh significa “insegnamento” e non “legge” (greco nòmos), come infelicemente la tradusse la LXX greca. Comandamenti e leggi fanno quindi parte dell’unico Insegnamento o Toràh di Dio. Dando il giusto significato alle parole, coloro che sostengono l’abolizione della santa Legge di Dio, dovrebbero sussultare sapendo che stanno dichiarando l’Insegnamento di Dio abolito. Idea assurda di per sé, se non blasfema.

   I Comandamenti, possiamo dire, sono espressi con la formula “devi / non devi”. Le cosiddette leggi regolano la vita del popolo di Dio, prendendo in considerazione le varie situazioni e spiegandone le conseguenze nel caso si faccia in un modo piuttosto che in un altro. I Comandamenti sono parola diretta di Dio. Le leggi sono pur sempre parola di Dio, ma indiretta. Si pensi, ad esempio, a Dt 24:1: “Quando un uomo sposa una donna che poi non vuole più, perché ha scoperto qualcosa di indecente a suo riguardo, le scriva un atto di ripudio, glielo metta in mano e la mandi via”. Questa norma di legge risale a Dio? Non proprio, perché Yeshùa così la commenta: “Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandare via le vostre mogli; ma da principio non era così” (Mt 19:8). Ciò vale per molte leggi bibliche. Invece di vedervi quelle che noi oggi chiameremo ingiustizie che ledono i diritti umani, specialmente delle donne, dovremmo invece considerare la società maschilista del tempo. Dio non desidera certo che ci siano degli schiavi o che le donne vengano ripudiate a piacimento del maschio di turno, ma questa era la realtà di quella società arcaica, realtà dura a morire perfino oggigiorno. Mentre le nazioni pagane erano del tutto libertine e dedite a una sfrenata immoralità, in Israele certi comportamenti erano almeno regolati. La poligamia era praticamente ineliminabile, ma le leggi bibliche la regolavano salvaguardando certi diritti femminili. Era il massimo che si potesse fare con “un popolo dal collo duro”. – Es 32:9.

   I Comandamenti sono quindi tassativi. Se ne possono anche ricavare dei principi, ma rimangono prima di tutto Comandamenti. “Non devi assassinare” (Es 20:13, TNM), ad esempio, non può essere trasformato in un principio. È e rimane un Comandamento. Di certo possiamo ricavarne anche dei principi, come il fatto che non si deve mettere in pericolo la vita altrui. Ma non c’è modo di evitare il Comandamento. Così, il quarto Comandamento (Es 20:8-11), che ordina l’osservanza del sabato, non può essere trasformato in un principio dicendo stupidamente che per il credente ogni giorno è sabato. Il Comandamento stesso impedisce questa stupidaggine: “Hai sei giorni per fare ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato consacrato al Signore, tuo Dio” (Es 20:9,10, PdS). I Comandamenti rimangono quindi quello che sono: Comandamenti di Dio. Ubbidendo, diamo a Dio la nostra risposta con le azioni.

   Possiamo anche notare che la disubbidienza ai Comandamenti di Dio è punita da Dio direttamente, mentre la violazione delle leggi richiede che un qualche esecutore che esegua la condanna. In più le leggi possono essere soggette ad aggiornamenti e cambiamenti, mentre i Comandamenti non lo sono. Le leggi che regolavano la poligamia, ad esempio, sono superate dalla nuova etica della chiesa di Yeshùa, tanto che Paolo può esigere la monogamia (1Tm 3:2,12; Tit 1:5,6). Yeshùa stesso, nel suo matrimonio mistico con la chiesa (che è preso a modello del matrimonio dei credenti) è monogamo, avendo un’unica “sposa”. – Ef 5:21-33.

   Ci sono poi le leggi che regolavano i sacrifici, le leggi cerimoniali, che divennero obsolete con il sacerdozio spirituale di Yeshùa. I Comandamenti non sono soggetti invece a mutazioni. Essi rimangono tutti validi, anche oggi. Nella Bibbia ebraica il Decalogo è chiaramente dichiarato da Dio stesso: “Dio pronunciò tutte queste parole” (Es 20:1). I Comandamenti furono incisi su “due tavole di pietra, scritte con il dito di Dio” (Dt 9:10). Nel Deuteronomio il Decalogo è posto assolutamente prima (Dt 5) delle leggi, che vengono solo dopo, ai capp. 12-26. L’idea che la “legge” dovesse conglobare il Decalogo e le leggi vere e proprie, apparve solo dopo l’esilio.

   Nella Bibbia ebraica, così come nelle Scritture Greche, i Comandamenti sono intesi come istruzione di Dio e indispensabili nel rapporto tra Dio e i fedeli. La stessa cosa non può dirsi per le leggi.

   Alla luce di tutto ciò, occorre riflettere molto bene su ciò che Paolo scrive nel suo epistolario circa la “legge”. Il termine stesso “legge” fa riferimento all’idea ebraica postesilica che tutto assimilava, Decalogo e leggi. In più, il temine “legge” (greco nòmos) è mutuato dalla versione biblica dei LXX, che era la Bibbia in uso della prima chiesa. In ogni caso, il giudizio negativo che Paolo dà riguarda le “opere della legge” e non la Legge, che egli definisce “santa” (cfr. Rm 7:12). Tali giudizi negativi non si possono assolutamente mai applicare ai Comandamenti.

   La risposta che il credente dà a Dio è costituita quindi soprattutto dal suo agire in ubbidienza ai suoi Comandamenti. La potenza, l’importanza e la qualità del Decalogo dato da Dio in persona si mostra anche nel fatto che i Comandamenti vanno ben al di là del popolo d’Israele e della chiesa di Yeshùa, sopravvivendo a tutti i cambiamenti della storia umana e giungendo intatti fino a noi oggi.

Il culto

   La massima espressione di culto si ha nella Bibbia ebraica con il Tempio. La comunità ebraica vi si raduna nei giorni delle Festività bibliche. Prima di questo culto sacro, più anticamente avveniva un culto che affondava le sue radici nei tempi patriarcali: presso un monte, una roccia, un albero, una sorgente d’acqua; i sacerdoti non c’erano ed era il capofamiglia ad assolverne le funzioni.

   L’agire di Dio nel culto riguarda più la benedizione che l’azione di salvezza. La cadenza stessa del culto, nel ciclo ripetitivo annuale puntellato dalle Festività bibliche, è espressione della benedizione. La benedizione divina sgorga dal Tempio e fluisce su tutta la terra. “Il Signore è nel suo tempio santo; tutta la terra faccia silenzio in sua presenza!”. – Ab 2:20.

   L’azione salvifica non può però aver luogo nel culto. È tuttavia presente nel culto come annuncio e come ricordo delle gesta salvifiche di Dio. Le stesse Festività bibliche commemorano tali gesta salvifiche. La parola di Dio pronunciata nel culto assume un carattere speciale, perché è detta in un tempo sacro e in un luogo sacro, nella serenità liturgica che evoca la presenza di Dio. È in questa atmosfera tutta particolare che la comunità è più disponibile all’ascolto.

  Le azioni umane nel culto sono caratterizzate dall’offerta del sacrificio per i peccati, il cui apice avveniva nel Giorno delle Espiazioni. Solo quando i sacrifici divennero fini a se stessi, fatti senza cuore, intervennero i profeti per condannarli: “Che m’importa dei vostri numerosi sacrifici?», dice il Signore; «io sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di bestie ingrassate; il sangue dei tori, degli agnelli e dei capri, io non lo gradisco”. – Is 1:11.

   In Israele il culto era importantissimo perché era il determinante e fondamentale nella vita del popolo. Il culto pubblico, ovviamente, non quello privato. Già il percorso per raggiungere il Tempio e tornare a casa era elemento importante del culto, specialmente nei tre pellegrinaggi annuali a Gerusalemme, cui erano dedicati anche dei canti liturgici, come i Salmi 120-134, chiamati שִׁיר הַמַּעֲלֹות  (shir hamaalòt), “canto delle ascese”, chiaro riferimento alla salita da percorrere per raggiungere Gerusalemme, posta sui monti della Giudea. – Dt 12:5-7;16:16; Sl 42:4; Is 30:29.

   In Israele il culto aveva caratteristica universale. La lode a Dio tende infatti a espandersi fino a raggiungere ogni parte del cosmo.

“Alleluia.

Lodate il Signore dai cieli;

lodatelo nei luoghi altissimi.

Lodatelo, voi tutti i suoi angeli;

lodatelo, voi tutti i suoi eserciti!

Lodatelo, sole e luna;

lodatelo voi tutte, stelle lucenti!

Lodatelo, cieli dei cieli,

e voi acque al di sopra dei cieli!

Tutte queste cose lodino il nome del Signore,

perch’egli comandò, e furono create;

ed egli le ha stabilite in eterno;

ha dato loro una legge che non sarà trasgredita.

Lodate il Signore dal fondo della terra,

voi mostri marini e oceani tutti,

fuoco e grandine, neve e nebbia,

vento impetuoso che esegui i suoi ordini;

monti e colli tutti,

alberi fruttiferi e cedri tutti;

animali selvatici e domestici,

rettili e uccelli;

re della terra e popoli tutti,

prìncipi e giudici della terra;

giovani e fanciulle,

vecchi e bambini!

Lodino il nome del Signore

perché solo il suo nome è esaltato;

la sua maestà è al di sopra della terra e del cielo.

Egli ha ridato forza al suo popolo,

è motivo di lode per tutti i suoi fedeli,

per i figli d’Israele, il popolo che gli sta vicino.

Alleluia”. – Sl 148.

   La risposta umana a Dio, che parla e agisce, è fatta di parole di lode, di lamenti e di azioni. Ciò coinvolge ogni aspetto della vita.

   Tra i milioni e milioni di parole che ciascuno pronuncia in tutta la sua vita, le più importanti sono quelle rivolte a Dio. Tra i milioni e milioni di gesti che ciascuno compie durante tutta la sua vita, i più importanti sono quelli di ubbidienza ai Comandamenti di Dio. Il culto era importante, e continua a esserlo, ma il Tempio di Gerusalemme non c’è più e “l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”. – Gv 4:23.