Sl 22 – Le sofferenze del messia (Luzzi)

1 Per il Capo de’ musici. Su ‘Cerva dell’aurora’. 1 Salmo di Davide.

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Perché te ne stai lontano, senza soccorrermi,

senza dare ascolto alle parole del mio gemito? 2

2 Dio mio, io grido di giorno, e tu non rispondi;

di notte ancora, e non ho posa alcuna. 3

3 4 Eppure tu sei il Santo, 5

che siedi circondato dalle lodi d’Israele.

4  I nostri padri confidarono in te;

confidarono e tu li liberasti.

5 Gridarono a te, e furono salvati;

confidarono in te, e non furon confusi. 4 5 6

6  7 Ma io sono un verme  8 e non un uomo;

il vituperio degli uomini, e lo sprezzato dal popolo.

7 Chiunque mi vede si fa beffe di me;

allunga il labbro, 9 scuote il capo, dicendo:

8 Ei si rimette nell’Eterno; lo liberi dunque;

lo salvi, poiché lo gradisce! 10

9 Sì, tu sei quello che m’hai tratto dal seno materno; 11

m’hai fatto riposar fidente sulle mammelle di mia madre.

10 12 A te fui affidato fin dalla mia nascita, 13

tu sei il mio Dio fin dal seno di mia madre.

11 Non t’allontanare da me, perché l’angoscia è vicina,

e non v’è alcuno che m’aiuti.

12 14 Grandi tori m’han circondato;

potenti tori di Basan m’hanno attorniato; 15

13 apron la loro gola contro a me,

come un leone 16 rapace e ruggente.

14 Io son come acqua che si sparge,

e tutte le mie ossa si sconnettono;

il mio cuore è come la cera,

si strugge in mezzo alle mie viscere.

15 Il mio vigore s’inaridisce come terra cotta, 17

e la lingua mi s’attacca al palato; 18

tu m’hai posto 19 nella polvere della morte.

16 Poiché cani m’han circondato;

uno stuolo di malfattori m’ha attorniato;

m’hanno forato 20 le mani e i piedi.

17 Posso contare 21 tutte le mie ossa.

Essi mi guardano e m’osservano;

18 spartiscon fra loro i miei vestimenti

e tirano a sorte la mia veste. 22

19 Tu dunque, o Eterno, non allontanarti,

tu che sei la mia forza, t’affretta a soccorrermi. 23

20 Libera l’anima 24 mia dalla spada,

l’unica mia, dalla zampa del cane;

21 salvami dalla gola del leone.

Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali. 25

22 26 Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,

ti loderò in mezzo all’assemblea. 27

23 28 O voi che temete l’Eterno, lodatelo!

Glorificatelo voi, tutta la progenie di Giacobbe,

e voi tutta la progenie d’Israele, abbiate timor di lui! 29

24 Poich’egli non ha sprezzata

né disdegnata l’afflizione dell’afflitto,

e non ha nascosta la sua faccia da lui;

ma quand’ha gridato a lui, ei l’ha esaudito. 30

25 31 Tu sei l’argomento della mia lode nella grande assemblea;

io adempirò i miei voti 32 in presenza di quelli che ti temono.

26  Gli umili 33 mangeranno e saranno saziati;

quei che cercano l’Eterno 34 lo loderanno;

il loro cuore vivrà in perpetuo. 35

27 Tutte le estremità della terra si ricorderan dell’Eterno

e si convertiranno a lui;

e tutte le famiglie delle nazioni adoreranno nel tuo cospetto. 36

28 Poiché all’Eterno appartiene il regno,

ed egli signoreggia sulle nazioni. 37

29 38 Tutti gli opulenti della terra mangeranno e adoreranno;

tutti quelli che scendon nella polvere

e non posson mantenersi in vita s’inginocchieranno dinanzi a lui.

30 La posterità 39 lo servirà;

si parlerà del Signore 40 alla ventura 41 generazione.

31 Essi verranno e proclameranno la sua giustizia,

e al popolo che nascerà diranno come egli ha operato.

 

Note:

Il salmo si può dividere in due parti: 1) Elegia (vv.1-21); 2) Parte eucaristica o di ringraziamento. – Vv. 22-31.

1 Il salmo era probabilmente cantato su un’aria musicale profana che iniziava con le parole: “Cerva dell’aurora”.

2  Il poeta si sente perduto e sente che Dio si tiene lontano, proprio come si tiene lontano dal malvagio. Yeshùa, mentre stava per morire, citò queste parole dall’aramaico anziché dall’ebraico: Sl 22:2 Testo ebraico: אֵלִי אֵלִי לָמָה עֲזַבְתָּנִי (elìy elìy lamàh azavtàny), “Dio di me Dio di me perché abbandonasti me”; Mt 27:46, Mr 15:34 Testo aramaico: אלי אלי למה שבכתני (elyì, elìy, lamàh savachthàniy), “Dio di me Dio di me perché abbandonasti me”.

   Come poteva proprio Yeshùa dirsi abbandonato da Dio? Occorre pensare che Yeshùa, da giudeo, ragionava e palava come il suo popolo. Egli, nel momento mortale, fa sue le parole del salmo, parole che volevano solo dire che il morente non sentiva la mano protettrice di Dio pronta a liberarlo. Va poi osservato che non occorre soffermarsi solo al primo versetto, ma notare che tutto il salmo ridonda di confidenza e di fiducia in Dio. Per questi motivi dobbiamo respingere la tesi teologica di Calvino e di Lutero che affermavano che Yeshùa era davvero stato abbandonato da Dio perché soffriva come vittima espiatoria degli uomini condannati. Va pure eliminata l’interpretazione opposta che vi vede solo un grido di fiducia in Dio. Le due ipotesi non hanno fondamento nel salmo. La citazione del salmo da parte di Yeshùa mostrava poi che esso aveva in lui il suo compimento.

   “Parole del mio gemito” è un abbellimento del Luzzi che, probabilmente, ha ritenuto troppo cruda l’espressione ebraica: “Parole del mio ruggito”.

3 “Non ho posa alcuna” è un aggiustamento del Luzzi. TNM ha: “Non c’è silenzio da parte mia”, che tenta di essere letterale ma che contiene un grave errore grammaticale di traduzione. L’ebraico ha לֹא־דוּמִיָּה לִי (lo-dumiàh ly): “non-riposo per me”, da tradursi: “Non c’è riposo per me”. Se TNM vuole usare proprio la parola “silenzio” (ma l’ebraico ha “riposo” – “silenzio” sarebbe shèket), dovrebbe almeno tradurre: “Non c’è silenzio per me”. La Versione Siriaca ha: “Tu non attendi”, che conserva meglio il parallelismo: “Di giorno non rispondi, di notte non attendi”.

4 I vv. 3-5 elencano i motivi di persuasione.

5 “Tu sei il Santo” (TNM: “Tu sei santo”). Si tratta di aggiustamenti. L’ebraico ha: אַתָּה קָדֹושׁ יֹושֵׁב (atàh qadòsh yoshèv), “tu santo sedente”.

   È ovvio che il testo è conservato male. Anziché spostare il “sedente” (come Luzzi e TNM fanno), occorre capire. Il senso originale ci è dato dalla traduzione greca dei LXX: σὺ δὲ ἐν ἁγίοις κατοικεῖς (sü de en aghìois katoikèis): “Tu in [luoghi] santi siedi”, che significa: “Tu abiti nel Santuario”. Si noti ora come appare oscuro (abitare le lodi!) il testo di TNM e come è chiaro quello biblico: TNM: “Ma tu sei santo, abiti le lodi d’Israele”; Bibbia: “E tu abiti nel Santuario, a te si rivolgono le lodi di Israele”.

   Si noti la somiglianza delle parole “santo” e “santuario”: קָדֹושׁ (qadòsh), “Santo” – קֹדֶשׁ (qòdesh), “santuario”.

   “A te” (בך, bechà) deve essere caduto per aplografia (l’omissione da parte del copista di una parola immediatamente vicina ad una uguale). Si noti Sl 71:6 paragonato al nostro passo: Sl 71:6 בְּךָ תְהִלָּתִי (bechà tehilatìy), “a te la preghiera di me” – Sl 22:3,4 (4,5 nel testo ebraico) וְאַתָּה קָדֹושׁ יֹושֵׁב תְּהִלֹּות יִשְׂרָאֵל׃ .4; בְּךָ בָּטְחוּ אֲבֹתֵינוּ בָּטְחוּ וַתְּפַלְּטֵמֹו׃ .5.

   Il copista, trovando subito dopo la frase תְּהִלֹּות יִשְׂרָאֵל (tehilòt ysraèl; “preghiere d’Israele”), il bechà (בך) con cui inizia il versetto successivo, non lo ha trascritto. Si tenga presente che gli ebrei pregavano rivolti verso il Santuario di Gerusalemme (1Re 8). Così faceva pure Daniele: “[Daniele] tenendo le finestre della sua camera superiore aperte verso Gerusalemme, tre volte al giorno si metteva in ginocchio, pregava” (Dn 6:10). Ha quindi un senso la traduzione: “Tu abiti nel Santuario, a te sono rivolte le preghiere di Israele”. Non ha invece senso tradurre: “Tu abiti le lodi di Israele” (TNM), che – tra l’altro – è scorretto anche nella lingua italiana.

5 Il primo motivo di persuasione presentato è il fatto che gli antenati di Israele erano ricorsi a Dio e ne furono esauditi: Dio non può essere mutato ora.

6 “Non furono confusi”: meglio l’ebraico “non furono svergognati”. Fuori luogo il “non provarono vergogna” di TNM. “Confidarono in te e non furono svergognati”.

7 Ai vv. 6-8 si ha la presentazione dell’afflitto.

8 Per contrapposto agli antenati che pregarono Dio e furono esauditi, il salmista presenta se stesso nell’umiliazione attuale che lo rende un “verme” schifoso. “Quanto meno l’uomo, che è un verme, il figlio d’uomo che è un vermiciattolo!”. – Gb 25:6.

9 “Allunga il labbro”. L’ebraico ha letteralmente “separano il labbro”: meglio tradurre “storcono le labbra” che non “spalancano la bocca” (TNM): si tratta, infatti, di un segno di disprezzo e non di sorpresa. Mentre sogghignano e storcono la bocca, scuotono il capo. Si vedano due atteggiamenti simili: “Anch’io potrei parlare come voi, se voi foste al posto mio; potrei mettere insieme delle parole contro di voi e su di voi scrollare il capo” (Gb 16:4), “Son diventato per loro un oggetto di scherno; quando mi vedono scuotono il capo”. – Sl 109:25.

10 Si rammentino qui gli insulti indirizzati a Yeshùa e la frase sprezzante rivoltagli: “Quelli che passavano di là, lo ingiuriavano, scotendo il capo e dicendo: ‘Tu . . . salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio”. – Mt 27:39,40.

11 “Dal seno materno”. L’ebraico ha solo “tu traesti me da ventre”, perciò “materno” – pur essendo esatto (ma inutile: si può nascere solo da un seno materno!) – andrebbe messo tra quadre. L’immagine è molto bella e tenera: Dio, come una levatrice, l’ha estratto con amore. Si noti anche, nello stesso versetto, la tenerezza espressa dal secondo emistìco: “M’hai fatto riposar fidente sulle mammelle di mia madre”.

12 C’è ora l’invocazione (vv. 10-12): Dio era stato con lui sin dalla sua nascita. La sua vita precedente, sin dalla nascita, mostrava la provvidenza divina a suo riguardo.

13 “A te fui affidato fin dalla mia nascita”. Questa espressione non coglie il senso stupendo dell’ebraico che ha letteralmente: “Su te fui posto da grembo, da ventre madre di me”. Che, messo in bell’italiano, suona: “Su di te fui deposto [dopo essere stato tratto] dal ventre di mia madre”. Il senso è questo: Dopo essere stato estratto dal ventre materno, fui deposto sulle tue ginocchia. Questo facevano gli ebrei: ponevano il neonato sulle ginocchia paterne per assicurarne la legittimità. Si veda, per questo uso, Gn 50:23: “Anche i figli di Machir, figlio di Manasse, nacquero sulle sue ginocchia”. Anche i greci avevano un’usanza simile (Odissea 19,401). Orribile la versione di TNM che, con nessuna delicatezza, traduce: “Su di te sono stato gettato dal seno”.

   Dal fatto che si nomina la madre terrena e il Padre celeste, alcuni scrittori ecclesiastici vi videro un accenno alla sua nascita verginale (cfr, J. A. Aldama, La naissance du Seigneur dans l’exégèse pratistique du Ps 21,10). Ma questo è davvero uno spremere troppo il testo. Qui la Bibbia vuol solo e unicamente dire che dalla sua nascita fu protetto da Dio.

14 I vv. 12-18 presentano un nuovo lamento.

15 “Grandi tori m’han circondato; potenti tori di Basan m’hanno attorniato” (v. 12). TNM traduce: “Molti giovani tori mi hanno accerchiato; gli stessi potenti di Basan mi hanno circondato”. L’ebraico invece dice: “Circondarono me giovenchi molti, tori di Basan attorniarono me”. I “potenti di Basan”, quindi, non c’entrano alcunché. Il testo parla di torelli e di tori. Questi simboleggiano la potenza dei nemici presenti (Is 34:7). I bovini di Basan erano rinomati per il loro vigore. – Am 4:1.

16 Il “leone che sbrana” (TNM), come il toro, simboleggia la potenza dei nemici. Si noti: “[I nemici] apron la loro gola contro a me, come un leone rapace e ruggente” (v. 13). Sl 17:12 usa la stessa figura: “Il mio nemico sembra un leone che voglia sbranare la preda”.

17 Il disgraziato salmista si considera già preda della morte. Per descrivere la situazione usa diverse immagini concrete (v. 14). Luzzi: “Io son come acqua che si sparge”; “Tutte le mie ossa si sconnettono”; “Il mio cuore è come la cera”; “si strugge in mezzo alle mie viscere”. TNM: “Sono stato versato come acqua”; “Sono state separate tutte le mie ossa”; “Il mio cuore è divenuto come la cera”; “Si è liquefatto nelle mie profonde parti interiori”. Ebraico: “Come le acque fui versato”; “Furono slogate tutte ossa di me”; “Fu cuore di me come la cera”: “fondentesi in mezzo a viscere di me”.

   Tutte queste immagini vogliono dire che lui non ha più alcun vigore.

18 “Palato”. TNM ha “potenza”. L’ebraico ha כֹּחִי (kochìy), “forza di me”. Il che non ha molto senso, perché bisognerebbe tradurre, letteralmente: “Inaridì come il coccio vigore di me, e lingua di me è aderente fauci di me”.

   Il parallelismo vigore-lingua non è affatto un parallelismo. Viene quindi il dubbio che si tratti di una metatesi (lo scambio di due fonemi vicini tra loro). Si noti bene: כֹּחִי (kochìy), “forza di me”; חִכִּי (khikìy), “palato di me”, cfr. Gb 6:30.

   Il copista sembra aver invertito la ח (kh) e la כ (k), dando così origine ad un’altra parola. Se ristabiliamo khikìy (חכי) abbiamo sia il senso che il parallelismo: “Inaridì come il coccio palato di me, e lingua di me è aderente fauci di me”.

19 “Tu m’hai posto”. TNM ha: “Mi poni”. In effetti, questa sarebbe la traduzione di תִּשְׁפְּתֵנִי (tishptèny). Ma così si ha letteralmente: “E sulla polvere di morte ponesti me poiché circondarono me cani”. Ora, non ha senso affermare che Dio lo fa morire “poiché” i nemici (paragonati a cani) lo hanno circondato. Sarebbe più logico dire: “Mi si depone nella polvere della morte”. E – dato che il testo è mal conservato – viene anche qui il dubbio che ci sia un errore, questa volta una dittografia (l’errata ripetizione di un fonema). Si noti bene: תִּשְׁפְּתֵנִי (tishptèny), “mi hai deposto” – שׁפתני (shefatunìy), “mi si depone”.

   In pratica, l’iniziale di תִּשְׁפְּתֵנִי (tishptèny) presenta una dittografia, essendoci già nella parola il fonema ת (t).

20 “M’hanno forato”. TNM ha invece: “Come un leone”. Alquanto diverso, no? Cerchiamo di capire. Vediamo le tre versioni antiche. Testo masoretico: כָּאֲרִי (kaarì), “come il leone”. LXX: ὤρυξαν (òrücsan), “hanno forato”. Vulgata: foderunt “forarono”.

   Dire “Come il leone mani di me e piedi di me” (traduzione letterale dell’attuale Testo Masoretico) non ha davvero senso. TNM, per attenersi al testo ebraico, è costretta ad aggiungere alcune parole (messe tra quadre): “Come un leone [essi sono alle] mie mani e [ai] miei piedi”. Ma è solo un aggiustamento che mal si spiega: perché mai un leone dovrebbe attaccare (ovviamente per sbranare) iniziando dalle mani e dai piedi? Non ha senso. Qualche studioso vi vede il fatto che il salmista, fatto prigioniero, ha le unghie dei piedi come artigli di leone. Ma le mani? Sinceramente, ci sembra una gran sciocchezza. Dobbiamo, invece, ancora una volta, rammentare che il testo è mal conservato. Così, proviamo a capire cosa possa essere successo, dato che il copista ha già dato prova di scarsa accuratezza. Osserviamo bene la parola ebraica: כָּאֲרִי. Si noti l’ultima lettera: י. È facile confondere questa lettera con quella simile:              י  (lettera yod), “y” ו (lettera vav), “u/o”.

   Ora, se si mette la vav (ו) al posto della yòd (י), si ottiene: כארו (kaarù), che deriva dal verbo karàh, “bucare”. Si veda Sl 40:6: “Apristi questi miei orecchi” (TNM), in cui il verbo tradotto “apristi” è nell’ebraico כָּרִיתָ (karìta): “forasti” (la lingua ebraica, sempre concreta, ha l’immagine del forare gli orecchi per intendere il nostro “aprire”). Si tratta proprio del verbo karàh, “bucare”. Sembra quindi un errore di copiatura. Però … un sospetto diverso viene. Forse non si tratta di un errore, ma di un’intenzionale manomissione del copista ebreo per eliminare il verbo karàh (“forare”) in cui i discepoli di Yeshùa trovarono una profezia riferita alle mani e ai piedi del Messia. È solo un sospetto.

21 “Posso contare”. Così anche TNM. Qualcuno traduce “contano”, con la terza persona plurale, che è meglio. I nemici fanno cerchio attorno a lui per contare le sue ossa visibili per la magrezza. Comunque, il Testo Masoretico ha la prima persona singolare: “Conto”.

22 La ripartizione delle vesti e la sorte gettata sulla tunica furono dagli evangelisti riferite a Yeshùa sul palo. “I soldati dunque, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una parte per ciascun soldato. Presero anche la tunica, che era senza cuciture, tessuta per intero dall’alto in basso. Dissero dunque tra di loro: ‘Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocchi’; affinché si adempisse la Scrittura che dice: Hanno spartito fra loro le mie vesti, e hanno tirato a sorte la mia tunica. Questo fecero dunque i soldati” (Gv 19:23,24; cfr. Mt 27:35, Mr 15:24, Lc 23:34). Secondo l’uso, gli abiti dei crocifissi appartenevano ai crocifissori che se li dividevano. La tunica doveva essere di gran pregio (contro l’opinione popolare che immagina Yeshùa come un poverello), dato che non vollero sciuparla dividendola ma tirandola a sorte.

23 C’è ora la preghiera: l’invito a Dio perché si affretti ad aiutarlo. L’invito al soccorso divino è frequente nei Salmi: “Affrèttati in mio aiuto, o Signore, mia salvezza!” (38:22), “Liberami, o Signore! Affrèttati in mio aiuto!” (40:13), “Affrèttati, o Dio, a liberarmi! Signore, affrèttati in mio aiuto!” (70:1), “O Dio, non allontanarti da me; mio Dio, affrèttati a soccorrermi!”. – 71:12.

24 “Anima”: vale a dire la persona, pure indicata con le parole “l’unica mia”. Cfr.: “O Signore, fino a quando starai a guardare? Allontana l’anima mia dalla loro malvagità, l’unica mia, da quelle belve”. – Sl 35:17.

25 Il testo ebraico non dice esattamente: “Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali”. Che qualcosa non vada lo si deduce leggendo la strampalata traduzione di TNM: “Dalle corna dei tori selvaggi mi devi rispondere [e salvare]” (v. 21b). Questa frase ha dell’incredibile tanto è assurda. Ma che mai vorrà dire “dalle corna dei tori selvaggi mi devi rispondere”?! Per aggiustare un po’ la forma TNM aggiunge tra quadre (e quindi non appartenente al testo originale ebraico): “[e salvare]”, ma l’incomprensibile bruttura senza senso ormai è tradotta. Lo rammentiamo: il manoscritto è corrotto. Si paragonino queste due parole somiglianti. Testo Masoretico attuale: עֲנִיתָנִי (anytàny), “rispondi a me”. Ricostruzione: עניהני (anyhàny), “misera di me”.

   La “misera di me” è riferito sempre all’“anima” precedente. Ecco il v. 21 ricostruito con il suo parallelismo e nel suo contesto:

 

20 Libera dalla spada la mia anima,

la mia unica dalla zampa del cane,

21 salva me dalla bocca del leone,

e dalle corna dei tori la mia misera.

 

   In tutti e due i versetti si ripete per quattro volte “anima” (una volta in ogni emistico) in diverse forme, tutte indicanti la persona: “La mia anima … la mia unica … me … la mia misera”.

26 Inizia qui l’ultima parte, la parte eucaristica (o di ringraziamento). – Vv. 22-31.

27 È la promessa: il salmista promette un sacrificio di ringraziamento nell’assemblea dei fratelli. Vedere anche nota 32 più avanti.

28 Inizia qui il canto di ringraziamento.

29 Nell’introduzione del canto – come in altri salmi del genere – s’invitano tutti i fratelli a lodare il Signore.

30 Viene data la motivazione della lode che va rivolta a Dio: bisogna ringraziarlo perché non si è voltato dall’altra parte quando il misero lo ha pregato, ma lo ha accolto. Cfr. Sl 13:1: “Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?”.

31 Si ha ora il corpo del canto. – Vv. 25-29.

32 “Voti”. Indica il compiere i propri doveri cultuali, i sacrifici. “Loderò il tuo nome per sempre, e adempirò ogni giorno le promesse che ti ho fatte” (Sl 61:8). “Scioglierò i miei voti al Signore e lo farò in presenza di tutto il suo popolo . . .  Io t’offrirò un sacrificio di lode e invocherò il nome del Signore. Adempirò le mie promesse al Signore e lo farò in presenza di tutto il suo popolo”. – Sl 116:14-18.

33 “Gli umili” sono i poveri, gli affitti, i miserabili. La parola ebraica è עֲנָוִים (anavìm), plurale di ענו (anàv). Sbaglia di grosso TNM traducendo qui “mansueti”. Si vedano nella stessa TNM i seguenti passi: “Sorgi, o Geova. O Dio, alza la tua mano. Non dimenticare gli afflitti [עֲנָוִים (anavìm)]” (Sl 10:12, TNM), “Chi disprezza il suo proprio prossimo pecca, ma felice è chi mostra favore agli afflitti [עֲנָוִים (anavìm)]” (Pr 14:21, TNM). Che qui si tratti proprio di povera gente e non di mansueti, lo dimostra il contesto: “I miseri [עֲנָוִים (anavìm)] mangeranno e saranno saziati”. Si tratta di poveri che, invitati ai sacrifici, si nutrivano delle carni offerte a Dio.

34 “Quei che cercano l’Eterno”. Si veda Sl 9:10: “Tu non abbandoni quelli che ti cercano”.

35 “Il loro cuore vivrà in perpetuo”, cui fa eco TNM: “Il vostro cuore viva per sempre”. L’ebraico ha: יְחִי לְבַבְכֶם לָעַד (ychìy levavchèm laàd), “evviva cuore di voi per sempre!”

   È l’augurio che i poveri rivolgono a chi li ha invitati al banchetto sacro.

36 “Nel suo cospetto”. TNM: “Dinanzi a te”. Ebraico לְפָנֶיךָ (lefanècha): “faccia tua / presenza tua”. Così anche i LXX: ἐνώπιόν σου (enòpiòn su), “alla presenza di te”. E così anche la Vulgata: “In conspectu eius” (“alla presenza di lui”). Il senso è: la potenza divina che si è manifestata guarendo il sofferente attirerà a Dio tutte le nazioni.

37 A Dio sono sottomessi tutti i popoli, anche quelli diversi dal popolo eletto.

38 L’inizio del v. 29 va chiarito. Luzzi traduce: “Tutti gli opulenti della terra mangeranno e adoreranno”. Non diversamente TNM: “Tutti i grassi della terra certamente mangeranno e si inchineranno”. Tuttavia, la frase pare avere poco senso. Oltretutto, sebbene i traduttori aggiustino, l’ebraico ha “mangiarono e si inchineranno”: due tempi (passato e futuro) che qui si scontrano. Il che ci induce a controllare meglio il testo ebraico. La nostra attenzione cade sulla prima parola: אָכְלוּ (achlù), letteralmente “mangiarono”. Prendiamo ora la parola senza punti vocalici: אכלו. Si presti attenzione all’ultima lettera, la vav: ו. Può rappresentare tre lettere diverse: la v (scritta senza segni diacritici: ו), la u (scritta con un puntino all’interno: וּ) oppure la o (scritta con un punto in alto: ֹוֹ). Dato che leggere qui achlv non ha senso, rimangono due possibilità: אכלוּ (achlù), “mangiarono”; ֹוֹ אכל(achlò), “solo lui”. Se accettiamo achlò, la frase comincia ad acquistare un senso. Ma c’è di più. Il riferimento ai “grassi” della terra appare fuori luogo. Esaminando di nuovo il testo notiamo l’espressione כָּל־דִּשְׁנֵי־אֶרֶץ (kol-dishenè-èretz) che tradotta così com’è dà proprio “tutti-grassi-terra”. Ma si noti la parola centrale (דִּשְׁנֵי, dishenè): questa assomiglia a quella che si trova in Dn 12:2, ovvero: “Molti di quelli che dormono [יְּשֵׁנֵי (yshenè)] nella polvere della terra”. Si osservi: Sl 22:29 (attuale): דִּשְׁנֵי (dishenè), “grassi” – Dn 12:2: יְּשֵׁנֵי (yshenè), “quelli che dormono”. Non si dimentichi che il manoscritto è corrotto. Ripristinando le parole originali il versetto assume il suo senso e riappare il parallelismo: “Solo a lui si inchineranno tutti quelli che dormono nella terra, davanti a lui si piegheranno tutti quelli che scendono nella polvere”.

   Ma non è ancora finita. L’ultima parte del versetto, come è tradotta, suona quasi comica perché fa dire al testo che tutti quelli che “non posson mantenersi in vita s’inginocchieranno dinanzi a lui”. Se non possono rimanere vivi come fanno ad inginocchiarsi? TNM fa un aggiustamento che al lettore superficiale passa inosservato: “E nessuno conserverà mai in vita la sua propria anima”. Tuttavia, il lettore riflessivo si domanda: Ma che mai vorrà dire che i grassi si saziano e si inchinano? E, se sono già grassi, perché mai li si benedice facendoli mangiare ancora? E cosa c’entra con questo il fatto che i mortali s’inchineranno anche loro? Che relazione strana c’è tra le due classi? E nella classe dei mortali non dovrebbero essere compresi anche i grassi? Ma, se sono nominati solo i grassi, vuol dire che gli altri che non sono grassi sono esclusi. Ma se sono esclusi, perché poi si dice che “tutti quelli che scendono nella polvere” (non grassi inclusi) si inchineranno? E, infine, in tutta questa contraddizione, che c’entra l’amara considerazione che “nessuno conserverà mai in vita la sua propria anima”? Per sciogliere la matassa occorre riferirsi al testo ebraico. Ecco la frase dubbia, che traduciamo così com’è: וְנַפְשֹׁו לֹא חִיָּה (venafshò lo khiyàh), “e anima di lui non vivrà”. Qui abbiamo una parola trascritta male, per via di due lettere che si assomigliano e un’altra che si pronuncia nello stesso modo ma si scrive diversamente. Vediamo il confronto. Testo Masoretico attuale: וְנַפְשֹׁו לֹא חִיָּה (venafshò lo khiyàh), “e anima di lui non vivrà”. Testo ricostruito: וְנַפְשׁי לוֹ חִיָּה (venafshìy lo khiyàh), “l’anima di me per lui vivrà”. Che sia proprio così lo testimonia anche la LXX: καὶ ἡ ψυχή μου αὐτῷ ζῇ (kài e psüchè mu autò ze), “e l’anima di me per lui vive”. Possiamo a questo punto ricostruire tutto il v. 29: “Solo a lui s’inchineranno tutti quelli che dormono nella terra, davanti a lui si piegheranno tutti quelli che scendono nella polvere, ma la mia anima vivrà per lui”.

39 Non “la posterità”, come traduce il Luzzi, ma “una posterità”: l’ebraico ha זֶרַע (zèra), “una stirpe”, senza articolo determinativo. Bene TNM: “Un seme”. Ma, se s’intende la posterità del salmista, va bene in italiano “la posterità”, anzi – ancor meglio – “la mia posterità”. Il pensiero sembra questo, perché il salmista, dopo aver menzionato tutti coloro che muoiono e scendono nella polvere, dice che sua anima “vivrà per lui”, e sembra logico che aggiunga: “La mia posterità lo servirà”. Così l’intende la LXX che ha τὸ σπέρμα μου (to spèrma mu): “il seme di me”. A quanto pare il copista ha dimenticato un’ultima lettera: doveva essere זֶרַעי (zerìy), “mio seme”, anziché זֶרַע (zèra), “seme”.

40 “Signore”. L’ebraico ha אֲדֹנָי (adonày), “mio Signore”, che sta per Yhvh.

41 “Alla ventura generazione”. “Alla generazione futura” (NR). Anche qui il testo ebraico mostra la sua corruzione. Infatti, vi si legge: יָבֹאוּ לַדֹּור (ladòr yàvu), “alla generazione (che) verranno”. TNM cerca di risolvere riferendo il “verranno” alla frase seguente: “…alla generazione. Verranno e annunceranno la sua giustizia”. Ma la frase “sarà dichiarato riguardo a Geova alla generazione” appare così monca: che vuol dire “alla generazione”? A quale? NR ripete il verbo, traducendo l’ebraico “alla generazione che verranno” usando prima un aggettivo e poi riferendo il verbo alla frase che segue: “Si parlerà del Signore alla generazione futura. Essi verranno e proclameranno la sua giustizia”. Così anche la Luzzi. Ma è solo un espediente del traduttore. Come si spiega l’ebraico? Semplicemente con un ennesimo errore del copista. La LXX, infatti, corregge l’errore e mette il verbo al singolare: γενεὰ ἡ ἐρχομένη (gheneà e erchomène), “la generazione che viene”.