Secondo la tradizione, il discepolo amato (vale a dire Giovanni) sarebbe stato l’autore del Vangelo omonimo. Verso la fine del 2° secolo ci si presentano tre testimonianze quasi contemporanee: Ireneo (morto nel 200 circa), il Frammento Muratoriano (170-200 circa) e Clemente Alessandrino (morto nel 219).

   Ireneo. Ireneo, per la sua provenienza dalla Frigia e per il suo episcopato a Lione, è testimone sia delle chiese orientali che di quelle occidentali. Il suo valore è ancora maggiore se si pensa che egli fu l’amico d’infanzia di Florino, con cui stette ai piedi di Policarpo, un discepolo di Giovanni l’apostolo. Così egli scriveva: “Io ti ho conosciuto quando eri ragazzo, ed è stato nell’Asia minore, presso Policarpo di cui cercavi la stima. Le cose di allora le ricordo meglio delle recenti, perché ciò che si apprende nella fanciullezza forma un tutt’uno con la nostra vita, si sviluppa e cresce con essa. Io ti potrei indicare ancora il luogo dove il beato Policarpo era solito sedersi per parlarci, e come entrava in argomento; quale vita conduceva, quale era l’aspetto della sua persona, quali i discorsi che teneva al popolo, come ci palava degli intimi rapporti da lui avuti con Giovanni e con gli altri che avevano visto il Signore, dei quali rammentava le parole e le cose da loro udite intorno al Signore, ai suoi miracoli e alla sua dottrina. Tutto ciò Policarpo lo aveva ricevuto da testimoni oculari e lo ripeteva in armonia con le Sacre Scritture. Questo, per misericordia divina, io ascoltavo e con cura ritenevo, non su un papiro ma nel mio cuore e per sempre. Per grazia di Dio me ne ricordo esattamente” (in Eusebio, Hist. Eccl. V, 20-25, “Lettera a Florino”). Ed ecco quanto Ireneo scrive su quello che noi oggi chiamiamo “Vangelo secondo Giovanni”: “Giovanni, discepolo del Signore, colui che riposò sul petto di Cristo, ha pubblicato un vangelo mentre dimorava ad Efeso”. – Ireneo, Adv. Haer. 3,1,1.

   Frammento Muratoriano. A Roma, contro la setta dei montanisti (che per esaltare la potenza dello spirito santo si rifacevano al Vangelo di Giovanni), sorse il movimento degli alogi capeggiato da Gaio. Costoro negavano il valore di Gv che iniziava con la dottrina del Logos. Contro Gaio e gli alogi fu scritto un documento di cui conserviamo il noto frammento. Tale frammento fu detto muratoriano in quanto scoperto dal Muratori nel 1740 nella biblioteca ambrosiana di Milano. Alcuni attribuiscono il documento a Ippolito per il fatto che esso insiste nell’accordo di Gv con i sinottici. Ippolito, morto nel 235, fu antipapa e poi fatto “santo”. Ecco cosa si legge nel Frammento Muratoriano: “Dietro richiesta dei suoi condiscepoli e coepiscopi, egli [Giovanni] disse: Digiunate con me tre giorni da oggi, e ciò che sarà rivelato all’uno o all’altro di noi ce lo racconteremo. La stessa notte fu rivelato ad Andrea, uno degli apostoli, che Giovanni dovesse mettere per iscritto tutte le cose, a patto di mostrarle agli altri. Così, benché gli inizi dei vangeli siano diversi in ognuno, ciò non interessa affatto i fedeli, perché per l’azione dell’unico spirito santo esposero tutte le cose riguardanti la natività, la passione, la resurrezione di Gesù e la sua duplice venuta: la prima in umiltà, disprezzata, che già ebbe luogo; la seconda in vera potenza e illustre, che deve ancora avvenire. Quale meraviglia allora che Giovanni si esprima con tanta autorità dicendo di se stesso: Ciò che abbiamo visto con i nostri occhi e abbiamo inteso con i nostri orecchi e ciò che le nostre mani hanno toccato è quello che noi scriviamo. Così egli confessa di essere non solo testimone oculare e auricolare, ma anche scrittore di tutte le meraviglie del Signore secondo un certo ordine”. – 1,9-34.

   Clemente Alessandrino. In un’opera persa (detta Ipotiposi), di cui ci sono stati conservati alcuni frammenti in Eusebio, Clemente così dice di Gv: “Giovanni, dunque, l’ultimo [degli scrittori], vedendo che i tratti esteriori [della vita di Yeshùa] erano stati messi in buona luce dagli evangelisti, spinto a questo dai discepoli e sospinto dallo spirito santo, compose un vangelo spirituale”. – Eusebio, Hist. Eccl. 6,14,7.

   A queste tre testimonianze se ne può aggiungere un’altra: si tratta del titolo del Vangelo. Questo è stato aggiunto più tardi, è vero, ma è pur sempre un’antica testimonianza che ha il suo valore.

   Che dubbi ci sono, allora? E. Schwartz fu il primo che ammise l’ipotesi che Giovanni sarebbe stato ucciso nel 44 insieme al fratello Giacomo; e quindi che Gv debba essere attribuito non a Giovanni apostolo ma a Giovanni il presbitero (ovvero “più vecchio”) di cui parlerebbe Papia, “vescovo” di Gerapoli in Asia Minore. Le ragioni addotte, che ora saranno esaminate, sono le seguenti.

   “Voi certo berrete il calice che io bevo e sarete battezzati del battesimo del quale io sono battezzato” (Mr 10:39). Questa profezia di Yeshùa sarebbe (secondo l’ipotesi suddetta) un evento posteriore attribuito da Marco a Yeshùa e sarebbe riferita alla morte di Giacomo e Giovanni. Ipotesi dubbia, ma rafforzata – per chi la sostiene – dal martirologio siro (del 411) che pone nello stesso giorno la morte dei due fratelli e dal calendario armeno che pone il ricordo del martirio di Giacomo e Giovanni al 28 dicembre. Secondo lo storico Filippo di Side (circa 430) i due fratelli morirono per mano dei giudei (Codex Baroccianus 142). In un frammento tratto dalla Cronaca di Giorgio il monaco, vissuto al tempo dell’imperatore Michele III (842-867), si legge: “Papia, vescovo di Gerapoli, che lo vide di persona, afferma nel suo secondo libro degli Oracoli del Signore che Giovanni fu tolto dai giudei, realizzando così, al pari di suo fratello, la profezia del Cristo che li riguardava” (manoscritto Coistinianus 30). Tuttavia, la morte prematura di Giovanni è smentita da Atti che riferisce solo il martirio di Giacomo senza ricordare quello di Giovanni: “Il re Erode cominciò a maltrattare alcuni della chiesa; e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni” (12:1,2). Paolo, nella lettera ai Galati, parla di Giovanni come uno delle colonne della chiesa e lo dà vivente insieme a Pietro e a Giacomo “fratello del Signore” (Gal 2:2). Anche la profezia di Yeshùa riportata in Mr 10:39 afferma solo il martirio e non la sua contemporaneità; anzi, “il calice” da lui profetizzato non significa necessariamente la morte ma la sofferenza e la persecuzione. Il racconto dell’ultimo capitolo di Gv non può essere sorto senza la sopravvivenza considerevole e inaspettata dell’apostolo: “Si sparse tra i fratelli la voce che quel discepolo [Giovanni] non sarebbe morto” (Gv 21:23); il fraintendimento dei discepoli è dovuto al fatto che Yeshùa preannuncia una lunga vita per Giovanni. Anche la narrazione di Papia non dice che i due fratelli morirono contemporaneamente, tant’è vero che il monaco Giorgio, pur accogliendo la testimonianza di Papia, nel passo citato aggiunge che Giovanni, tornato da Patos, dove viveva esiliato, “dopo essere rimasto il solo in vita tra i dodici e avere scritto il suo vangelo, fu stimato degno del suo martirio” (che si sarebbe svolto a Efeso, sotto Nerva nel 96-98).

   Che Gv sarebbe stato scritto da Giovanni il presbitero (distinto da Giovanni l’apostolo) è un’ipotesi che poggia su Papia che sembra distinguere due persone, come appare nella citazione seguente: “Io non esito a inserire nelle mie interpretazioni, facendomi garante di verità, quanto un tempo ho appreso dai presbiteri e ho conservato nella memoria. Se accadeva che da qualche parte qualcuno avesse frequentato i presbiteri, mi informavo sulle parole dette dai presbiteri, domandando ciò che avevano detto Andrea, Pietro, Filippo, Tommaso, Giacomo, Giovanni, Matteo e qualche altro discepolo del Signore e ciò che dicono Aristione e il presbitero Giovanni, discepolo del Signore. Ero infatti persuaso che i racconti tratti dai libri non potevano avere per me lo stesso valore di una voce viva e sonora” (Papia presso Eusebio, Hist. Eccl. 3,39,3,4; corsivo aggiunto per enfasi). Eusebio, commentando questo passo, pensa che Papia intendesse parlare di due persone distinte (Giovanni l’apostolo e Giovanni il presbitero). Inoltre, Eusebio aggiunge che a Efeso si trovavano due sepolcri che recavano lo stesso nome di Giovanni (Hist. Eccl. 3,39,6). Occorre però distinguere bene il problema dell’esistenza a Efeso di due Giovanni dal problema dell’origine del Vangelo giovanneo. Tutti coloro che parlano del presbitero Giovanni (anche Eusebio e Policarpo) attribuiscono il Vangelo all’apostolo e l’Apocalisse al presbitero. Ma va detto che ciò è motivato dal fatto che essi erano contrari a certe idee dell’Apocalisse e quindi volevano negarne l’ispirazione dicendola opera di un presbitero non apostolo. In ogni caso, il passo di Papia può essere inteso in modo da escludere il presbitero quale autore di Gv. Infatti, Papia si riferisce a due situazioni diverse: egli ascoltava ciò che gli apostoli (tra cui Giovanni) avevano detto ad altri (in gran parte già morti) e poi ciò che il presbitero Giovanni – unico vivente insieme ad Aristione – gli diceva personalmente. Da qui il duplice ricordo del nome Giovanni e le diversità del tempo: “Avevano detto”… “dicono”. Inoltre, il titolo “presbitero” è quello che si legge all’inizio della seconda e della terza lettera di Giovanni: “L’anziano [Ὁ πρεσβύτερος (o presbΰteros, “il presbitero”)] alla signora eletta” (2Gv 1); “L’anziano [Ὁ πρεσβύτερος (o presbΰteros, “il presbitero”)] al carissimo Gaio” (3Gv 1), il che non significa che si trattasse di quel Giovanni presbitero. Anche Eusebio sembra identificare i due, dato che nella sua Cronaca scrive che Papia ascoltò l’apostolo e nella sua Storia Ecclesiastica scrive che Papia ascoltò invece il presbitero. Dal momento che la tradizione antica (ad eccezione di Papia e di coloro che su di lui poggiano) ignora completamente l’esistenza di un Giovanni il presbitero, è ben difficile insistere su di esso per sostenere la non genuinità del Vangelo giovanneo. Non è poi impossibile che Giovanni si sia definito il discepolo amato, dato che anche nei sinottici lui e suo fratello Giacomo si accostano a Yeshùa (certamente confidando nel suo amore per loro) per ottenere i primi posti nel Regno (Mt 20:20-28; Mr 10:35-45 Lc 22:24-27). Anche i discorsi di Yeshùa riportati in Gv, pur essendo talora una meditazione dell’apostolo ispirato, presentano un tipico colore semitico che li fa risalire benissimo a Giovanni l’apostolo e, per mezzo suo, allo stesso Yeshùa. Va tuttavia ricordato che Gv, così come oggi appare, fu rivisto dai discepoli di Giovanni. Questa era l’idea anche del Canone Muratoriano nel 2° secolo, dove si legge che esso fu “riveduto” dai suoi condiscepoli. Gv 21:24 ha il carattere dell’attestazione degli anziani della congregazione di Efeso: “Questo è il discepolo che rende testimonianza di queste cose, e che ha scritto queste cose; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera”. Anche la parentesi di Gv 4:2 – “(sebbene non fosse Gesù che battezzava, ma i suoi discepoli)” – sembra una correzione aggiunta per chiarire meglio il testo ambiguo. Si può anche aggiungere che per gli antichi una persona era considerata autore di un libro anche se questo veniva scritto o continuato da suoi condiscepoli.