Lo gnosticismo sosteneva l’esistenza nel cosmo del dualismo materia-spirito, denotante la sua origine non da un Dio unico ma da due dèi: uno, dio del male e della materia, l’altro dio del bene e dello spirito. La percezione di questa duplice presunta realtà sarebbe frutto di speciale “conoscenza” (gnosi, appunto) degli gnostici.

   Come già accennato nello studio precedente, queste idee vengono oggi poste in discussione dai nuovi studiosi che esaminano l’origine dello gnosticismo. Mentre alcuni studiosi (H. Schilier, A. W. Wikenhauser) trovavano l’ambiente della lettera ai colossesi nella dottrina gnostica del 2° secolo, un altro autore (E. Kasemann) vi trovava dottrine iraniche. Altri ancora hanno raffrontato Col con il culto di Mitra, di Men, di Aiis, di Sabazios e di Magna Mater (F. Maier, A. Steinmann, M. Meinertz, M. Dibelius). Lo studioso J. B. Lighfoot, con una felice intuizione (data la mancanza di documenti significativi), già nel 1800 pensava alla confutazione di un pre-gnosticismo di tipo giudaico-esseno.

   Oggi sappiamo che lo gnosticismo andò realmente sviluppandosi nel 2° secolo, quando si diffuse per influsso iranico il mito del “primo uomo” tornato dal regno della luce a liberare mediante la conoscenza le “anime” (spiriti) divenute schiave della materia. Tuttavia, questa eresia gnostica del 2° secondo secolo affondava le sue radici in un pre-gnosticismo larvato del 1° secolo e che poteva perciò essere combattuto da Paolo nella sua lettera ai colossesi.

   A Qumràn, infatti, si esaltava la “conoscenza” del mistero divino nascosto ai “figli di Adamo” (I QS II,2-7), ma rivelato mediante il Maestro di Giustizia (o Dottore Giusto) della setta essena.

“I miei occhi han contemplato

il sempre esistente: sapienza nascosta

ai mortali, scienza e pensieri occultati

ai figli dell’uomo”. – I QS II,6.

   Secondo gli esseni questo “mistero” si concretizzava nella Legge mosaica, nel vero calendario che secondo loro regolava la vita giudaica e nelle pratiche di astinenza e di alimentazione.

“Tutti quelli che hanno concluso l’alleanza . . . veglino per agire secondo l’interpretazione della Legge . . . per separarsi dagli uomini di perdizione . . . per distinguere tra puro ed impuro, e aver conoscenza tra il santo e il profano; per osservare il giorno di sabato secondo la sua interpretazione, le feste e il giorno del digiuno, secondo il compito della Nuova Alleanza del paese di Damasco”. – Documento Damasceno 6,11,14-19.

   Come si nota da questo documento, gli esseni ritenevano di avere il giusto calendario, e su questo basavano il loro sabato e le loro feste. Il sabato e le feste erano quelli biblici, ma gli esseni li osservavano secondo un loro calendario. Anche le leggi alimentari si basavano su quelle bibliche, ma la “conoscenza” che gli esseni credevano di possedere andava oltre. Tutto questo contrastava con le osservanze giudaiche. Alla luce di ciò sono più comprensibili le parole di Paolo ai colossesi:

“Nessuno dunque vi giudichi quanto al mangiare o al bere, o rispetto a feste, a noviluni, a sabati”. –  2:16.

   I colossesi si attenevano alle leggi alimentari bibliche. I colossesi osservavano le feste, i noviluni e i sabati biblici. Paolo dice loro che nessuno deve giudicarli per questo. “Nessuno vi giudichi riguardo al mangiare e al bere o in quanto a festa o a osservanza della luna nuova o a sabato” (Ibidem, TNM). Si noti: “In quanto […] a osservanza” (non in quanto a non osservanza). I colossesi osservavano sabati, noviluni e feste bibliche nel modo corretto. Nessuno doveva permettersi di giudicarli per questo.

   Con il pre-gnosticismo si era già creata a Qumràn una religione di angeli, ai quali si offriva un vero culto (Enoc 9:3; Testamento di Levi 5:5; I QM 7,6;12,1,4,8;3,25). Ciò accadeva perché gli angeli erano ritenuti mediatori tra Dio e l’uomo (Test. Dan. 6:2). Ecco allora di nuovo comprensibili le parole di Paolo sempre ai colossesi:

“Nessuno vi derubi a suo piacere del vostro premio, con un pretesto di umiltà e di culto degli angeli, affidandosi alle proprie visioni, gonfio di vanità nella sua mente carnale”. – 2:18.

   La lotta tra il bene e il male ha il suo campo di battaglia nella mente umana, per cui a Qumràn si distinguevano due classi di persone: i buoni (gli esseni) e i malvagi: “Dio ha messo una inimicizia eterna tra le due classi . . . una lotta gelosa li oppone . . . sicché non possono marciare insieme” (I QS IV,17,18). Secondo la loro visione, ogni santo ha l’obbligo di avere “odio eterno contro gli uomini della perdizione” (I QS 9,21). Questa idea è decisamente rifiutata dalla Bibbia: “Io vi dico: amate i vostri nemici, [benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano,] e pregate per quelli [che vi maltrattano e] che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani?” (Mt 5:44-46). “Lui [Yeshùa], infatti, è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione abolendo nel suo corpo terreno la causa dell’inimicizia”. – Ef 2:14.

   Anche se qui (nei passi pre-gnostici che abbiamo citato) il dualismo è prevalentemente morale e non cosmico, si trattava già di un primo passo che avrebbe condotto poi la mentalità degli gnostici alla distinzione cosmica tra il dio buono e il dio cattivo. Cosa che avvenne nel 2° secolo tra gli gnostici.

   Va poi osservato che tali idee essene potevano benissimo penetrare anche tra i discepoli di Yeshùa. Infatti, non aveva anche Giovanni diviso il mondo in due classi (i credenti e il mondo; i figli delle tenebre e i figli della luce; i seguaci dell’amore e quelli dell’odio, coloro che accettano Yeshùa e coloro che lo negano)? Yeshùa stesso aveva detto: “Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito” (Gv 3:6). Era quindi possibile che nei nuovi credenti s’insinuasse lo gnosticismo o, meglio, il pre-gnosticismo. D’altra parte, già lo stesso Giovanni combatte contro questo pre-gnosticismo quando insiste sul fatto che Yeshùa era davvero un uomo in carne ed ossa e che la sua resurrezione fu una vera resurrezione. Per gli gnostici la carne di Yeshùa era apparente.

   Non senza motivo i cosiddetti “padri della chiesa” antichi attribuivano la nascita degli gnostici a dei discepoli di Yeshùa fattisi eretici, e in modo particolare a Simone e a Nicola. Questi due sono entrambi ricordati dal libro di Atti e furono i fondatori dei simoniti  e dei nicolaiti: “Elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmena e Nicola, proselito di Antiochia. Li presentarono agli apostoli, i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani” (At 6:5,6); “Vi era un tale, di nome Simone, che già da tempo esercitava nella città le arti magiche, e faceva stupire la gente di Samaria, spacciandosi per un personaggio importante. Tutti, dal più piccolo al più grande, gli davano ascolto, dicendo: ‘Questi è la potenza di Dio, quella che è chiamata la Grande’. E gli davano ascolto, perché già da molto tempo li aveva incantati con le sue arti magiche. Ma quando ebbero creduto a Filippo che portava loro il lieto messaggio del regno di Dio e il nome di Gesù Cristo, furono battezzati, uomini e donne. Simone credette anche lui; e, dopo essere stato battezzato, stava sempre con Filippo; e restava meravigliato, vedendo i miracoli e le opere potenti che venivano fatti” (At 8:9-13). La setta dei nicolaiti è rammenta pure nel libro di Rivelazione o Apocalisse: “Tuttavia hai questo, che detesti le opere dei Nicolaiti, che anch’io detesto” (2:6). I reperti di Qumràn e di Kenoboskion (o Nag Hammadi, dove è stata rinvenuta una completa biblioteca manichea) hanno confermato in pieno le attestazioni patristiche precedenti.

   Sembra che delle tendenze gnostiche incominciassero ad affiorare nella congregazione di Corinto, dove con tutta probabilità alcuni si facevano forti della predicazione paolina riguardante lo spirito santo e la libertà dei figli di Dio per portarla a conseguenze estreme e assurde. Quei discepoli eretici erano convinti di essere già ricchi e perfetti: “Già siete sazi, già siete arricchiti, senza di noi siete giunti a regnare!” (1Cor 4:8). Costoro s’immaginavano che la realtà del messaggio escatologico (che riguarda cioè gli ultimi tempi) si fosse già attuata su questa terra, senza doverla più attendere per l’avvenire. Paolo esorta Timoteo a combattere simili eresie: “Evita le chiacchiere profane, perché quelli che le fanno avanzano sempre più nell’empietà e la loro parola andrà rodendo come fa la cancrena; tra questi sono Imeneo e Fileto, uomini che hanno deviato dalla verità, dicendo che la risurrezione è già avvenuta, e sovvertono la fede di alcuni” (2Tm 2:16-18). Per questi eretici gnostici il messia era il “rivelatore” che salvava con la sua sapienza, per cui non aveva valore il mistero della sua morte e la sofferenza degli apostoli. Paolo ribatte loro con sarcasmo: “Io ritengo che Dio abbia messo in mostra noi, gli apostoli, ultimi fra tutti, come uomini condannati a morte; poiché siamo diventati uno spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi siamo pazzi a causa di Cristo, ma voi siete sapienti in Cristo; noi siamo deboli, ma voi siete forti; voi siete onorati, ma noi siamo disprezzati. Fino a questo momento, noi abbiamo fame e sete. Siamo nudi, schiaffeggiati e senza fissa dimora, e ci affatichiamo lavorando con le nostre proprie mani; ingiuriati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; diffamati, esortiamo; siamo diventati, e siamo tuttora, come la spazzatura del mondo, come il rifiuto di tutti”. – 1Cor 4:9-13.

   Un giovane gnostico, abusando delle parole di Yeshùa, si rivolgeva a una ragazza vergine che egli desiderava dicendole: “Dà a chi ti chiede” (Mt 5:42). Queste unioni sessuali erano chiamate “unioni mistiche” che, nel pensiero corrotto, elevavano al “Regno di Dio”.

   Alcuni di questi gnostici si astenevano dalla carne sacrificata agli idoli. Essi pensavano di avere “conoscenza” (gnosi, appunto). Da ciò è motivata la frase paolina contro la gnosi che inorgoglisce e manca di rispetto, mancanza tipica di chi in effetti non sa e pretende di sapere: “Quanto alle carni sacrificate agli idoli, sappiamo che tutti abbiamo conoscenza. La conoscenza [γνῶσις (gnòsis)] gonfia, ma l’amore edifica. Se qualcuno pensa di conoscere qualcosa, non sa ancora come si deve conoscere; ma se qualcuno ama Dio, è conosciuto da lui. Quanto dunque al mangiar carni sacrificate agli idoli, sappiamo che l’idolo non è nulla nel mondo, e che non c’è che un Dio solo. Poiché, sebbene vi siano cosiddetti dèi, sia in cielo sia in terra, come infatti ci sono molti dèi e signori, tuttavia per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo. Ma non in tutti è la conoscenza; anzi, alcuni, abituati finora all’idolo, mangiano di quella carne come se fosse una cosa sacrificata a un idolo; e la loro coscienza, essendo debole, ne è contaminata. Ora non è un cibo che ci farà graditi a Dio; se non mangiamo, non abbiamo nulla di meno; e se mangiamo non abbiamo nulla di più. Ma badate che questo vostro diritto non diventi un inciampo per i deboli. Perché se qualcuno vede te, che hai conoscenza, seduto a tavola in un tempio dedicato agli idoli, la sua coscienza, se egli è debole, non sarà tentata di mangiar carni sacrificate agli idoli? Così, per la tua conoscenza, è danneggiato il debole, il fratello per il quale Cristo è morto. Ora, peccando in tal modo contro i fratelli, ferendo la loro coscienza che è debole, voi peccate contro Cristo. Perciò, se un cibo scandalizza mio fratello, non mangerò mai più carne, per non scandalizzare mio fratello” (1Cor 8:1-13). La “conoscenza” che “gonfia” è la gnosi, appunto.

   Alcuni di questi pre-gnostici nella congregazione dei discepoli di Yeshùa si astenevano del tutto dalla carne, ammettendo un rigorismo ascetico che li faceva allontanare anche dal matrimonio, per cui Paolo è costretto a dire: “Non privatevi l’uno dell’altro, se non di comune accordo, per un tempo, per dedicarvi alla preghiera; e poi ritornate insieme, perché Satana non vi tenti a motivo della vostra incontinenza” (1Cor 7:5). Altri pre-gnostici, al contrario, ritenevano lecito tutto, in quanto il loro “spirito” non poteva essere toccato da peccati carnali: “Si ode addirittura affermare che vi è tra di voi fornicazione; e tale immoralità, che non si trova neppure fra i pagani; al punto che uno di voi si tiene la moglie di suo padre! E voi siete gonfi, e non avete invece fatto cordoglio, perché colui che ha commesso quell’azione fosse tolto di mezzo a voi! Quanto a me, assente di persona ma presente in spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, colui che ha commesso un tale atto. Nel nome del Signore Gesù, essendo insieme riuniti voi e lo spirito mio, con l’autorità del Signore nostro Gesù, ho deciso che quel tale sia consegnato a Satana, per la rovina della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù” (1Cor 5:1-5). Per costoro, che si ritenevano dei re (“Senza di noi siete giunti a regnare!”, 1Cor 4:8), la legge comune non aveva valore; come riferisce Clemente: “Per un re la legge non è scritta”. – Clemente Alessandrino, Stromata 3,27-33.

   Tendenze pre-gnostiche sono appunto quelle che appaiono in Col. Questa lettera fu forse scritta da Paolo dietro richiesta di Epafra che in quel momento stava con l’apostolo. Paolo ammette che nella congregazione di Colosse regnavano la fedeltà e l’amore: “Abbiamo sentito parlare della vostra fede in Cristo Gesù e dell’amore che avete per tutti i santi” (1:4), “Sebbene sia assente di persona, sono però con voi spiritualmente, e mi rallegro vedendo il vostro ordine e la fermezza della vostra fede in Cristo” (2:5). Ma sa anche che lì si vanno diffondendo degli errori che si pretende di mescolare al vangelo, alla buona notizia, una speculazione filosofica di tendenza gnostica: “Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri secondo la tradizione degli uomini e gli elementi del mondo e non secondo Cristo” (2:8). Come abbiamo visto, la speculazione filosofica di tipo gnostico riguardava l’alimentazione e le osservanze delle feste bibliche secondo un particolare calendario accolto dagli esseni. Un posto speciale era attribuito agli angeli, considerati come strumenti della creazione e della Legge. Forse queste idee erano derivate da frasi generiche in cui appare il plurale: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza” (Gn 1:26), “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi” (Gn 3:22). Al dire di Giustino, questo implicava secondo alcuni rabbini giudei del suo tempo che Dio avesse parlato agli angeli e che l’uomo fosse stato opera dell’attività angelica (Giustino, Dialoghi 62). Per Giustino, invece, si trattava del Padre e del Figlio. Anche nei testi copti di Nag Hammadi si legge: “Alcune [sette giudaiche] dicono che Dio è il creatore di tutto ciò che esiste, altri dicono che egli creò tutto mediante di angeli” (cfr. Trattato sulle tre nature). L’attività angelica nel dare la Legge era poi stata sottolineata da Stefano: “Voi, che avete ricevuto la legge promulgata dagli angeli, e non l’avete osservata” (At 7:53). Anche Paolo lo sottolineava: “Fu promulgata per mezzo di angeli” (Gal 3:19). Anche l’autore di Eb afferma: “La parola pronunziata per mezzo di angeli si dimostrò ferma e ogni trasgressione e disubbidienza ricevette una giusta retribuzione” (2:2). Non solo la Bibbia attestava il ruolo degli angeli nel consegnare la Legge, ma anche la letteratura giudaica di quel tempo (Giubilei 1:29; Test. Dan. 6:2; Filone, Somn. 1,141; Giuseppe, Ant. 15,136; Sifrè Num. 102 su Nm 12:5 e su Es 20:18; Pesiqta Gabbati 21). Era quindi facile esagerare. Secondo i pre-gnostici eretici a Colosse l’osservanza della Legge doveva essere un’obbedienza dovuta agli angeli che erano dispiaciuti quando essa veniva violata.

   Che gli angeli abbiano avuto un ruolo nel consegnare la Legge è un fatto attestato dalla Scrittura. Forse è con questa idea che dobbiamo comprendere l’ammonimento paolino fatto alle donne di coprirsi il capo: “La donna deve, a causa degli angeli, avere sul capo un segno di autorità” (1Cor 11:10). Il versetto precedente parla dell’ordine della creazione: “L’uomo non fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo” (v. 9). Pensando che la creazione come tale era dai rabbini attribuita agli angeli (Dio la avrebbe attuata tramite gli angeli), si comprende come la violazione dell’ordine stabilito nella creazione sarebbe stata ritenuta una violazione contro gli angeli. È infatti dopo aver specificato quest’ordine nella creazione che Paolo dice: “Perciò la donna deve, a causa degli angeli, avere sul capo un segno di autorità” (v. 10). Non dimentichiamo che Paolo era stato un rabbino alla scuola di Gamaliele. Da qui al culto degli angeli, però, ce ne corre.

   Queste forze angeliche erano chiamate dagli gnostici “elementi” (στοιχεῖα, stoichèia). Paolo ne parla in Gal 4:3: “Anche noi, quando eravamo bambini, eravamo tenuti in schiavitù dagli elementi del mondo”. La frase “elementi del mondo” è nel greco στοιχεῖα τοῦ κόσμου  (stoichèia tu kòsmu). La parola κόσμος (kòsmos), numero Strong 2889, ha diversi significati e può significare anche “universo”. Paolo parla quindi di “elementi dell’universo”. Il contesto è quello: “Io dico: finché l’erede è minorenne, non differisce in nulla dal servo, benché sia padrone di tutto; ma è sotto tutori e amministratori fino al tempo prestabilito dal padre. Così anche noi, quando eravamo bambini, eravamo tenuti in schiavitù dagli elementi del mondo” (4:1-3). Paolo parla in modo allegorico di “tutori e amministratori”, e non si vedrebbe cosa c’entrerebbe qui parlare poi di “elementi del mondo” intesi come princìpi umani. Prende quindi un abbaglio TNM che traduce: “Anche noi, quando eravamo bambini, eravamo resi schiavi dalle cose elementari che appartengono al mondo”. Il testo non parla di “cose elementari che appartengono al mondo”, ma di stoichèia tu kòsmu, “elementi dell’universo”. Tentando di commentare l’espressione, gli editori di TNM fanno un po’ di confusione nel cercare di includervi tutto (gli elementi umani, il culto degli angeli e le pratiche giudaiche). Prima fanno una negazione e poi la accettano insieme a altre spiegazioni: “Paolo evidentemente non si riferiva agli elementi fondamentali della creazione materiale […]. Gli scritti di Paolo indicano che questo includerebbe le filosofie e le dottrine illusorie che si basano unicamente su norme, concetti, ragionamenti e mitologie umani, del tipo di cui si dilettavano i greci e gli altri popoli pagani. (Col 2:8) Comunque è chiaro che egli usò il termine per includere anche elementi della cultura ebraica, non solo insegnamenti ebraici non biblici che incoraggiavano l’ascetismo o l’’adorazione degli angeli’, ma anche l’idea che i cristiani dovessero osservare la Legge mosaica”. – Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 2, pag. 312, § 3 del sottotitolo “Le cose elementari del mondo” alla voce “Mondo”.

   Dopo aver detto che Dio ha inviato Yeshùa quando giunse la pienezza del tempo e che ora sono nella verità (Gal 4:4-8), Paolo domanda: “Come mai vi rivolgete di nuovo ai deboli e poveri elementi [στοιχεῖα (stoichèia)], di cui volete rendervi schiavi di nuovo?” (4:9). Le forze angeliche non sono costituite solo da angeli ubbidienti, ma anche da angeli ribelli (demòni). Questi ultimi sono gli “elementi” che saranno distrutti. – 2Pt 3:10,12.

   Secondo alcuni pre-gnostici, perfino Yeshùa era sottoposto a questi “elementi”. Probabilmente tra gli stoichèia tu kòsmu o “elementi dell’universo” erano inclusi anche i corpi celesti e gli astri, i sette pianeti, i segni dello zodiaco, compresi gli angeli che – secondo quelle idee pre-gnostiche – ne avevano la tutela.

   Per lo gnosticismo era questa la “conoscenza” che permetteva di scrutare i misteri più profondi della divinità e che conduceva l’anima alla perfezione. A questa “filosofia” fatta di “raggiri secondo la tradizione degli uomini” (Col 2:8) Paolo oppone una chiara dottrina centrata su Yeshùa:

“In lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità; e voi avete tutto pienamente in lui, che è il capo di ogni principato e di ogni potenza; in lui siete anche stati circoncisi di una circoncisione non fatta da mano d’uomo, ma della circoncisione di Cristo, che consiste nello spogliamento del corpo della carne: siete stati con lui sepolti nel battesimo, nel quale siete anche stati risuscitati con lui mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti. Voi, che eravate morti nei peccati e nella incirconcisione della vostra carne, voi, dico, Dio ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i nostri peccati; egli ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l’ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce; ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce”. – Col 2:9-15.

   Yeshùa “è il capo di ogni principato e di ogni potenza”: “principati” e “potenze” erano una suddivisione degli angeli. Paolo dice che Yeshùa è ora loro capo. Yeshùa “ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro”. Yeshùa quindi è l’unico mediatore tra Dio e l’umanità e in nessun altro può esservi la perfezione. Non ci sono angeli, quindi, che facciano da mediatori. C’è solo Yeshùa. Questo, tra l’altro, contrasta direttamente con la presunta cooperazione mariana nella redenzione, affermata dai cattolici, che vedono in Maria la corredentrice, mentre in verità occupa il posto di queste “dominazioni”.

   Yeshùa è sopra gli stessi “principati”, delle stesse “potenze”, degli stessi “elementi dell’universo” di cui si gloriavano certi colossesi eretici. La morte e la resurrezione di Yeshùa lo mostrano come conquistatore dell’intero universo.

   Quando quelle potenze angeliche demoniache gli si scagliarono contro in punto di morte, Yeshùa non solo le respinse, ma trasformò lo strumento della sua morte in un carro vittorioso cui attaccò i suoi nemici: “Ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce” (Col 2:15). Si veda al riguardo lo studio in AppendiceIl trionfo di Yeshùa, in questa stessa categoria.

   La lettera ai colossesi potrebbe essere riassunta in questa frase: Yeshùa è il centro dell’universo. Nella lettera ai colossesi Yeshùa è presentato come “il primogenito di ogni creatura” (1:15) che ha compiuto la riconciliazione cosmica universale:

“In lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. Egli è il capo del corpo, cioè della chiesa; è lui il principio, il primogenito dai morti, affinché in ogni cosa abbia il primato. Poiché al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della sua croce; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli”. – 1:16-20.

   La congregazione, la comunità dei credenti che abita in Colosse o in qualsiasi altra parte del mondo, è il posto in cui il mistero di Dio si manifesta: “Dio ha voluto far loro conoscere quale sia la ricchezza della gloria di questo mistero fra gli stranieri, cioè Cristo in voi, la speranza della gloria” (Col 1:27); è il corpo di cui egli è a capo (1:18). I suoi discepoli non possono quindi sottoporsi agli spiriti che egli ha debellato né tanto meno sottoporsi nuovamente ai loro legami. – Gal 4:9.

   Alle pratiche ascetiche che gli eretici vogliono imporre ai discepoli, e che sembrano dettate da umiltà e da saggezza, Paolo oppone la libertà di Yeshùa e l’attuazione della vera vita ubbidiente che egli espone in una bella sintesi:

“Se dunque siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Aspirate alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra; poiché voi moriste e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria”. – Col 3:1-4.

   Lo gnosticismo degli eretici di Colosse è quindi solo uno gnosticismo incipiente che sussisteva già nel 1° secolo. Non si può perciò addurre l’argomentazione che, essendo lo gnosticismo appartenente al 2° secolo, la lettera ai colossesi non può ritenersi genuina.

   La lettera di Paolo ai colossesi è genuina e lo gnosticismo che vi è presente (pre-gnosticismo) era solo un primo tentativo di presentare il messaggio riguardante Yeshùa in una terminologia mitica.

   Un ultimo tentativo dei critici è di obiettare che gli esseni di Qumràn non potevano essersi diffusi fino in Asia Minore tanto da esservi combattuti (come appare in Col). Tuttavia, anche quest’obiezione viene a cadere. Infatti, a casi di una dottrina rifacentesi a Yeshùa ma incompleta, con caratteri giovannei e possibili influssi qumranici può far pensare la singolare figura di Apollo, che predicava Yeshùa a Efeso (in Asia Minore) pur avendo ricevuto solo il battesimo giovanneo: “Un ebreo di nome Apollo, oriundo di Alessandria, uomo eloquente e versato nelle Scritture, arrivò a Efeso. Egli era stato istruito nella via del Signore; ed essendo fervente di spirito, annunziava e insegnava accuratamente le cose relative a Gesù, benché avesse conoscenza soltanto del battesimo di Giovanni” (At 18:24,25). Come anche il caso di un gruppo di discepoli efesini che non avevano l’insegnamento sullo spirito santo: “Paolo, dopo aver attraversato le regioni superiori del paese, giunse a Efeso; e vi trovò alcuni discepoli, ai quali disse: ‘Riceveste lo Spirito Santo quando credeste?’. Gli risposero: ‘Non abbiamo neppure sentito dire che ci sia lo Spirito Santo’. Egli disse loro: ‘Con quale battesimo siete dunque stati battezzati?’. Essi risposero: ‘Con il battesimo di Giovanni’”. – At 19:1-3.

   È probabile che nel 40 a. E. V., quando l’asmoneo Antigono dominò con i parti in Palestina perseguitando gli erodiani, anche gli esseni si erano portati in Egitto fondandovi il movimento anacoreta dei terapeuti. I manoscritti copti editi nel 1894 da F. Rossi e quelli pubblicati da A. M. Kropp sono certamente imparentati con gli esseni, pur essendo influenzati dalle dottrine su Yeshùa. – Cfr. F. Rossi, Di alcuni manoscritti copti della Biblioteca di Torino, Mem. Reale Accademia delle Scienze di Torino, Scienze morali, storiche e filologiche, Serie II Vol. 44, 1894, pagg. 21-52; A. M. Kropp, Ausgewälte Zaubertexte, Bruxelles, I pagg. 29-31, II pagg. 104-107, I pagg. 55,56, 12-118, II pagg. 41-48.

   Anche in Asia Minore apparvero dei movimenti claustrali simili per impostazione religiosa e giuridica al movimento esseno. Ciò traspare dalle iscrizioni di Sardi, di Efeso e di Claros (Jewish Symbols in the Greco-Roman Period 180 n. 94). Nell’Artemision di Efeso un corpo sacerdotale aveva il nome di “essenes” e presentava un colorito sincretista orientale.

   Giuseppe Flavio riporta il caso di un avvocato ebreo che chiede a Erode che sia concesso agli ebrei della Ionia di poter prestare culto ai propri dèi (Antichità Giudaiche 18,1,6). Questi dèi non sono altro che gli angeli, come risulta dai manoscritti di Qumràn. Sono chiamati elìm in 1 QDM  3,1 (Qumràn Cave I, DJD, 96 1,1; 1 QM 14,16, 15,14). Sono chiamati el elìm in 1 QM (Meg. Gen. 1,21). Sono chiamati sar elìm in 1 QM. – Meg. Gen. 11 pl. x, 8.

   Anche Girolamo, nel suo commento alla lettera ai galati afferma che essa fu scritta da Paolo contro gli errori degli esseni e, in articolare, degli ebioniti nascenti che erano i continuatori delle dottrine essene ed erano legati in qualche modo alla congregazione madre di Giacomo: “Prima che fossero venuti alcuni da parte di Giacomo, egli mangiava con persone non giudaiche; ma quando quelli furono arrivati, cominciò a ritirarsi e a separarsi per timore dei circoncisi”. – Gal 2:12.

   Gli esseni, dopo il 40 a. E. V. si sparsero nella diaspora, specialmente in Egitto; e da qui a Cipro, in Ionia, ad Efeso, in Frigia e persino in Galazia. – Cfr. Testa, Gli errori combattuti da Paolo nelle lettere dalla cattività e Qumrân pagg. 240-242.