Laodicea, città dell’Asia Minore occidentale, prese il suo nome da Laodice, moglie del re seleucide Antioco II che riedificò la città nel 3° secolo a. E. V.. Città industriale e di collegamento sulle vie carovaniere, era ricca, oltre che prospera, perché possedeva un centro bancario. Rasa al suolo da un tremendo terremoto nel 60-61 della nostra èra, non ebbe bisogno di aiuti e si risollevò da sola (cfr. Tacito, Annali, XIV, 27). Produceva indumenti con la sua famosa lana nera; produceva anche, a quanto pare, un collirio medicamentoso per gli occhi, il che spiega la venerazione laodicense per Asclepio, dio della medicina.

   Agli ebrei laodicesi era concesso d’osservare le prescrizioni della Toràh, sabato compreso. – Cfr. Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XIV, 241-243.

   Nella Bibbia è documentata una lettera scritta da Paolo alla comunità dei discepoli di Yeshùa di Laodicea (Col 4:16), andata però perduta. Questa comunità si riuniva per il culto nella casa di una discepola di nome Ninfa. – Col 4:15.

    Va ricordato anche – perché ha importanza per l’esegesi della lettera apocalittica a Laodicea – che questa città non aveva un proprio approvvigionamento d’acqua, a differenza dalla vicina Ierapoli (che possedeva sorgenti d’acqua calda, terapeutica) e di Colosse (che aveva acqua fresca).

   “All’angelo della chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice l’Amen, il testimone fedele e veritiero, il principio della creazione di Dio” (Ap 3:14). Is 65:16 “il Dio di verità”, che diventa per TNM “l’Iddio della fede”, è in realtà nel testo originale biblico אלֹהֵי אָמֵן (elohè amèn), “Dio [dell’] amen”. “Tutte le promesse di Dio hanno il loro «sì» in lui [in Yeshùa]; perciò pure per mezzo di lui noi pronunciamo l’Amen [greco Ἀμήν] alla gloria di Dio” (2Cor 1:20). È Yeshùa l’amen di Dio, colui tramite cui Dio dice “così sia” e realizza ciò che enuncia. Amen di Dio, egli è “fedele e veritiero”. – cfr. Ap 1:5.

   Yeshùa è “il principio [ἡ ἀρχὴ] della creazione di Dio”. In Col 1:15 è definito “il primogenito [πρωτότοκος] di ogni creatura”. Nel giudaismo l’inizio di ogni cosa si ebbe con la sapienza di Dio, che – personificata in una donna – dice in Pr 8:22: “Il Signore mi ebbe con sé al principio dei suoi atti, prima di fare alcuna delle sue opere più antiche”. Yeshùa è “potenza di Dio e sapienza di Dio” (1Cor 1:24). Vedere qui, nel “principio”, un dato cronologico per porre Yeshùa come esistente già prima della creazione (quale Dio stesso per i trinitari e protestanti, e quale potente creatura angelica per altri) è un errore che solo le religioni possono fare. Nella Bibbia si afferma che ogni cosa è stata creata da Dio per Yeshùa, “poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1:16). Nel pensiero ebraico che troviamo nella Scrittura, per dare più concreta consistenza a una importante realtà si diceva che essa preesistesse presso Dio. Così, la Toràh e il Tempio, per fare due esempi, è detto che preesistevano in cielo presso Dio. È in questo senso che la Bibbia parla della preesistenza di Yeshùa, presa letteralmente in modo ottuso dalle religione. Yeshùa fu “fu preconosciuto [προεγνωσμένου] prima della fondazione del mondo” (1Pt 1:20, TNM). Essendo già presente nel progetto di Dio (preesistente, nel concetto biblico) e avendo Dio in mente di creare ogni cosa “per lui”, “in vista di lui”, si poteva anche ben dire che “tutte le cose sono state create per mezzo di lui”. – Col 1:16.

   Yeshùa, il Signore glorificato, ha di che rimproverare la comunità di Laodicea: “Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca” (Ap 3:15,16). Conoscere la situazione idrica dell’antica città di Laodicea è indispensabile per comprendere queste parole. L’acqua arrivava a Laodicea da altre fonti: da Ieroapoli l’acqua calda e terapeutica, da Colosse l’acqua fresca di sorgente. Percorrendo acquedotti e canali, tutte e due quelle acque giungevano però a Laodicea tiepide, non piacevoli al palato. L’errore che molti fanno è di interpretare la condizione calda come buona e quella fredda come riprovevole. Se si leggono bene le parole di Yeshùa, però, lui vorrebbe che Laodicea fosse fredda (ψυχρός) oppure bollente (ζεστὸς). Nel testo greco critico di Nestle-Aland, così come in quello di Tischendorf e in quello di Tregelles, l’auspicabile condizione fredda precede quella calda:

ὄφελον ψυχρὸς ἦς ἢ ζεστός

magari freddo fossi o bollente!

   L’acqua calda e terapeutica di Ierapoli aveva i suoi benefici effetti quando era calda. L’acqua fresca di Colosse ristorava se mantenuta fredda. Tutte e due quelle acque, divenute tiepide, erano sgradevoli, come qualsiasi bevanda tiepida. Forse lo comprendiamo meglio riferendoci a bevande come il the o il caffè: sono molto ristoratrici se calde oppure fredde; tiepide, sono solo stomachevoli. La comunità di Laodicea, vive beatamente nella sua tiepidezza insulsa. Non avendo capacità tonificante né rinfrescante, sarà rigettata da Yeshùa, proprio come si sputa dell’acqua nauseabonda.

   A questa sua caratteristica negativa se ne aggiunge un’altra: “Tu dici: ‘Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!’ Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo” (Ap 3:17). Anche qui la storia della città ci è di aiuto per la corretta esegesi. Laodicea, dopo il forte terremoto che l’aveva rasa al suolo, non aveva avuto bisogno dell’aiuto di nessuno; ricca com’era, ce l’aveva fatta da sola a ricostruirsi. Ciò è preso a metafora: si vantava di non necessitare di alcunché perché ricca, e così appariva al mondo, mentre allo sguardo di Yeshùa è solo povera e miserabile. E anche cieca, proprio lei che produceva il suo famoso medicamento per gli occhi. E pure nuda, lei così famosa per la sua produzione di indumenti di lana.

   Per questi suoi tre difetti (povertà, cecità e nudità spirituali) Yeshùa le dà tre consigli (Ap 3:18):

  1. “Io ti consiglio di comperare da me dell’oro purificato dal fuoco, per arricchirti”. L’oro, simbolo di ricchezza, impreziosiva il Tempio di Dio, che aveva una simbologia celeste attinente agli eletti (Eb 9:1-5,9,11,12,23-25;3:1). L’arca dell’alleanza era d’oro e simboleggiava il cielo in cui dimora Dio. Gli eletti, entrando in cielo quale “stirpe eletta” e “sacerdozio regale” (1Pt 2:9), godono della preziosità dell’oro. Quello autentico che Yeshùa invita a comprare da lui è dato senza denaro: “Voi che non avete denaro venite, comprate e mangiate!”. – Is 55:1.
  2. “Io ti consiglio di comperare da me . . . delle vesti bianche per vestirti e perché non appaia la vergogna della tua nudità”. Si noti il contrasto: a Laodicea si producevano indumenti con lana nera, mentre Yeshùa offre “vesti bianche”. La nudità indica nella Bibbia la mancanza di dignità. Adamo ed Eva, che avevano perso la loro con il peccato, furono rivestiti da Dio che così ridiede un po’ di dignità. – Gn 3:9,10,21.
  3. “Io ti consiglio di comperare da me . . . del collirio per ungerti gli occhi e vedere”. C’è qui una chiara allusione alla scuola di medicina che Laodicea aveva, producendo il suo famoso collirio (la “polvere frigia”). Il vero collirio che guarisce la cecità spirituale è donato da Yeshùa.

   Questo triplice consiglio di Yeshùa indica la stessa cosa: la ricchezza vera, la dignità vera e la guarigione autentica si trovano solo presso Yeshùa. Il rimprovero di Yeshùa ai laodicesi è molto duro e severo, però è un atto d’amore: “Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti” (Ap 3:19). Dio stesso “riprende colui che egli ama, come un padre il figlio che gradisce” (Pr 3:12). “Sopportate queste cose per la vostra correzione. Dio vi tratta come figli; infatti, qual è il figlio che il padre non corregga? Ma se siete esclusi da quella correzione di cui tutti hanno avuto la loro parte, allora siete bastardi e non figli. Inoltre abbiamo avuto per correttori i nostri padri secondo la carne e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo forse molto di più al Padre degli spiriti per avere la vita? Essi infatti ci correggevano per pochi giorni come sembrava loro opportuno; ma egli lo fa per il nostro bene, affinché siamo partecipi della sua santità. È vero che qualunque correzione sul momento non sembra recare gioia, ma tristezza; in seguito tuttavia produce un frutto di pace e di giustizia in coloro che sono stati addestrati per mezzo di essa”. – Eb 12:6-11.

   Molto bella, delicata, toccante ed emozionante l’immagine con cui si chiude la lettera: “Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3:20). Il suo bussare è discreto e chi apre riceve un grande invito. Verrà però il tempo in cui Yeshùa non busserà ma verrà all’improvviso: “Il giudice è alla porta” (Gc 5:9). Coloro che saranno trovati fedeli parteciperanno a un gran banchetto: “Beati quei servi che il padrone, arrivando, troverà vigilanti! In verità io vi dico che egli si rimboccherà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli”. – Lc 12:37.

   “Chi vince lo farò sedere presso di me sul mio trono, come anch’io ho vinto e mi sono seduto con il Padre mio sul suo trono” (Ap 3:21). Si adempierà allora la promessa fatta da Yeshùa in Mt 19:28: “Io vi dico in verità che nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, anche voi, che mi avete seguito, sarete seduti su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele”. “Non sapete che giudicheremo gli angeli?”. – 1Cor 6:3.