“Poi vidi un’altra bestia, che saliva dalla terra, e aveva due corna simili a quelle di un agnello, ma parlava come un dragone” (Ap 13:11). La prima bestia era salita dal mare, questa sale dalla terra, l’Asia Minore. Questo animale ha “due corna” come il “montone che aveva due corna” di Dn 8:3. Ha una sembianza che richiama l’agnello, ma parla “come un dragone”. È ciò che si dice una doppia personalità, come quella di coloro di cui Yeshùa disse di stare attenti: “Guardatevi dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci”. – Mt 7:15.

   Chi rappresenta questa seconda bestia? Possiamo dedurlo dalle sue caratteristiche:

“Essa esercitava tutto il potere della prima bestia in sua presenza, e faceva sì che tutti gli abitanti della terra adorassero la prima bestia la cui piaga mortale era stata guarita. E operava grandi prodigi sino a far scendere fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini. E seduceva gli abitanti della terra con i prodigi che le fu concesso di fare in presenza della bestia, dicendo agli abitanti della terra di erigere un’immagine della bestia che aveva ricevuto la ferita della spada ed era tornata in vita. Le fu concesso di dare uno spirito all’immagine della bestia affinché l’immagine potesse parlare e far uccidere tutti quelli che non adorassero l’immagine della bestia. Inoltre obbligò tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza, calcoli il numero della bestia, perché è un numero d’uomo; e il suo numero è seicentosessantasei”. – Ap 13:12-18.

   Questa bestia fa pubblicità affinché tutti adorino la prima bestia ovvero l’Impero Romano idolatrato con il culto dell’imperatore. Si può pensare a tutta la classe sacerdotale dell’Asia Minore, che era al servizio del dominatore romano. La seconda bestia agisce come un falso profeta che opera prodigi per sedurre. Yeshùa lo aveva preannunciato: “Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti” (Mr 13:22). Si tratta del “falso profeta”.

 

Il falso profeta (la seconda bestia)

Ap 16:13

“Vidi uscire dalla bocca del dragone, da quella della bestia e da quella del falso profeta tre spiriti immondi”

Ap 19:20

“La bestia fu presa, e con lei fu preso il falso profeta che aveva fatto prodigi davanti a lei, con i quali aveva sedotto quelli che avevano preso il marchio della bestia e quelli che adoravano la sua immagine”

Ap 20:10

“il diavolo che le aveva sedotte fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta

   Tutto ciò è conforme a quanto detto anticipatamente da Paolo: “La venuta di quell’empio avrà luogo, per l’azione efficace di Satana, con ogni sorta di opere potenti, di segni e di prodigi bugiardi, con ogni tipo d’inganno e d’iniquità a danno di quelli che periscono perché non hanno aperto il cuore all’amore della verità per essere salvati. Perciò Dio manda loro una potenza d’errore perché credano alla menzogna; affinché tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma si sono compiaciuti nell’iniquità, siano giudicati”. – 2Ts 2:9-12.


Il culto dell’imperatore nell’Impero Romano

In Oriente, sin dai tempi antichissimi, era costume onorare i re come esseri divini. Nella stessa Bibbia troviamo traccia di ciò: il re era chiamato “figlio di Dio”, con la differenza che il sovrano non era ritenuto un semidio ovvero un uomo nato dall’unione sessuale di un dio con una donna. Ben diversa era la situazione nel resto dell’Oriente.

   Nella loro grande espansione territoriale, i romani vennero in contatto con le credenze religiose di altri popoli, così che si creò un miscuglio di credenze e riti. Già all’epoca di Alessandro il Grande l’uso orientate di venerare il sovrano era penetrato nell’ellenismo.

   Il culto della “dea Roma” iniziò nel 2° secolo a. E. V. quale personificazione del dominio dello stato romano. Tale culto era importante per diffondere un’immagine sacrale, quindi inviolabile, del dominio romano.

   Allorché l’imperatore romano Augusto ebbe su di sé tutto il potere assoluto del suo enorme intero impero, in Asia Minore si iniziarono ad erigere templi dedicati a lui e alla dea Roma, con tanto di sacrifici. Furono le stesse città orientali a chiedere di poterlo onorare, secondo i loro secolari costumi. Augusto volle però che il culto a lui tributato fosse associato a quello della dea Roma e fosse praticato solo dai sudditi orientali. Nonostante ciò, gli abitanti orientali distinsero il culto dell’imperatore da quello tributato a Roma.

   Va detto che Augusto tollerò la cosa, ma senza mai incoraggiare il culto a lui stesso. Tuttavia, durante il 1° secolo, il culto imperiale prese maggiormente piede e Roma ne approfittò per tenere uniti tutti i popoli sottomessi. Dapprima, a Roma si fu alquanto prudenti e la maestà divina di Cesare fu accordata solo dopo la sua morte. La svolta avvenne con Domiziano (anni 81-96), che era molto compiaciuto che il popolo lo acclamasse come “nostro signore”. Le circolari ufficiali che egli inviava iniziavano immancabilmente con questa formula. “Il nostro Signore e Dio ordina che …” (cfr. Svetonio, Domitianus 13). Per non averlo riconosciuto come Dio, Domiziano fece uccidere il console Flavio Clemente, suo cugino, ed esiliò Domitilla, sua moglie. In ogni parte del suo impero Domiziano fece erigere sue statue. A Efeso, in Asia Minore, fece costruire un tempio in cui si doveva venerare la sua mastodontica statua.

   Il culto dell’imperatore vivente era un atto dovuto da tutti i cittadini dell’Impero per riconoscere che il sovrano era divino.  Fu proprio l’opposizione al culto imperiale da parte dei discepoli di Yeshùa che scatenò la loro persecuzione nel 1° secolo.

   Il culto imperiale continuò a fiorire fino al 3° secolo, con l’imperatore Alessandro Severo, poi andò affievolendosi, tanto che nel 4° secolo vi si pose fine con l’editto di Tessalonica. Ora l’Impero Romano assimilava a sé la religione “cristiana” ovvero la religione sorta dall’apostasia iniziata nel 2° secolo, infarcendola del proprio paganesimo e dando vita a una religione cattolica (universale) romana.

   La pratica della divinizzazione, tuttavia, rimase e fu tributata all’imperatore romano Costantino, che operò la fusione tra la religione “cristiana” apostata e il paganesimo. Nel nuovo culto, Costantino fu onorato come Isapostolo (= “uguale agli apostoli”), con una modalità volta a perpetuarne la funzione. Già gli imperatori romani avevano assunto il titolo e le funzioni di Pontifex Maximus (“Sommo Pontefice”), il massimo grado religioso che designava il capo del collegio di sacerdoti, a partire dal 12 a. E. V. con l’imperatore Augusto. Costantino conservò la carica di Pontifex Maximus. Fu l’imperatore romano Flavio Graziano (375-383), dopo di lui, a rinunciare alla carica di Sommo Pontefice. Carica che passò poi al papa cattolico, conservata fino ad oggi.


 

   A conferma che la seconda bestia è l’apocalittico “falso profeta”, abbiamo anche il suo comportamento che imita – facendo “scendere fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini” (Ap 13:13) – quello del vero profeta Elia, come narrato in 1Re 18:38,39: “Allora cadde il fuoco del Signore, e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la polvere, e prosciugò l’acqua che era nel fosso. Tutto il popolo, veduto ciò …” (cfr. 2Re 1:10-14). Come effetto dei prodigi compiuti, il bestiale falso profeta seduce tutti gli abitanti della terra e ordina loro di “di erigere un’immagine della bestia che aveva ricevuto la ferita della spada ed era tornata in vita” (Ap 13:14), continuando così la sua propaganda a favore del bestiale Impero Romano sostenuto dal dragone satanico.

    Nella visione, la bestia parla ed esige l’adorazione, pena la morte (Ap 13:15). La storia si ripete.

“Tutti stavano in piedi davanti alla statua eretta da Nabucodonosor. Allora l’araldo gridò forte: «A voi, gente di ogni popolo, nazione e lingua, si ordina quanto segue: … vi inchinerete e adorerete la statua d’oro che il re Nabucodonosor ha fatto erigere. Chi non si inchina per adorare, sarà immediatamente gettato in una fornace ardente»”. – Dn 3:3-6.

   Qui in Ap la scena è ancora più impressionante perché non è un araldo a parlare ma la statua stessa. Gli antichi credevano ai miracoli e ne erano impressionati, anche se a far parlare immagini erano dei maghi con vari trucchi.

   Da perfetto falso profeta che imita colui contro cui satana davvero combatte, cioè Dio, la bestia pure marchia i suoi fedeli, così come Dio fa con i suoi (cfr. Ap 7:3). Li marchia come segno che sono di sua proprietà (Ap 13:16). Il marchio che ricevono è però ben diverso da quello degli eletti.

Χάραγμα (chàragma) – il marchio

Σφραγίς (sfraghìs) – il suggello

“Obbligò tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte”.

Ap 13:16.

“Udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila”.

Ap 7:4; cfr. 9:4.

Il chàragma era il sigillo, il timbro, dei Cesari

Lo sfraghìs era il sigillo posto sui rotoli

 


Il termine χάραγμα (chàragma) di solito denotava un timbro, spesso il sigillo imperiale stampigliato su documenti commerciali e simili, come un segno di autorità dell’imperatore, che portava la sua immagine, il nome e la data. Possiamo anche dire che l’immagine dell’imperatore scolpita sulle monete è un χάραγμα (chàragma), a significare che la moneta in uso è di sua proprietà.


   Chi non si piega al culto imperiale è escluso dalla vita economica e dal commercio, condannato all’indigenza. – Ap 13:17.

   La fine del cap. 13 di Ap si chiude con un enigma: “Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza, calcoli il numero della bestia, perché è un numero d’uomo; e il suo numero è seicentosessantasei”.

   Alla soluzione dell’enigma – lo dice Giovanni – ci si può arrivare con la sapienza e l’intelligenza. Giovanni parla di σοφία (sofìa), che è la saggezza derivata dall’uso della conoscenza, e si rivolge a ὁ ἔχων νοῦν (èchon nùn), “l’avente mente” ovvero a chi la le facoltà mentali per ragionare. Non si tratta quindi di avere una rivelazione divina data dallo spirito, ma solo di ragionare con intendimento. Infatti, dice anche: “Calcoli il numero”. Ciò costituisce uno di due indizi che dà: occorre fare un calcolo. L’altro indizio è dato dal tipo di numero: “È un numero d’uomo”. Dietro la bestia si cela quindi un uomo, un personaggio umano.

   Seguendo il consiglio del veggente di Patmos, occorre riferirsi alla גימטריה‎ (ghematriyàh), la gematria, lo studio delle parole scritte in ebraico. Ad ogni lettera era assegnato un numero: gli antichi non avevano segni speciali per i numeri, ma usavano le lettere alfabetiche. Trasformando le singole lettere di una parola nei numeri corrispondenti e poi sommandoli si poteva ottenere il numero che indicava quella parola. Questa criptografia era alquanto semplice: bastava sostituire a ogni lettera un numero e poi fare la somma. Il difficile, e a volte impossibile, era invece risalire dal numero alla parola. La somma, infatti, poteva avere lo stesso risultato usando addendi diversi e quindi lettere diverse. Nel caso di numeri da decifrare ci si trovava perciò davanti a un vero enigma: chi era abile perveniva alla soluzione, gli altri no. Questo gioco era molto popolare anche tra greci e romani. Su una parete dell’antica Pompei è stata ritrovata una scritta criptica molto simile a quella che i ragazzi di oggi scrivono ancora sui muri. La scritta pompeiana recita: “Amo colei che ha numero 545”. Alcuni certamente capivano, i più no.

   L’enigma apocalittico consiste nel capire che nome si cela sotto il numero 666. Sappiamo già che si riferisce a un uomo.

   Va detto intanto che il numero è proprio 666. Alcuni manoscritti presentano un numero diverso. Nel codice minuscolo 2344 si ha la lezione “665” e nel codice unciale C la lezione è “616”. Possiamo però trascurare del tutte queste lezioni perché i migliori codici hanno “666”. – Cfr. i manoscritti P47, S, A, 051.

   Cercando di svelare l’enigma, la strada giusta è quella di pensare a qualche imperatore romano e quindi verificare se corrisponda prima di tutto a 666 e poi agli eventi storici. Se si usa l’alfabeto greco come decrittatorio, non si giunge ad alcun risultato. Che alfabeto usare? La cosa si complica perché anticamente si potevano scrivere nomi greci anche usando lettere ebraiche. Un esempio lo abbiamo nella stessa Apocalisse, in 9:11: “L’angelo dell’abisso il cui nome in ebraico è Abaddon [אבדון] e in greco Apollion [Ἀπολλύων (Apollýon)]”. Se però si utilizza l’alfabeto ebraico, alla soluzione si arriva.

נרון קיסר (Neron Qesar) – Nerone Cesare

נ

N

50

Nei manoscritti ebraici delle Scritture Greche “Cesare” è scritto proprio come riportato, con la qof (ק) iniziale.

In ebraico le vocali non si scrivono, ma la lettera vav (ו) può assumere il suono della o.

La lettera yòd (י) non si legge: è una mater lectionis e serve sono a prolungare la vocale e, che non è scritta.

ר

r

200

ו

o

6

ן

n

50

ק

Q

100

י

ס

s

60

ר

r

200

Totale:

666

 

 

 

 

 

 

 

   Il Nero redivivus, il Nerone che popolarmente si pensava dovesse tornare dal regno dei morti, era il terribile imperatore atteso nell’imminente futuro.