Una delle prime confessioni di fede degli israeliti (Dt 26:5), recita: “Tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, che è il tuo Dio: ‘Mio padre era un Arameo errante’”.

   Iniziamo con lo stabilire la lezione giusta, dato che TNM traduce: “Mio padre era un siro che stava per perire”; il che parrebbe ben diverso. Come se non bastasse, la nota in calce di TNM dice: “Lett. ‘Mio padre era un arameo che stava per perire’, MSam; Sy, ‘Mio padre fu condotto in Aram’; LXX, ‘Mio padre respinse la Siria’”. Le differenze sono due, che confrontiamo con altre traduzioni:

 

Dt 26:5

NR

Arameo

errante

Did

Siro

un misero

ND

Arameo

sul punto di morire

TNM

Siro

che stava per perire

CEI

Arameo

errante

Lu

Arameo

errante

Con

Arameo

nomade

 

Non ci rimane che vedere cosa dice la Bibbia:

 

אֲרַמִּי אֹבֵד

Aramý ovèd

 

   Che Aramý (אֲרַמִּי) debba tradursi “arameo” (letteralmente “aramita”) risulta chiaro anche a chi non conosca l’ebraico: basta pronunciare il nome: Aramý. Si tratterà poi di domandarsi cosa significhi “arameo”. In quanto a ovèd (אֹבֵד), si tratta di un aggettivo (“misero”), di un sostantivo (“nomade”) o di un participio (“morente”, “errante”)? L’Hebräisches und Aramäisches Lexicon zum Alten Testament (E. J. Brill, Leiden, 1967) traduce ovèd con “rovina” (cfr. Nm 24:20,24). La traduzione corretta è quindi: “Mio padre era un arameo in rovina”.

   A chi si allude? Il libro di Dt contiene una serie di discorsi che Mosè pronunciò al popolo d’Israele nelle pianure di Moab davanti a Gerico. Il passo in questione (Dt 26:5) si trova nel secondo discorso di Mosè. Qui Mosè sta dando istruzioni al popolo e dice che quando saranno nella Terra Promessa e l’israelita si presenterà davanti al sacerdote per offrire le “primizie di tutti i frutti del suolo” che avrebbe raccolto, avrebbe dovuto dichiarare al sacerdote: “Mio padre era un Arameo errante”. – Dt 26:1-5.

   Il riferimento quale “arameo errante” è a Giacobbe, “padre” dei capostipiti delle 12 tribù di Israele. – Gn 46:3: At 7:15.

   Perché “arameo” o, secondo altre traduzioni, “siro”? È forse per la sua ventennale permanenza in Aram (presso il suocero arameo Labano) che Giacobbe viene chiamato arameo? – Gn 28:5;31:41; Os 12:12.

   Gli aramei erano discendenti semiti di Aram, uno dei cinque figli di Sem (1Cron 1:17). Costoro parlavano aramaico, lingua molto simile all’ebraico e che divenne poi la lingua internazionale sia del commercio che della diplomazia in tutte le regioni limitrofe, nel primo millennio prima di Yeshùa (2Re 18:26). Yeshùa stesso probabilmente parlava di solito aramaico e non ebraico; gli assiri potevano parlare ai giudei in aramaico, la lingua diplomatica, ma non lo facevano perché volevano essere capiti dai giudei comuni (2Re 18:26; Is 36:11); la corrispondenza ufficiale con la Babilonia e la Persia avveniva in aramaico (Dn 2:4; Esd 4:7); alcuni brani della stessa Bibbia furono scritti in aramaico. – Esd 4:8–6:18;7:12-26; Ger 10:11; Dn 2:4b–7:28.  

   Il termine “arameo” era usato per descrivere i popoli della regione di Siria e di Assiria (prima dell’esistenza di queste nazioni), nella Mesopotamia settentrionale. Aram si riferisce fondamentalmente alla Siria e così solitamente viene tradotto (Gdc 10:6; 2Sam 8:6, 12;15:8; Os 12:12). Paddan-Aram indica in particolare la zona intorno alla città di Haran nell’alta Mesopotamia (Gn 25:20;28:2-7,10). Il patriarca Abraamo aveva risieduto temporaneamente ad Haran, nella regione di Paddan (Gn 12:4;28:7,10). Successivamente, suo figlio Isacco e poi suo nipote Giacobbe vi trovarono moglie fra i discendenti dei suoi parenti (Gn 22:20-23;25:20;28:6). Giacobbe trascorse 20 anni in Paddan al servizio del suocero Labano (Gn 31:17,18,36,41). Spesso, “Mesopotamia” nelle Scritture Ebraiche è una parola composta da Aram nell’ebraico, per esempio אֲרַם נַהֲרָיִם (aràm naharàym) in Gdc 3:8, che nella traduzione greca dei LXX è Συρία ποταμῶν (Sürìa potamòn), “Siria dei fiumi”. In Gdc 10:6 l’ebraico ha  אֲרָם(aram), tradotto “Siria”. La cultura aramaica continuava a crescere verso ovest, dominando la Siria, e dal tempo di Salomone in poi i riferimenti ai siri si riferiscono quasi sempre agli aramei.

   Gli aramei erano un popolo nomade semitico menzionato sei volte nella Bibbia ebraica, che abitava nella Mesopotamia (la “Siria dei fiumi”, Συρία ποταμῶν, Sürìa potamòn, di Gdc 3:8 nella versione della LXX) e nelle regioni vicine facenti parte dei moderni stati di Turchia, Siria, Iran, Iraq, Giordania e Libano. La maggior parte degli studiosi ritiene che i “due fiumi” in questione siano il Tigri (stando al Libro dei Giubilei) e l’Eufrate. Gli autori della Jewish Encyclopedia, tra il 1901 e il 1908, non trovarono il nome Aram nelle iscrizioni babilonesi o assire ma, basandosi sul contenuto di tre tavolette delle Lettere di Amarna, l’identificarono con il Naharàym.

   Il termine “aramei” era utilizzato nell’antichità dagli ebrei per distinguere i loro “cugini” più distanti, che abitavano ad oriente (Aram) dai “Figli di Eber”(Gn 10:21). Tuttavia, gli aramei non formarono mai uno stato unito; piuttosto, essi erano accomunati dall’uso della lingua aramaica che in origine era scritta utilizzando l’alfabeto fenicio. All’epoca degli imperi babilonese e persiano, l’aramaico divenne la lingua franca di tutto il Medio Oriente. Di fatto, il concetto di “aramei” e di “aramaico” è essenzialmente linguistico, dal momento che solo in brevi periodi esistette un regno arameo, peraltro lungi dal mantenere sotto la propria sovranità tutte le popolazioni di lingua aramaica.

   Nell’odierna Siria esisteva una federazione di piccoli principati aramaici, agli ordini di un re non teocratico che si avvaleva di una folta burocrazia; è questo il caso di Aram Damascus (oggi semplicemente Damasco). Comunque, gli aramei non furono mai un impero veramente unito. Benché senza uno stato, gli aramei continuarono ad essere presenti nella Babilonia e nella Mesopotamia, dove vennero assimilati nelle società locali. Gli aramei ereditarono la cultura e la letteratura dai babilonesi e da altri popoli mesopotamici. La religione dei principati aramei assomigliava molto a quelle cananea e babilonese, perché adoravano divinità come Baal e Astarte.

   L’elezione divina non ha mai avuto per oggetto un popolo già formato, come alcuni erroneamente ancora pensano. La scelta di Dio si è fermò su un uomo: Abraamo il caldeo (Gn 11:31), e non su un popolo. Quello ebraico, poi, neppure esisteva. È per questo che Dio dice agli ebrei per la bocca del profeta Isaia:

 

“Considerate Abraamo vostro padre

e Sara che vi partorì;

poiché io lo chiamai, quand’egli era solo,

lo benedissi e lo moltiplicai”. – Is 51:2.

 

   La Bibbia ricorda agli ebrei che Abraamo, il loro antenato, era un arameo, cioè un siriano. Mosè insiste su questo quando dice agli ebrei che devono riconoscere: “Mio padre era un Arameo errante” (Dt 26:5), riferendosi a Giacobbe e, per risalita, ad Abraamo.