Ordinati in schiere, gli ebrei uscirono dall’Egitto (Es 12:51) sotto la guida di Mosè. La prima fermata fu a Succot e la seconda fu a Etam, all’estremità del deserto: “Gli Israeliti, partiti da Succot, si accamparono a Etam, all’estremità del deserto” (Es 13:20; cfr Nm 33:3-7). Ad Etam forse c’era anticamente la strada che le carovane seguivano per spostarsi dall’Egitto all’Asia. Ciò farebbe pensare che gli israeliti sarebbero usciti dall’Egitto a Etam. Ma ricevettero da Dio l’ordine di cambiare direzione, invertendo il senso di marcia. Tornarono quindi indietro verso Piairot, dove avvenne il passaggio del mare (Nm 33:7,8). Questa inversione di marcia fece credere al faraone che gli israeliti stessero perdendo la strada perché si erano smarriti nel deserto, così pensò bene di inseguirli. Il risultato finale fu lo sterminio degli egiziani al Mar Rosso per mano di Dio.

“Il Signore parlò così a Mosè: ‘Di’ ai figli d’Israele che tornino indietro e si accampino davanti a Pi-Achirot, fra Migdol e il mare di fronte a Baal-Sefon. Accampatevi davanti a quel luogo presso il mare. Il faraone dirà dei figli d’Israele: ‘Si sono smarriti nel paese; il deserto li tiene rinchiusi’. Io indurirò il cuore del faraone ed egli li inseguirà. Ma io sarò glorificato nel faraone e in tutto il suo esercito, e gli Egiziani sapranno che io sono il Signore’. Ed essi fecero così”. – Es 14:1-4.

   Modificando così tanto l’itinerario e facendo prendere la direzione del sud, Dio condusse il suo popolo sulle sponde del Mar Rosso. L’obiettivo di Dio era di portare gli ebrei al monte Sinày, dove avrebbe dato loro la sua Legge e concluso l’alleanza. In questo tragitto Dio protesse costantemente gli ebrei: “Il Signore andava davanti a loro: di giorno, in una colonna di nuvola per guidarli lungo il cammino; di notte, in una colonna di fuoco per illuminarli, perché potessero camminare giorno e notte. Egli non allontanava la colonna di nuvola durante il giorno, né la colonna di fuoco durante la notte, dal cospetto del popolo”. – Es 13:21,22.

   Il faraone, impressionato da questo cambiamento d’itinerario, pensò che gli ebrei stessero vagando senza saper dove andare. Strategicamente era l’occasione giusta per raggiungerli e colpirli. “Gli Egiziani dunque li inseguirono. Tutti i cavalli, i carri del faraone, i suoi cavalieri e il suo esercito li raggiunsero mentre essi erano accampati presso il mare”. – Es 14:9.

   Davanti agli ebrei c’era il mare, dietro il potente esercito egiziano, a destra e a sinistra montagne difficilissime da superarsi. Sarebbe stato inutile – anzi, impossibile – opporre resistenza o darsi alla fuga. La scelta era tra arrendersi e tornare schiavi in Egitto o morire sotto i colpi degli egiziani.

   “Quando il faraone si avvicinò, i figli d’Israele alzarono gli occhi; ed ecco, gli Egiziani marciavano alle loro spalle. Allora i figli d’Israele ebbero una gran paura, gridarono al Signore” (Es 14:10). “E Mosè disse al popolo: ‘Non abbiate paura, state fermi e vedrete la salvezza che il Signore compirà oggi per voi; infatti gli Egiziani che avete visti quest’oggi, non li rivedrete mai più. Il Signore combatterà per voi e voi ve ne starete tranquilli’”. – Es 14:13,14.

   Dio operò un prodigio straordinario. Per comando di Dio, Mosè toccò le onde del mare con il suo bastone e le acque si divisero. Apparve il letto asciutto del mare: la via di scampo per gli ebrei. Fu solo ovvio che gli egiziani li inseguissero con la loro cavalleria. Ma – passati gli ebrei – le acque si richiusero e tutti gli inseguitori egiziani perirono miseramente. – Es 14:16-31.

   “Israele vide la grande potenza con cui il Signore aveva agito contro gli Egiziani. Il popolo perciò ebbe timore del Signore, credette nel Signore e nel suo servo Mosè”. – Es 14:31.

   Nell’indescrivibile gioia per questa meravigliosa liberazione, Mosè con tutto il popolo intonò un canto trionfale (Es 15:1-18). “Mosè e i figli d’Israele cantarono questo cantico quando i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono nel mare, e il Signore fece ritornare su di loro le acque del mare, ma i figli d’Israele camminarono sulla terra asciutta in mezzo al mare”. – V. 19.

 

Voglio cantare al Signore . . .

Il Signore è mia difesa . . .

Egli mi ha salvato . . .

Potente e terribile è la tua mano, Signore . . . Sei grande, Signore . . .

Chi è come te santo e potente? . . .

Hai liberato il tuo popolo! Con la tua bontà lo accompagni, con la tua forza lo guidi . . .

Signore, quel popolo che hai preso sotto la tua protezione, lo conduci.

Il Signore è re in eterno e per sempre . . .

(Es 15:1-18, passim, PdS)

 

   Il passaggio del Mar Rosso è uno dei più grandi avvenimenti che ha suscitato l’ammirazione dei profeti e dei poeti di Israele che lo hanno cantato.

“Voglio… meditare le lezioni del passato. È storia per noi familiare, molte volte l’abbiamo ascolata, la ripetevano a noi i nostri vecchi. Non la terremo nascosta ai nostri figli, racconteremo alla nuova generazione le stupende opere del Signore, la sua potenza e i miracoli che ha compiuti. …Divise il mare e li fece passare; fermò le acque: divennero un argine”. – Sl 78 (77), passim, PdS.

“Essi sono il tuo popolo, ti appartengono, ti stesso li hai fatti uscire dall’Egitto, da quella spaventosa oppressione”. – 1Re 8:51, PdS.

“Quando Israele uscì dall’Egitto… Il mare vide e fuggì via. …Perché fuggi, o mare? …Viene il Signore, viene il Dio di Giacobbe!”. – Sl 114 (113a), passim, PdS.

“Essi sono il tuo popolo, ti appartengono, ti stesso li hai fatti uscire dall’Egitto, da quella spaventosa oppressione”. – 1Re 8:51, PdS.

“Il signore aprirà una strada per il suo popolo . . . come ne ha aperta una per gli antenati di Israele quando uscirono dall’Efitto”. – Is 11:16, PdS.

   “Poi Mosè fece partire gli Israeliti dal mar Rosso ed essi si diressero verso il deserto di Sur” (Es 15:22). Gli ebrei, una volta usciti dal Mar Rosso, entrarono nel deserto di Sur, immenso deserto dell’Arabia. Qui avrebbero peregrinato per quaranta anni prima di giungere alla Terra promessa. “Il deserto di Sur” si trovava “di fronte all’Egitto, andando verso l’Assiria” (Gn 25:18), cioè doveva trovarsi nella parte nordoccidentale della penisola del Sinày. Percorrendo a tappe l’Arabia (detta anche penisola del Sinày, dal nome di un’importante punta del gruppo montagnoso nel sud della penisola) erano condotti da Dio verso Canaan, la Terra promessa.

   Nel deserto gli ebrei soffrirono. Ed è ovvio: erano una moltitudine di uomini, donne, vecchi e bambini che erano stati schiavi in terra straniera. Sebbene lieti per la liberazione, non si poteva pretendere che non si lamentassero di quella nuova condizione, pur avendo davanti la visione della loro Terra. Dolori e angustie non mancarono. Il Signore, però, venne sempre in loro aiuto per rendere meno amara la loro vita nel deserto. Pur con tutte le scusanti, c’è comunque da dire che essi furono oltremodo lamentosi.

   Giunti “a Mara, non potevano bere l’acqua di Mara, perché era amara; perciò quel luogo fu chiamato Mara. Allora il popolo mormorò contro Mosè, dicendo: ‘Che berremo?’” (Es 15:23,24). Mosè addolcì le acque con un prodigio concesso da Dio (v. 25). Ma ci fu una lezione: “È lì che il Signore diede al popolo una legge e una prescrizione, e lo mise alla prova, dicendo: ‘Se tu ascolti attentamente la voce del Signore che è il tuo Dio, e fai ciò che è giusto agli occhi suoi, porgi orecchio ai suoi comandamenti e osservi tutte le sue leggi, io non ti infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitte agli Egiziani, perché io sono il Signore, colui che ti guarisce’”. – Es 15:25,26.

   Quando giunsero a Elim trovarono “dodici sorgenti d’acqua e settanta palme; e si accamparono lì presso le acque” (Es 15:27). Ma i viveri mancavano. Non erano ancora passati due mesi dalla loro liberazione dall’Egitto che già si lamentavano: “Tutta la comunità dei figli d’Israele mormorò contro Mosè e contro Aaronne nel deserto. I figli d’Israele dissero loro: ‘Fossimo pur morti per mano del Signore nel paese d’Egitto, quando sedevamo intorno a pentole piene di carne e mangiavamo pane a sazietà! Voi ci avete condotti in questo deserto perché tutta questa assemblea morisse di fame!’” (16:2,3). Dio provvide loro, allora, la manna e le quaglie. – Es 16:4-23.

   Ripartirono e giunsero poi “a Refidim, ma non c’era acqua da bere per il popolo” (Es 17:1). Dio intervenne di nuovo, comandando a Mosè di percuotere una rupe per farne sgorgare acqua. – Vv. 5,6.

   Gli ebrei litigavano anche tra di loro, per cui “Mosè scelse fra tutto Israele degli uomini capaci e li stabilì capi del popolo: capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. Questi amministravano la giustizia al popolo in ogni tempo; le cause difficili le segnalavano a Mosè, ma ogni piccolo affare lo decidevano loro”. – Es 18:25,26.

   La bontà di Dio e la pazienza di Mosè resero tollerabile la vita nel deserto.

   Di tappa in tappa gli ebrei giunsero al Sinày (Es 19:2), dove doveva avvenire la promulgazione della Legge e la celebrazione dell’alleanza. Su quel monte superbo salì Mosè chiamatovi da Dio (19:3) che gli si manifestò in maniera meravigliosa tra lampi e tuoni che si confondevano con il suono delle trombe ordinato da Dio. – Es 19:16,19.

   Il momento era solenne. Dio diede quelli che – nel linguaggio comune – sono detti i “Dieci Comandamenti”. In Dt 4:13 si legge, nella traduzione: “Egli vi annunziò il suo patto, che vi comandò di osservare, cioè i dieci comandamenti, e li scrisse su due tavole di pietra”. La Scrittura però qui non dice così. La Bibbia dice עֲשֶׂרֶת הַדְּבָרִים (asèret advarìm): “le dieci parole”. La LXX greca tradusse, con lo stesso significato, τὰ δέκα ῥήματα (ta dèka rèmata): “le dieci parole”. La parola italiana “decalogo” è molto appropriata, in quanto deriva dal greco dèka, “dieci”, e dal greco λόγος (lògos), “parola”. Si tratta quindi, biblicamente, di “dieci detti”. Ciò è alquanto diverso dall’italiano “comandamenti”.

 

le dieci parole

  עֲשֶׂרֶת הַדְּבָרִים (asèret advarìm)

“E Dio pronunciava tutte queste parole, dicendo:

1 Io sono יהוה [Yhvh] tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa degli schiavi.
2 Non avrai altri dèi contro la mia faccia.Non farai idolo e immagine alcuna di ciò che è in alto nei cieli e di ciò che è nella terra di sotto e di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai a loro e non li servirai, perché io, יהוה [Yhvh] tuo Dio, sono un Dio geloso che punisce la colpa dei padri sui figli, [fino ai] terzi e quarti [generati] di quelli che mi odiano; e che pratica la lealtà [fino ai] millesimi [generati] verso quelli che mi amano e che custodiscono i miei comandi.
3 Non pronuncerai il nome di יהוה [Yhvh] tuo Dio per niente, poiché יהוה [Yhvh] non giustificherà chi pronuncerà il suo nome per niente.
4 [Devi] ricordare il giorno di sabato per santificarlo; sei giorni lavorerai e farai ogni tua opera, e il settimo giorno [è] sabato per יהוה [Yhvh] tuo Dio. Non farai alcun lavoro, tu e tuo figlio e tua figlia e il tuo schiavo e la tua schiava e il tuo bestiame e il tuo forestiero che [è] dentro le tue porte. Poiché [in] sei giorni יהוה [Yhvh] fece i cieli e la terra, il mare e tutto ciò che [è] in essi, e riposava nel settimo giorno. Perciò יהוה [Yhvh] benedisse il giorno di sabato e lo santificò.
5 Glorifica tuo padre e tua madre affinché i tuoi giorni siano prolungati sul suolo che יהוה  [Yhvh] tuo Dio ti dà.
6 Non assassinerai.
7 Non farai adulterio.
8 Non ruberai.
9 Non risponderai al tuo prossimo [da] falso testimone.
10 Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo e il suo schiavo e la sua schiava e il suo bue e il suo asino e tutto ciò che [è] del tuo prossimo”.

(Es 20:1-17, traduzione dal testo ebraico)

   In una nota in calce a Es 20:17, nella TNM si legge: “Questa suddivisione dei Dieci Comandamenti, vv. 2-17, è la suddivisione naturale. Concorda con Giuseppe Flavio, storico ebreo del I secolo E.V. (Antichità giudaiche, Libro III, cap. V, 5), e con Filone, filosofo ebreo del I secolo, che considerano il v. 3 come primo comandamento, i vv. 4-6 come secondo comandamento e il v. 17, che vieta ogni forma di concupiscenza, come decimo comandamento. Altri, fra cui Agostino, considerano i vv. 3-6 come un solo comandamento, ma dividono il v. 17 in due comandamenti, il nono contro il concupire la casa del proprio simile e il decimo contro il concupirne i beni viventi. Agostino basò la sua suddivisione sulla successiva dichiarazione parallela dei Dieci Comandamenti in De 5:6-21, che al v. 21 usa due diversi verbi ebr. quando proibisce di concupire ciò che appartiene al proprio simile, mentre Eso 20:17 usa lo stesso verbo ebr. in entrambi i casi. La suddivisione di Agostino è stata adottata dalla Chiesa Cattolica Romana.” Fatto sta che nell’elenco insegnato dalla Chiesa Cattolica il secondo comandamento è sparito. Si tratta del comandamento che vieta l’idolatria (il culto di immagini e statue, di cui le chiese cattoliche son piene). Per compensare la sparizione del secondo comandamento e mantenere il numero di 10, il decimo è stato diviso in due.

   Il Decalogo è il fondamento di tutta la Legge (sarebbe meglio dire Insegnamento, secondo la parola ebraica, che è Toràh). In dieci articoli questo stupendo e superbo codice traccia in grandi e sicure linee tutti i doveri spirituali e morali dell’essere umano di tutti i tempi a tutte le latitudini e a tutte le longitudini. Fu Dio stesso a fissarne il testo immortale su due tavole di pietra: “Quando il Signore ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte con il dito di Dio”. – Es 31:18.

   A spiegazione del Decalogo, Dio aggiunse altre disposizioni. Potremmo dire: diede l’interpretazione del codice (Es capitoli 21, 22 e 23). Fu quindi data l’intimazione di ubbidire (Es 24). Il popolo intero rispose con una sola voce concorde: “Tutto il popolo rispose a una voce e disse: ‘Noi faremo tutte le cose che il Signore ha dette’” (24:3). Furono alzati altari e tutto il popolo offrì olocausti a Dio in rendimento di grazia e in omaggio di sudditanza (24:5). Tutte le disposizioni furono affidate ad un libro: “Mosè scrisse tutte le parole del Signore” (v. 4). “Poi prese il libro del patto e lo lesse in presenza del popolo, il quale disse: ‘Noi faremo tutto quello che il Signore ha detto e ubbidiremo’” (v. 7). Fu formata così un’alleanza tra Dio e il popolo di Israele. Si noti l’espressione: “Noi faremo . . . e ubbidiremo”. La Bibbia non dice proprio così. Dice:

 

נַעֲשֶׂה וְנִשְׁמָע

(naasèh venishmà)

“faremo e ascolteremo”

 

   L’occidentale con la sua mentalità derivata dalla raziocinante filosofia greca direbbe: Ascolteremo e faremo. L’ebreo, nella sua ortoprassi, dice invece: Prima di tutto faremo, poi ci sarà tempo per ascoltare, studiare, capire. Il termine “ortoprassi” (dal greco orthós: corretto, e prácsis: azione) significa letteralmente: “corretto modo di agire”. Di fronte all’Insegnamento di Dio (erroneamente detto Legge), prima di tutto occorre ubbidire e fare, poi ci sarà il momento di capire. – 1Sam 15:22; Ger 7:23.

   La Legge (= Insegnamento) fu data a Israele, ma – come osservò Paolo – “quando degli stranieri, che non hanno legge, adempiono per natura le cose richieste dalla legge, essi, che non hanno legge, sono legge a sé stessi; essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza” (Rm 2:14,15). La Legge di Dio è già scritta nella coscienza umana, ma a grandi linee. Israele ebbe la Legge perfetta di Dio, scritta su pietra dal dito stesso di Dio. Con la venuta di Yeshùa, quel patto si allargò a tutti coloro che Dio sta chiamando e la Legge fu scritta nelle menti: “Con un’unica offerta egli [Yeshùa] ha reso perfetti per sempre quelli che sono santificati. Anche lo Spirito Santo ce ne rende testimonianza. Infatti, dopo aver detto: ‘Questo è il patto che farò con loro dopo quei giorni, dice il Signore, metterò le mie leggi nei loro cuori e le scriverò nelle loro menti’”. – Eb 10:14-16.

La grande colpa degli ebrei

   Dopo la celebrazione dell’alleanza, Mosè ricevette l’ordine divino di ritirarsi sulle vette del monte Sinày per ricevere istruzioni sulla fabbricazione del Santuario. Mosè rimase lì per quaranta giorni. – Es 24:18.

   Mentre Mosè era sul Sinày, gli ebrei – non vedendolo tornare – furono presi da un’inspiegabile stoltezza. “Il popolo vide che Mosè tardava a scendere dal monte; allora si radunò intorno ad Aaronne e gli disse: ‘Facci un dio che vada davanti a noi; poiché quel Mosè, l’uomo che ci ha fatti uscire dal paese d’Egitto, non sappiamo che fine abbia fatto’”. – Es 32:1.

   “Tutto il popolo si staccò dagli orecchi gli anelli d’oro e li portò ad Aaronne. Egli li prese dalle loro mani e, dopo aver cesellato lo stampo, ne fece un vitello di metallo fuso. E quelli dissero: ‘O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto!’”. – Es 32:3,4.

   Dall’alto del Sinày Dio fece sapere a Mosè l’intollerabile spettacolo che stava accadendo: “Il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d’Egitto, si è corrotto; si sono presto sviati dalla strada che io avevo loro ordinato di seguire; si son fatti un vitello di metallo fuso, l’hanno adorato, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: ‘O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto’” (Es 32:7,8). Dio stava per decidere di annientare il popolo, sostituendolo con una nuova discendenza di Mosè (v. 10). Fu per intercessione di Mosè che Dio non attuò il suo piano. – Vv. 11-14.

   “Allora Mosè si voltò e scese dal monte con le due tavole della testimonianza nelle mani: tavole scritte da una parte e dall’altra. Le tavole erano opera di Dio e la scrittura era scrittura di Dio incisa sulle tavole” (Es 32:15,16). Il sangue gli ribolliva. “Quando fu vicino all’accampamento, vide il vitello e le danze; e l’ira di Mosè s’infiammò ed egli gettò dalle mani le tavole e le spezzò ai piedi del monte. Poi prese il vitello che quelli avevano fatto, lo bruciò col fuoco, lo ridusse in polvere, sparse la polvere sull’acqua e la fece bere ai figli d’Israele” (Es 32:19,20). Dopo aver domandato ragione ad Aaronne (v. 21) e aver rimproverato il popolo per l’orrenda colpa (v. 30), tornò da Dio e con infinito scoramento gli disse: “Ahimè, questo popolo ha commesso un grande peccato e si è fatto un dio d’oro; nondimeno, perdona ora il loro peccato!’” (Es 32:31,32). Il popolo si pentì (33:4-6). Mosè ricevette nuove tavole della Legge.

   Per l’ostinazione degli ebrei nell’essere lamentosi e nell’essere sempre pronti a rinnegare Dio, si comprende bene l’espressione divina usata per loro: “È un popolo dal collo duro” (Es 32:9). E si comprende bene anche la decisione di Dio: “Io manderò un angelo davanti a te . . . vi condurrà in un paese dove scorre il latte e il miele; ma io non salirò in mezzo a te, perché sei un popolo dal collo duro, e potrei anche sterminarti lungo il cammino’”. – Es 331:2,3.

   Tuttavia, questa amarezza di Dio non fa venir meno il suo amore per Israele. Dio conferma prima di tutto la sua promessa: “Il Signore disse a Mosè: ‘Va’, sali di qui, tu con il popolo che hai fatto uscire dal paese d’Egitto, verso il paese che promisi con giuramento ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo: Io lo darò alla tua discendenza’”. – Es 33:1.