Dopo la partenza dei maghi, un angelo appare in sogno a Giuseppe e gli ordina di fuggire con il bimbo e con Miryàm in Egitto: “Dopo che furono partiti, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: ‘Àlzati, prendi il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e restaci finché io non te lo dico; perché Erode sta per cercare il bambino per farlo morire’” (Mt 2:13). L’Egitto distava una settimana di cammino da Betlemme. In Egitto si trovavano diversi ebrei, riuniti in colonie. L’Egitto era dunque il luogo ideale per fuggire dai pericoli incombenti sulla Palestina, come del resto era già avvenuto per altri: “Uria lo seppe, ebbe paura, fuggì e andò in Egitto” (Ger 26:21); “Salomone cercò di far morire Geroboamo; ma questi partì e si rifugiò in Egitto” (1Re 11:40); “Adad fuggì con alcuni Idumei, servitori di suo padre, per andare in Egitto” (1Re 11:17). Diverse leggende menzionano i luoghi egiziani in cui i tre fuggitivi sarebbero stati. La Bibbia, semplicemente, non ne parla.

   “Allora Erode, vedendosi beffato dai magi, si adirò moltissimo, e mandò a uccidere tutti i maschi che erano in Betlemme e in tutto il suo territorio dall’età di due anni in giù” (Mt 2:16). Il gesto criminale di Erode è dettato dalla sua egoistica difesa del trono. Questa crudeltà corrisponde al suo carattere: per eliminare ogni ostacolo che mettesse in pericolo il trono, egli fece uccidere anche tre mogli e alcuni figli (tra cui Aristobulo). Quando egli era a Gerico per una malattia incurabile fece uccidere due capi (Yehuda ben Serifa e Matatia ben Marguloth) con i loro discepoli che si erano ribellati. Pare fosse il 13 marzo del 4 a. E. V., perché Giuseppe Flavio parla di una eclissi lunare in quella notte. Erode fece poi convocare a Gerico i più ragguardevoli cittadini della Giudea, li fece rinchiudere nell’ippodromo e ordinò alla sorella Salomè che fossero uccisi alla sua morte perché vi fosse del pianto nella Giudea. In una crisi di dolore tentò di uccidersi. Il figlio Antipatro, saputolo, insistette per essere liberato dal carcere in cui il padre lo aveva rinchiuso. A sua volta, Erode lo fece uccidere. Cinque giorni dopo anche Erode finalmente morì. Non per nulla Augusto, sapute queste cose, con un gioco di parole disse in greco: “È meglio essere un porco [üs] di Erode che non un figlio [üiòs]”, alludendo alla nota avversione degli ebrei per la carne suina. Erode non avrebbe ucciso un porco, ma con facilità uccideva i figli. Tutto questo depone per la storicità della strage dei bambini ordinata da Erode.

   Quanti furono quei bimbi uccisi? La liturgia etiopica, richiamandosi all’Apocalisse (Rivelazione), ne fissa il numero in 144.000. In realtà quei bimbi dovettero essere ben pochi. Si stima che Betlemme avesse allora circa mille abitanti con circa trenta nascite annuali. Due anni danno circa 60 nascite, per cui – non contando le femmine e i molti morti nel biennio – si ottiene una stima che non poteva essere superiore ai venti bimbi. Matteo, di fronte a questa carneficina, vi applica il lamento di Geremia posto in bocca a Rachele, la cui tomba si trovava a Rama, circa otto km a nord di Gerusalemme: quasi che, sollevandosi dalla sua tomba, Rachele emetta lamenti per i suoi figli avuti da Beniamino e condotti in prigionia da Nabucodonosor. In Ger 31:15,16 il testo dice: “Così parla il Signore: ‘Si è udita una voce a Rama, un lamento, un pianto amaro; Rachele piange i suoi figli; lei rifiuta di essere consolata dei suoi figli, perché non sono più’. Così parla il Signore: ‘Trattieni la tua voce dal piangere, i tuoi occhi dal versare lacrime; poiché l’opera tua sarà ricompensata’, dice il Signore; ‘essi ritorneranno dal paese del nemico’”. Matteo cita il passo in 2:18.

   Yeshùa rimase in Egitto fino alla morte di Erode, che viene fatta risalire al 4 a. E. V.. Dopo di ciò viene portato a Nazaret dove crescerà. Matteo, con un’accomodazione (Mt 2:15), vi applica la profezia di Os 11:1 che riguardava Israele: “Quando Israele era fanciullo, io lo amai e chiamai mio figlio fuori d’Egitto”. Dato che il richiamare il figlio si applicava a Israele (Es 4:22,23), la LXX greca traduce “i miei figli”. Matteo lo applica a Yeshùa.