Seconda ipotesi. Tre anni?

   Questa teoria fu sostenuta da Melitone di Sardi e godette di molta risonanza nel periodo postniceno e medievale, specialmente per l’influsso di Eusebio. Respinto il valore strettamente letterale dell’“anno di grazia”, si cercò di dimostrare come questa ipotesi dei tre anni fosse suffragata dai dati biblici. Questa teoria gode ancor oggi di molto favore. I Testimoni di Geova sostengono con certezza la durata di tre anni e mezzo per il ministero di Yeshùa, come attestato in Perspicacia nello studio delle Scritture, Watch Tower B. & T. Society, 1988, Vol. 1, pag. 1065: “Per durare tre anni e mezzo e terminare con la sua morte durante la Pasqua, il ministero di Gesù doveva includere in tutto quattro Pasque”.

   Questa teoria poggia sull’elenco delle varie feste ricordate da Gv. Vediamo.

  • Gv 2:13: “La Pasqua dei Giudei era vicina”. Prima Pasqua.
  • Gv 4:35: “Non dite voi che ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura?” Frase da esaminare attentamente.
  • Gv 5:1: “Ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme”. Di che festa si trattava? Era davvero una Pasqua?
  • Gv 6:4: Ora la Pasqua, la festa dei Giudei, era vicina”. Si tratta indubbiamente di una Pasqua intermedia.
  • Gv 7:2: “Or la festa dei Giudei, detta delle Capanne, era vicina”. Siamo nel periodo autunnale dopo la precedente Pasqua intermedia.
  • Gv 10:22: “In quel tempo ebbe luogo in Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d’inverno”. Si tratta dell’inverno dopo il precedente autunno menzionato in 7:2.
  • Gv 11:55: “La Pasqua dei Giudei era vicina”; Gv 13:1: “Prima della festa di Pasqua”. È l’ultima Pasqua, quella della morte di Yeshùa.

   Secondo questa ricostruzione – se si ammette quella di Gv 5:1 come festa pasquale – ci sarebbero quattro Pasque, il che implicherebbe tre anni e mezzo di attività pubblica di Yeshùa. I Testimoni di Geova asseriscono: “La prova che ci furono effettivamente quattro Pasque si trova in Giovanni 2:13; 5:1; 6:4 e 13:1” (Ibidem). Ma, come essi notano, la seconda presunta Pasqua di 5:1 pone dei problemi: “Giovanni 5:1 menziona semplicemente ‘una [“la”, secondo alcuni antichi manoscritti] festa dei giudei’”. – Ibidem.

   Vi è quindi un problema critico: si tratta della Pasqua o di un’altra festa? Va detto intanto che quando Gv parla della Pasqua la chiama sempre con il suo nome (2:13;6:4;11:55;13:1) e non con il semplice appellativo di “festa”. Il che dovrebbe metterci sull’avviso. Inoltre, lo stesso testo di Gv 5:1 è criticamente discutibile perché buoni codici (א e C) hanno l’articolo ( ἑορτὴ, e eortè, “la festa”), ma altri altrettanto buoni (P66,75, A, B e D) ne mancano (ἑορτὴ, eortè, “una festa”). Se fosse valida la lezione con l’articolo, “la festa” sarebbe quella per eccellenza, la Pasqua. Dai codici però non possiamo dedurre molto, anche se la bilancia propende per la lezione priva di articolo.

   Ma i Testimoni di Geova portano a sostegno della loro tesi questo ragionamento: “C’è però buona ragione di ritenere che si trattasse della Pasqua e non di un’altra festa annuale. Precedentemente, in Giovanni 4:35, Gesù aveva menzionato il fatto che c’erano ancora ‘quattro mesi prima della mietitura’. La mietitura, specie quella dell’orzo, iniziava all’epoca della Pasqua (14 nisan). Quindi le parole di Gesù erano state pronunciate quattro mesi prima, cioè verso il mese di chislev (novembre-dicembre)”. – Ibidem.

   Occorrono delle precisazioni. Yeshùa parla di mietitura senza specificare di cosa e questo, nel ragionamento citato, si trasforma in “la mietitura, specie quella dell’orzo, iniziava all’epoca della Pasqua”; ma cosa c’entra l’orzo? Il testo biblico menziona “la mietitura” senza specificare quale. Ammettendo – senza giustificazione – quella dell’orzo, la conclusione è falsata: “Quindi [quindi?!] le parole di Gesù erano state pronunciate quattro mesi prima, cioè verso il mese di chislev (novembre-dicembre)” (Ibidem). Se si supponesse il grano (come sarebbe naturale supporre), il calcolo andrebbe casomai fatto a ritroso partendo dalla messe che nella pianura di Sichem iniziava in maggio/giugno, così che risalendo di quattro mesi si cadrebbe in gennaio/febbraio prima della presunta Pasqua menzionata in 5:1.

   Ma siamo proprio così certi che “le parole di Gesù erano state pronunciate quattro mesi prima, cioè verso il mese di chislev (novembre-dicembre)”? Oppure furono pronunciare in gennaio/febbraio? O forse in autunno/inverno?

   Il periodo va precisato con la Bibbia, non con le supposizioni. Vediamo i dati biblici. Yeshùa pronuncia quella frase mentre si trova al pozzo di Giacobbe, era infatti andato “in una città della Samaria chiamata Sichar [Sichem] presso il campo che Giacobbe diede a suo figlio Giuseppe. Infatti, là c’era la fonte di Giacobbe” (Gv 4:5,6, TNM). Aveva appena finito di parlare con la samaritana quando tornarono i suoi discepoli e Yeshùa disse loro quella frase. Quando Yeshùa dice: “Alzate gli occhi e guardate i campi, che sono bianchi da mietere” (v. 35, TNM), allude alla campagna sichemita visibile dal pozzo, già pronta per la mietitura. Yeshùa pronuncia quindi la frase in maggio/giugno. A conferma abbiamo altri particolari biblici, oltre al fatto che i campi erano già pronti per la mietitura. La samaritana dice a Yeshùa: “Signore, non hai nemmeno un secchio per attingere acqua, e il pozzo è profondo” (Gv 4:11, TNM); l’acqua del pozzo era quindi bassa, indizio che si era nella stagione calda. Yeshùa “stanco del viaggio, sedeva così presso la fonte” (4:6,TNM) e chiede da bere alla samaritana. Questi sono tutti indizi della stagione calda.

   Ma allora, come mai Yeshùa dice ai discepoli: “Non dite voi che ci sono ancora quattro mesi prima che venga la mietitura?” (4:35, TNM)? Il testo ci aiuta a capire. Ma il testo greco, non quello tradotto. Uch ümèis lèghete (οὐχ ὑμεῖς λέγετε): “Non siete soliti dire”? Il che ci fa arguire che il detto era un semplice proverbio di uso comune per indicare la presenza di un lungo periodo prima di qualcosa. La formula qui usata (ὑμεῖς λέγετε, ümèis lèghete, “voi siete soliti dire”) introduce anche in altri passi biblici un proverbio. “Voi, invece, dite [ὑμεῖς δὲ λέγετε, ümèis de lèghete, “e voi siete soliti dire”]: ‘Se uno dice a suo padre o a sua madre: Quello con cui potrei assisterti è dato in offerta a Dio’” (Mt 15:5); “Quando si fa sera, voi dite [λέγετε, lèghete, “siete soliti dire”]: ‘Bel tempo, perché il cielo rosseggia!’” (Mt 16:2); “Ma voi dite [ὑμεῖς δὲ λέγετε, ümèis de lèghete, “e voi siete soliti dire”]: ‘Se un uomo dice a suo padre o a sua madre: Qualunque cosa io abbia mediante cui potresti ricevere beneficio da me è corbàn’” (Mr 7:11, TNM); “Quando vedete una nuvola venire su da ponente, voi dite [λέγετε, lèghete, “siete soliti dire”] subito: ‘Viene la pioggia’”. – Lc 12:54.

   Che la frase di Yeshùa sia un proverbio e non un’indicazione temporale è evidente dal contesto:

“Intanto i discepoli lo pregavano, dicendo: ‘Rabbi, mangia’. Ma egli disse loro: ‘Io ho un cibo da mangiare che voi non conoscete’. Perciò i discepoli si dicevano l’un l’altro: ‘Nessuno gli ha portato da mangiare, vero?’ Gesù disse loro: ‘Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e finire la sua opera. Non dite voi che ci sono ancora quattro mesi prima che venga la mietitura? Ecco, vi dico: Alzate gli occhi e guardate i campi, che sono bianchi da mietere. Già il mietitore riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, affinché il seminatore e il mietitore si rallegrino insieme. A questo riguardo, in realtà, è vera la parola: Uno è il seminatore e un altro il mietitore. Io vi ho mandato a mietere ciò per cui non avete faticato. Altri hanno faticato, e voi siete subentrati nel beneficio della loro fatica’”. – Gv 4:31-38, TNM.

    Yeshùa ha appena toccato il cuore di una samaritana (che come tale non faceva parte di Israele). Dice hai discepoli che deve compiere l’opera assegnatagli da Dio. Poi inserisce il proverbio: Voi non siete soliti dire che bisogna attendere? Eppure, guardate: è già ora di mietere! Già si raccoglie il frutto! Si raccoglie dove non si è seminato: i samaritani accolgono la buona notizia.

   Ma i Testimoni di Geova, proseguendo nella loro argomentazione, cercano di escludere altre feste possibili in modo che rimanga immaginabile per 5:1 solo la Pasqua: “La festa postesilica della dedicazione si celebrava nel mese di chislev, ma non era una delle grandi feste per cui era richiesto di recarsi a Gerusalemme (Eso 23:14-17; Le 23:4-44); secondo la tradizione ebraica veniva celebrata in tutto il paese nelle numerose sinagoghe. In seguito, in Giovanni 10:22, è precisato che Gesù assisté a una festa della dedicazione a Gerusalemme; ma sembra che si trovasse già nella zona dalla precedente festa delle capanne, quindi non vi era andato per quel preciso scopo” (Ibidem). Quindi, quando Gv 5:1 dice che “ci fu una festa dei Giudei”, questa non era evidentemente la Festa della Dedicazione. E fin qui siamo d’accordo. Proseguiamo nel seguire il ragionamento da loro proposto: “Invece Giovanni 5:1 fa capire chiaramente che fu proprio per assistere a quella particolare ‘festa dei giudei’ che Gesù dalla Galilea (Gv 4:54) si recò a Gerusalemme” (Ibidem). Non ci sono dubbi, il testo biblico dice: “Dopo queste cose ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme”, quell’“e” è un chiaro collegamento alla festa. Come dire: c’era la festa, per cui lui ci andò. E andò a Gerusalemme. Ma prima di identificare frettolosamente la festa occorre esaminare una questione letteraria non indifferente. Non è un problema da poco. Esaminiamolo bene.

  • Gv cap. 4. Al v. 3 è detto che Yeshùa “lasciò la Giudea e ne se andò di nuovo in Galilea”. Il v. 4 specifica che “doveva passare per la Samaria”. I vv. 5-42 riferiscono il suo colloquio con la samaritana e ci informano che rimase due giorni in Samaria, a Sichem. V. 43: “Trascorsi quei due giorni, egli partì di là per andare in Galilea”. I vv. 44-54 lo vedono in Galilea. Dunque, il cap. 4 vede lo spostamento di Yeshùa dalla Giudea alla Galilea e termina con Yeshùa in Galilea.
  • Gv cap. 5. V. 1: “Ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme”. I vv. 2-47 lo vedono a Gerusalemme. Domanda: Da dove si spostò Yeshùa per andare a Gerusalemme, in Giudea?
  • Gv cap. 6. Si presti ora attenzione al v. 1: “Dopo queste cose Gesù se ne andò all’altra riva del mare di Galilea”. I vv. 2-61 confermano che poi fu in Galilea. A quanto pare, Yeshùa passa da una all’altra del lago di Tiberiade. Il problema è che Gerusalemme non si trova in riva al lago.
  • Gv cap. 7. Al v. 1: “Dopo queste cose, Gesù se ne andava per la Galilea”. I vv. 2-9 confermano che rimane in Galilea. I vv. 10-53 vedono il suo spostamento a Gerusalemme.

   Il problema nasce all’inizio del cap. 6. Alla fine del cap. 5 Yeshùa è a Gerusalemme e ha terminato di parlare con i giudei gerosolimitani. Il racconto continua in 6:1: “Dopo queste cose Gesù se ne andò all’altra riva del mare di Galilea, cioè il mare di Tiberiade”. Dato che egli “andò all’altra riva”, significa che era già in Galilea, e precisamente sulla riva occidentale del lago o mare di Galilea. La fine del cap. 5 (Gerusalemme) non collima con l’inizio del 6 (altra riva del lago).

   Come se non bastasse, la fine del cap. 6 non collima con l’inizio del 7°. Alla fine del 6° è in Galilea e all’inizio del 7° si dice che “dopo queste cose” se ne andava per la Galilea. Si potrebbe sostenere che egli continuasse a stare in Galilea, ma perché dire “dopo queste cose”? L’espressione “dopo queste cose” è usata da Gv prima di uno spostamento: “Dopo questo, scese a Capernaum” (2:12); “Dopo queste cose, Gesù andò con i suoi discepoli nelle campagne della Giudea” (3:22); “Dopo queste cose ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme” (5:1); “Dopo queste cose Gesù se ne andò all’altra riva” (6:1). Si potrebbe anche osservare che Gv dice che Yeshùa andò “per la Galilea” e non “in Galilea”, facendo così supporre che in Galilea era e per la Galilea continuò ad andare. Ma questo sarebbe ingannevole. Il testo greco ha chiaramente ἐν τῇ Γαλιλαίᾳ (en te galilàia), “nella Galilea”. Non sarà che le traduzioni cercano di togliersi d’impaccio aggiustando il testo? “Ora dopo queste cose Gesù se ne andava per la Galilea, poiché non voleva andare per la Giudea” (7:1,TNM); qui pare si cerchi addirittura di armonizzare le cose: “per la Galilea” e “per la Giudea”. NR ha: “Dopo queste cose, Gesù se ne andava per la Galilea, non volendo fare altrettanto in Giudea”; è un capolavoro rocambolesco che inganna chi non conosce il testo greco originale. Eppure il testo originale ha precisamente ἐν τῇ Γαλιλαίᾳ (en te galilàia), “nella Galilea”, proprio come ha ἐν τῇ Ἰουδαίᾳ (en te iudàia), “nella Giudea”.

   Come spiegare tutto questo? Il problema è già stato affrontato nel nostro studio Il Vangelo di Giovanni – Generalità, al sottotitolo Unità letteraria, nella categoria Scritture Greche della sezione Esegesi biblica. Sembra proprio che i capitoli siano stati scambiati durante la redazione finale di Gv. La fine del cap. 5 si ricollega bene con l’inizio del cap. 7; la fine del cap. 4 si ricollega bene con l’inizio del cap. 6. Così, la giusta sequenza dei capitoli sarebbe: 4,6,5,7. In questo modo ogni cosa va al suo posto e tutto diventa logico. Ecco:

  • Gv cap. 4. Al v. 3 è detto che Yeshùa “lasciò la Giudea e ne se andò di nuovo in Galilea”. Il v. 4 specifica che “doveva passare per la Samaria”. I vv. 5-42 riferiscono il suo colloquio con la samaritana e ci informano che rimase due giorni in Samaria, a Sichem. V. 43: “Trascorsi quei due giorni, egli partì di là per andare in Galilea”. I vv. 44-54 lo vedono in Galilea. Dunque, il cap. 4 vede lo spostamento di Yeshùa dalla Giudea alla Galilea e termina con Yeshùa in Galilea.
  • Gv cap. 6. Al v. 1: “Dopo queste cose Gesù se ne andò all’altra riva del mare di Galilea”. I vv. 2-61 confermano che poi fu in Galilea. Dopo il cap. 4 in cui Yeshùa è in Galilea, sulla parte occidentale del lago di Tiberiade (cfr. v. 46: “Venne di nuovo a Cana di Galilea”), al cap. 6 passa “all’altra riva del mare di Galilea”. Il resto del cap. 6 conferma che rimase in Galilea.
  • Gv cap. 5. V. 1: “Ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme”. La domanda da dove si spostò Yeshùa per andare a Gerusalemme, trova risposta. Era in Galilea (cap. 6) e da lì “salì a Gerusalemme”. Yeshùa si recò a Gerusalemme per questa festa giudaica. Si noti poi il v. 18: “I Giudei più che mai cercavano di ucciderlo”. Yeshùa è costretto a lasciare la Giudea e a tornate in Galilea. Segue, armoniosamente il cap. 7.
  • Gv cap. 7. Al v. 1: “Dopo queste cose, Gesù se ne andava per la Galilea”. I vv. 2-9 confermano che rimane in Galilea. I vv. 10-53 vedono il suo spostamento a Gerusalemme.

   Messe le cose a posto, riprendiamo la dichiarazione dei Testimoni di Geova: “Giovanni 5:1 fa capire chiaramente che fu proprio per assistere a quella particolare ‘festa dei giudei’ che Gesù dalla Galilea (Gv 4:54) si recò a Gerusalemme” (Ibidem). Per combinazione – pur sistemando correttamente i capitoli di Gv – questa dichiarazione resta valida: dalla Galilea Yeshùa passa alla Giudea (anche se non dopo gli avvenimenti del cap. 4, ma dopo quelli del cap. 6, come abbiamo esaminato). Proseguiamo dunque nell’argomentazione degli editori di Brooklyn: “L’unica altra festa fra il mese di chislev e la Pasqua era quella di Purim, tenuta nel mese di adar (febbraio-marzo), circa un mese prima della Pasqua. Ma anche la festa postesilica di Purim si celebrava nelle case e nelle sinagoghe in tutto il paese” (Ibidem). Dunque, Purìm non poteva essere: Yeshùa non sarebbe salito a Gerusalemme per quella festa, dato che si celebrava in casa. Cosa rimane, allora? Questa la conclusione dei dirigenti dei Testimoni di Geova: “Sembra dunque più probabile che la ‘festa dei giudei’ menzionata in Giovanni 5:1 fosse la Pasqua, e la presenza di Gesù a Gerusalemme per quell’occasione era in conformità alla Legge data da Dio a Israele” (Ibidem). Era proprio la Pasqua, allora? No. Certo che no.

   Va ricordato che la “festa” (“una festa”, come attestato da molti buoni manoscritti) non è chiamata per nome. Quando si tratta della Pasqua Gv usa il nome “Pasqua”. Quella festa allora non poteva che essere la Pentecoste, nome greco per indicare la “festa della mietitura” (Es 23:16) o “festa delle settimane” (Es 34:22), chiamata anche “il giorno dei primi frutti maturi” (Nm 28:26). Questa festa doveva essere celebrata il 50° giorno (Pentecoste significa “cinquantesimo [giorno]”) a partire dal giorno seguente il primo sabato (nostra domenica) dopo 16 nissàn, quando veniva offerto il covone di orzo (Lv 23:15, 16), e cadeva quindi sempre di domenica. Questa festa veniva celebrata dopo la mietitura dell’orzo e l’inizio della mietitura del grano, che maturava più tardi dell’orzo (Es 9:31, 32). E, infatti, quando Yeshùa era stato a Sichem aveva invitato i discepoli al alzare ‘gli occhi e guardare i campi, che sono bianchi da mietere’ (4:35, TNM). La Pentecoste costituiva anche il secondo dei pellegrinaggi a Gerusalemme, per cui si spiega il fatto che Yeshùa “salì a Gerusalemme”. – Gv 5:1.

   Per togliere ogni dubbio, si prenda anche in considerazione che la Pentecoste cadeva poco meno di due mesi dopo la Pasqua. Dato che la prima Pasqua della vita pubblica di Yeshùa è menzionata in 2:13 (“La Pasqua dei Giudei era vicina e Gesù salì a Gerusalemme”; cfr. anche 2:23), ciò significa che quando Yeshùa salì di nuovo a Gerusalemme per il secondo pellegrinaggio ordinato dalla Legge per la Pentecoste (“Dopo queste cose ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme” – 5:1), erano passati poco meno di due mesi. E lui si trovava in Galilea. Ecco allora che si spiega la buona accoglienza dei galilei in seguito agli eventi recenti che essi avevano visto durante la Pasqua da poco trascorsa: “Quando dunque andò in Galilea, fu accolto dai Galilei, perché avevano visto le cose che egli aveva fatte in Gerusalemme durante la festa; essi pure infatti erano andati alla festa” (4:45). Quella sì era stata la festa della Pasqua. Gli stessi Testimoni di Geova, nella loro Bibbia (TNM), mettono a questo versetto un richiamo a 2:23. Ora, sarebbe ben difficile spiegare questa buona accoglienza per un ricordo che risalirebbe a un anno prima.

   La teoria dei tre anni e mezzo di ministero di Yeshùa, quindi, non regge.