Esaminiamo ora alcuni problemi circa la moltiplicazione dei pani.

   Luogo del miracolo della prima moltiplicazione. Mr osserva che Yeshùa si diresse in barca in un luogo isolato, ma fu preceduto a piedi da molta gente: “Partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero” (6:32,33). Compì poi il miracolo a loro favore. In seguito fece salire i discepoli sulla barca per farli andare avanti “sull’altra riva, verso Betsàida”, mentre lui avrebbe congedato la folla (v. 45). Lc dice invece che il luogo isolato in cui molta folla lo aveva raggiunto era proprio Betsaida: “Li prese con sé e si ritirò verso una città chiamata Betsàida. Ma le folle lo seppero e lo seguirono” (9:10,11). Secondo Gv il miracolo avvenne ad oriente del lago di Galilea (detto anche lago o mare di Tiberiade o di Genezaret): “Gesù andò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade”; dopo il miracolo, attraversarono il lago e giunsero a Cafarnao: “Saliti in una barca, si avviarono verso l’altra riva in direzione di Cafarnao”. – 6:1,16.

   Abbiamo quindi:

Secondo

Luogo del miracolo

Luogo dopo il miracolo

Mr

Luogo solitario

Verso Betsaida, sull’altra riva

Lc

Betsaida

Gv

Ad oriente del lago

Verso Cafarnao, sull’altra riva

   L’uso di una cartina ci aiuterà a collocare i luoghi, per cui consigliamo di consultare un atlante biblico.

   Il desiderio di far coincidere il miracolo ha fatto sì che alcuni studiosi ipotizzassero due Betsaida: una in Galilea, ad occidente del lago (sarebbe quella di Mr); una a nord-est del lago, detta Betsaida-Giulia (che sarebbe quella di Lc). La prima Betsaida sarebbe stata la patria di Pietro, Andrea e Filippo (Gv 1:44;12:21). È davvero così?

   I riferimenti biblici indicano una località sulla riva nord del lago di Galilea. Giuseppe Flavio ne collega il nome con un popoloso villaggio poco a est del punto in cui il fiume Giordano entra nel lago. Questo villaggio fu ricostruito dal tetrarca Filippo e chiamato Giulia in onore della figlia di Augusto (Antichità Giudaiche 18,28). Le antiche rovine di Giulia si trovano a et-Tell, circa 3 km dal lago; ma i resti di un piccolo insediamento di pescatori si trovano a el-`Araj proprio sulla riva. Qui c’era un porto naturale usato fino a poco tempo fa dai pescatori, perciò la configurazione geografica corrisponderebbe al significato del nome Betsaida.

   L’ipotesi di una seconda Betsaida si basa sulle dichiarazioni di Giuseppe Flavio e di altri, secondo cui i confini della Galilea non si estendevano a est del Giordano. Lo stesso Giuseppe Flavio parla di Giulia come di una città della “Gaulanitide inferiore”, la regione a est del lago di Galilea (Guerra giudaica 2,168). Nella Bibbia però Betsaida è definita “di Galilea” (Gv 12:21). Sembra che i confini della Galilea non siano sempre stati definiti con precisione, e anche Giuseppe Flavio fa riferimento a un certo Giuda della Gaulanitide come a “un galileo” (Antichità giudaiche 18,4; Guerra giudaica 2,118). Forse parte della popolazione di Betsaida si era stabilita sulla riva ovest del Giordano, distante circa 1,5 km. Ma è verosimile la possibilità che ci fossero due Betsaida? Va notato che questa seconda ipotetica località avrebbe dovuto essere anch’essa vicino a Capernaum: sarebbe davvero molto improbabile che esistessero due città omonime a pochi chilometri di distanza.

   Secondo i Testimoni di Geova “quasi tutte le traduzioni di Marco 6:45 consentono l’ipotesi che gli apostoli abbiano iniziato la traversata verso Capernaum seguendo prima la costa ‘verso Betsaida’ (avendo evidentemente lasciato Gesù vicino al luogo dove aveva sfamato in modo miracoloso i 5.000, probabilmente un po’ più a S di Betsaida e sulla riva opposta rispetto a Capernaum), e poi attraversando l’estremità settentrionale del mare, per raggiungere la loro destinazione, Capernaum. Essi approdarono nel paese di Gennezaret, forse un po’ più a S di Capernaum. — Mr 6:53” (Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 1, pag. 356, alla voce “Betsaida”). Questo tentativo di ricostruzione – pur contenendo qualche elemento di verità – è però pieno di “forse” e attribuisce agli apostoli un’intenzione circa la loro destinazione che non è sicuro avessero.

   Che soluzione dare, allora? Intanto va sgombrato il campo da un’ipotetica seconda Betsaida. L’unica Betsaida di cui parlano i Vangeli è quella collocata in Galilea: “Betsàida di Galilea” (Gv 12:21), e questa si trova a nord-est del lago di Galilea, poco a est del fiume Giordano (si veda una cartina). Non solo è poco credibile ipotizzare una seconda Betsaida – ovvero una cittadina con lo stesso nome – lì vicino, ma soprattutto nel luogo ipotizzato (ad occidente del lago) non vi sono assolutamente tracce archeologiche di questa fantomatica seconda località. Qualcuno ha cercato di identificarla con i ruderi di Hirbet Minigah, ma la cosa non regge: le rovine sono del periodo arabo. – Cfr. J. Bover, Dos casos de toponimia y de critica textual III Magadàn, Dalmanutha, Magdala, 1952, pagg. 280-282; B. Hjerl Hansen, Enigme géographique et linguistique, RB 53, 1946, pagg. 372-384.

   Dato che nel luogo del miracolo (probabilmente presso il Wadi el-Samak) il lago fa un’ansa, si poteva vedere Betsaida come opposta. Yeshùa intende mandare lì gli apostoli. Normalmente Mr 6:45 è tradotto: “Ordinò poi ai discepoli di salire sulla barca e precederlo sull’altra riva, verso Betsàida”; così anche TNM: “[Yeshùa] senza indugio, costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e ad andare avanti alla riva opposta, verso Betsaida”. Secondo i Testimoni di Geova – come abbiamo visto – la destinazione era Cafarnao (Capernaum), e quindi gli apostoli avrebbero fatto rotta verso Cafarnao “seguendo prima la costa ‘verso Betsaida’” (Ibidem). Ma ci sono dei problemi: 1) Cafarnao non è menzionata come destinazione, 2) Il testo parla chiaramente di Betsaida quale destinazione, 3) Yeshùa ordina di “andare avanti alla riva opposta” (Mr 6:45, TNM). Occorre vedere bene il testo greco, che ha πρὸς Βηθσαιδάν (pros Bethsaidàn). La traduzione “verso Betsaida” è certo possibile, ma non è l’unica. L’avverbio pròs seguito dal caso accusativo (come qui) può significare sia “verso” che “a”.

   Il ragionamento dimostrerà che “a” è il nostro caso, per cui abbiamo: “Ordinò poi ai discepoli di salire sulla barca e precederlo sull’altra riva, a Betsàida”. Dal posto in cui si trovavano, nell’ansa del lago, Betsaida vi vedeva come opposta: “[Yeshùa] costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e ad andare avanti alla riva opposta” (TNM). L’intenzione di Yeshùa era quella di far allontanare i discepoli, congedare lui stesso la folla e poi raggiungere a piedi gli apostoli a Betsaida. Cosa accadde poi? “Dopo essersi accomiatato da loro, se ne andò su un monte a pregare. Venuta ora la sera, la barca era in mezzo al mare, ma egli era solo a terra” (vv. 46,47, TNM). Arriva una tempesta improvvisa. Yeshùa vede la scena e agisce di conseguenza: “Intanto la barca era a molte centinaia di metri da terra, essendo fortemente sbattuta dalle onde, perché il vento era contrario. Ma nel periodo della quarta vigilia della notte [da circa le 3 del mattino fino al sorgere del sole, secondo la divisione greca e romana della notte che gli ebrei avevano adottato], egli venne da loro, camminando sul mare” (Mt 14:24,25, TNM). Yeshùa raggiunge la barca, sale a bordo con gli apostoli e quindi puntano tutti direttamente su Cafarnao (Gv 6:16), approdando vicino a Genezaret: “Fatta la traversata, giunsero a terra in Gennezaret e approdarono nelle vicinanze”. – Mr 6:53, TNM.

   Luogo del miracolo della seconda moltiplicazione. Secondo Mr, Yeshùa e gli apostoli si recano dall’oriente del lago a Dalmanuta: “Salì poi sulla barca con i suoi discepoli e andò dalle parti di Dalmanùta” (8:10). Questa Dalmanuta è una località che nella Bibbia non viene mai ricordata altrove; né le fonti extrabibliche ne parlano. La lezione marciana è tuttavia incerta: in alcuni codici greci vi si legge “Magdala” o “Magadàn”. Secondo il Dalman, “Dalmanuta” sarebbe una corruzione del nome Magdalayathà, ossia il “paese della Maddalena” (Orte und Wege Jesu Vol. III, pag. 136). Per R. Harris sarebbe la traduzione aramaica del greco èis ta mere (cod. Bezae p. 178); in margine a un manoscritto vi sarebbe stato scritto lemanùtha, traduzione aramaica di èis ta mere (“dall’altra parte”). Questa glossa (annotazione) sarebbe poi stata presa come nome proprio e sarebbe passata dal margine al testo. Il “d” che precede manùtha è in aramaico il segno del genitivo (“di almanùtha” > dalmanùtha). Il nome vero sarebbe stato Magadàn, che troviamo in Mt 15:39: “Congedata la folla, Gesù salì sulla barca e andò nella regione di Magadàn [Μαγαδάν, Magadàn]”, località che alcuni identificano con Magdala (a circa 6 km a nord di Tiberiade). Il Talmud la chiama Migdal Nunayya, “la torre dei pesci” (Bab. Pesahìm 46a), identificabile probabilmente con Tarichea (tàrichos = “presce salato”; G. Flavio, Vita 32).

   Il miracolo. Non mancano i soliti scettici che hanno difficoltà ad accettare il miracolo. Costoro hanno cercato di spiegare l’episodio in modo naturale.

     Qualcuno (tale Reimarus) ha ipotizzato addirittura la frode. Al pane si sarebbe già provveduto prima perché sarebbe stato nascosto in una grotta dalle donne incaricate del vettovagliamento (Lc 8:2). Questa ipotesi fa semplicemente ribrezzo. Bisognerebbe vergognarsi di proporla. A Yeshùa un miracolo non si riesce ad attribuirlo, ma una frode sì; proprio a lui che era un modello di elevatezza morale. Questi tentativi vanno decisamente respinti.

   Altri studiosi (cosiddetti studiosi) parlano d’ipnotismo: Yeshùa, con la sua forza psichica, avrebbe saziato psicologicamente le persone, dando loro l’impressione di mangiare pane e pesci. Anche qui si tratterebbe di frode, del tutto inspiegabile nel caso di Yeshùa. L’ipotesi, oltre che offensiva, è ridicola. Come si spiegherebbero le ceste e le sporte con gli avanzi di cibo?

   Qualcun altro (Paulus, Vita di Gesù, Santangelo) ricorre al buon esempio. Di fronte alle necessità della folla, Yeshùa avrebbe suggerito al ragazzo di distribuire quello che aveva. Questo esempio avrebbe spinto la folla ad un’ondata di altruismo. Una specie di “ciò che basta per uno può bastare per due”. Ma il fantasioso Paulus dimentica che si trattava di migliaia di persone. E poi, gli avanzi? Non può essere. Per di più, dopo aver seguito Yeshùa per tre giorni, le risorse iniziali dovevano essere state in gran parte consumate.

   Non mancano nella schiera i soliti “studiosi” che ricorrono al mito. Gli evangelisti avrebbero attribuito a Yeshùa dei miracoli sul tipo di quelli dell’ellenismo. Questi saccenti ricordano che anche i testi indiani dicono che la divinità può provvedere cibo miracolosamente per i fedeli (Qoh. R. 1,28; TWNT 4, pag. 864). Questi sapientoni trascurano però il fatto che gli ebrei non avevano alcunché a che fare con miti ellenistici o leggende indiane. Se, davvero da studiosi, si paragonano i testi biblici con quei miti e leggende, un accurato esame mostra che non c’è alcun parallelismo.

   Non mancano poi i soliti esegeti che vi vedono il simbolo. Secondo il Loisy i racconti biblici non sono altro che simboli creati dalla comunità dei credenti per esaltare il dono dell’eucaristia. Gli fa seguito il Bultmann che si prende anche la briga di analizzare le forme per trovare nella manna la prefigurazione della moltiplicazione dei pani e nelle quaglie quella dei pesci. Occorre ricordare, da studiosi, che tutti gli accenni alla manna o al pane moltiplicato da Eliseo (2Re 4:42-44) e alle quaglie nel deserto possono servire da base, ma non bastano a legittimare una creazione di sana pianta del miracolo. Esaminiamo pure la cosa. Le quaglie provvedute da Dio agli ebrei nel deserto (Es 16:13; Nm 11:32) non hanno alcun collegamento con i pesci. Il Vangelo, nel descrivere il miracolo della moltiplicazione, non fa proprio nessun accenno alle quaglie. Anche se le quaglie provvedute da Dio vennero dal mare, le quaglie non sono tuttavia pesci. L’allusione all’eucaristia poi è molto remota: che c’entrano mai i pesci con la Cena del Signore? Se il miracolo fosse stato inventato per esaltare l’eucaristia, i pesci non vi avrebbero trovato posto. Per di più, gli evangelisti avrebbero usato le parole dette da Yeshùa nell’istituire la cena commemorativa, e non altre. E, ancora, vi avrebbero menzionato il vino, elemento indispensabile per la Cena del Signore. No, non è per prefigurare la Cena del Signore che fu inventata la moltiplicazione dei pani. Gli episodi sono storici, realmente accaduti. Se Matteo fa allusioni alla cena, utilizza solo un vero miracolo preesistente.

   La “chiesa” dei primi secoli ha cercato un simbolismo anche per i pesci moltiplicati. Ma si tratta della “chiesa” ormai avviata all’apostasia che diventerà presto “chiesa romana” e infine “Chiesa Cattolica Romana”. Vediamo, comunque, la creazione del simbolismo creato sulla parola “pesce”. In greco “pesce” è ἰχθύς (ichthΰs). Dall’acrostico di questa parola greca venne formata la frase che così suona:

Greco

Traslitterato

Italiano

ησοῦς

I

Iesùs

Yeshùa

χ

Χριστός

ch

christòs

unto

θ

θεοῦ

th

Th

di Dio

ύ

υἱός

ΰ

üiòs

figlio

ς

σωτήρ

s

sotèr

salvatore

(Il sigma, lettera “s”, si scrive in greco ς quando è finale, σ se iniziale o nel corpo della parola).

   Che nei racconti biblici vi sia un simbolismo è innegabile: Giovanni stesso presenta il miracolo del pane come simbolo di Yeshùa vero pane di vita, la vera manna dal cielo. Ma questo non esclude la realtà storica del miracolo, anzi lo presuppone (secondo la mentalità semitica). È il fatto che diviene simbolo d’altro.

   Con questi miracoli della moltiplicazione Yeshùa si mostra il pastore misericordioso che si prende cura delle pecore a lui affidate. Dio usa Yeshùa che agisce a imitazione di Dio stesso: “Dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine” (Ez 34:11,12, CEI). Yeshùa aveva il potere di moltiplicare i pani per provvedere a quelle persone che “erano come pecore che non hanno pastore”. – Mr 6:34.