Cosa dice la Scrittura circa la propria ispirazione? Occorre distinguere tra i dati – più sobri – delle Scritture Ebraiche e le speculazioni posteriori ad opera di pensatori ebrei.

 

L’ispirazione nelle Scritture Ebraiche

   In pochissimi casi la parte ebraica della Scrittura parla di dettatura di Dio o riferisce l’ordine divino di scrivere, mentre di solito si afferma che la parola di Dio fu inviata ai profeti perché parlassero e annunziassero al popolo il volere di Dio. I loro scritti quindi sono ritenuti sacri perché raccolgono le parole che i profeti avevano pronunciato oralmente e perché contengono la “parola di Dio” che va meditata giorno dopo giorno.

  1. Dettatura. Solo il Decalogo fu dettato, anzi fu scritto su due tavole direttamente da Dio: “Il Signore disse a Mosè: «Sali da me sul monte e férmati qui; io ti darò delle tavole di pietra, la legge e i comandamenti che ho scritto, perché siano insegnati ai figli d’Israele»” (Es 24:12). Queste “tavole di pietra” furono scritte direttamente da Dio con il suo stesso dito (espressione concreta ebraica per dire la provenienza da Dio stesso: “Tavole di pietra, scritte con il dito di Dio” (Es 31:18). “Le tavole erano opera di Dio e la scrittura era scrittura di Dio incisa sulle tavole” (Es 32:15,16). Mosè riferisce: “Le scrisse su due tavole di pietra e me le diede” (Dt 5:22). Queste espressioni si possono intendere in modo figurato; infatti la Bibbia non di rado riferisce a Dio un effetto senza ricordarne la causa intermedia. In un passo, nonostante sia stato detto che Dio scrisse il Decalogo, si continua con l’ordine di Dio a Mosè di scrivere. Dopo che Mosè aveva spezzato le tavole di pietra per la rabbia e l’indignazione nel vedere che il popolo si era rivolto all’idolatria, Dio gli dà questo comando: “Taglia due tavole di pietra come le prime; e io scriverò sulle tavole le parole che erano sulle prime due tavole che hai spezzato” (Es 34:1). Ma poi è detto: “Scrivi queste parole; perché sul fondamento di queste parole io ho fatto un patto con te e con Israele” (Es 34:27). Il libro degli Atti parla invece dell’intermediazione di un angelo: “Questi [Mosè] è colui che nell’assemblea del deserto fu con l’angelo che gli parlava sul monte Sinai e con i nostri padri, e che ricevette parole di vita da trasmettere a noi”. – At 7:38.
  2. Usualmente Dio si sceglie dei profeti che chiama suoi araldi, perché annuncino a nome suo i messaggi divini. Ci narrano la propria chiamata profetica: Amos (7:10-17), Ezechiele (2:1-7), Isaia (6:1,sgg.), Geremia (1:4-10). Per tale sua missione il profeta si sente costretto a parlare anche contro voglia. – Ger 20:7-9.
  3. La parola dei profeti è parola divina. Nelle Scritture Ebraiche il profeta è lo strumento che Dio si sceglie per parlare all’uomo: egli può quindi chiamarsi “la bocca di Dio”. Il Signore così accusa il suo popolo: “Non hanno interrogato la mia propria bocca [vale a dire il profeta]” (Is 30:2, TNM). A Geremia Dio promette: “Diverrai come la mia propria bocca” (Ger 15:19, TNM). Varie sono le formule con cui si presentano i discorsi dei profeti; eccone alcuni tipi:
  • “Il Signore parla”. – Is 1:2.
  • “La parola che fu rivolta a Geremia da parte del Signore”. – Ger 7:1.
  • “Venite, prego, ad ascoltare la parola che proviene dal Signore!” (Ez 33:30); “Ascoltate la parola del Signore”. – Is 1:10.
  • “Il Signore mi disse”. – Is 8:1.
  • “Oracolo [di Dio]”. – Is 15:1;17:1.

   Tale effetto è simboleggiato talvolta dal tocco della bocca di Geremia: “Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca; e il Signore mi disse: «Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca»” (Ger 1:9) o dal rotolo inghiottito da Ezechiele (Ez 2:8-3:4). Il profeta è quindi “l’uomo di Dio” (2Re 4:7), “l’uomo dello spirito” (Os 9:7). La Bibbia non distingue tra la loro parola e la parola di Dio. “La casa d’Israele non ti vorrà ascoltare, perché non vogliono ascoltare me” (Ez 3:7). “Io [Dio] vi ho mandato tutti i miei servi, i profeti, ve li ho mandati ogni giorno, fin dal mattino; ma essi non mi hanno ascoltato” (Ger 7:25,26). Respingere la parola dei profeti è quindi respingere Dio: “Essi rifiutarono di fare attenzione, opposero una spalla ribelle, e si tapparono gli orecchi per non udire. Resero il loro cuore duro come il diamante, per non ascoltare la legge e le parole che il Signore degli eserciti rivolgeva loro per mezzo del suo Spirito, per mezzo dei profeti del passato; perciò ci fu grande indignazione da parte del Signore degli eserciti” (Zc 7:11,12). Di Yeshùa è profetizzato: “Io [Dio] farò sorgere per loro un profeta come te [ovvero Mosè] in mezzo ai loro fratelli, e metterò le mie parole nella sua bocca ed egli dirà loro tutto quello che io gli comanderò” (Dt 18:18). Il profeta è strumento di Dio perché Dio si manifesta “per mezzo” (בְּיַד, beyàd; letteralmente “per mano”) dei suoi profeti. Il beyàd – che indica “per mano di” – ha assunto il semplice valore avverbiale di “per mezzo di”. Così abbiamo: “I comandamenti e le leggi che il Signore diede ai figli d’Israele per mezzo [בְּיַד (beyàd), letteralmente “per mano”] di Mosè” (Nm 36:13); “La parola del Signore fu rivolta, per mezzo [בְּיַד (beyàd), letteralmente “per mano”] del profeta Aggeo” (Ag 1:1;2:2); “Parole che il Signore degli eserciti ha proclamate mediante [בְּיַד (beyàd), letteralmente “per mano”] i profeti del passato”. – Zc 7:7.

 

L’ispirazione dei libri sacri

   Le parole che Dio ispirò ai profeti non sono scomparse dopo la loro morte, ma furono conservate nei loro scritti che quindi contengono la parola di Dio.

  1. Talora, ma ben di rado, i profeti ricevono il comando di scrivere alcuni scarsi brani: “Il Signore disse a Mosè: «Scrivi questo fatto in un libro, perché se ne conservi il ricordo»” (Es 17:14); “Ora vieni, scrivilo su una tavoletta con loro, e incidilo anche in un libro” (Is 30:8, TNM); “Scrivi la visione, incidila su tavole” (Ab 2:2); “Prenditi un rotolo da scrivere e scrivici tutte le parole che ti ho dette” (Ger 36:2); “Scriviti la data di questo giorno, di quest’oggi!”. – Ez 24:2.
  2. Di solito i profeti, o meglio i loro discepoli, raccolsero le varie profezie, incastonandole in dati storici, come fece Baruc per Geremia: “Geremia prese un altro rotolo e lo diede a Baruc, figlio di Neria, segretario, il quale vi scrisse, a dettatura di Geremia” (Ger 36:32). Dalla lettura del capitolo 36 di Geremia si conclude che:
  • Il libro di Geremia contiene ‘tutte le parole che Dio ha dette’. – 36:2,4,28.
  • Esso fu scritto per comando di Dio: “Prenditi un rotolo da scrivere e scrivici tutte le parole che ti ho dette”. – 2.
  • Fu redatto sotto dettatura di Geremia ad opera di un discepolo. – V. 32.
  • Riveste autorità divina, per cui ogni spregio al libro è offesa a Dio e quindi un sacrilegio gravissimo da punirsi con dure pene: “Così parla il Signore: «Tu hai bruciato quel rotolo […]». Perciò così parla il Signore riguardo a Ioiachim re di Giuda: «Egli non avrà nessuno che sieda sul trono di Davide, e il suo cadavere sarà gettato fuori, esposto al caldo del giorno e al gelo della notte. Io punirò lui, la sua discendenza e i suoi servitori della loro iniquità, e farò venire su di loro, sugli abitanti di Gerusalemme e sugli uomini di Giuda tutto il male che ho pronunziato contro di loro, senza che essi abbiano dato ascolto»”. – Vv. 29-31.
  • Gode di verità assoluta, di cui Dio stesso è garante: “Così parla il Signore”. – V. 30.

   La regola per distinguere il vero profeta è dettata da Dio stesso: “Se tu dici in cuor tuo: «Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detta?». Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non succede e non si avvera, quella sarà una parola che il Signore non ha detta; il profeta l’ha detta per presunzione; tu non lo temere”. – Dt 18:21,22.

1. La parte ritenuta più sacra dagli ebrei fu la Toràh (parola tradotta generalmente “Legge”, ma che in verità significa “Insegnamento”). Si tratta del Pentateuco (letteralmente: “Cinque Libri”), i primi cinque libri della Bibbia, che tanto i samaritani quanto i sadducei consideravano sacri, pur respingendo gli altri libri canonici, ritenuti ispirati solo dai farisei. La Toràh fu perciò detta “Legge di Geova [Yhvh, nel testo biblico]” (1Cron 16:40, TNM) – תֹורַת יְהוָה, toràt Yhvh, “l’insegnamento di Yhvh” – poiché contiene la “parola del Signore trasmessa per mezzo di Mosè” (2Cron 35:6). Le “tavole della alleanza”, che si dovevano leggere in presenza di tutti perché fosse praticata (Dt 31:12 e sgg.), stavano deposte per la loro santità accanto alla stessa arca, simbolo della presenza di Dio: “Quando Mosè ebbe finito di scrivere in un libro tutte quante le parole di questa legge, diede quest’ordine ai Leviti che portavano l’arca del patto del Signore: «Prendete questo libro della legge e mettetelo accanto all’arca del patto del Signore vostro Dio; e lì rimanga come testimonianza»”. – Dt 31:24-26.

2. In secondo luogo stanno i libri profetici, divisi in due sottogruppi.

   A. Il primo dei quali, detto dei “profeti anteriori” (neviìm harishonìm), corrisponde ai libri che noi erroneamente chiamiamo “storici”, da Giosuè a Neemia. Diciamo erroneamente perché il nostro termine ne mette in risalto l’aspetto storico (che non manca certo in questi libri, anche se è secondario), mentre il termine ebraico ne esalta l’aspetto teologico, vale a dire l’intervento divino nella storia, che è l’unico inteso dallo scrittore sacro. Si vede anche qui come le categorie ebraiche siano diverse dalle nostre. È un errore chiamarli libri storici; all’ebreo la storia come pura storia non interessava; quel che lo affascinava era l’intervento divino nella storia. Questi libri – cosiddetti storici – non narrano solo i fatti, ma li interpretano alla luce della fede e presentano i dati storici atti a confermare il loro insegnamento spirituale. Gli scrittori sono quindi dei ricercatori guidati da un carisma profetico e non storico. Sono profetici per il fatto che la profezia, anziché arrestarsi a Mosè, passa nei suoi successori come appare dalle seguenti citazioni:

  • Giosuè, “pieno dello Spirito di sapienza, perché Mosè aveva imposto le mani” (Dt 34, 9) “scrisse queste cose nel libro della legge di Dio”. – Gs 24:26.
  • Samuele “espose al popolo la legge del regno e la scrisse in un libro, che depose davanti al Signore”, vale a dire davanti all’arca (1Sam 10:25). Secondo l’ordine di Dio, Samuele “riferì tutte le parole del Signore al popolo” (1Sm 8:10). Si tratta forse dei brani relativi al re che troviamo nel Pentateuco? – Dt 17

   B. Il secondo sottogruppo dei libri profetici, detto dei “profeti posteriori” (neviìm acharonìm), è costituito dai libri presentati quali “profetici” nelle moderne traduzioni della Bibbia non attuate da ebrei. Sono i tre profeti maggiori (Isaia, Geremia, Ezechiele) e i dodici profeti minori. I termini “maggiori” e “minori” non stanno affatto ad indicare l’importanza, ma la lunghezza degli scritti. Il libro di Daniele non è incluso dagli ebrei tra i profetici, bensì nella terza classe degli scritti sacri detti Ketuvìm.

   È superfluo dimostrare il carattere profetico di questi libri dal momento che da essi abbiamo tratto quasi tutte le citazioni precedenti relative alla “parola di Dio”.

3. Il terzo gruppo delle Scritture Ebraiche è dato dai cosiddetti “sapienziali” – i Ketuvìm o “scritti” per gli ebrei – nei quali si nota una ricerca personale, che lascia un po’ nell’ombra l’ispirazione divina. Il Qohèlet (Ecclesiaste) riferisce spesso nel suo libro i risultati della propria indagine ed esperienza esistenziale. Si leggano i seguenti passi:

  • “Ho applicato il cuore [ovvero la mente; nella Bibbia il cuore è la sede dei pensieri e non dei sentimenti] a cercare e a investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo”. – Ec 1:13.
  • “Io ho detto, parlando in cuor mio [= tra di me]: «Ecco io ho acquistato maggiore saggezza di tutti quelli che hanno regnato prima di me a Gerusalemme; sì, il mio cuore [= la mia mente, per gli occidentali] ha posseduto molta saggezza e molta scienza. Ho applicato il cuore [= la mente, per gli occidentali] a conoscere la saggezza, e a conoscere la follia e la stoltezza»”. – 1:16,17.
  • “Io ho detto in cuor mio [= nella mia mente, per gli occidentali]: «Andiamo! Ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere!». Ed ecco che anche questo è vanità”. – 2:1.
  • “Io ho visto le occupazioni che Dio dà agli uomini perché vi si affatichino”. – 3, 10.
  • “Mi sono messo poi a considerare tutte le oppressioni che si commettono sotto il sole”. – 4:1.
  • “Ho visto tutto questo nei giorni della mia vanità [“durante i miei giorni vani”, TNM]”. – 7:15.
  • “Io mi sono applicato in cuor mio [= nella mia mente, per gli occidentali] a riflettere, a investigare, a cercare la saggezza e il perché delle cose”. – 7:25.
  • “Sì, io ho applicato a tutto questo il mio cuore [= la mente, per gli occidentali], e ho cercato di chiarirlo: che cioè i giusti e i saggi e le loro opere sono nelle mani di Dio; l’uomo non sa neppure se amerà o se odierà; tutto è possibile”. – 9:1.

   Che Ecclesiaste costituisca il risultato delle proprie indagini e riflessioni lo aveva già riconosciuto Teodoro di Mopsuestia che scrisse:

“Tra i libri scritti secondo la dottrina umana si devono includere i libri di Salomone, cioè i Proverbi e l’Ecclesiaste, che egli compose di sua mano per utilità altrui; poiché non aveva ricevuta la grazia della profezia, bensì la grazia della prudenza, le quali, secondo S. Paolo sono diverse”. – Atti del 2° Concilio di Costantinopoli; cfr. Mansi IX, 223.

   Tuttavia anche in questo gruppo non mancano alcuni accenni all’ispirazione divina, come per l’Ecclesiaste la frase: “[Le parole di sapienza] sono date da un solo pastore”. Infatti, dopo aver dichiarato che “l’Ecclesiaste si è applicato a trovare parole gradevoli” e che “esse sono state scritte con rettitudine, e sono parole di verità”, e dopo aver detto che “le parole dei saggi sono come degli stimoli, e le collezioni delle sentenze sono come chiodi ben piantati”, lo scrittore aggiunge: “Esse sono date da un solo pastore” (Ec 12:12,13). Quel “solo pastore” è Dio. – Sl 23:1;80:1.

   I salmi davidici sono stati scritti da una persona che trasmetteva “l’oracolo” (נְאֻם, neùm) di Dio: “Queste sono le ultime parole di Davide: «Parola di Davide, figlio d’Isai, parola dell’uomo che fu elevato ad alta dignità, dell’unto del Dio di Giacobbe, del dolce cantore d’Israele: lo spirito del Signore ha parlato per mio mezzo e la sua parola è stata sulle mie labbra»” (2Sam 23:1,2). Quello che viene tradotto “parola di Davide” e “parola dell’uomo” da NR, e che viene tradotto “espressione di Davide” e (in modo bruttissimo) “espressione dell’uomo robusto” da TNM, è nel testo ebraico “oracolo [נְאֻם, neùm] di Davide” e “oracolo [נְאֻם, neùm] di un uomo”.

     Anche i salmi di Asaf sono stati composti da una persona che viene presentata come “veggente”. Si tratta del “veggente Asaf” e non certo dell’“Asaf il visionario” di TNM (2Cron 29:30). La parola ebraica è חֹזֶה (khozèh), “veggente”.

   Criterio di canonicità. Gli ebrei ritennero come sacri i libri che erano garantiti dai profeti. Tale garanzia fu il loro criterio di canonicità. I libri più recenti non furono ritenuti tali poiché dal tempo dei Maccabei non sussistette più il carisma profetico. In 1Mac 4:46 si legge che Giuda distrusse l’altare profanato, ma ne lasciò le pietre ammassate in attesa che sorgesse un profeta il quale dicesse loro che cosa si dovesse farne.

   Gradi d’ispirazione. I tannaiti (“ripetitori”, in aramaico) o farisei del 1° secolo dell’E. V. attribuirono ai libri sacri un’autorità decrescente da Mosè ai profeti e infine ai saggi. Poggiando su Nm 12:8 osservano che Dio parlò a Mosè “a tu per tu” ovvero “bocca a bocca” (TNM; in italiano meglio dire “a bocca a bocca”), mentre i profeti (neviìm) parlarono nello “spirito profetico” e i sapienziali composero i loro ketuvìm (scritti) solo “nello spirito santo” (ovvero sotto impulso divino). “Quale era la differenza tra Mosè e gli altri profeti? Questi guardavano attraverso nove vetri, per lo più opachi, mentre Mosè guardava attraverso uno soltanto e ben trasparente” (Lv Rabbà 1:14). “Ciò che i profeti erano destinati a profetizzare alle generazioni a venire lo ricevettero sul Monte Sinai […]. Mosè pronunciò tutte le parole degli altri profeti assieme alle proprie, e chiunque profetizzò non fece che dare espressione alla sostanza della profezia mosaica” (Esc. Rabbà 28:6;32:8). Per loro vengono da ultimi i sapienziali o detti dei saggi perché a un dato periodo della storia (dopo Esdra), “la profezia fu tolta ai profeti e data ai sapienti, i quali non ne furono più privati”. – Baba Bathra 12a.

   Efficacia dei libri sacri. A queste tre raccolte che componevano la Bibbia, dette “i libri” (Dn 9:2), si attribuiva una grande efficacia. La Bibbia ebraica (Scritture Ebraiche), composta dalle tre raccolte, era già esistente al tempo dei Maccabei: “Si descrivevano le stesse cose nei documenti e nelle memorie di Neemia e come egli, fondata una biblioteca, curò la raccolta dei libri dei re, dei profeti e di Davide e le lettere dei re intorno ai doni. Anche Giuda ha raccolto tutti i libri andati dispersi per la guerra che abbiamo avuto, e ora si trovano presso di noi” (2Mac 2:13,14, CEI). Esdra aveva fondato una biblioteca nella quale aveva raccolto i libri che parlavano dei re riguardanti le offerte sacre. Anche nel regno di Giuda si erano raccolti tutti “i libri”.

  1. La parola divina che trasforma non torna a Dio vuota: “Così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l’ho mandata”. – Is 55:11.
  2. La parola di Dio è eterna. L’uomo passa come l’erba, ma la parola di Dio dura per sempre: “L’erba si secca, il fiore appassisce, ma la parola del nostro Dio dura per sempre” (Is 40:8). Pietro ricorderà: “Ogni carne è come l’erba, e ogni sua gloria come il fiore dell’erba. L’erba diventa secca e il fiore cade; ma la parola del Signore rimane in eterno” (1Pt 1:24,25). “Per sempre, Signore, la tua parola è stabile nei cieli”. – Sl 119:89.
  3. La parola di Dio reca conforto. Quando Gionata cercò l’alleanza degli spartani scrisse che di per sé gli ebrei non ne avrebbero avuto bisogno in quanto avevano “a conforto le scritture sacre che sono nelle nostre mani”. – 1 Mac 12, 9, CEI.
  4. La parola di Dio era oggetto di continua meditazione da parte del saggio:

“Oh, quanto amo la tua legge!

È la mia meditazione di tutto il giorno.

I tuoi comandamenti mi rendono più saggio dei miei nemici;

perché sono sempre con me.

Ho più conoscenza di tutti i miei maestri,

perché le tue testimonianze sono la mia meditazione.

Ho più saggezza dei vecchi,

perché ho osservato i tuoi precetti.

Ho trattenuto i miei piedi da ogni sentiero malvagio,

per osservare la tua parola.

Non mi sono allontanato dai tuoi giudizi,

perché tu mi hai istruito.

Oh, come sono dolci le tue parole al mio palato!

Son più dolci del miele alla mia bocca.

Mediante i tuoi precetti io divento intelligente;

perciò detesto ogni doppiezza”. – Sl 119:97-104.