“Gesù si trovava a Betania”. “Mentre era a tavola, venne una donna con un vasetto di alabastro pieno di un profumo molto prezioso, nardo purissimo. La donna spaccò il vasetto e versò il profumo sulla testa di Gesù” (Mr 14:2, PdS). Il gesto di questa donna provoca il palese e infastidito disappunto dei presenti che addirittura si scandalizzano.

   “Alcuni dei presenti, scandalizzati, mormoravano tra loro:

   – Perché tutto questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per trecento monete d’argento e poi dare i soldi ai poveri!

   Ed erano furibondi contro di lei. Ma Gesù disse loro:

   – Lasciatela in pace! Perché la tormentate? Questa donna ha fatto un’opera buona verso di me. I poveri, infatti, li avete sempre con voi e potete aiutarli quando volete, ma non sempre avrete me. Essa ha fatto quel che poteva, e così ha profumato in anticipo il mio corpo per la sepoltura. Io vi assicuro che in tutto il mondo, dovunque sarà predicato il messaggio del Vangelo, ci si ricorderà di questa donna e di quel che ha fatto.” – Mr 14:4-9, PdS.

   L’incontro è ravvicinato, molto ravvicinato: la donna è accanto a Yeshùa, gli versa il profumo sul capo, lo tocca. Eppure, non uno scambio di parole tra lui e la donna, nemmeno una parola. Yeshùa la difende. Mostra di gradire il suo gesto, ma non parla direttamente a lei.

   Il tempo pare quello quotidiano dei giorni: vicende giornaliere, un invito a pranzo e Yeshùa ospitato, altri ospiti, gesti imprevisti, le solite incomprensioni. Ma “mancavano intanto due giorni alla Pasqua degli ebrei e alla Festa per pani non lievitati” (14:1). E il tempo pare scorrere più veloce e affrettarsi verso il grande tragico evento cui Yeshùa era destinato: “I capi dei sacerdoti e i maestri della Legge cercavano il modo per arrestare Gesù con un inganno, per poi ucciderlo”. Quell’evento funesto viene addirittura anticipato: “Dicevano: ‘Non possiamo arrestarlo in un giorno di festa, perché altrimenti c’è pericolo di una rivolta popolare’”. – V. 2.

   In quello scorrere veloce del tempo, che viene anticipato, c’è un tempo nel tempo. Un tempo che si innesta in quello delle ore che scandiscono il conto alla rovescia verso l’inevitabile, un tempo fuori da quel tempo. È il tempo di quel momento, carico di umanità, in cui quella donna si occupa amorevolmente di Yeshùa. In quel momento, in quel tempo nel tempo, ci sono solo loro due: la donna e Yeshùa, in silenzio. Gli altri sono osservatori distaccati ed estranei a quello che accade tra lei e lui. È un momento che anticipa già la pace dopo la soffertissima tragedia che sarà consumata: “Ha profumato in anticipo il mio corpo per la sepoltura”. È un tempo che si ricollega al futuro lontano e continua a perdurare in quel futuro che riguarda il mondo intero: “Ci si ricorderà di questa donna”.

   Tutti si stanno preparando, proprio tutti. I capi dei sacerdoti e i maestri della Legge si preparano a mettere le mani addosso a Yeshùa. Giuda si prepara a vendere Yeshùa, tradendolo. Tutto il popolo si prepara alla Festa. La donna prepara il corpo di Yeshùa per la sepoltura. Yeshùa stesso è già preparato alla propria morte.

   C’è un paradosso. Gli ebrei si stanno preparando a celebrare la Pasqua escludendo Yeshùa. E proprio lui sarà la loro Pasqua. Proprio mentre lo uccideranno, lui sarà il liberatore loro e di tutti con la sua morte quale “agnello di Dio”.

   La cornice è tetra. Eppure racchiude quel momento intenso in cui la donna dispiega il suo gesto, inserendolo tra il complotto dei capi dei sacerdoti e l’accordo di questi con il traditore. Il contrasto di quel quadro è profondo: odio e amore, tradimento e fedeltà, cecità e preveggenza, grettezza e generosità, incomprensione e intuizione. In tutto quel contesto di odio, inganno, tradimento e cattiveria, c’è un momento luminoso carico di bontà: l’amore generoso e coraggioso della donna.

   Si scopre allora che il brutto quadro con la sua tetra cornice rappresenta la realtà distorta del male. La verità con la sua bellezza sta al centro e al fondo del quadro: è l’amore tenace che sconfigge silenziosamente i calcoli meschini e l’ostilità da cui è accerchiato, è l’amore vero che sconfigge le trame della malvagità.

   Quella donna reca un raggio di luce e lo fa risplendere lì a Betania, un oscuro borgo dove perfino la notte scendeva prima, essendo posto sul pendio est del Monte degli Ulivi. Un oscuro borgo vicino a Gerusalemme che Dio aveva invitato a illuminarsi (“Álzati, Gerusalemme, brilla di luce: perché la gloria del Signore risplende su di te e ti illumina”, Is 60:1) e su cui cadranno le tenebre mentre Yeshùa muore (“Si fece buio su tutta la regione”, Mt 27:45). E chi reca quel raggio di luce è una donna anonima che infrange le consuetudini ed entra in scena in una riunione di soli uomini con la sua azione che desta scandalo.

   Tutto avviene nella incomprensione. Incomprensione nei riguardi della donna e di Yeshùa. Il gesto di profondo affetto che la donna compie viene valutato alla ragioniera, con un intento esclusivamente economico. Il nardo era un unguento molto pregiato e costosissimo, e quello della donna era “nardo purissimo”. Quelli che si indignano valutano “tutto questo spreco” in trecento monete d’argento, equivalente alla paga annuale di un lavoratore a giornata. Coloro che si scandalizzano non capiscono che la presenza di Yeshùa è un’occasione eccezionale di fronte a cui dovrebbero saltare tutti gli abituali criteri di comportamento. “I poveri, infatti, li avete sempre con voi e potete aiutarli quando volete”. È una citazione dal Deuteronomio: “Ci saranno sempre poveri nella vostra terra”. – 15:11.

   Yeshùa comprende la donna. E l’apprezza. Approva incondizionatamente il gesto di lei: “Questa donna ha fatto un’opera buona verso di me”. Quell’“opera buona” è nel greco καλὸν ἔργον (kalòn èrgon); e kalòn significa “bello”, oltre che “buono”. Quella donna ha fatto “una bella azione”. Yeshùa ne svela il significato profondo, tanto profondo che va al di là dell’intenzione di lei: “Ha profumato in anticipo il mio corpo per la sepoltura”. Yeshùa rimprovera anche quei critici meschini. E assicura che il gesto di lei sarà sempre ricordato ovunque sarà predicato il messaggio della buona notizia ovvero quel vangelo che dovrà oltrepassare i piccoli confini giudaici per arrivare al mondo intero.

   Proprio nel momento in cui l’opera di Yeshùa appare bloccata e destinata a concludersi nel fallimento, Yeshùa annuncia la diffusione mondiale della buona notizia. Nella proclamazione dell’annuncio gioioso della salvezza ci sarà posto anche per questa donna di cui non viene neppure detto il nome.

   Coloro che denunciano lo speco hanno una visuale striminzita delle cose e non sanno spingersi oltre una gretta contabilità, che per di più mascherano con finte preoccupazioni caritative. Non afferrano il valore della presenza di Yeshùa né, tanto meno, della sua persona. Pur credendo in Dio e avendo una fede a parole, si possono fare ragionamenti logici, dire cose giuste in sé, fare i conti esatti di una fede contabile. Ma non si afferra il senso vero delle cose. Con una fede senza profezia – senza la capacità di vedere lontano – non si capiscono le realtà vere.

   La donna, con la sua “bella azione”, manifesta affetto davvero sentito verso Yeshùa. Lo capisce, gli è vicino. Si poteva dare ai poveri … . Ma il vero povero è Yeshùa, “lui che era ricco, si è fatto povero” (2Cor 8:9). Yeshùa è il povero per eccellenza: rifiutato dalla gente che conta, rigettato dalla folla, tradito da un amico, incompreso e poi abbandonato dai discepoli, vittima della solitudine, lasciato solo nel momento più tragico.

   Ciò che secondo quelle persone grette si spreca e che viene invece offerto in maniera esagerata a Yeshùa, non è sottratto ai poveri: “I poveri li avete sempre con voi e potete aiutarli quando volete”. L’amore per Yeshùa è necessariamente amore per i poveri, ossia di nuovo verso Yeshùa che con i poveri si identifica: “Io ho avuto fame e voi mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere”, “ero nudo e mi avete dato i vestiti”; “tutte le volte che avete fatto ciò a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, lo avete fatto a me”. – Mt 25:35,36,40.

   La donna arriva a vedere ciò che gli altri non vedono. Quella donna sa vedere e guardare. Gli uomini, vedono; le donne guardano. Le donne, sono le donne che sanno guardare e vedere davvero. E saranno proprio le donne le testimoni fedeli del dramma che sta per svolgersi. Questa donna prima delle altre, poi altre donne, donne che “guardavano da lontano” e che “avevano seguito e aiutato Gesù”; “e c’erano anche molte altre donne” (Mr 15:40). Donne. Donne preoccupate di accudire la salma di Yeshùa e che diranno l’una all’altra: “Chi ci farà rotolar via la pietra che è davanti alla porta?” (Mr 16:3). E sarà proprio ad una donna che Yeshùa risorto apparirà prima che a chiunque altro. Tra tanti abbandoni, la fedeltà a Yeshùa permane grazie alle donne. Sono loro che lo accompagnano verso la morte e sono pronte ad accoglierlo nuovamente alla sua resurrezione. A cominciare dall’episodio di Betania e poi durante tutto il patimento di Yeshùa, chi davvero ha avuto coraggio sono state le donne. La forza che esse hanno manifestato è la forza delle donne, le sole capaci di provare vera empatia e di entrare in sintonia con la debolezza del “figlio dell’uomo”.

   “Essa ha fatto quel che poteva”. Yeshùa ha compreso appieno il dono spontaneo e generoso di lei. Il dono di lei era totale, sentito, voluto: “Spaccò il vasetto”… Nella rottura di quel flacone è espressa la certezza di lei nell’offrire il preziosissimo dono. Per gli altri, quel gesto è invece l’irrecuperabile danno che renderà inutilizzabile il flacone e ne sancirà lo spreco, lo scandaloso eccesso di una sperperatrice. Eppure, quel dono totale, prezioso e costosissimo, assoluto e senza calcoli, convinto, è la misura giusta per quell’occasione in cui Yeshùa è lì.

   A volte, ciò che appare superfluo è davvero il necessario. Ad un povero talvolta è più necessario un sorriso che un piatto di minestra, un po’ di attenzione più che un tozzo di pane. Così, a volte una condizione gioiosa e serena – anche se per un momento – fa più bene che non avere qualcosa di materiale. A Cana, fu Miryàm (un’altra donna) ad accorgersi che mancava non il necessario (il cibo), ma quello che sembrerebbe il superfluo, il vino. Eppure, a quel banchetto di nozze, il vino era davvero il necessario per la piena riuscita della festa, per l’allegrezza di quel giorno memorabile che doveva essere festoso. Lei intuì proprio questo e intervenne per rimediare.

   “Essa ha fatto quel che poteva”. Quella donna a Betania fece senza calcoli e senza ripensamenti quel che poteva per far star bene Yeshùa, per farlo sentire amato, per comunicargli senza parole tutta la sua vicinanza e il suo affetto. L’amore vero sa sorprendere e sa produrre l’inatteso.

   I gesti veramente significativi accadono in silenzio. A Betania tutti parlano. Gli osservatori criticano e disprezzano. Anche Yeshùa deve parlare per giustificare la donna. Giuda, da traditore quale è, parla tra sé e sé e decide il tradimento. Lei non parla. Lei agisce in silenzio. C’è molto più significato in una carezza silenziosa o in un  muto abbraccio che non in mille discorsi pronunciati da un pulpito o da un podio, a seconda della religione.

   “Ci si ricorderà di questa donna”, parola di Yeshùa. E dopo centinaia, anzi migliaia di anni, quella donna è ancora ricordata. Forse non tutti si ricordano dei costruttori delle piramidi, forse non tutti si rammentano di Giulio Cesare o di Alessandro Magno o di Napoleone. E chi pensa a Galileo o a Copernico? Certo non molti sanno delle gesta dei grandi uomini della storia di cui forse hanno sentito il nome. Chi si ricorda di quelle grandi gesta? Un gesto, però, è ricordato da coloro che leggono il Vangelo: è il gesto di quella donna senza nome.

   Quella donna che, come tutte le donne, sa vedere il possibile nell’impossibile, sa perfino “svegliare l’aurora” (Sl 57:8). Quella donna il cui ricordo è ancora presente. Quella donna di cui neppure sappiamo il nome. Proprio lei. Lei.